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“Essere ebrei oggi”? Piuttosto palestinesi… Risposta a Nathania Zevi
La Stampa di ieri ha pubblicato un intervento della giornalista Nathania Zevi intitolato: “Perché è così difficile essere ebrei oggi”. Inizia così: “Essere ebrei oggi significa portare sulle spalle una doppia, direi quasi insopportabile responsabilità: quella di tentare di vivere, per quanto semi-normalmente, e spiegare…”. Forse la Zevi dovrebbe immaginare invece cosa significhi essere palestinesi di Gaza (e anche Cisgiordania) oggi e cercare di “tentare di vivere”. Anzi di sopravvivere, o ancora di più non morire di fame. Ma l’onestà intellettuale è come il coraggio di Don Abbondio… Per la giornalista essere ebrei “non equivale [a] sedere sugli scranni del governo di Israele, di questo governo di Israele, uno dei (tanti) governi di Israele. Che la parola sionista non solo non è sinonimo di nazista, ma tanto meno di pensiero violento”. Certamente Israele ha avuto molti governi, ma nessuno, anche quelli apparentemente più disponibili al dialogo, ha fatto i conti con il “peccato originale” di tutta questa drammatica vicenda: l’essersi insediati sin dai primi flussi migratori tra fine Ottocento e inizio del secolo successivo in un territorio abitato da chi ci viveva da centinaia di anni. La frase suggestiva quanto menzognera del parlamentare conservatore britannico Lord Shaftesbury, cioè Anthony Ashley-Cooper, “una nazione senza paese per un paese senza nazione” detta nel 1854 e poi riconvertita nel 1901 dallo scrittore britannico sionista Israel Zangwill in “una terra senza popolo per un popolo senza terra”, sintetizza come sia il protosionismo che il sionismo abbiano basato le proprie fondamenta su un’ipotesi completamente falsa e mistificatrice. È vero che il sionismo ha avuto al proprio interno correnti politiche diverse – quella socialisteggiante ha fatto nascere i kibbutzim – ma anche in questo caso non si è liberato dalla contraddizione fondamentale: non puoi rifarti ad una dimensione collettivista e nello stesso tempo basare la tua identità sul nazionalismo, e non sulla visione ed emancipazione di classe. Il Bund su questo si è lacerato e ha finito la sua breve esperienza iniziata a pochi mesi dalla nascita del movimento sionista, nascita avvenuta a Berna ad agosto 1897. La nascita dello Stato israeliano, dopo anni di sanguinosi conflitti con la comunità arabo-palestinese, ha inevitabilmente questo imprinting che ha caratterizzato tutti i suoi esecutivi, “laburisti” e “conservatori”. Per quanto riguarda la natura del sionismo e il suo presunto pensiero “non violento”, la storia dello Stato di Israele parla da sola: se si edifica un Paese sulla pulizia etnica, l’apartheid e la discriminazione di una parte di chi si risiede nel territorio, evidentemente il tutto ha le sue origini nella visione distorta del pensiero che ha fatto da base al progetto. “Lo Stato degli ebrei” titolo del testo di Herzl fondante del sionismo, contiene i presupposti di ciò che è avvenuto poi. Ma queste cose, immaginiamo, la Zevi le sa, anche se fa finta di ignorarle. Come sa perfettamente che la “dittatura ideologica” che nega rispetto al rapporto con lo Stato di Israele, è invece ampiamente presente in buona parte non solo degli ebrei israeliani, ma anche in quelli della diaspora, e sa pure sicuramente che, dopo il 7 ottobre come in passato, diversi gruppi di questi ebrei, anche in Italia, hanno manifestato contro il genocidio in corso a Gaza. E sono state e sono tuttora queste realtà a uscire allo scoperto, ma si tratta di una minoranza, perché la maggioranza, sicuramente “dialoga, forse critica”, ma non osa certamente esprimersi pubblicamente, per non parlare delle Comunità ufficiali, rigidamente fedeli alla linea per cui Israele la si sostiene a prescindere. Quindi non si tratta di “purezza politica”, ma se si rivendica la propria identità ebraica, anzi chi la ritiene la sua identità principale, è evidente che dovrebbe sentire il dovere di fronte all’annientamento di Gaza di urlare la propria indignazione, la propria rabbia. Sulla definizione di “popolo ebraico” che meriterebbe una dissertazione approfondita consigliamo alla Zevi di leggere il saggio fondamentale di Shlomo Sand, storico israeliano, “L’invenzione del popolo ebraico” che in modo documentato e approfondito la mette in discussione, a partire proprio dalla narrazione biblica che viene richiamata da Nathania Zevi nel suo articolo. Il sionismo ha come base teorica proprio la Bibbia, il ritorno alla “terra promessa”, che evidenzia come anche la cosiddetta componente laica, a partire da Ben Gurion, avesse come riferimento imprescindibile i testi sacri. E la religione è l’anfetamina non l’oppio dei popoli, stimola e alimenta il fanatismo e il fondamentalismo. Per quanto riguarda le manifestazioni in Israele a cui accenna la giornalista del TG1 – tolte quelle dei gruppi di base come “Combatans for peace”, gruppi che anche l’8 e 9 maggio coraggiosamente, visto il contesto, si sono riuniti a Gerusalemme, più di sessanta organizzazioni, che da anni sostengono la popolazione civile palestinese schierandosi chiaramente contro l’occupazione – i cortei anche prima del 7 ottobre, contro Netanyahu, protestavano contro la corruzione, la riforma della giustizia, poi per la liberazione degli ostaggi, non contro il regime di apartheid. E su questo aspetto ci può essere utile il recente saggio di Daniel Bar-Tal “La trappola dei conflitti intrattabili” che, dati alla mano, evidenzia come la società israeliana da alcuni decenni abbia subito un processo involutivo che l’ha condotta totalmente a destra; per quanto ci riguarda lo riteniamo un processo di fascistizzazione di cui l’attuale criminale esecutivo è fedele espressione. È vero che un recentissimo sondaggio – se n’è parlato qualche giorno fa durante la trasmissione di Marco Damilano – ha registrato una maggioranza dell’opinione pubblica israeliana favorevole alla fine della mattanza in corso, ma questo dubitiamo, sperando di sbagliare, possa indicare una inversione di marcia. Anche perché l’ecatombe di Gaza di oggi è l’apice di un lungo processo. Il massacro di Hamas del 7 ottobre è la terribile conseguenza di quanto abbiamo evidenziato. Come già detto in un giorno Israele ha vissuto il dramma e la violenza che i palestinesi subiscono da sempre nella loro quotidianità. La “riflessione collettiva” che auspica la Zevi alla fine del suo testo dovrebbe partire da questo e dalla stretta, allucinante, attualità.   Sergio Sinigaglia
A scuola di guerra: la questione palestinese nei manuali scolastici in Israele e Palestina
fonte immagine Wikipedia A SCUOLA DI GUERRA: LA QUESTIONE PALESTINESE NEI MANUALI SCOLASTICI IN ISRAELE E PALESTINA GIOVEDÌ 5 DICEMBRE 2024, ORE 8.30 – 13.30 IIS BELLUZZI – FIORAVANTI BOLOGNA, VIA GIOVANNI DOMENICO CASSINI 3 (IN PRESENZA) LINK PER ISCRIVERSI: HTTPS://FORMS.GLE/RAEWXINEPAMMGQYD9 SCARICA LA LOCANDINA E IL MODULO PER RICHIEDERE IL PERMESSO -------------------------------------------------------------------------------- CONVEGNO NAZIONALE DI FORMAZIONE Ricordiamo che il personale ispettivo, dirigente, docente e ATA ha diritto all’ESONERO DAL SERVIZIO con diritto alla sostituzione in base all’art.36 del CCNL2019/2021 (che sostituisce gli articoli 63 e 64 del CCNL 2006/2009). Il CESP è Ente Accreditato/Qualificato per la formazione del personale della scuola (D. M. 25/07/06 prot.869, Circolare. MIUR PROT. 406 DEL 21/02/06, Direttiva 170/2016-MIUR) —> Fai richiesta alla segreteria del tuo istituto del permesso per formazione oppure utilizza il modulo in allegato alla locandina -------------------------------------------------------------------------------- L’attività di formazione è stata concepita per intercettare un diffuso bisogno del personale docente di approfondire la conoscenza del conflitto israelo-palestinese: una tematica nell’ultimo anno particolarmente presente nel dibattito pubblico ma che ha delle radici profonde nei processi di costruzione dell’identità nazionale, nel colonialismo e nelle tante questioni del Novecento. L’aggravarsi del conflitto richiede, anche nel confronto con studenti e studentesse, una preparazione ed una conoscenza approfondita dei fenomeni storici e politici che sono in atto nel quadro mediorientale e che vada ad indagare anche la costruzione dell’ideologia e dell’identità nazionale degli attori in conflitto.  Per tal motivo la giornata è stata costruita partendo dalle ricerche di studiose come Nurit Peled-Elhanan e Samira Alayan che hanno lavorato proprio sui temi della costruzione dell’ideologia e della propaganda nelle scuole israeliane e palestinesi: i libri di testo, oggetto di queste ricercatrici universitarie che lavorano in Israele, sono uno dei tanti strumenti – forse quello più evidente, attraverso cui viene attuato un processo di costruzione dell’identità e allo stesso tempo di rappresentazione dell’altro come nemico.  Per le docenti e i docenti presenti saper riconoscere e decodificare questi fenomeni politici e culturali, usando il caso studio della questione palestinese, costituisce un bagaglio fondamentale da poter utilizzare anche in altri contesti e di fronte ad altri casi di studio, in cui si vengono a creare stretti rapporti tra storia, memoria, identitarismi e conflitto. La giornata sarà strutturata attraverso tre interventi oltre quello di apertura: Peled-Elhanan e Alayan entreranno nel merito della riflessione analizzando i manuali scolastici utilizzati nelle scuole dello Stato di Israele e della Palestina; infine la ricercatrice della Scuola Normale di Pisa Federica Stagni racconterà il ruolo complesso e controverso delle università israeliane nella storia della occupazione palestinese. -------------------------------------------------------------------------------- PROGRAMMA: 8.30-9.00: registrazioni partecipanti. Introduce e coordina Jacopo Frey, CESP Bologna * La Palestina nei testi scolastici di Israele. Nurit Peled-Elhanan, docente di Scienze del linguaggio ed educazione presso la Hebrew University of Jerusalem (intervento in video conferenza) * Controllo del programma scolastico a Gerusalemme est: la lotta delle autorità sui contenuti educativi, Samira Alayan, docente e ricercatrice senior presso la Hebrew University of Jerusalem e il David Yellin Teacher’s College (intervento in video conferenza) * domande e dibattito con le relatrici h. 11.40 – 12.00 Pausa caffè * Le università israeliane e l’occupazione: dalla costruzione storica alla sperimentazione tecnologica, Federica Stagni, ricercatrice presso la Scuola Normale Superiore di Pisa 12.30- 13.30 Domande e dibattito -------------------------------------------------------------------------------- ABSTRACT DEGLI INTERVENTI NURIT PELED-ELHANAN La Palestina nei testi scolastici di Israele . Lo studio adotta un approccio semiotico sociale e utilizza metodi di analisi del discorso multimodale. La semiotica sociale pone domande semiotiche per rispondere a quelle sociali.La mia domanda sociale è: in che modo i libri di testo israeliani educano i bambini ebrei a portare avanti il regime di occupazione in Palestina e di discriminazione all’interno di Israele? La mia domanda semiotica è: quali sono i mezzi che questi libri di testo usano per rappresentare gli “altri”?Da quando Israele ha stretto amicizia con “l’altra Germania” nel 1953, agli arabi è stato assegnato il ruolo di potenziali sterminatori del popolo ebraico (Segev 2019).Un esame dei mezzi semiotici di rappresentazione, come discorso, genere, modalità, impaginazione ed elementi visivi, può rivelare gli interessi degli scrittori e gli scopi pedagogici dei testi multimodali. Lo studio suggerisce che i libri di testo israeliani utilizzano le strategie di genericizzazione (“gli arabi sono”, “l’arabo è”…) e di aggregazione (riferendosi agli esseri umani con grandi numeri, statistiche e quantità) per presentare gli “altri”, descriverli in un discorso razzista attraverso stereotipi o classificarli in categorie. I libri di testo spingono gli studenti a relazionarsi con la sofferenza degli altri in modalità agoraica (Chuliaraki 2006), a rimanere il più possibile distaccati dai sofferenti e a giudicare la loro vita e morte in termini di utilità da un punto di vista “oggettivo”, spesso militare o politico, che non è sensibile alla sofferenza delle vittime. SAMIRA ALAYAM Controllo del programma scolastico a Gerusalemme Est: la lotta tra le autorità sui contenuti educativi. Il sistema educativo per gli arabi palestinesi che vivono in Israele fornisce informazioni sulle complesse realtà affrontate dai cittadini e dai residenti nel conflitto in corso. Mentre il diritto fondamentale all’istruzione rimane, il sistema soffre di problemi quali carenze di bilancio, discriminazione e censura.Questa lezione esamina i libri di testo utilizzati dall’Autorità Nazionale Palestinese in Israele e Palestina, concentrandosi sul loro contenuto e sui cambiamenti che hanno subito nel corso degli anni. Un’analisi approfondita dei libri di testo utilizzati in Cisgiordania e a Gerusalemme Est rivela gli sforzi per costruire un’identità nazionale palestinese e preservare l’identità collettiva del popolo palestinese, con i libri di testo scolastici che fungono da mezzo cruciale per questo scopo. Questi libri di testo non solo descrivono eventi storici, ma plasmano anche la memoria collettiva palestinese sia in Israele che in Palestina.Sono stati esaminati i programmi di studio e i libri di testo di storia pubblicati dall’Autorità Nazionale Palestinese dal 2000 a oggi, e utilizzati anche a Gerusalemme Est per i residenti palestinesi. Mentre l’Autorità Nazionale Palestinese è ufficialmente responsabile dei programmi di studio a Gerusalemme Est, le autorità israeliane stanno agendo per ridurre al minimo l’influenza di qualsiasi contenuto che abbia valore nazionale palestinese impiegando la censura.Le autorità israeliane e palestinesi usano quindi i libri scolastici come strumento di conflitto tra i rispettivi Ministeri dell’Istruzione, per affermare narrazioni e influenzare la comprensione degli studenti dei loro contesti nazionali e storici. FEDERICA STAGNI Le università israeliane e l’occupazione: dalla costruzione storica alla sperimentazione tecnologica. Questa presentazione esplora il ruolo complesso e controverso delle università israeliane nella storia dell’occupazione palestinese, mettendo in luce come la ricerca accademica sia stata impiegata a sostegno delle politiche territoriali e di sicurezza dello Stato israeliano. Inizieremo esaminando le attività dei primi cartografi ebrei agli inizi del Novecento: su incarico del movimento sionista, questi studiosi esplorarono la toponomastica della Palestina per riappropriarsi di una presunta continuità storica con la “terra promessa”, reinterpretando i nomi dei luoghi biblici per rafforzare le rivendicazioni territoriali del nascente progetto sionista. Negli anni successivi, figure politiche come David Ben-Gurion commissionarono ricerche a studiosi come Ronni Gabai e altri, finalizzate a costruire una narrazione secondo cui i palestinesi avrebbero lasciato volontariamente le loro case nel 1948, mentre testimonianze storiche suggeriscono che si trattò di un processo di espulsione forzata. Nel contesto attuale, l’attenzione si sposta verso la ricerca e lo sviluppo tecnologico promossi dalle università israeliane, in particolare nell’ambito della sorveglianza avanzata e delle tecnologie di difesa. Questi sistemi, spesso sperimentati direttamente nei territori palestinesi, contribuiscono a un ulteriore consolidamento dei meccanismi di controllo e occupazione. Come documentato dal libro *Laboratorio Palestina*, discuteremo di come queste ricerche abbiano trasformato i territori palestinesi in luoghi di sperimentazione tecnologica e militare, rafforzando le dinamiche di occupazione e limitando la libertà della popolazione locale.