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Madagascar: la Generazione Z ha vinto, ma non è lei a riscrivere le regole
Abbiamo assistito di recente a una svolta storica in Madagascar, che ha visto protagonisti i giovani della Generazione Zeta. A distanza di poco tempo rimangono molti interrogativi e sfide. Tra il 25 settembre e il 14 ottobre scorsi, il Madagascar ha vissuto una svolta storica. La Generazione Z, nata e organizzata sui social network, è riuscita a far cadere il regime di Andry Rajoelina. Ora però i ragazzi della Gen Z tra i 15 e i 25 anni, arrabbiati, connessi e determinati, si trovano di fronte a un interrogativo cruciale: come evitare che il loro sogno di cambiamento venga neutralizzato? Il rischio principale per la Generazione Z malgascia è che il “momento rivoluzionario” venga normalizzato dentro logiche militari, clientelari e internazionali che non controlla, trasformando una vittoria di piazza in una riconfigurazione del vecchio sistema con volti nuovi. La specificità della Generazione Z malgascia è il suo nucleo motore: una galassia di gruppi urbani connessi che ha usato piattaforme cifrate per coordinare scioperi, sit-in, occupazioni, manifestazioni e presidi in spazi simbolici come la Place de la Démocratie, aggirando partiti e notabili. Questa “rivoluzione digitale” ha prodotto due effetti ambivalenti: ha mostrato che una generazione con poco da perdere può rovesciare rapidamente un presidente, ma ha anche aperto spazio a un arbitraggio di potere da parte dei militari, delle élite economiche e degli attori esterni che ora cercano di incanalare l’energia giovanile in una transizione controllata. Un governo senza consultazione La scelta del primo ministro e la formazione del nuovo governo sono avvenute senza il diretto coinvolgimento dei giovani protagonisti della rivolta. I 29 membri dell’esecutivo odierno includono qualche nuovo volto e alcuni esperti, ma l’insieme resta un sapiente dosaggio di vecchi politici, oppositori storici e persino rappresentanti del regime appena cacciato come Christine Razanamahasoa già presidente dell’Assemblea Nazionale ed ex ministro con Andry Rajoelina, che oggi nel nuovo governo ha ottenuto lo strategico Ministero degli Esteri. Sariaka Senecal, giovane attivista malgascia (poco più che ventenne) descrive così al settimanale francese Le Point il rapporto ambivalente con le nuove autorità: “E’ vero, siamo stati ricevuti dalla presidenza e al Ministero della Gioventù. Da questo punto di vista c’è stato ascolto. Ma sulle nomine politiche non siamo stati minimamente consultati. Dalla scelta del premier a quella dei ministri, non siamo mai stati coinvolti. Stiamo assistendo a una rifondazione di facciata. Non è prevista alcuna revisione costituzionale, nessuna riforma strutturale. Cambiano le facce, non le logiche. Ci ascoltano, fingono di prenderci sul serio. Ma hanno già i loro piani”. Dal movimento orizzontale alla struttura organizzata La difficoltà di questa “rivoluzione della Generazione Z” era prevedibile. Nata in modo spontaneo e orizzontale, la mobilitazione giovanile manca, come in altri contesti simili, di rappresentatività formale. Per acquisire maggior peso, il movimento starebbe valutando di modificare la pura orizzontalità e organizzarsi in una struttura più tradizionale, con portavoce, comitati e leader riconoscibili. La Generazione Z dispone oggi di reti e strumenti che le danno un’influenza senza precedenti, ma oscilla ancora tra la forma organizzata di un movimento e quella assembleare e fluida di un organo consultivo. L’obiettivo comunque resta invariato: influenzare le decisioni del potere. Per ora una delle sfide principali per il nuovo governo è mantenere il sostegno finanziario della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, da cui dipendono numerosi progetti in corso per migliorare l’accesso all’acqua e all’energia: solo il 36% della popolazione malgascia ha accesso all’elettricità, quando c’è. Un brief “Poverty and Equity” su Madagascar dell’ottobre 2025 stima che nel 2024 circa l’80% dei malgasci viva sotto la soglia internazionale di povertà di 2,15 dollari al giorno Intanto la Russia in queste settimane ha manifestato ufficialmente la volontà di rafforzare la cooperazione con il Madagascar in questa fase di transizione. Una mossa sostenuta dal nuovo Presidente dell’Assemblea Nazionale malgascia, Siteny Randrianasoloniaiko, noto per la sua vicinanza a Mosca. “I russi sono specialisti nella risoluzione di problemi urgenti. possono fornirci carburante. La scelta è nelle nostre mani se vogliamo davvero trovare soluzioni ai nostri problemi” ha dichiarato lunedì 24 novembre, durante la discussione sulla legge finanziaria per il 2026. Il giorno seguente ha convocato i fornitori della Jirama, la società pubblica di distribuzione di acqua ed elettricità sostenendo che il supporto tecnico russo sarebbe il benvenuto dato che nella capitale sono già ripresi i tagli di corrente. Non è la prima volta che Mosca prova a esercitare la sua influenza sul Madagascar. Nel 2018, pochi mesi prima delle presidenziali, un’indagine di BBC Africa Eye aveva rivelato come una squadra di consulenti politici russi (entrati nel Paese come “turisti” o “osservatori”) avesse offerto denaro e supporto tecnico ad almeno sei candidati. L’obiettivo era influenzare l’esito del voto sostenendo più candidati in parallelo. Da allora gli attori esterni non hanno smesso di cercare spazio a Antananarivo, tra contratti minerari e offerte di ‘cooperazione strategica’. Ma sette anni dopo, quel copione non funziona più: per i ragazzi della Generazione Z la vera battaglia comincia adesso.   Africa Rivista
Messico. Proteste della “Generazione Z” o rivoluzione colorata alimentata dalla destra?
L‘ultradestra messicana sabato scorso ha organizzato una manifestazione intitolata “Marcia della Generazione Z”, che è stata puntualmente registrata, commentata, celebrata e moltiplicata dalle principali piattaforme conservatrici del paese come El Financiero, la rivista Merca2.0, Uno TV, El Sol de México, W Radio, N+, ADN40, Tv Azteca, CNN, El Universal, Reporte Índigo, Telediario, Record, SDP noticias, Ovaciones, Generación […] L'articolo Messico. Proteste della “Generazione Z” o rivoluzione colorata alimentata dalla destra? su Contropiano.
Madagascar, anatomia di un (non) colpo di stato
Un nuovo presidente e un primo ministro tecnico guidano il Madagascar dopo le proteste giovanili. Tra speranze e dubbi, la Generazione Z teme che le promesse di cambiamento restino vuote.  Le prime reazioni della Generazione Z malgascia sono state tutt’altro che entusiaste. Dopo soli 20 giorni di proteste in piazza, il Madagascar ha un nuovo volto: alla presidenza c’è il colonnello Michael Randrianirina, figura descritta dai suoi pari come un militare rigoroso; al suo fianco, nel ruolo di primo ministro, è stato nominato Herintsalama Rajaonarivelo, economista e manager di lungo corso, collaboratore della Banca Mondiale e presidente del consiglio di amministrazione della Banca Nazionale dell’Industria. Per i ragazzi non è esattamente uno fuori dal coro. A distanza di poco più di quindici anni, il Madagascar ha vissuto un déjà vu politico. Già nel 2009, durante la rivolta contro Marc Ravalomanana, l’unità d’élite CAPSAT si rifiutò di reprimere i manifestanti e contribuì alla salita al potere di Andry Rajoelina. Oggi, la stessa unità ha nuovamente scelto di non sparare sulla folla, schierandosi con i giovani della Generazione Z: un gesto che ha preceduto la destituzione e la fuga all’estero dello stesso ex presidente Rajoelina. La scelta di un primo ministro stimato dalla comunità economica internazionale è volutamente una mossa volta a rassicurare, anche se è già scattata la condanna dell’ONU e dell’Unione Africana che ha sospeso il Madagascar dalle sue istituzioni. Nel frattempo il presidente ex colonnello ha dichiarato che il suo non è affatto un colpo di Stato e che “un colpo di Stato è quando si entra armati nel palazzo presidenziale e si versa sangue”, mentre in questo caso i militari avrebbero “deposto le armi per unirsi alle richieste popolari” e ha insistito sul fatto che la sua nomina è stata approvata dalla Corte Suprema e quindi “segue la procedura legale”. L’esercito malgascio storicamente ha sempre agito più come un catalizzatore sociale piuttosto che come un conquistatore del potere. Nel 1972, le proteste studentesche e contadine (le Rotaka) portarono alla fine del regime filo‑francese di Philibert Tsiranana. L’esercito, guidato dal generale Gabriel Ramanantsoa, si rifiutò di reprimere i manifestanti e convinse il presidente a farsi da parte, creando un governo di transizione militare‑civile che aveva la missione di ristabilire ordine e sovranità, senza instaurare una dittatura. Nel 2002, la crisi elettorale tra Didier Ratsiraka e Marc Ravalomanana paralizzò lo Stato. Solo dopo mesi di tensioni e morti, l’esercito intervenne per “ristabilire la legalità”, favorendo il passaggio dei poteri a Ravalomanana, riconosciuto come vincitore dal popolo. Nel 2009, la rivolta contro Ravalomanana vide un ruolo centrale dell’unità d’élite CAPSAT, che si rifiutò di sparare sui manifestanti pro‑Rajoelina. Dopo il massacro del 7 febbraio, il suo ammutinamento provocò la caduta del presidente. L’esercito, come nelle crisi precedenti, si presentò come salvatore della nazione e non come usurpatore, consegnando poi il potere a un civile, Rajoelina. Molti membri del movimento Generazione Z riconoscono al nuovo primo ministro competenza e profilo tecnico, ma lo percepiscono come parte dell’élite economica distaccata dai problemi dei giovani malgasci, che riguardano disoccupazione, precarietà e povertà diffusa. In molti chiedono che le promesse di trasparenza e partecipazione non restino solo promesse del momento. A due passi dal palazzo presidenziale, riferisce il mensile francese Jeune Afrique, una parte della Generazione Z avrebbe montato la propria sede al primo piano di una pizzeria. Una ventina di giovani cercano di trovare un portavoce del collettivo per poter parlare con una sola voce. Non sarà facile. “Siamo un’organizzazione giovane e orizzontale, di fronte a un’organizzazione militare verticale. Dobbiamo andare veloci” è uno dei commenti più seguiti nella chat di Discord. Ketakandriana Rafitoson, vicepresidente di Transparency International, che ha avuto un ruolo nell’organizzazione di alcune delle proteste iniziali, e lei stessa malgascia, ha detto all’agenzia Reuters che i colpi di Stato sono sempre indesiderabili per la democrazia, ma in questo caso c’era “un’apparente riluttanza dei leader politici ad affrontare le rimostranze, un’unità armata organizzata era in pratica l’unica istituzione in grado, rapidamente, di fermare lo spargimento di sangue e riaprire lo spazio civico”. Elliot Randriamandrato, attivista e intellettuale malgascio di 30 anni, è uno dei volti della Generazione Z in Madagascar: “Le ultime settimane sono una mezza vittoria, la vera lotta inizia ora: la nostra principale richiesta è un cambiamento all’attuale sistema politico” ha detto all’AFP. Diverse reti della Generazione Z hanno espresso frustrazione, accusando l’esercito di essersi “appropriato” dei risultati delle proteste popolari che hanno rovesciato l’ex presidente Andry Rajoelina. Molti attivisti parlano di un “tradimento della rivoluzione giovanile”, poiché la promessa di un dialogo inclusivo starebbe cedendo a una gestione verticale del potere. Nel frattempo Rajaonarivelo ha annunciato l’avvio di un piano nazionale per promuovere l’occupazione giovanile, articolato in incentivi alle microimprese, programmi di apprendistato e partenariati strategici con il settore privato. Il suo esecutivo sarà chiamato a coabitare con l’esercito per un periodo di circa due anni, durante il quale dovranno essere organizzate nuove elezioni generali. Durante il suo discorso inaugurale di questa settimana il presidente non ha mancato di rendere omaggio “alla gioventù malgascia vittima dell’ingiustizia”, ma – secondo il racconto dei presenti – i dieci posti riservati ad alcuni dei ragazzi protagonisti della rivolta erano tutti in piccionaia, nel bancone sul retro, in fondo alla sala. Un dettaglio che non è sfuggito alla Generazione Z. Africa Rivista
Generazione liquida: la rivoluzione senza leader
Da Nairobi al Nepal, dal Perù al Botswana, fino al Madagascar e al Marocco: i giovani scendono in piazza in tutto il mondo. Nonostante le grandi differenze culturali e le motivazioni diverse che animano le proteste, alcuni codici e linguaggi comuni si diffondono e connettono le piazze globali, superando persino il muro degli algoritmi. Ma interpretare le proteste della Generazione Z solo come un’urgenza generazionale sarebbe riduttivo. “…vogliamo ridere, essere innocenti, aspettare qualcosa dalla vita, chiedere, ignorare. Non vogliamo essere subito già così sicuri. Non vogliamo essere subito già così senza sogni.” Sono passati 50 anni da quando Pier Paolo Pasolini rifletteva sui giovani con lucidità e passione. Eppure sembrano parole scritte ieri mattina, tra le grida della Gen Z ad Antananarivo. Per un certo periodo, il 2019 è stato definito “l’anno della protesta”, con disordini civili che invasero le strade da Hong Kong all’Egitto. Prima ancora, il titolo spettava al 2011, segnato da Occupy Wall Street e dalle rivolte pro-democrazia della primavera araba in Medio Oriente. Oggi siamo nel pieno di una nuova ondata globale: le proteste della Generazione Z si diffondono ovunque, ridefinendo linguaggi, strumenti e spazi della mobilitazione. Ma non erano sdraiati? L’età media in Africa è di appena 19 anni: la più bassa al mondo. Per confronto, in Europa l’età media è di 42 anni. Quasi il 60% della popolazione africana ha meno di 25 anni, la più alta concentrazione giovanile al mondo, mentre il 70% è sotto i 35. Su un totale di 1,47 miliardi di abitanti, quasi 900 milioni sono giovani. I dieci Paesi più giovani del mondo? Tutti africani. Sarebbe dunque quantomeno riduttivo interpretare le proteste della Generazione Z esclusivamente come un’urgenza generazionale: in Africa, la Gen Z non è una minoranza ribelle. È la maggioranza assoluta. Le mobilitazioni giovanili nel sud del mondo assumono quindi un peso e un valore del tutto diversi, perché esprimono la voce prevalente. A differenza delle primavere arabe, dove mancava una chiara identificazione generazionale, le proteste attuali si distinguono per un preciso riferimento ai protagonisti: è evidente chi sono, da dove parlano e quale generazione rappresentano. Questo elemento identitario è centrale per capire la cifra di questa generazione. La Gen Z si propone come possibile futuro movimento di liberazione dai sistemi post-coloniali, che, pur formalmente democratici, hanno perpetuato meccanismi di esclusione. Le elezioni, in questi contesti, hanno spesso garantito diritti e privilegi solo alle élite, lasciando ai margini la maggior parte della popolazione. Giovani in primis. Un altro tratto distintivo è il rifiuto della violenza. La rivendicazione della natura pacifica delle rivolte è costante: “Siamo un movimento pacifico, rinneghiamo qualsiasi forma di violenza”. Questa dichiarazione non è episodica, ma viene ripetuta sistematicamente, a sottolineare l’impegno etico e strategico verso la nonviolenza. Parallelamente, questi ragazzi si caratterizzano per l’assenza di una leadership tradizionale: non esiste un leader riconosciuto, né un portavoce ufficiale e pur non avendo alcuna affiliazione partitica, sono gli attivisti stessi a cercare il dialogo con esperti politici e figure di rilievo. Infine non vi è alcun riferimento religioso nelle loro rivendicazioni. I millennial occidentali, tra un aperitivo l’altro, sentenziavano che “i giovani non credono nel futuro”, o che erano troppo superficiali, troppo egocentrici. Oggi iniziano a capire che quando la maggioranza ha vent’anni, la percezione del tempo, della storia, del potere e del cambiamento si ribalta. What’s behind Africa’s youth-led protests?” (Cosa c’è dietro le proteste guidate dai giovani in Africa?) titolava il New York Times la scorsa settimana, “In pochi mesi, la Gen Z ha abbattuto diversi governi. Chi sarà il prossimo?” riassume il settimanale francese Jeune Afrique, mentre il quotidiano di Nairobi Daily Nation titola: “In tutta l’Africa e oltre, le rivolte giovanili stanno costringendo i leader a fare marcia indietro”. Nonostante le grandi differenze culturali e le diverse motivazioni che muovono le proteste, alcuni codici e linguaggi si diffondono e connettono le piazze di tutto il mondo, sfondando il muro dell’algoritmo. I social media hanno un modo tutto loro molto specifico e velocissimo di unificare e collegare le voci e le esperienze più disparate, questo permette alle singole persone di vedere le loro personali – talvolta intime – esperienze di disuguaglianza, come un’unica ingiustizia collettiva. Non è poco. Nel 2025, Discord – piattaforma lanciata nel 2015 come spazio di chat per videogiocatori – si è affermata come uno degli strumenti più potenti di mobilitazione politica e sociale della Generazione Z. Con una presenza capillare che si estende dall’Asia all’Africa, la piattaforma conta oggi 200 milioni di utenti mensili attivi che quotidianamente scrivono su questa piattaforma, votano, creano dei sondaggi dove fanno delle domande ai partecipanti e sulla base di quello, decidono le proprie istanze. Un esempio emblematico è il server che ospita la “GenZ 212” che in meno di un mese ha superato i 250.000 iscritti, con una partecipazione media di 40.000 utenti giornalieri e oltre 6.000 persone collegate contemporaneamente durante le assemblee vocali serali. “Ci stiamo convalidando a vicenda. Ci stiamo ispirando a vicenda e prendiamo coraggio l’uno dall’altro” commenta in chat su Discord una ragazza marocchina. In “Se noi bruciamo” del 2023 il giornalista e scrittore americano Vincent Bevins analizzava dieci anni di rivolte globali, dal 2010 al 2020, mostrando – a suo dire – come quelle proteste, pur generando immense speranze, non fossero riuscite a tradursi in cambiamenti strutturali duraturi. Quasi ovunque – scriveva – dopo una fiammata iniziale, si è vista la restaurazione di regimi autoritari o la cooptazione da parte di nuove élite politiche. Ma è davvero così? Il Movimento degli Ombrelli di Hong Kong, nato nel 2014 e riemerso nel 2019, è stato una di quelle maree che promettevano un futuro diverso. Ma quelle richieste democratiche furono rigettate e la dirigenza di Pechino consolidò la propria presa. Anche in Egitto e Tunisia, tra il 2010 e il 2013, erano state annunciate le famose Primavere arabe: giovani blogger, attivisti e cittadini comuni si ribellarono alla lunga notte dei regimi autoritari. Le Primavere, nate come canto di libertà, finirono tuttavia per lasciare dietro di sé un panorama di disillusione: le rivoluzioni che promettevano libertà e giustizia si infransero contro vecchie élite e istituzioni fragili. Più lontano però, in Nepal, la Gen Z ha trasformato i social network in uno strumento di potere politico inedito. La mobilitazione giovanile, attiva online contro la corruzione e la stagnazione dei partiti tradizionali, ha spinto fino all’elezione – avvenuta simbolicamente su Discord e confermata poi in parlamento – della prima premier donna della nazione himalayana. Anche nelle Filippine le proteste sono state motivate dalla rabbia popolare contro la corruzione della classe dirigente. La manifestazione più imponente si è tenuta il 21 settembre 2025 a Manila e in altre grandi città, richiamando decine di migliaia di persone. I partecipanti hanno denunciato lo scandalo dei “progetti fantasma” per il controllo delle inondazioni, chiedendo trasparenza, responsabilità e la fine dell’impunità politica. In Perù, dopo la grande ondata di proteste del 27 settembre è emersa una nuova ondata di mobilitazioni giovanili. A Lima, nelle ultime ore è in corso una crisi politica e sociale molto grave, con tensioni tra manifestanti e forze dell’ordine, stato d’emergenza attivo, più di cento feriti, tra cui decine di agenti e diversi giornalisti  e forti richieste di riforma e sicurezza da parte della popolazione giovanile e civile. Il presidente Jerí ha escluso dimissioni e ha chiesto al Parlamento poteri speciali per contrastare l’insicurezza e la criminalità, dichiarando tolleranza zero verso le “infiltrazioni criminali nei cortei”. Nel frattempo si teme un’ulteriore escalation nelle prossime ore. Nel 2024, la Generazione Z del Kenya è scesa in piazza – contro la proposta di legge finanziaria del governo Ruto. La mobilitazione, nonostante la repressione, segnò un punto di svolta politico. Di fronte alla pressione della società civile e all’indignazione internazionale, Ruto ritirò la legge finanziaria e, poche settimane dopo, sostituì diversi ministri del gabinetto. Nel settembre scorso dopo nuovi episodi di violenza e arresti, le proteste si sono riaccese, confermando che la generazione digitale keniota non arretra. In Botswana un elettorato giovane e desideroso di cambiamento ha avuto un ruolo decisivo nel porre fine a quasi sessant’anni di dominio del Partito Democratico del Botswana, che governava sin dall’indipendenza del 1966. Allo stesso modo, in Sudafrica, anche la crescente disillusione tra i giovani ha contribuito al crollo del sostegno per l’African National Congress, sceso per la prima volta dal 1994 sotto la soglia del 50 per cento dei voti. In Senegal, i giovani che avevano difeso Ousmane Sonko nei tribunali e nelle strade sono diventati base elettorale che ha portato Diomaye Faye alla presidenza nel marzo 2024. Dopo mesi di crisi istituzionale, arresti e sospensione del voto, fu proprio la pressione dei giovani e delle reti civiche – eredi di “Y’en a Marre” – a pretendere elezioni regolari. Marocco e Madagascar sono storia in corso. Nel 2011 i giovani marocchini avevano ottenuto la revisione costituzionale, ed oggi dopo mesi di malcontento, la voce del movimento “Gen Z 212” ha spinto il re Mohammed VI a non ignorarli. Nel suo discorso del 10 ottobre, pur evitando ogni riferimento diretto alle manifestazioni della “Gen Z 212”, Mohammed VI ha invitato il governo a «rafforzare il patto sociale» e ad accelerare gli investimenti in sanità, istruzione e coesione territoriale, riconoscendo implicitamente le priorità indicate dal movimento Il Madagascar è tornato al centro dell’attenzione internazionale grazie alla straordinaria mobilitazione giovanile. Le proteste, le più imponenti degli ultimi anni, hanno costretto il presidente Andry Rajoelina a lasciare il paese; in seguito, il Parlamento ha approvato la rimozione formale del capo dello Stato. Il potere è passato a un Consiglio Militare di transizione, che ha sospeso la Costituzione e sciolto la maggior parte delle istituzioni, lasciando in funzione soltanto l’Assemblea nazionale, incaricata di guidare il Paese verso elezioni da indire “entro 24 mesi”. Il filo rosso che unisce queste storie – e non solo – è la speranza di trasformare l’indignazione in progetto, è il tentativo della Gen Z di rigenerare una politica nuova, spinta dal basso, e di forzarla a muoversi. Perché non accada più che un ventenne scriva “Me ne vado, mamma, perdonami… i rimproveri sono inutili in quest’epoca crudele… io non ne posso più di piangere senza lacrime.” come fece Mohamed Bouazizi prima di darsi fuoco la mattina del 17 dicembre 2010, davanti alla sede del governatorato di Sidi Bouzid in Tunisia. Perché nessuno possa più dire: “Non spingete”! Africa Rivista
Forum internazionale: “I movimenti generazionali possono porre fine alla corruzione sistemica? Lezioni da Nepal, Indonesia e Filippine”
> Le proteste guidate dai giovani della Generazione Z (nati tra il 1997 e il > 2012, Ndt.) si stanno diffondendo in tutto il mondo, provocando la caduta di > governi e causando grandi sconvolgimenti politici. Al centro di questa ondata psico-sociale c’è il risveglio di una generazione stanca delle pratiche corrotte della classe politica radicata al potere, insieme ai disordini socio-economici e alla percezione di discriminazione e mancanza di opportunità future per i giovani. Al di là dell’esigenza di un rinnovamento politico, c’è una forte richiesta di coerenza e di comportamento integro, una richiesta di detronizzare l’ipocrisia sistemica di coloro che abusano del loro potere e spendono i fondi pubblici come se fossero propri. Sono i “walang hiya” in filippino, i ‘malu’ in bahasa indonesiano e i “लाज नलाग्नु” (laj nalagnu) in nepalese, che ostentano spudoratamente i loro eccessi a spese della gente comune che riesce a malapena a sopravvivere in una democrazia. Di fronte a questi eventi, sorge la domanda se si tratti solo di una serie di esplosioni catartiche o della possibilità di cambiamenti profondi e duraturi. Per affrontare in tempo reale questa questione di profondo significato storico, il 28 ottobre si terrà un Forum Internazionale dal titolo “I movimenti generazionali possono porre fine alla corruzione sistemica? Lezioni dal Nepal, dall’Indonesia e dalle Filippine”. L’obiettivo principale del forum è quello di ottenere informazioni accurate e stimolare il dibattito su questi significativi movimenti generazionali, contribuendo alla trasformazione della storia contemporanea con proposte realizzabili per un cambiamento sistemico duraturo. L’evento è un’iniziativa collaborativa del World Humanist Forum (WHF), del World University Network for Innovation for Leaders (WUNI-L), degli uffici relazioni internazionali e collegamenti esterni di università partner quali la Baguio City Central University, la Urdaneta City University, la Negeri Malang University (UM), la Bandung Islamic University e la Tarlac Agricultural University, dell’agenzia stampa internazionale Pressenza e di Humanists Nepal. Questa convergenza riunirà giornalisti, attivisti, educatori, studenti, sostenitori della pace, ricercatori, responsabili politici, leader giovanili e parti interessate della società civile per esaminare un momento critico nelle società e nella governance. Più di 500 studenti, docenti e amministratori di varie istituzioni educative hanno confermato la loro partecipazione. A loro si uniranno membri partner del Movimento Umanista provenienti da diversi continenti. Questi contributi forniranno la prospettiva delle nuove generazioni come protagoniste principali degli eventi attuali. Il programma vedrà la partecipazione di relatori quali la professoressa Tasya Aspiranti e il professor Surya Desismansyah Eka, entrambi indonesiani, gli attivisti umanisti Tulsi Maya Sigdel e Raghu Ghimire dal Nepal, mentre per analizzare il fenomeno dalle Filippine interverranno il sindaco di Baguio City, l’onorevole Benjamin Magalong, il dottor Sonny Soriano (WUNI-L) e il coordinatore generale dell’evento, decano della Scuola di specializzazione e responsabile delle relazioni internazionali della Central University di Baguio City, la dottoressa Genevieve B. Kupang. Ci saranno anche contributi da varie parti del mondo. Antonio Carvallo, Dorothy Adenga, Remigio Chilaule e Javier Tolcachier, membri del Segretariato del Forum Umanista Mondiale, parteciperanno alle sessioni dal Regno Unito, dal Kenya, dall’Argentina e dal Mozambico. Il dottor Godfrey G. Mendoza, supervisore educativo II del CHED-CAR e responsabile del Servizio Affari Internazionali, parteciperà dalle Filippine. La signora Sheena Pearl L. Pangda sarà responsabile delle presentazioni, mentre il messaggio di chiusura sarà pronunciato dal presidente della Rete Mondiale delle Università per l’Innovazione (WUNI-I), il dottor Robert Frederick Hayden, e da Remegio Van Eys Chilaule (WHF, Mozambico). Il Forum avrà inizio alle 19:00 (ora delle Filippine) del 28 ottobre, che corrisponde alle ore 13:00 in Italia (CET). Le conclusioni del forum saranno presentate alla prossima 4a Assemblea del Forum Umanista Mondiale che si terrà il 6 e 7 dicembre di quest’anno. Lo spirito è che esse serviranno come fonte di riflessione e ispirazione per le azioni di cambiamento in corso e allo stesso tempo come base per future ricerche accademiche. È possibile accedere alle sessioni del Forum internazionale a questo link (password 571546). Oppure potete accedere a questo link: https://heyzine.com/flip-book/4d4d67a6b9.html. Il codice QR è riportato di seguito.             -------------------------------------------------------------------------------- Traduzione dall’inglese di Thomas Schmid con l’ausilio di traduttore automatico. Pressenza IPA
La “Generazione Z” all’assalto del mondo
Dal Nepal al Marocco, dal Madagascar all’Indonesia, molte delle proteste antigovernative di queste settimane sono guidate dalla Generazione Z. Hanno solo telefoni cellulari, slogan tratti dalla cultura pop e una rabbia di fronte a un futuro negato. Da Kathmandu ad Antananarivo, dalle piazze del Maghreb ai boulevard di Lima, dal Ghana al Togo lo stesso vento di collera soffia tra i ragazzi del Sud globale: è la Gen Z. Lo stesso nome, gli stessi codici, gli stessi slogan circolano da un Paese all’altro. Come se un’intera generazione avesse trovato il suo linguaggio comune, la ribellione è uno dei privilegi della gioventù. L’onda lunga delle proteste, che aveva già acceso il Kenya, il Nepal, l’Indonesia e le Filippine, si è allargata al Madagascar, al Marocco e al Perù. In Algeria è stato creato un account Gen Z 213 (213 prefisso telefonico dell’Algeria) per un appello alla protesta generale. Una geografia della mobilitazione che attraversa tre continenti. Senza leader né partiti, questi ragazzi tra i 15 e i 25 anni si muovono armati soltanto di smartphone, di slogan presi dalla cultura popolare e di una rabbia contro un futuro negato. Secondo un report di Marketing Analytics Africa, la Generazione Z rappresenta oggi quasi il 31% della popolazione africana, vale a dire oltre 428 milioni di giovani in tutto il continente. Non ci sono vertici, leader, strutture ufficiali. Le strategie si condividono online: tecniche di blocco, parole d’ordine, consigli pratici. Tutto viaggia attraverso TikTok, Instagram, Discord, Telegram. È il mondo del “mobile-first”, che non significa svicolare dalla realtà, ma reinventare forme di vita collettiva, sperimentare altre economie, altri modi di intendere la convivenza. La mancanza di leadership centralizzata non significa affatto mancanza di coordinamento; le reti orizzontali sono un’altra forma di organizzazione, basata sull’uguaglianza e l’autogestione. Una modalità che spesso disorienta. Piuttosto che un handicap, la leadership reticolare delle proteste della Generazione Z ha contribuito nel tempo alla resilienza del movimento e la sua capacità di riemergere di fronte alla repressione. Ma leggere queste proteste soltanto come un moto di ribellione sarebbe riduttivo. Piuttosto, sono il segno di un cambio di paradigma. Nel rifiuto di questi ragazzi di parole come “modernizzazione”, “transizione democratica” o “sviluppo” c’è un gesto di profonda rottura con un’intera narrativa. Ed è qui che entra in gioco un concetto che negli ultimi anni ha trovato un eco crescente: Afrotopia. Coniato dall’economista e intellettuale senegalese Felwine Sarr è un invito radicale: smettere di guardarsi allo specchio con le lenti dell’Occidente (progresso, emergenza, povertà) e iniziare a produrre immaginari propri. In questo senso, tutte le proteste della Gen Z nel mondo sembrano incarnare proprio quell’orizzonte perché chiedono un futuro diverso e non temono di immaginarlo. Le proteste di questi giorni e di quelli a venire non sono il segno di un’ennesima “emergenza africana”, ma piuttosto il risultato di un laboratorio di trasformazione più profondo, niente affatto indolore. Madagascar. Su poco meno di 32 milioni di abitanti, oltre 8,6 milioni sono giovani tra i 15 e i 28 anni: quasi il 27% della popolazione. La disoccupazione giovanile è ufficialmente bassa, ma la realtà è fatta di sotto-occupazione, di piccoli lavori in nero poco retribuiti e senza contratto. La sofferenza di questi giovani ha fatto scoppiare la protesta su rivendicazioni basilari: la cronica carenza di acqua, l’elettricità che manca anche per interi giorni, la libertà d’espressione. “Miala Rajoelina!“ (“Rajoelina vattene!”) è diventato virale sui social malgasci; i ragazzi ce l’hanno con l’ex sindaco di Antananarivo e magnate dei media, Andry Rajoelina, 51 anni, arrivato per la prima volta al potere nel 2009.Le loro proteste e i 22 morti lasciati finora sul campo lo hanno costretto a sciogliere il suo governo, mentre in tv accusa i ragazzi di aver orchestrato addirittura un colpo di stato. Kenya. Su una popolazione di circa 57,5 milioni, i giovani tra i 15 e i 28 anni sono stimati tra 13,8 e 14,7 milioni, quindi un quarto della popolazione. La disoccupazione giovanile ufficiale (15-24 anni) si aggira sul 12%. Durante le proteste di questa estate, nate anche dall’opposizione alla nuova Legge Finanziaria e dal caro-vita, il governo ha provato a spegnere le telecamere e persino a minacciare lo “switch-off” di internet, ma i video hanno continuato a girare su TikTok, e Instagram: la protesta è rimasta in campo, e con lei una generazione che ha imparato a farsi media di sé stessa. La gioventù kenyana chiede un cambio di rotta drastico al governo del Presidente William Ruto. Undici milioni di voti: sono quelli che i politici keniani dovranno conquistarsi per le prossime elezioni del 2027, quando gli aventi diritto al voto aumenteranno appunto di 11 milioni: sono tutti giovani tra i 19 e i 29 anni. Nessuno potrà ignorarli. Marocco. Con i suoi 38,5 milioni di abitanti, il Paese conta circa 9 milioni di under-28. Qui il dato che pesa è il tasso di disoccupazione giovanile: oltre 37%, tra i più alti della regione. Quattro milioni e trecentomila marocchini senza lavoro, un laureato su cinque non ha uno stipendio e nelle aree urbane i giovani disoccupati sono il 30%. “Stadi sì, ma dove sono gli ospedali?” è lo slogan. Otto donne morte di parto in un ospedale pubblico di Agadir fanno da detonatore. Incendi, spari e, alla fine, i primi morti. Mercoledì 1° ottobre, nella città di Leqliaâ, vicino ad Agadir due giovani sono stati uccisi dalla gendarmeria, i feriti sono oltre 400. La violenza della repressione però non ferma i movimenti. Anzi, spesso li amplifica. Le cariche della polizia vengono filmate e rilanciate in diretta sui social, trasformandosi in materiale virale Le proteste sono tuttora in corso in molte città del Paese. ”Chiediamo lo scioglimento dell’attuale governo per la mancata tutela dei diritti costituzionali dei marocchini e per soddisfare le loro richieste sociali” dichiara il movimento della Gen Z 212 marocchina rivolgendosi direttamente a re Mohammed VI. Nepal. In un Paese di quasi 30 milioni di abitanti, i giovani sono quasi 8 milioni, pari al 27% del totale. Anche qui la disoccupazione giovanile è alta: 21%. La scintilla è stata il bando dei social network e così il mese scorso migliaia di ragazzi sono scesi in piazza, bruciando il palazzo del Parlamento e costringendo alle dimissioni il governo. Il Paese s’incendia: il palazzo presidenziale e altri edifici ufficiali sono stati dati alle fiamme. Il bilancio è terribile: circa 100 morti e migliaia di feriti, ma la pressione dal basso spinge il potere a cedere. I giovani non si sono limitati a protestare, ma sono stati coinvolti nelle trattative con i militari e il presidente Ram Chandra Paudel, che hanno portato alla decisione di nominare primo ministro transitorio un ex giudice come Sushila Karki. Indonesia. Il gigante del Sud-est asiatico, 285 milioni di abitanti, oltre 63 milioni di giovani under-28: il 22% della popolazione, una massa elettorale che può decidere governi. Qui la disoccupazione giovanile è attorno al 13%. Nelle presidenziali 2024, la Gen-Z è stata corteggiata a colpi di TikTok, K-pop e gaming: una politica “visual”, fatta di meme e video brevi. Quest’estate un manifesto virale, “17+8 Demands”, circolava tra personalità pubbliche e collettivi studenteschi. I titoli della piattaforma sono chiari: caro vita, corruzione, diritti del lavoro, Questi esempi ci raccontano che le comunità della Gen Z si osservano e si “clonano” nei format di protesta, nei canali (Discord, TikTok ecc.), perfino nei simboli pop, come sta accadendo con la bandiera del manga giapponese One Piece: il classico Jolly Roger, cioè il teschio con le ossa incrociate, reinterpretato nell’universo narrativo della serie, è diventato il simbolo di una costellazione che urla “navighiamo da soli, fuori dalle regole del potere”. E l’Africa è parte attiva di questa costellazione. Forse la Gen Z potrebbe essere la prima generazione a pensare alla rivolta su scala globale.   Africa Rivista
La rivolta della Gen-Z in Nepal riguarda lavoro, dignità. E un modello di sviluppo fallito
Kathmandu è sull’orlo della crisi non a causa di “app”, ma perché una generazione cresciuta con la promessa di democrazia e mobilità sociale si è scontrata con un sistema economico e politico che continua a chiudere ogni porta. Il grilletto immediato è stato normativo: il governo ha ordinato a 26 […] L'articolo La rivolta della Gen-Z in Nepal riguarda lavoro, dignità. E un modello di sviluppo fallito su Contropiano.