Riceviamo e pubblichiamo da ‘La città futura’ questo articolo di Giulio Chinappi
Il 25 giugno 2025 entrerà negli annali del sistema giuridico vietnamita come una
data spartiacque.
In quella giornata, infatti, l’Assemblea Nazionale ha approvato, con un esito
schiacciante di 429 voti favorevoli su 439 deputati partecipanti, la legge che
abolisce la pena di morte per otto reati non violenti, tra i quali spiccano
peculato e corruzione.
Quella seduta parlamentare ha rappresentato l’esito di un lungo dibattito
interno, caratterizzato dalla volontà di preservare di deterrenza e da un
assoluto impegno verso la gradualità delle riforme, ma ha soprattutto segnato il
via a una modernizzazione complessiva del diritto penale, attesa da oltre otto
anni.
Il percorso che ha condotto a questa svolta è stato costellato di analisi
approfondite, pareri di esperti, confronti con le migliori prassi internazionali
e riflessioni sulle mutate condizioni economiche e sociali del Paese.
La pena di morte, in vigore in Vietnam per reati gravi secondo il Codice Penale
del 1985, aveva già subito una riduzione negli anni passati, con un numero
progressivo di reati depenalizzati: la scelta di escludere dal luglio di
quest’anno tutte le fattispecie penali non violente ha tuttavia un valore
emblematico, poiché riconosce la natura “politica” o economica di quei reati e
l’opportunità di sostituire la pena massima con sanzioni severe – come la
detenzione a vita – ma non estreme, allineando il Paese a tendenze globali.
Nel dibattito parlamentare che ha preceduto il voto, sono emerse due linee
argomentative complementari. Da un lato, chi ha sottolineato la necessità di
mantenere un effetto deterrente forte, che punisca in maniera esemplare chi
viola gravemente la fiducia pubblica o tradisce la responsabilità di chi ricopre
incarichi pubblici. Dall’altro, molti deputati hanno sostenuto che la pena di
morte per peculato e corruzione non fosse più sostenibile né dal punto di vista
etico né dal punto di vista pratico.
La corruzione e l’appropriazione indebita di fondi pubblici, infatti, si
combattono con strumenti che favoriscano la restituzione del denaro e il
coinvolgimento attivo dei colpevoli nella ricostruzione del danno causato allo
Stato: la nuova normativa stabilisce così che chi collabora e restituisce almeno
tre quarti del maltolto possa accedere a benefici di condono o a misure
alternative all’ergastolo.
La riforma, inserita in un disegno più ampio di allineamento alle convenzioni di
diritto internazionale, arriva in un momento in cui il Vietnam intensifica la
sua partecipazione in organismi multilaterali e rafforza accordi di cooperazione
giudiziaria.
Gli argomenti a difesa della pena di morte, quali il timore di un impatto
negativo sulla sicurezza e sulla stabilità sociale, sono stati smentiti sia da
statistiche interne – che non mostrano correlazioni dirette fra abolizione della
pena capitale e aumento della criminalità – sia dalle esperienze di altre
nazioni asiatiche, come Cambogia e Mongolia, che già in passato hanno effettuato
riforme simili senza conseguenze per l’ordine pubblico.
Durante le fasi di discussione, sono intervenuti anche rappresentanti del mondo
accademico e della società civile, i quali hanno ricordato i pronunciamenti di
organismi come l’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa e l’ONU, che da
anni sollecitano l’abolizione di ogni forma di pena di morte, definita
irreversibile e contraria al principio del diritto alla vita.
In particolare, si è richiamato il valore simbolico di depenalizzare sanzioni
estreme per reati non violenti, distinguendo in maniera netta fra crimini
efferati, che potranno continuare a prevedere la pena capitale, e condotte
economiche o di abuso di potere, dove la priorità è ristabilire la legalità e la
fiducia nello Stato.
Con l’entrata in vigore il primo luglio, la nuova legge stabilisce inoltre un
regime transitorio di particolare delicatezza.
Tutti i detenuti attualmente condannati a morte per peculato, corruzione o per
gli altri reati depenalizzati – come nel noto caso della miliardaria Trương Mỹ
Lan – non saranno giustiziati, bensì vedranno le loro condanne convertite in
ergastolo.
Tale conversione verrà disposta direttamente dal Presidente della Corte Suprema
Popolare, che eserciterà così il potere di clemenza in modo strutturale e non
più occasionale.
Gli effetti di questa decisione sul sistema carcerario e sulla politica
penitenziaria appaiono già concreti. Da un lato, ci si attende un forte
incremento dei detenuti condannati all’ergastolo, con la necessità di
predisporre programmi di selezione, incentivazione al lavoro e sostegno
psicologico per evitare sovraffollamenti critici. Dall’altro, la maggiore
chiarezza normativa favorirà processi più rapidi, la possibilità di misure
alternative come i domiciliari negli ultimi anni di pena e un approccio teso a
ristabilire la dignità dei condannati che manifestino ravvedimento e
cooperazione.
Sul versante internazionale, l’abolizione della pena di morte per i reati non
violenti rafforza l’immagine del Vietnam come Paese in transito verso piena
conformità agli standard di diritti fondamentali. Tale immagine risulterà
strategica nell’ambito dei negoziati per nuovi accordi di libero scambio e di
cooperazione giudiziaria, nonché nella corsa per attrarre investimenti diretti
esteri, che nei settori più avanzati – finanza, tecnologia, ricerca – richiedono
un rischio paese mitigato da un sistema giuridico prevedibile e garantista.
Il voto del 25 giugno, salutato dai media di Stato come «passaggio a una nuova
era di giustizia» e accolto da analisti internazionali con giudizi positivi,
segna dunque una pietra miliare: nella storia politica del Vietnam, nonostante
il ruolo egemone del Partito Comunista, non sempre riforme di tale portata etica
e legislativa vengano approvate con un consenso quasi unanime. È significativa
la percentuale del 89,75% ottenuta dal testo, che testimonia un clima di
convergenza e di responsabilità condivisa fra i principali schieramenti
parlamentari.
Resta da vedere come il cambiamento impatterà, sul lungo periodo, sulla
percezione della giustizia fra i cittadini e sul grado di fiducia nelle
istituzioni. I primi riscontri statistici e sociologici, che emergeranno nei
prossimi mesi, saranno cruciali per calibrare eventuali ulteriori aggiustamenti,
in particolare per quanto riguarda le misure di risocializzazione e
reinserimento dei condannati.
Ciononostante, l’abolizione della pena di morte per otto reati non violenti si
pone già come un modello di riferimento per i Paesi vicini e per i legislatori
di tutta l’area ASEAN. Nel contesto di una regione dove persiste un ampio
spettro di approcci, dal mantenimento intatto della pena capitale alla sua
limitazione solo ai reati più efferati, il Vietnam ha tracciato una linea di
equilibrio tra fermezza e umanità, tra deterrenza e rieducazione.
Concludendo, la data del 25 giugno 2025 rappresenta un momento di svolta che
proietta il Vietnam verso un sistema penale più moderno e rispettoso della vita
umana, in cui la punizione massima cede il passo a sanzioni severe ma non
estreme per quei reati che, seppur gravi, non coinvolgono violenza diretta sulla
persona.
Sarà ora compito del legislatore continuare, nei prossimi anni, a monitorare
l’applicazione di queste norme e a integrare la riforma con misure tese alla
prevenzione della corruzione e alla promozione di una cultura della legalità,
affinché il cammino intrapreso confermi i risultati attesi e consolidi la
fiducia dei cittadini in un sistema di giustizia socialista realmente riformato.
Redazione Italia