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La politica agricola italiana dentro le mire di autonomia energetica europea
Può sembrare strano che la politica agricola possa svolgere un ruolo nell’autonomia energetica, ma è proprio su questa particolare sinergia che il governo Meloni ha puntato da tempo, come elemento qualificante anche del Piano Mattei. O sarebbe meglio dire, alcuni gruppi (a partire da ENI) nella cornice dei tentativi UE […] L'articolo La politica agricola italiana dentro le mire di autonomia energetica europea su Contropiano.
IDRO (BS): CORTEO CONTRO IL PRELIEVO DELL’ACQUA DEL LAGO A FAVORE DELL’AGRICOLTURA INTENSIVA
Indetta una manifestazione domenica 20 luglio, in opposizione allo sfruttamento delle acque del lago d’Idro che vorrebbe Regione Lombardia. Organizzano gli Amici della Terra lago d’Idro e Valle Sabbia, con la partecipazione della Federazione del Chiese e del Comune di Idro (provincia di Brescia). L’appuntamento è ad Idro, alle ore 18, in via Trento, via principale che costeggia il lago. I gruppi ambientalisti, sostenuti anche dagli operatori turistici del territorio, si dicono contrari al progetto regionale che vedrebbe, tramite opere di regolazione, prelevare 3,5 metri verticali di acque ogni estate per cederli agli agricoltori delle basse lombarde. Si tratterebbe di un prelievo che irrigherebbe oltre 45 mila ettari di aree agricole, di cui molte coltivate a mais da trinciare per alimentare le mucche negli allevamenti intensivi. Dal lago d’Idro se ne andrebbero quindi 40 milioni di metri cubi di acqua ogni estate, per essere utilizzati dall’agricoltura tramite la tecnica irrigua a scorrimento, cioè inondando i campi, comportando un consistente spreco di acqua. Ci spiega le ragioni della manifestazione Gianluca Bordiga, presidente dell’associazione Amici della Terra lago d’Idro e Valle Sabbia e della Federazione del Chiese. Ascolta o scarica
Come contrastare il caporalato
Riceviamo e pubblichiamo dalla agenzia stampa Interris.it Offende “la dignità del lavoratore anche il lavoro in nero, quello gestito dal caporalato”, aveva detto papa Francesco in un videomessaggio rivolto alla Settimana sociale dei cattolici italiani nell’ottobre 2017. Il fenomeno del caporalato è ormai esteso in tutta Italia e ne cade vittima anche parte di quelle persone che, una volta scaduto il permesso di lavoro in Italia, non riescono a stabilizzare la propria posizione e si trovano in condizione di irregolarità. L’apporto al settore agroalimentare dei lavoratori di nazionalità straniera è però determinante, dato che sono circa uno su tre del totale degli occupati nell’agroindustria, come emerge dallo studio “Made in Immigritaly” realizzato da Fai Cisl (La Fai Cisl rappresenta oltre 220.000 lavoratori dell’agricoltura e attività connesse, dell’industria alimentare, delle foreste, della pesca e del tabacco) “Non regolarizzare quei lavoratori che, entrati regolarmente, oggi sono in una gabbia d’illegalità ma vorrebbero lavorare, ci costa”, dice a Interris.it il segretario generale di Fai Cisl Onofrio Rota nell’intervista che segue, ribadendo l’urgenza di contrastare lo sfruttamento nel lavoro agricolo e quali possono essere i modi per farlo. L’intervista Segretario, ci dà una definizione di caporalato? “Come sindacato lo definiamo l’attività illecita di gestione dell’intermediazione di manodopera, che comporta il reclutamento dei lavoratori attraverso i cosiddetti ‘caporali’ senza che vengano rispettati il contratto nazionale, le tutele previste dalle leggi sul lavoro e le norme di sicurezza”. Qual è l’entità del fenomeno? “In base ai dati del Rapporto immigrazione realizzato da Caritas italiana e Fondazione Migrantes, negli ultimi dieci anni sono entrati in Italia attraverso i flussi circa 250mila lavoratori. Di questi, quelli che non riuscivano a stabilizzare la propria posizione e non venivano rimpatriati oggi sono quegli irregolari che cadono vittime dello sfruttamento.” Quali sono gli strumenti a disposizione per il contrasto allo sfruttamento e al caporalato? “Il più importante è la legge 199/2016 sul contrasto allo sfruttamento del lavoro agricolo, che prevede un aumento delle sanzioni, delle forme di tutela nei confronti di chi denuncia e ha fatto diventare il caporalato, da reato di natura amministrativa, un reato penale. Sull’efficacia dell’applicazione è tutto da vedere, alla luce della diffusione del fenomeno nel nostro Paese. Le azioni di polizia sul territorio fanno emergere situazioni non trasparenti”. Ce ne sono altri? “Abbiamo anche visto che la sinergia tra sindacati, l’Inps, le forze di polizia e le Regioni e l’incrocio delle banche dati degli organismi responsabili dei controlli permettono di avere delle ‘sentinelle’ sul territorio. Inoltre, il lavoratore che denuncia la condizione di sfruttamento deve avere un permesso speciale e tutele come l’assegno di inclusione sociale, misura prevista dal governo e frutto di una nostra proposta – una cosa che si evidenzia poco”. Quali sono gli obiettivi del tavolo interministeriale anticaporalato? “La Rete del lavoro agricolo di qualità, che mette insieme gli interlocutori del territorio, e il contrasto alle aziende senza terra. Le azioni repressive, la vigilanza di Inps, Inail e delle asl, e le Regioni che insieme agli enti bilaterali agricoli prevedono delle premialità per le imprese che si iscrivono alla Rete per accedere ai finanziamenti pubblici attraverso i piani di sviluppo rurale, hanno portato a un aumento degli occupati e della regolarità. Un segnale tiepido, ma se vengono introdotte queste modalità si può diffondere una cultura della legalità”. Quanto “pesano” i lavoratori immigrati sul comparto? “Oggi sono circa un terzo degli occupati, 360-365mila su un milione, e danno un contributo regolare e attivo a valorizzare i nostri prodotti. Il nostro rapporto ‘Made in Immigritaly’ mostra il loro apporto determinante al prodotto interno lordo italiano. Ci costa non regolarizzare quei lavoratori che, entrati regolarmente, oggi sono in una gabbia d’illegalità ma vorrebbero lavorare. Anche le imprese lo sanno bene”. Come superare i “ghetti” in cui spesso leggiamo sono segregati tanti lavoratori agricoli? “Da anni giro tutta l’Italia e conosco gli insediamenti informali. I ‘ghetti’ sono una violazione dei diritti umani, luoghi di sfruttamento e oppressione dove avviene anche la tratta delle donne. C’è bisogno di una commissione di inchiesta. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza mette a disposizione duecento milioni per gli insediamenti abitativi, ma dobbiamo fare politiche di inclusione, integrazione e partecipazione alla vita sociale del Paese per i lavoratori stranieri che si spaccano la schiena sotto il sole e – ed è la cosa peggiore – chiedono scusa dicendo che non vogliono rubare il lavoro a nessuno ma solo lavorare e farsi una famiglia. Non possiamo limitarci a fare dei container nelle campagne, le associazioni agricole vogliono politiche di fiscalità di vantaggio per le abitazioni agricole messe a disposizione e questo potrebbe aiutare l’assegnazione per renderle agibili per i lavoratori. Ripensiamo alla legge Zanibelli sulle case per i braccianti”. A proposito di lavorare sotto il sole, date queste temperature ritiene adeguate le norme anticaldo ? “Noi le mettiamo in azione attraverso la contrattazione, che prevede che si può iniziare alle 5 di mattina per finire alle 11:30. Le ordinanze ministeriali però sono necessarie per far rispettare questi meccanismi. In merito alla sospensione del lavoro, per i braccianti agricoli ad oggi è prevista la sospensione a retribuzione zero, si sta pensando a una cassa integrazione in deroga per quelle ore. In questo modo si integra il reddito del lavoratore e si contribuisce a fargli raggiungere i requisiti per accedere alla disoccupazione agricola”. Redazione Italia