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Un percorso didattico di storia ed educazione civica su Israele e Palestina
Le persone che lavorano come docenti a scuola e si sentono professionalmente ed eticamente impegnate nella formazione della conoscenza e nella costruzione di un mondo di pace si pongono in questo momento l’interrogativo su come parlare di tutto ciò che sta accadendo nei territori israeliano e palestinese. Ecco come cercherei di parlarne io – per la crescita delle studentesse, degli studenti… e mia, che pure ho già una visione abbastanza ben definita su nascita, processo, torti e ragioni di quel conflitto (Storia). Non parlerei di questa mia visione e non certo per sottrarmi alle responsabilità personali che l’insegnamento necessariamente implica; piuttosto, direi, per impedirmi la possibilità di manipolazione – involontaria, è ovvio – delle mie classi, per evitare di fare ciò che vorrei che docenti che hanno una visione ben diversa dalla mia non facessero, cioè raccontare la ‘propria’ storia ognuno alle proprie classi. Perché so che il mio racconto (come, analogamente, anche il racconto degli ‘altri’) dipende dalla mia biografia – dalle mie esperienze, dalle persone che ho incontrato, dai libri sui quali sono stato educato e da quelli che mi è capitato di leggere per iniziativa personale (e che forse, a un certo punto, ho ricercato tra quelli all’interno della mia bolla culturale), dai miei presupposti e dalle mie speranze. Allora, qual è la responsabilità che mi assumo? E’ quella (pesante, faticosa, onesta) di cercare di farmi, con la classe, un’idea ancora più ricca di quale possa essere la storia di questo conflitto – fermo restando che l’etica impone intanto di riconoscere sempre le vittime, specialmente tutte quelle innocenti, a qualsiasi popolo esse appartengano. E come farmi un’idea più ricca di quella che ho adesso, per quanto essa derivi anche dall’aver letto non pochi libri? E, poiché forse vale lo stesso per l”altro’ docente, quello che racconta in classe la storia che io considero sbagliata, e le classi non sono il giocattolo dei loro docenti (sia pure in buona fede), come sfuggire al “paradosso del Buono”, che rischia di operare come il “Cattivo”, cioè presentando la sua narrazione come quella corretta? ll modo che vedo è quello di prendersi in mano, a titolo esemplificativo, due libri, uno di un filo israeliano e uno di un filo palestinese (attenzione: non ho detto “di un israeliano e di un palestinese”), e vedere in classe come raccontano quella storia, con quali presupposti, con quale ‘punteggiatura’ cronologica, con quali diverse interpretazioni di uno stesso “fatto” etc. Per ragioni di tempo scolastico – o universitario – non posso farlo con la classe? Posso farlo forse per conto mio e poi raccontare le due versioni, mostrando cosa sottolinea l’una e cosa l’altra, cosa omette l’una e cosa l’altra, quali implicazioni, nel modo di raccontare, ha ciascuna di esse, per esempio in termini di ‘educazione’ all’odio e rendermi conto del fatto che la violenza attualmente al massimo può derivare anche dai libri su cui gli stessi attori del conflitto hanno studiato… E potrei scoprire l’esistenza di una realtà frastagliata all’interno di ogni ‘fronte’, con gruppi che lavorano per la pace sia nell’uno sia nell’altro. Ne verrebbe fuori una complessità inaspettata che invita a non esprimere giudizi sommari e dicotomici, come invece siamo stati sempre abituati a fare: tutto il Male da una parte, tutto il Bene dall’altra. La quale sarebbe ancora più complessa e “giusta” se, senza fissare l’attenzione solo su israeliani e palestinesi, mettesse in campo costantemente anche il ruolo delle terze parti, quelle non direttamente coinvolte nel conflitto armato, ma che forse hanno contribuito in grandissima parte sia (attivamente) alla sua nascita sia (attivamente e passivamente) alla sua continuazione. Un elemento ulteriore, e preliminare dal punto di vista logico, che, anche senza bisogno di citare Marc Bloch, mi pare indispensabile che i docenti chiariscano – a se stessi innanzitutto e alla classe poi – è che “comprendere non significa giustificare” (una delle confusioni più diffuse trasversalmente, tra i ragazzi di 12 anni, tra i docenti, tra i giornalisti e tra gli intellettuali che vanno per la maggiore). Per semplificare: comprendere le ragioni degli oppressori, oltre che quelle degli oppressi, non ha nulla a che fare con la giustificazione dell’oppressione. Comprendere anche le ragioni dell’oppressore (anche per come le espone lui) significa darsi la possibilità di pensare il conflitto in termini non moralizzanti (basati sulla “propria” morale e sulle “proprie” informazioni) e capire, e abituare a capire, come le “percezioni” (anche sbagliate) delle parti in conflitto influiscano sul loro modo di agire, e come dunque i popoli e i governi potrebbero ‘lavorare’ su quelle percezioni in maniera proficua incontrandosi, per mettere in crisi l’idea dell’inevitabile ricorso alla violenza. Questo per l’aspetto storico. Invece, per una concreta soluzione all’orrore odierno (Educazione civica), proporrei di trascurare momentaneamente la Storia e di chiedersi: se avessi tutti i miei amici più cari, la mia famiglia e i miei parenti equamente distribuiti a Gaza e in Israele – alcuni dei quali magari impegnati lì e qui contro la violenza della propria parte verso l’altra – cosa proporrei, cosa vorrei che avvenisse? Andrea Cozzo, Università di Palermo, Dipartimento Culture e Società Bibliografia minima 2024. Marzano, Questa terra è nostra da sempre, Roma-Bari 2024. 2025. Podeh, S. Alayan (Eds.), Multiple Alterities. Views of Others in Textbooks of the Middle East, London 2018. 2026. Sandri, Città santa e lacerata. Gerusalemme per ebrei, cristiani, musulmani, Saronno 2001. Redazione Palermo
Vergogna! Vogliono cancellare il diritto alla pace dai diritti umani. Oltre a non aderire al trattato ONU TPAN
A livello Onu esiste una dichiarazione per il diritto alla pace che non è conosciuta anzi è osteggiata dalle nazioni europee, “Italia cristiana” compresa. Il diritto alla pace infatti non è considerato un diritto umano. Non solo: si è cercato di espellere il diritto alla pace dall’alveo dei diritti umani, ma esso esiste ed è stato codificato. Queste istanze vanno promosse nelle scuole di ogni ordine e grado. Attualmente sono previste 33 ore annue di educazione civica, ma la maggior parte dei docenti non sa da dove cominciare, anche perché non esistono manuali che illustrino in modo semplice questi temi. Questione di educazione civica L’educazione alla pace deve essere inserita nell’educazione civica, partendo dal fatto che in una democrazia le regole evitano la guerra; con le regole il conflitto viene gestito e non degenera nella legge del più forte. Educazione civica e educazione alla pace includono tematiche con punti di contatto. Dobbiamo privilegiare l’educazione alla pace all’interno dell’educazione civica per promuovere la cittadinanza attiva e la nonviolenza. L’ONU definisce l’educazione al disarmo come una disciplina che va promossa nelle scuole. Pilastro dell’educazione al disarmo è la cittadinanza digitale che ha molta attinenza con la cittadinanza attiva per attuare le varie campagne informative e per imparare a distinguere le notizie vere da quelle false. Trattato Proibizione Armi Nucleari: una svolta per il pacifismo mondiale e una rivoluzione per l’intera umanità L’educazione alla pace deve essere inserita nell’educazione civica, partendo dal fatto che in una democrazia le regole evitano la guerra. Personalmente confido che la mia speranza è quella di vedere unito il mondo del pacifismo su obiettivi concreti e coerenti. E questo mio articolo ha l’obiettivo di far circolare la conoscenza relativa al TPAN, adottato da una conferenza delle Nazioni Unite il 7 luglio 2017, aperto alla firma a New York il 20 settembre 2017; entrato in vigore il 22 gennaio 2021, ovvero 90 giorni dopo la ratifica di almeno 50 stati tra cui non figura nessuno paese NATO e quindi nemmeno l’Italia. La doppia manifestazione di sabato scorso ci mostra le divisioni tra i pacifisti Sabato 21 a Roma le due manifestazioni contro il Rearm Europe, con il rifiuto o l’accettazione della NATO a fare da discriminante, testimoniano che abbiamo ancora molto da lavorare. Ma resta in molti di noi la speranza di vedere unito, senza prescindere dal dialogo, il mondo del pacifismo su obiettivi concreti e coerenti, perché uniti dobbiamo chiedere a tutti i Paesi sotto l’egida Nato, in primis all’Italia, di ratificare il trattato di proibizione delle armi nucleari, il TPAN e dobbiamo chiedere la conversione di tutte le spese militari. Un percorso formativo Varie associazioni hanno partecipato insieme ad altre realtà a livello nazionale e internazionale alla campagna ICAN per la messa al bando delle armi nucleari, che è stata insignita del premio Nobel per la pace 2017 e di cui tutti noi attivisti per la pace del XXI secolo siamo promotori ed eredi. Il TPAN o TPNW è il trattato ONU che è valso a Ican il premio Nobel per la pace 2017 e che ha avuto un percorso di ratifica da parte dei 50 Stati fino ad arrivare alla sua entrata in vigore il 22 gennaio 2021. La finalità è quella di far conoscere il trattato ONU TPAN inserito in un percorso di educazione civica e di cittadinanza globale. La mappa concettuale si articola in diversi punti. Viene proposto un video del giornalista Rai Gianni Minoli dalla trasmissione “La storia siamo noi” che riguarda le testate nucleari in Puglia negli anni ’60, che hanno visto l’umanità a un passo dall’esplosione nucleare accidentale – ossia per errore – equivalente a tre volte la potenza della bomba sganciata su Hiroshima nel 1945. Questa attività si propone nelle scuole all’interno della metodologia delle unità di apprendimento. Ossia una unità tematica interdisciplinare e transdisciplinare come punto di unione di uno specifico argomento con aspetti multidisciplinari. Tutto questo si può collegare lungo il percorso di educazione civica e di cittadinanza globale, dove gli studenti percepiscono questioni su scala globale come i Fridays For Future e Extinction Rebellion, movimenti soprattutto giovanili che rendono i ragazzi consapevoli dei cambiamenti globali. Agenda ONU 2030 per la sostenibilità prospetta questioni ecologiche e problematiche inerenti i diritti umani e le povertà che si sviluppano nelle tematiche della cittadinanza globale fino ad arrivare alla questione del disarmo nucleare. Agenda ONU 2030 prevede inoltre in uno dei suoi obiettivi l’educazione alla pace e alla nonviolenza. Su questo terreno si possono misurare le potenzialità di percorsi di formazione dei formatori anche attraverso mappe concettuali. Le mappe concettuali sono raccolte di informazioni, conoscenze e rappresentazioni grafiche di reti di relazioni tra concetti. In questo caso è stata realizzata una mappa concettuale inerente i vari percorsi di educazione alla pace e al disarmo; educazione al disarmo nucleare al fine di spronare il governo ancora lontano dall’obiettivo della ratifica del TPAN in quanto succube del controllo Nato. Questi ultimi punti non sono precisati nei programmi di educazione civica, in particolare l’educazione al disarmo. Nel 2002 è stato realizzato un report dell’ONU che prevedeva l’educazione al disarmo. Il report individua l’educazione al disarmo come il pensiero civico per la cittadinanza informatica che deve promuovere la pace e un atteggiamento reattivo. All’educazione al disarmo e alla non proliferazione nucleare partecipano famiglie, scuole, comunità, ONG, e così via. Il percorso del diritto al trattato di proibizione delle armi nucleari è collegato al ruolo delle convenzioni di Ginevra per cui i civili in guerra sono sacri, altrimenti si commette un crimine di guerra, un crimine contro l’umanità. Anche le armi indiscriminate e messe al bando non prevedono quelle nucleari. In vari periodi sono state abolite le armi biologiche, chimiche, le mine antiuomo, ma le armi nucleari non sono mai state messe al bando. Non è stato mai elaborato un testo per la proibizione delle armi nucleari. Finalmente il TPAN dichiara illegali le armi nucleari, perché sono indiscriminate, come quelle biologiche, chimiche e le mine antiuomo. La campagna ICAN vede tanti cittadini attivi su scala mondiale in una cittadinanza globale fino ad arrivare al premio Nobel per la pace 2017: è interessante vedere come cittadini a livello mondiale hanno inciso per il voto del TPAN a New York, a palazzo di vetro il 7 luglio del 2017 con la presenza e la partecipazione di vari nostri compagni impegnati per attuare il pacifismo e la nonviolenza. La campagna ICAN è simile alla campagna per limitare i cambiamenti climatici: sono campagne di cittadinanza globale per far rispettare i diritti umani. Petrov era un colonnello dell’armata rossa che nel 1983, in piena guerra fredda, comunicò ai suoi superiori un problema di malfunzionamento del sistema radar e di avvistamento e sventò così la risposta nucleare statunitense. Nel 1983 rischiava di scoppiare la guerra nucleare per errore e Petrov riuscì a evitare il peggio, con un atto di disobbedienza civile. Questa vicenda è raccontata in un film prodotto in Danimarca con attori americani. Questi argomenti vanno inseriti in progetti didattici che rispettino i criteri metodologici dell’unità di apprendimento in educazione civica e educazione alla pace.       Laura Tussi
A scuola di guerra: la questione palestinese nei manuali scolastici in Israele e Palestina
fonte immagine Wikipedia A SCUOLA DI GUERRA: LA QUESTIONE PALESTINESE NEI MANUALI SCOLASTICI IN ISRAELE E PALESTINA GIOVEDÌ 5 DICEMBRE 2024, ORE 8.30 – 13.30 IIS BELLUZZI – FIORAVANTI BOLOGNA, VIA GIOVANNI DOMENICO CASSINI 3 (IN PRESENZA) LINK PER ISCRIVERSI: HTTPS://FORMS.GLE/RAEWXINEPAMMGQYD9 SCARICA LA LOCANDINA E IL MODULO PER RICHIEDERE IL PERMESSO -------------------------------------------------------------------------------- CONVEGNO NAZIONALE DI FORMAZIONE Ricordiamo che il personale ispettivo, dirigente, docente e ATA ha diritto all’ESONERO DAL SERVIZIO con diritto alla sostituzione in base all’art.36 del CCNL2019/2021 (che sostituisce gli articoli 63 e 64 del CCNL 2006/2009). Il CESP è Ente Accreditato/Qualificato per la formazione del personale della scuola (D. M. 25/07/06 prot.869, Circolare. MIUR PROT. 406 DEL 21/02/06, Direttiva 170/2016-MIUR) —> Fai richiesta alla segreteria del tuo istituto del permesso per formazione oppure utilizza il modulo in allegato alla locandina -------------------------------------------------------------------------------- L’attività di formazione è stata concepita per intercettare un diffuso bisogno del personale docente di approfondire la conoscenza del conflitto israelo-palestinese: una tematica nell’ultimo anno particolarmente presente nel dibattito pubblico ma che ha delle radici profonde nei processi di costruzione dell’identità nazionale, nel colonialismo e nelle tante questioni del Novecento. L’aggravarsi del conflitto richiede, anche nel confronto con studenti e studentesse, una preparazione ed una conoscenza approfondita dei fenomeni storici e politici che sono in atto nel quadro mediorientale e che vada ad indagare anche la costruzione dell’ideologia e dell’identità nazionale degli attori in conflitto.  Per tal motivo la giornata è stata costruita partendo dalle ricerche di studiose come Nurit Peled-Elhanan e Samira Alayan che hanno lavorato proprio sui temi della costruzione dell’ideologia e della propaganda nelle scuole israeliane e palestinesi: i libri di testo, oggetto di queste ricercatrici universitarie che lavorano in Israele, sono uno dei tanti strumenti – forse quello più evidente, attraverso cui viene attuato un processo di costruzione dell’identità e allo stesso tempo di rappresentazione dell’altro come nemico.  Per le docenti e i docenti presenti saper riconoscere e decodificare questi fenomeni politici e culturali, usando il caso studio della questione palestinese, costituisce un bagaglio fondamentale da poter utilizzare anche in altri contesti e di fronte ad altri casi di studio, in cui si vengono a creare stretti rapporti tra storia, memoria, identitarismi e conflitto. La giornata sarà strutturata attraverso tre interventi oltre quello di apertura: Peled-Elhanan e Alayan entreranno nel merito della riflessione analizzando i manuali scolastici utilizzati nelle scuole dello Stato di Israele e della Palestina; infine la ricercatrice della Scuola Normale di Pisa Federica Stagni racconterà il ruolo complesso e controverso delle università israeliane nella storia della occupazione palestinese. -------------------------------------------------------------------------------- PROGRAMMA: 8.30-9.00: registrazioni partecipanti. Introduce e coordina Jacopo Frey, CESP Bologna * La Palestina nei testi scolastici di Israele. Nurit Peled-Elhanan, docente di Scienze del linguaggio ed educazione presso la Hebrew University of Jerusalem (intervento in video conferenza) * Controllo del programma scolastico a Gerusalemme est: la lotta delle autorità sui contenuti educativi, Samira Alayan, docente e ricercatrice senior presso la Hebrew University of Jerusalem e il David Yellin Teacher’s College (intervento in video conferenza) * domande e dibattito con le relatrici h. 11.40 – 12.00 Pausa caffè * Le università israeliane e l’occupazione: dalla costruzione storica alla sperimentazione tecnologica, Federica Stagni, ricercatrice presso la Scuola Normale Superiore di Pisa 12.30- 13.30 Domande e dibattito -------------------------------------------------------------------------------- ABSTRACT DEGLI INTERVENTI NURIT PELED-ELHANAN La Palestina nei testi scolastici di Israele . Lo studio adotta un approccio semiotico sociale e utilizza metodi di analisi del discorso multimodale. La semiotica sociale pone domande semiotiche per rispondere a quelle sociali.La mia domanda sociale è: in che modo i libri di testo israeliani educano i bambini ebrei a portare avanti il regime di occupazione in Palestina e di discriminazione all’interno di Israele? La mia domanda semiotica è: quali sono i mezzi che questi libri di testo usano per rappresentare gli “altri”?Da quando Israele ha stretto amicizia con “l’altra Germania” nel 1953, agli arabi è stato assegnato il ruolo di potenziali sterminatori del popolo ebraico (Segev 2019).Un esame dei mezzi semiotici di rappresentazione, come discorso, genere, modalità, impaginazione ed elementi visivi, può rivelare gli interessi degli scrittori e gli scopi pedagogici dei testi multimodali. Lo studio suggerisce che i libri di testo israeliani utilizzano le strategie di genericizzazione (“gli arabi sono”, “l’arabo è”…) e di aggregazione (riferendosi agli esseri umani con grandi numeri, statistiche e quantità) per presentare gli “altri”, descriverli in un discorso razzista attraverso stereotipi o classificarli in categorie. I libri di testo spingono gli studenti a relazionarsi con la sofferenza degli altri in modalità agoraica (Chuliaraki 2006), a rimanere il più possibile distaccati dai sofferenti e a giudicare la loro vita e morte in termini di utilità da un punto di vista “oggettivo”, spesso militare o politico, che non è sensibile alla sofferenza delle vittime. SAMIRA ALAYAM Controllo del programma scolastico a Gerusalemme Est: la lotta tra le autorità sui contenuti educativi. Il sistema educativo per gli arabi palestinesi che vivono in Israele fornisce informazioni sulle complesse realtà affrontate dai cittadini e dai residenti nel conflitto in corso. Mentre il diritto fondamentale all’istruzione rimane, il sistema soffre di problemi quali carenze di bilancio, discriminazione e censura.Questa lezione esamina i libri di testo utilizzati dall’Autorità Nazionale Palestinese in Israele e Palestina, concentrandosi sul loro contenuto e sui cambiamenti che hanno subito nel corso degli anni. Un’analisi approfondita dei libri di testo utilizzati in Cisgiordania e a Gerusalemme Est rivela gli sforzi per costruire un’identità nazionale palestinese e preservare l’identità collettiva del popolo palestinese, con i libri di testo scolastici che fungono da mezzo cruciale per questo scopo. Questi libri di testo non solo descrivono eventi storici, ma plasmano anche la memoria collettiva palestinese sia in Israele che in Palestina.Sono stati esaminati i programmi di studio e i libri di testo di storia pubblicati dall’Autorità Nazionale Palestinese dal 2000 a oggi, e utilizzati anche a Gerusalemme Est per i residenti palestinesi. Mentre l’Autorità Nazionale Palestinese è ufficialmente responsabile dei programmi di studio a Gerusalemme Est, le autorità israeliane stanno agendo per ridurre al minimo l’influenza di qualsiasi contenuto che abbia valore nazionale palestinese impiegando la censura.Le autorità israeliane e palestinesi usano quindi i libri scolastici come strumento di conflitto tra i rispettivi Ministeri dell’Istruzione, per affermare narrazioni e influenzare la comprensione degli studenti dei loro contesti nazionali e storici. FEDERICA STAGNI Le università israeliane e l’occupazione: dalla costruzione storica alla sperimentazione tecnologica. Questa presentazione esplora il ruolo complesso e controverso delle università israeliane nella storia dell’occupazione palestinese, mettendo in luce come la ricerca accademica sia stata impiegata a sostegno delle politiche territoriali e di sicurezza dello Stato israeliano. Inizieremo esaminando le attività dei primi cartografi ebrei agli inizi del Novecento: su incarico del movimento sionista, questi studiosi esplorarono la toponomastica della Palestina per riappropriarsi di una presunta continuità storica con la “terra promessa”, reinterpretando i nomi dei luoghi biblici per rafforzare le rivendicazioni territoriali del nascente progetto sionista. Negli anni successivi, figure politiche come David Ben-Gurion commissionarono ricerche a studiosi come Ronni Gabai e altri, finalizzate a costruire una narrazione secondo cui i palestinesi avrebbero lasciato volontariamente le loro case nel 1948, mentre testimonianze storiche suggeriscono che si trattò di un processo di espulsione forzata. Nel contesto attuale, l’attenzione si sposta verso la ricerca e lo sviluppo tecnologico promossi dalle università israeliane, in particolare nell’ambito della sorveglianza avanzata e delle tecnologie di difesa. Questi sistemi, spesso sperimentati direttamente nei territori palestinesi, contribuiscono a un ulteriore consolidamento dei meccanismi di controllo e occupazione. Come documentato dal libro *Laboratorio Palestina*, discuteremo di come queste ricerche abbiano trasformato i territori palestinesi in luoghi di sperimentazione tecnologica e militare, rafforzando le dinamiche di occupazione e limitando la libertà della popolazione locale.
Antirazzismo e scuole
Il Cesp – Centro Studi per la Scuola pubblicain collaborazione con l’IC 5 – Bologna organizza: MERCOLEDÌ 8 MAGGIO 2024 ORE 17 – 19 PRESSO LA SCUOLA TESTONI-FIORAVANTI, VIA DI VINCENZO, 55 BOLOGNA presentazione di ANTIRAZZISMO E SCUOLE VOLUMI 1 E 2 a cura di Annalisa Frisina, Filomena Gaia Farina, Alessio Surian (Padova University Press, open access) saranno presenti: * Gaia Farina (doc. di sociologia visuale, Univ. di Padova) * Annalisa Frisina (doc. di sociologia, Univ. di Padova) * Wen Long Sun (ingegnere informatico) * Introduce Gianluca Gabrielli (docente Ic 5 e Cesp) La partecipazione è libera ma necessita di registrazione al link: https://docs.google.com/forms/d/1ekMym46kdU2bFS-nlqaKQqhbVPgVvn6NCLnQODzKWjo/viewform?edit_requested=true fino all’esaurimento della capienza dei posti. Come affrontare lo studio del razzismo come sistema di potere in cui la violenza è ordinaria e costantemente invisibilizzata?A più voci condividiamo alcune proposte che provano a decostruire ideologie di matrice coloniale. Il volume 1 è dedicato soprattutto alle scuole primarie, il volume 2 si rivolge principalmente a chiinsegna nelle scuole secondarie, per creare e sperimentare percorsi didattici che possano contrastare diverse forme di razzismo. I volumi sono scaricabili gratuitamente ai link:Volume 1: https://www.padovauniversitypress.it/it/publications/9788869382710 Volume 2: https://www.padovauniversitypress.it/it/publications/9788869383823 L’attività è riconosciuta come formazione in quanto organizzata da Ente Accreditato/Qualificato per la formazione del personale della scuola.IC5 Bologna – Via di Vincenzo, 55 – boic816008@istruzione.itCesp – Centro Studi per la Scuola Pubblica – via San Carlo 42 – Bo – cespbo@gmail.com