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La vittoria di Zohran Mamdani segna l’avvento di una nuova generazione politica a New York City
La vittoria di Zohran Mamdani rappresenta una tappa importante nella vita politica di New York City, ma questa volta il significato va ben oltre una singola campagna elettorale. Ciò che è emerso in queste elezioni è la forza visibile di una nuova generazione di attivisti: giovani organizzatori, inquilini, lavoratori e artisti che stanno trovando la loro voce collettiva e rimodellando la politica locale dal basso. Questo movimento di base, ispirato dai precedenti modelli organizzativi di figure come il senatore Bernie Sanders, sta iniziando a raggiungere il suo compimento. Esso riflette un rinnovamento del lavoro sul campo che privilegia la comunità rispetto ai consulenti e la visione condivisa rispetto ai messaggi aziendali. I Socialisti Democratici hanno continuato a spingere il panorama politico della città verso sinistra, riconnettendosi con coloro che sono stati a lungo ignorati dal Partito Democratico: immigrati, affittuari e comunità della classe operaia escluse dal boom economico della città. Queste elezioni hanno anche messo in luce un cambiamento nell’equilibrio di potere. Le macchine di marketing delle grandi imprese che un tempo dominavano le campagne elettorali di New York non sono riuscite a catturare l’attenzione del pubblico. Il loro messaggio, raffinato ma vuoto, sembra aver raggiunto il suo limite. Lo stesso vale per l’influenza dei media tradizionali e l’ombra persistente del fenomeno Trump: entrambi sono sempre meno in grado di mobilitare o manipolare l’opinione pubblica come in passato. Anche il tentativo di rilanciare il profilo di politici della vecchia guardia come Andrew Cuomo è fallito. Gli elettori della città, in particolare le generazioni più giovani, sembrano pronti ad andare oltre la politica della personalità e orientarsi verso una politica degli obiettivi. La vittoria di Mamdani, quindi, è più di un semplice risultato elettorale: segna l’ascesa di una nuova coscienza politica a New York City, fondata sulla solidarietà, l’immaginazione e la speranza.   Pressenza New York
Zohran Mamdani è il nuovo sindaco di New York. Il discorso della vittoria
Riportiamo il discorso pronunciato da Zohran Mamdani nel quartier generale della sua campagna elettorale a Brooklyn, dopo aver ottenuto il 50,4% dei voti contro il 41,6% dell’ex governatore Andrew Cuomo, che sconfitto alle primarie democratiche si era presentato come indipendente e il 7,1% del repubblicano Curtis Sliwa. Hanno votato oltre due milioni di persone, un record che non si vedeva dal 1969. “Grazie, amici miei. Il sole potrebbe essere tramontato sulla nostra città questa sera, ma come disse una volta Eugene Debs, “Posso vedere l’alba di un giorno migliore per l’umanità.” Fin da quando abbiamo memoria, i ricchi e i benestanti hanno sempre detto ai lavoratori e alle lavoratrici di New York che il potere non appartiene a loro. Dita livide dal sollevare scatole sul pavimento di un magazzino, palmi callosi dai manubri delle bici da consegna, nocche segnate da ustioni di cucina: queste non sono mani a cui è stato permesso di detenere il potere. Eppure, negli ultimi 12 mesi, avete osato raggiungere qualcosa di più grande. Stasera, contro ogni previsione, l’abbiamo afferrato. Il futuro è nelle nostre mani. Amici miei, abbiamo rovesciato una dinastia politica. Auguro ad Andrew Cuomo solo il meglio nella vita privata. Ma che stasera sia l’ultima volta che pronuncio il suo nome, mentre voltiamo pagina su una politica che abbandona i molti e risponde solo a pochi. New York, stasera mi hai affidato un mandato per il cambiamento. Un mandato per un nuovo tipo di politica. Un mandato per una città che possiamo permetterci. E un mandato per un governo che realizzi esattamente questo. Il 1° gennaio presterò giuramento come sindaco di New York City. E questo grazie a voi. Quindi prima di dire qualsiasi altra cosa, devo dire questo: Grazie. Grazie alla prossima generazione di newyorkesi che si rifiutano di accettare che la promessa di un futuro migliore sia una reliquia del passato. Avete dimostrato che quando la politica vi parla senza condiscendenza, possiamo inaugurare una nuova era di leadership. Combatteremo per voi, perché siamo voi. O, come diciamo su Steinway, ana minkum wa alaikum. Grazie a coloro che così spesso sono dimenticati dalla politica della nostra città, che hanno fatto proprio questo movimento. Parlo di proprietari di bodega yemeniti e abuelas messicane. Di tassisti senegalesi e di infermiere uzbeke. Di cuochi di Trinidad e Tobago e di ie etiopi. Sì, zie. A ogni newyorkese di Kensington e Midwood e Hunts Point, sappiate questo: questa città è la vostra città, e questa democrazia è anche vostra. Questa campagna riguarda persone come Wesley, un organizzatore della sezione sindacale Seiu 1199 che ho incontrato fuori dall’Elmhurst Hospital giovedì sera. Un newyorkese che vive altrove, che fa il pendolare per due ore avanti e indietro dalla Pennsylvania perché l’affitto è troppo caro in questa città. Riguarda persone come la donna che ho incontrato sul Bx33 anni fa, che mi disse: “Una volta amavo New York, ma ora è solo il posto dove vivo.” E riguarda persone come Richard, il tassista con cui ho fatto uno sciopero della fame di 15 giorni fuori dal municipio, che deve ancora guidare il suo taxi sette giorni alla settimana. Fratello mio, ora siamo nel municipio. Questa vittoria è per tutti loro. Ed è per tutti voi, gli oltre 100.000 volontari che hanno reso questa campagna una forza inarrestabile. Grazie a voi, renderemo questa città un luogo in cui i lavoratori possono amare e vivere di nuovo. Con ogni porta bussata, ogni firma di petizione ottenuta, e ogni conversazione faticosamente conquistata, avete eroso il cinismo che è arrivato a definire la nostra politica. Ora, so di avervi chiesto molto nell’ultimo anno. Ancora e ancora, avete risposto alle mie chiamate — ma ho un’ultima richiesta. New York City, respira questo momento. Abbiamo trattenuto il respiro più a lungo di quanto immaginiamo. L’abbiamo trattenuto in attesa della sconfitta, l’abbiamo trattenuto perché ci hanno tolto il fiato troppe volte per contarle, l’abbiamo trattenuto perché non possiamo permetterci di espirare. Grazie a tutti coloro che hanno sacrificato così tanto. Stiamo respirando l’aria di una città che è rinata. Al team della mia campagna elettorale, che ha creduto quando nessun altro lo faceva e che ha preso un progetto elettorale e lo ha trasformato in molto di più: non sarò mai in grado di esprimere la profondità della mia gratitudine. Ora potete dormire. Ai miei genitori, mamma e papà: avete fatto di me l’uomo che sono oggi. Sono così orgoglioso di essere vostro figlio. E alla mia incredibile moglie, Rama, hayati: non c’è nessuno che vorrei avere al mio fianco in questo momento, e in ogni momento. A ogni newyorkese — che abbiate votato per me, per uno dei miei avversari, o vi siate sentiti troppo delusi dalla politica per votare — grazie per l’opportunità di dimostrarmi degno della vostra fiducia. Mi sveglierò ogni mattina con un unico scopo: rendere questa città migliore per voi rispetto al giorno prima. Molti pensavano che questo giorno non sarebbe mai arrivato, temevano che saremmo stati condannati solo a un futuro di mancanze, in cui ogni elezione ci avrebbe consegnato semplicemente un po’ di più della stessa cosa. E ci sono altri che considerano la politica oggi troppo crudele perché la fiamma della speranza possa ancora ardere. New York, abbiamo risposto a quelle paure. Stasera abbiamo parlato con voce chiara. La speranza è viva. La speranza è una decisione che decine di migliaia di newyorkesi hanno preso giorno dopo giorno, turno di volontariato dopo turno di volontariato, nonostante gli spot pubblicitari negativi. Più di un milione di noi si è presentato nelle nostre chiese, nelle palestre, nei centri comunitari, mentre compilavamo il libro mastro della democrazia. E mentre andavamo a votare da soli, abbiamo scelto la speranza insieme. Speranza contro la tirannia. Speranza contro i grandi soldi e le piccole idee. Speranza contro la disperazione. Abbiamo vinto perché i newyorkesi si sono permessi di sperare che l’impossibile potesse diventare possibile. E abbiamo vinto perché abbiamo insistito che la politica non sarebbe più stata qualcosa che ci veniva fatto. Ora, è qualcosa che facciamo noi. Stando davanti a voi, penso alle parole di Jawaharlal Nehru: “Arriva un momento, ma raramente nella storia, in cui passiamo dal vecchio al nuovo, quando un’epoca finisce e quando l’anima di una nazione, a lungo soppressa, trova espressione.” Stasera siamo passati dal vecchio al nuovo. Quindi parliamo ora, con chiarezza e convinzione che non può essere fraintesa, di ciò che questa nuova era porterà, e per chi. Questa sarà un’era in cui i newyorkesi si aspettano dai loro leader una visione audace di ciò che realizzeremo, piuttosto che una lista di scuse per ciò che siamo troppo timidi per tentare. Al centro di questa visione ci sarà il programma più ambizioso che questa città abbia mai visto dai tempi di Fiorello La Guardia per affrontare il costo della vita: un programma che congelerà gli affitti per oltre due milioni di inquilini con affitti calmierati, renderà gli autobus veloci e gratuiti e fornirà un’assistenza all’infanzia universale in tutta la nostra città. Tra qualche anno, il nostro unico rammarico sarà che questo giorno ci ha messo troppo tempo ad arrivare. Questa nuova era sarà di implacabile miglioramento. Assumeremo migliaia di nuovi insegnanti. Taglieremo gli sprechi da una burocrazia gonfiata. Lavoreremo instancabilmente per far brillare di nuovo le luci nei corridoi dei complessi residenziali della Nycha [l’Authority sulle abitazioni di Nyc] dove a lungo sono rimaste spente. Sicurezza e giustizia andranno di pari passo mentre lavoreremo con gli agenti di polizia per ridurre la criminalità e creare un Dipartimento di Sicurezza Comunitaria che affronti la crisi della salute mentale e le crisi dei senzatetto. L’eccellenza diventerà l’aspettativa in tutto il governo, non l’eccezione. In questa nuova era che creiamo per noi stessi, ci rifiuteremo di permettere a coloro che trafficano in divisione e odio di metterci l’uno contro l’altro. In questo momento di oscurità politica, New York sarà la luce. Qui crediamo nel difendere coloro che amiamo, che tu sia un immigrato, un membro della comunità trans, una delle tante donne nere che Donald Trump ha licenziato da un lavoro federale, una mamma single che ancora aspetta che il costo della spesa scenda, o chiunque altro con le spalle al muro. La tua lotta è anche la nostra. E costruiremo un municipio che stia saldamente al fianco dei newyorkesi ebrei e non vacilli nella lotta contro il flagello dell’antisemitismo. Dove il milione e più di musulmani sappia che appartiene non solo ai cinque distretti di questa città, ma anche alle stanze del potere. New York non sarà mai più una città dove si può trafficare con l’islamofobia e vincere le elezioni. Questa nuova era sarà caratterizzata da una competenza e una compassione che per troppo tempo sono state in conflitto tra loro. Dimostreremo che non esiste problema troppo grande per essere risolto dal governo, né preoccupazione troppo piccola per non meritare la sua attenzione. Per anni i consiglieri comunali hanno aiutato solo chi poteva aiutarli, ma il 1° gennaio inaugureremo un’amministrazione cittadina che aiuterà tutti e tutte. Ora, so che molti hanno sentito il nostro messaggio solo attraverso il prisma della disinformazione. Decine di milioni di dollari sono stati spesi per ridefinire la realtà e per convincere i nostri vicini che questa nuova era dovrebbe spaventarli. Come è accaduto così spesso, la classe dei miliardari ha cercato di convincere coloro che guadagnano 30 dollari all’ora che i loro nemici sono quelli che guadagnano 20 dollari all’ora. Vogliono che la gente si scontri al proprio interno, in modo da distrarci dal lavoro di ricostruzione di un sistema ormai in rovina. Ci rifiutiamo di lasciare che siano loro a dettare le regole del gioco.  Possono giocare secondo le stesse regole di tutti noi. Insieme, inaugureremo una generazione di cambiamento. E se abbracciamo questo coraggioso nuovo corso, piuttosto che rifuggirlo, possiamo rispondere all’oligarchia e all’autoritarismo con la forza che teme, non con l’acquiescenza che brama. Dopotutto, se qualcuno può mostrare a una nazione tradita da Donald Trump come sconfiggerlo, è la città che gli ha dato i natali. E se c’è un modo per terrorizzare un despota, è smantellando le condizioni che gli hanno permesso di accumulare potere. In questo modo non fermeremo solo Trump, ma anche il prossimo. Quindi, Donald Trump, dato che so che stai guardando, ho quattro parole per te: Turn up the volume (Alza il volume). Chiameremo a rispondere i cattivi proprietari di case perché i Donald Trump della nostra città si sono abituati fin troppo bene ad approfittare dei loro inquilini. Metteremo fine alla cultura della corruzione che ha permesso ai miliardari come Trump di evadere le tasse e sfruttare le agevolazioni fiscali. Staremo al fianco dei sindacati e amplieremo le tutele del lavoro perché sappiamo, proprio come Donald Trump, che quando i lavoratori hanno diritti ferrei, i datori di lavoro che cercano di estorcerli diventano davvero molto piccoli. New York rimarrà una città di immigrati: una città costruita da immigrati e da stasera guidata da un immigrato. Quindi ascoltami, Presidente Trump, quando dico questo: Per arrivare a uno qualsiasi di noi, dovrai passare su tutti noi. Quando entreremo nel municipio, tra 58 giorni, le aspettative saranno alte. Le soddisferemo. Un grande newyorkese disse una volta che mentre fai campagna elettorale in poesia, governi in prosa. Se questo deve essere vero, che la prosa che scriviamo faccia ancora rima, e costruiamo una città splendente per tutti. Dobbiamo tracciare un nuovo cammino, audace come quello che abbiamo già percorso. Dopotutto, la saggezza popolare vi direbbe che sono ben lungi dall’essere il candidato perfetto. Sono giovane, nonostante i miei sforzi per invecchiare. Sono musulmano. Sono un democratico socialista. E, cosa più grave di tutte, mi rifiuto di scusarmi per tutto questo. Eppure, se stasera ci insegna qualcosa, è che le convenzioni ci hanno frenato. Ci siamo inchinati all’altare della cautela e abbiamo pagato un prezzo altissimo. Troppi lavoratori non possono riconoscersi nel nostro partito e troppi tra noi si sono rivolti alla destra per avere risposte sul perché sono stati lasciati indietro. Lasceremo la mediocrità nel nostro passato. Non dovremo più aprire un libro di storia per avere la prova che i Democratici possono osare essere grandi. La nostra grandezza sarà tutt’altro che astratta. Sarà sentita da ogni inquilino con affitto calmierato che si sveglierà il primo di ogni mese sapendo che l’importo che pagherà non è salito alle stelle rispetto al mese precedente. Sarà sentita da ogni nonno che potrà permettersi di rimanere nella casa per cui ha lavorato, e i cui nipoti vivono nelle vicinanze perché il costo dell’asilo nido non li ha mandati a Long Island. La percepirà la madre single che si sentirà al sicuro durante il tragitto casa-lavoro e il cui autobus è abbastanza veloce da non dover correre a prendere i bambini a scuola per arrivare in orario al lavoro. E la percepiranno i newyorkesi quando apriranno i giornali al mattino e leggeranno titoli di successo, non di scandali. Ciò che più conta sarà la sensazione che proverà ogni newyorkese quando la città che ama finalmente ricambierà il suo amore. Insieme, New York, congeleremo… [ la folla urla: «gli affitti!» ] Insieme, New York, renderemo gli autobus veloci e… [ la folla urla: «gratuiti!» ] Insieme, New York, garantiremo universalmente… [ la folla urla: «l’assistenza all’infanzia!»] Lasciamo che le parole che abbiamo pronunciato insieme, i sogni che abbiamo sognato insieme, diventino il programma che realizzeremo insieme. New York, questo potere è tuo. Questa città ti appartiene. Grazie.       Redazione Italia
L’Argentina non si è stancata del liberismo: Milei vince le elezioni di metà mandato
«Oggi è una giornata storica»: così il presidente argentino Javier Milei ha celebrato la sorprendente vittoria alle elezioni legislative di metà mandato di domenica 26 ottobre. Con la promessa all’elettorato di proseguire con le riforme economiche intraprese, ha inoltre annunciato che l’Argentina avrà il parlamento «più riformista della storia». Si votava per rinnovare circa la metà dei seggi della Camera dei Deputati e un terzo di quelli del Senato: il partito di Milei, La Libertad Avanza (LLA), ha ottenuto quasi il 41% dei voti e ha vinto nelle sei più grandi province del Paese, tra cui quella di Buenos Aires, dove aveva subito una pesante sconfitta nelle elezioni provinciali del 7 settembre scorso. La principale forza di opposizione, la coalizione peronista di centrosinistra, si è fermata al 31%. L’affluenza è stata del 67,85%, un dato record dal ritorno della democrazia nel 1983, che conferma un calo della partecipazione degli elettori. La vittoria, che ribalta tutti i pronostici, è stata celebrata sui social dal presidente statunitense Donald Trump, che è intervenuto direttamente nella campagna elettorale con un piano di aiuti all’economia argentina e ha più volte minacciato di interromperlo nel caso in cui il suo alleato Milei fosse uscito sconfitto dalle urne. L’Argentina, invece di archiviare la stagione delle ricette ultraliberiste, sembra volerla rilanciare, come se il dolore economico fosse solo un effetto collaterale necessario della “cura Milei”. Una cura che molti economisti definiscono “tossica”, ma che l’elettorato ha deciso di confermare, scommettendo ancora una volta sul presidente argentino, nonostante il calo di popolarità. Alcuni scandali, infatti, lo hanno coinvolto personalmente, a partire dal caso del meme-coin “Libra”, una cripto-moneta che Milei aveva promosso sui social, poi tracollata in borsa rovinando centinaia di investitori. Negli ultimi sei mesi, era sembrato che La Libertad Avanza dovesse ridimensionare i suoi obiettivi in queste elezioni, abbandonando le speranze di cambiare radicalmente la situazione in parlamento, controllato dalle opposizioni. Nell’ultimo comizio che si è tenuto giovedì nella città di Rosario, Milei già non brandiva più l’iconica motosega e ha chiamato gli elettori a «non arrendersi» e a «cambiare l’Argentina sul serio», promettendo per la seconda parte del mandato «le riforme di cui il Paese ha bisogno». Dietro la narrazione trionfalista, l’Argentina resta un Paese lacerato. Dal suo insediamento nel dicembre 2023, Javier Milei ha promesso una “rivoluzione libertaria” fondata su drastici tagli allo Stato, deregolamentazione e più potere al mercato. Con il decreto urgente 70/2023 ha smantellato numerose leggi sociali e liberalizzato settori strategici come affitti, sanità, commercio estero e ambiente. In pochi mesi, l’inflazione – pur ridottasi rispetto ai picchi del 2023 – ha continuato a erodere i redditi, mentre i salari pubblici sono stati congelati e le sovvenzioni energetiche cancellate. Il deficit ha superato i tre miliardi di dollari nel secondo trimestre del 2025, aggravando la crisi sociale. Le classi medie si sono impoverite, i ceti popolari sono precipitati nella precarietà e le proteste sono tornate a moltiplicarsi nelle strade di Buenos Aires e nelle province. In questo scenario, gli Stati Uniti sono intervenuti con una linea di credito da 20 miliardi di dollari per sostenere le riserve della banca centrale argentina, un salvataggio politico che somiglia a un guinzaglio: l’Argentina, ancora una volta, si ritrova legata agli interessi geopolitici e finanziari degli Stati Uniti, che non regalano denaro, ma comprano influenza. Il prestito prevede nuove privatizzazioni, ulteriori tagli e un’apertura ancora più ampia al capitale straniero, accentuando la dipendenza del Paese da interessi esterni e riducendo la sua autonomia politica. L’appoggio plateale di Donald Trump alla campagna di Milei, culminato in un endorsement entusiasta, è il segnale più chiaro di questa convergenza: due populismi, due volti dello stesso capitalismo selvaggio. Eppure, molti argentini hanno visto in Milei l’unico uomo disposto a “fare piazza pulita”. Il linguaggio della rottura, della rabbia contro “la casta”, ha funzionato meglio di qualsiasi programma economico. Le sue comparsate in televisione, i discorsi infuocati, il richiamo all’ordine e alla libertà assoluta hanno sedotto un elettorato esasperato, disposto a sacrificare persino le tutele sociali pur di punire il sistema politico tradizionale. Oggi, l’Argentina si risveglia con un governo più forte e un popolo più fragile. Milei può vantarsi di aver vinto la battaglia politica, ma la guerra economica è tutt’altro che conclusa: la sua “motosega” non ha tagliato gli sprechi, ha tagliato semmai il tessuto sociale. Dietro i sorrisi delle piazze e i tweet di congratulazioni americani, si intravede una nazione che rischia di essere svenduta a pezzi, tra shock economico e dipendenza estera. La sua vittoria non è la prova che l’Argentina crede nel neoliberismo: è la prova che non riesce più a immaginare un’alternativa. Milei potrà contare ora su un Parlamento più favorevole, ma il suo programma resta divisivo e incerto nei risultati. Il prezzo della fedeltà dell’Argentina al liberismo rischia di essere altissimo: un Paese più disciplinato nei conti, ma più diseguale, più vulnerabile e meno sovrano. E finché la libertà verrà confusa con la legge del più forte, la motosega continuerà a ronzare, scavando solchi sempre più profondi tra chi ha tutto e chi non ha più nulla.   L'Indipendente
Mamdani, il volto di una nuova sinistra statunitense?
La vittoria di Zohran Mamdani, originario dell’Uganda, alle primarie per il candidato sindaco di New York sembra aver confermato l’avanzamento nella sinistra statunitense di politici con background migratorio. Il risultato sembra inoltre riflettere l’emergere di una nuova visione politica rivolta alle persone migranti della classe operaia e radicata in una dura critica alle disuguaglianze sociali e influenzata da esperienze personali di instabilità, austerità e repressione nel Sud del mondo. Il vincitore delle primarie democratiche per l’elezione del sindaco di New York è il socialista Zohran Mamdani, di origini indiane-ugandesi trasferitosi a New York all’età di sette anni. Il candidato democratico ha condotto una campagna elettorale incentrata sulle questioni relative all’accessibilità economica con un’attenzione incessante al costo della vita, una presenza online affidabile e un esercito di volontari forte di decine di migliaia di persone. In campagna elettorale, Mamdani ha dato spazio ai newyorkesi della classe operaia, spesso costretti a lasciare la città a causa dell’inaccessibilità economica e dell’aumento dei costi, specie delle abitazioni: dalle zone più dense di Manhattan ai quartieri sul lungomare di Brooklyn e Queens, i prezzi sono infatti cresciuti esponenzialmente negli ultimi anni. Nella sua difesa della giustizia abitativa, dei diritti delle persone con background migratorio e delle persone migranti, oltre alle richieste di parità di trattamento, Mamdani veicola non solo l’urgenza dei movimenti sociali, ma anche la chiarezza della critica postcoloniale. Quella del candidato democratico è una politica informata non solo dalla protesta, ma da una vita immersa nella teoria, nella storia e nello studio dei sistemi che emarginano ed escludono: su questo versante appare preponderante l’influenza intellettuale che Zohran ha ricevuto dal padre Mahmood, il cui pensiero e ricerca rimangono fondamentale nello studio del colonialismo, dell’autoritarismo e della politica della conoscenza: gli scritti di Mamdani senior continuano infatti a influenzare il modo in cui accademici e politici interpretano le eredità durature del governo coloniale e della violenza di stato. Sul piano politico, la vittoria di Mamdani ha confermato una tendenza che era in atto da tempo all’interno del Partito Democratico: quella di una nuova politica per le persone migranti o con background migratorio della classe operaia, radicata nell’organizzazione, nella solidarietà e in una dura critica alle disuguaglianze. Questomovimento travalica la città di New York. Ilhan Omar, rifugiata, ex guardia giurata, prima donna di origini somale e una delle prime due donne musulmane ad essere elette al Congresso, ha contribuito a definire questa nuova sinistra. Insieme a lei c’è Rashida Tlaib, la prima e unica donna palestinese americana a far parte del Congresso, che ha voluto autodefinirsi “una madre che lavora per la giustizia per tutti”. Tlaib, Omar e Mamdani rappresentano una politica plasmata non solo dalla disuguaglianza negli Stati Uniti, ma anche da esperienze personali di instabilità, austerità e repressione nel Sud del mondo. Sono emersi come volti pubblici di una tendenza più ampia: politici provenienti da contesti di immigrazione che costituiscono la spina dorsale di una sinistra democratica in ascesa. D’altra parte non mancano le sfide che dovrà affrontare l’aspirante sindaco democratico. Oltre a consolidare il successo ottenuto in alcuni quartieri, come Kensington a Brooklyn, Mamdani dovrà cercare di mobilitare un elettorato più ampio. La sua attenzione all’accessibilità economica ha permesso di conquistarsi il sostegno dei bianchi progressisti e liberali ma non è stato sufficiente per ottenere quello degli afroamericani, che hanno scelto di votare per lo sfidante Andrew Cuomo. Mamdani dovrà cercare di invertire questa tendenza visto che ripone anche sulla conquista di questa fetta di elettori le sue possibilità di vittoria. Il programma di spesa pubblica proposto da Mamdani, che si basa sull’aumento delle tasse per i ricchi e le aziende, sembra infatti non aver ancora convinto gli elettori neri più anziani e più abbienti, tra i quali quelli proprietari di casa, che temono che un candidato come Mamdani possa non condividere le loro priorità; sempre questi risultano essere scettici nei confronti delle proposte populiste di Mamdani visto che le misure, che includenderebbero piani per offrire un servizio di autobus e asilo nido gratuito, supermercati di proprietà comunale e il congelamento degli affitti degli appartamenti a canone regolamentato, sarebbero finanziate con tasse più alte per l’1% dei redditi più alti. Per cercare di conquistare l’elettorato nero (ma anche quello latino) è possibile che Mamdani ripeta già quanto fatto durante la campagna delle primarie, quando è apparso regolarmente su media incentrati sulla comunità black, tra i quali programmi radiofonici con un vasto pubblico di colore come “The Breakfast Club” e “Ebro in the Morning“. In questa ottica si inquadra la scelta del democratico che dopo la vittoria alle primarie ha parlato all’Harlem del National Action Network del reverendo Al Sharpton del suo disegno per New York come un luogo in cui i lavoratori possano vivere con dignità. Visitare Harlem potrebbe aver giovato a Mamdani per iniziare a superare la diffidenza nei suoi confronti dell’elettorato nero. Al tempo stesso, Mamdani proverà a intercettare il voto degli elettori neri, ispanici e giovani newyorchesi che avevano votato per Donald Trump alle ultime elezioni presidenziali. Il democratico proverà a portare dalla sua parte “nuovi” Malik Zindani, trentenne, residente a Morris Park nel Bronx e arrivato negli Stati Uniti dallo Yemen a 15 anni, che ha dichiarato di aver votato per Trump a novembre e per Mamdani alle primarie. Africa Rivista
Storica vittoria di Zohran Kwame Mamdani alle primarie per il sindaco di New York: i progressisti sconfiggono l’establishment
Di solito le elezioni dei sindaci di New York sono prevedibili e, francamente, un po’ noiose. Ma questa volta, un’ondata di possibilità, sfide e incertezze ha fatto sentire di nuovo viva la democrazia. Oggi quell’ondata ha portato a un risultato storico. Zohran Kwame Mamdani, un socialista democratico musulmano di 33 anni e membro dell’Assemblea dello Stato di New York, ha ottenuto una vittoria rivoluzionaria nelle primarie del Partito Democratico, superando Andrew Cuomo, l’ex governatore dello Stato di New York. La gara si preannunciava come una classica prova di forza tra Davide e Golia. Cuomo, che rappresenta l’ala conservatrice del Partito Democratico, era sostenuto dalla vecchia guardia e dall’élite finanziaria del partito. Al contrario, Mamdani è emerso come il volto di un movimento progressista in ascesa, alimentato dall’organizzazione di base e da una visione di profondo cambiamento. I risultati, confermati dal sistema di voto a classifica della città di New York, hanno inferto un colpo decisivo all’establishment democratico. Con questo sistema, gli elettori hanno definito un ordine decrescente di preferenza per i candidati. Se nessun candidato ottiene più del 50% dei voti, i candidati con i voti più bassi vengono eliminati a turno, con una ridistribuzione dei voti fino a quando non emerge una maggioranza. Questo sistema elettorale ha giocato un ruolo fondamentale nella vittoria di Mamdani, consentendo alle coalizioni progressiste di consolidarsi in più turni. La campagna elettorale di Cuomo aveva giocato tutte le sue carte. Temendo un’ondata politica ispirata da Bernie Sanders, l’establishment del Partito Democratico si è radunato dietro a Cuomo, allineandosi con potenti donatori, pesi massimi della politica come Bill Clinton, l’ex sindaco Michael Bloomberg, e vari media mainstream. Un Super PAC chiamato Fix the City ha versato oltre 16 milioni di dollari in pubblicità, mentre colossi aziendali come DoorDash hanno contribuito con altri milioni. Nonostante Cuomo si sia presentato come un candidato che rappresentava  i lavoratori di New York, la sua campagna è stata innegabilmente sostenuta da miliardari e interessi aziendali. Ma la macchina dell’establishment non è riuscita a competere con lo slancio di Mamdani, che ha lavorato a stretto contatto con Bernie Sanders e la deputata Alexandria Ocasio-Cortez. Il loro movimento politico progressista, profondamente radicato nel socialismo democratico, ha guadagnato costantemente terreno – elezione dopo elezione, quartiere dopo quartiere – attraverso un’instancabile organizzazione di base, campagne porta a porta e piccole donazioni. “Questa è una vittoria di tutti i newyorkesi a cui è stato detto che non hanno voce”, ha dichiarato Mamdani nel suo discorso di vittoria. “È la prova che le persone organizzate possono battere il denaro organizzato”. La vittoria di Mamdani segna un cambiamento sismico nell’equilibrio di potere tra le istituzioni politiche radicate e una nuova generazione che chiede un cambiamento. L’entità delle risorse mobilitate dall’establishment – che comunque non sono state sufficienti – rivela la profondità della paura di perdere il controllo sull’apparato finanziario e politico della città. New York, e forse anche la nazione, si trova a un punto di svolta. Il mondo sta cambiando, a livello locale e globale, a tutti i livelli. Traduzione dall’inglese di Anna Polo   David Andersson