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Le Ong del soccorso in mare si uniscono nella Justice Fleet e interrompono le comunicazioni con Tripoli
Dopo anni di crescenti violazioni dei diritti umani da parte della cosiddetta Guardia Costiera libica e dopo il rinnovo del Memorandum Italia-Libia, 13 organizzazioni di ricerca e soccorso si uniscono in una nuova alleanza, la Justice Fleet, e sospendono le comunicazioni operative con il cosiddetto Centro congiunto di coordinamento dei soccorsi di Tripoli, in Libia. Sul sito https://justice-fleet.org/ la lista delle violenze della cosiddetta Guardia Costiera libica documentate dalla società civile negli ultimi 10 anni e in continuo aggiornamento. 13 organizzazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale hanno annunciato la costituzione della Justice Fleet, supportata dal Centro europeo per i diritti costituzionali e umani e dall’organizzazione Refugees in Libya. È una risposta alla coercizione degli Stati europei a comunicare con le milizie libiche, autori di quotidiane violenze in mare e in opposizione al rinnovo tacito del Memorandum d’Intesa Italia-Libia. Le organizzazioni parte della Justice Fleet hanno deciso di interrompere le comunicazioni operative con il Centro congiunto di coordinamento dei soccorsi di Tripoli, in Libia (JRCC), a cui le costringe la Legge 15/23 nota come “decreto Piantedosi”, integrato nel decreto flussi. Il Centro coordina gli interventi violenti di cattura e respingimento della cosiddetta Guardia Costiera libica e non può essere considerato un’autorità competente. La Libia non è un luogo sicuro per le persone in fuga. Inoltre, il JRCC di Tripoli non soddisfa gli standard internazionali necessari al funzionamento di un centro per il coordinamento dei soccorsi: non è raggiungibile 24 ore su 24, 7 giorni su 7, manca di capacità linguistica e non dispone di un’infrastruttura tecnica adeguata per coordinare le operazioni di soccorso. Da dieci anni, le organizzazioni di ricerca e soccorso hanno documentato la violenza sistematica perpetrata dalla cosiddetta Guardia Costiera libica, una rete decentralizzata di milizie armate equipaggiate e addestrate con fondi dell’UE, in particolare dall’Italia. I naufraghi vengono intercettati con la violenza in mare, rapiti e condotti in campi dove tortura, stupri e lavori forzati sono una pratica sistematica. I tribunali europei e le istituzioni delle Nazioni Unite hanno da tempo riconosciuto la violenza organizzata che, secondo gli esperti legali, costituisce un crimine contro l’umanità. Tali violenze sono state documentate società civile negli ultimi 10 anni, e un report costantemente aggiornato sarà disponibile da oggi sul sito https://justice-fleet.org/. L’interruzione delle comunicazioni operative con il JRCC Libia potrebbe comportare multe, detenzioni o persino la confisca dei mezzi di soccorso della Justice Fleet da parte dello Stato italiano, in violazione del diritto internazionale. Dal 2023, il governo italiano ha detenuto illegalmente mezzi di soccorso ai sensi della cosiddetta Legge Piantedosi. Questa campagna parte all’indomani di un nuovo caso di disobbedienza a ordini ingiusti e illegittimi del governo italiano da parte di una nave civile di soccorso, in nome invece del pieno e rigoroso rispetto del diritto marittimo e umanitario, internazionale e nazionale: proprio ieri sera la nave Mediterranea ha sbarcato 92 persone, soccorse in tre diversi interventi, a Porto Empedocle, nonostante le autorità italiane avessero ordinato di portarle nel lontano porto di Livorno. Mediterranea ha operato a tutela dei fondamentali diritti alla vita, alla salute e alla dignità delle persone soccorse e, per questa scelta il governo minaccia ora pesanti ritorsioni. Lo spirito con cui la nave ha agito è lo spirito che anima la Justice Fleet e per questo esprimiamo tutta la nostra solidarietà a Mediterranea. La Justice Fleet unisce strategie legali, politiche e comunicative per difendere le persone in fuga e le operazioni di soccorso dai respingimenti illegali, dalla repressione e dalla criminalizzazione delle Ong. Le corti europee – da quelle italiane alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo – hanno ripetutamente confermato che i respingimenti verso la Libia violano il diritto internazionale. I membri dell’alleanza da Germania, Francia, Italia e Spagna: Mediterranea Saving Humans Sea-Watch SOS-Humanity Tutti gli occhi sul Mediterraneo (TOM) Sea-Eye Louise Michel Pilotes Volontaires RESQSHIP Salvamento Marítimo Humanitario Mission Lifeline CompassCollective Sea Punks r42 – sail and rescue Ulteriori informazioni sulla Justice Fleet, una panoramica completa degli atti di violenza estremi documentati dalla cosiddetta Guardia Costiera libica, nonché la prima panoramica in assoluto sui casi giudiziari vinti dalle organizzazioni di ricerca e soccorso dal 2023 sono disponibili qui: justice-fleet.org   Sea Watch
Colpiti ma non fermi: la Ocean Viking si prepara a tornare in mare
Dall’attacco subito il 24 agosto da parte della Guardia Costiera Libica, la Ocean Viking è ancora ferma in porto per le riparazioni necessarie a garantire che la nave torni in mare in piena sicurezza e funzionalità. Da oltre due mesi la nostra squadra lavora senza sosta per tornare a salvare vite, ma l’obiettivo di ripristinare le condizioni ottimali per il ritorno in mare non è ancora stato raggiunto. A settembre abbiamo promosso un crowfunding e ci sono buone notizie. I due RHIB – i nostri gommoni veloci di salvataggio danneggiati durante l’attacco sono stati riparati e sono tornati a bordo della nave. Sono stati anche riparati i “Centifloats” forati dai proiettili: tubi galleggianti usati come paraurti e barriere per proteggere gli scafi, stabilizzare le manovre e creare corridoi d’imbarco sicuri. Le nuove finestre su misura per la plancia di comando, che andranno a sostituire quelle distrutte a colpi di mitra, arriveranno la prossima settimana. I vari componenti del team sono impegnati nei lavori di riparazione, in attesa di poter tornare a fare quello per cui hanno rischiato la vita: salvare persone in difficoltà e portarle in un posto dove possano sentirsi al sicuro. Nel frattempo, nel Mediterraneo centrale continua la strage silenziosa: nei giorni scorsi in diversi naufragi hanno perso la vita 3 bambini e una donna incinta, tra gli altri. “L’unica cosa che ha fatto il governo in questi mesi – spiega Valeria Taurino, direttrice generale di SOS MEDITERRANEE Italia – è stata rimanere immobile: immobile di fronte all’attacco ingiustificato e ingiustificabile che abbiamo subito e immobile di fronte al rinnovo automatico del Memorandum Italia Libia, che dal prossimo 2 novembre non sarà più modificabile. Abbiamo appaltato la gestione dell’immigrazione a uno Stato non sicuro, dove vengono sistematicamente violati i diritti umani e il diritto internazionale, solo per interessi politici e sulla pelle di uomini, donne e bambini innocenti: come associazione umanitaria non possiamo accettare questo epilogo, per questo riteniamo urgente tornare in mare a ribadire con forza che il diritto marittimo internazionale non è un’opzione trascurabile, ma dovrebbe essere alla base di ogni scelta compiuta in mare. Nonostante tutto quello che ci è capitato, torneremo presto dove c’è più bisogno di noi“. Redazione Italia
Roma, sit-in contro il rinnovo del Memorandum Italia-Libia
Si è tenuto oggi pomeriggio a Roma, nella centralissima Piazza Vidoni, nei pressi del Senato, un sit-in per protestare contro il rinnovo del Memorandum Italia-Libia, firmato nel 2017, che ormai avviene senza più passare da un voto della Camera e del Senato, come invece succedeva nei primi anni della sua stipula. Promotori della manifestazione sono stati i migranti del collettivo auto organizzato Refugees in Libya, insieme a numerose organizzazione per la difesa dei diritti umani, tra cui Mediterranea, Amnesty International, Emergency, Medici senza Frontiere e Mani Rosse Antirazziste. Per una volta i protagonisti sul palco erano i migranti stessi, che hanno portato le loro drammatiche testimonianze e hanno denunciato per crimini contro l’umanità la Presidente del Consiglio il Ministro degli Interni e quello della Giustizia. La violenza europea demandata alla Libia in mare e in terra, con i respingimenti illegali dei migranti e la loro detenzione nei famigerati lager finanziati dall’Italia e dall’Europa è oggi l’eco dal Mediterraneo centrale di quella esercitata contro i palestinesi e della repressione dell’azione solidale della Global Sumud Flotilla. Chi vuole rompere il blocco illegale di Gaza e chi vuole rompere il blocco dei confini esterni della Fortezza Europa appartiene alla stessa flotta. Sul palco hanno chiuso gli interventi un gruppetto di bambine e di bambini figli dei migranti e della nuova Europa, sventolando la bandiera azzurra di Refugees in Libya e gridando alternativamente “No memorandum!” e  “Free free Palestine!”. Foto di Francesca Cerocchi Mauro Carlo Zanella
No al rinnovo del Memorandum Italia-Libia
Entro il 2 novembre 2025 il governo italiano può chiedere la cessazione del Memorandum d’intesa con la Libia. Se non lo farà, il 2 febbraio 2026 l’accordo verrà automaticamente rinnovato per altri tre anni. Il Memorandum, firmato nel 2017 – ufficialmente ‘Memorandum d’intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo Stato della Libia e la Repubblica Italiana’-, prevede il sostegno alla cosiddetta Guardia Costiera libica e la collaborazione nel controllo delle frontiere. Nel concreto l’accordo si è tradotto nella detenzione arbitraria di migliaia di persone in movimento e nel respingimento forzato di oltre 158.000 persone verso la Libia, dove torture, violenze, detenzioni arbitrarie e tratta di esseri umani sono documentate da ONU, Corte Penale Internazionale e organizzazioni indipendenti. Nel marzo 2023, la Missione d’inchiesta delle Nazioni Unite in Libia ha accertato che nel Paese sono stati commessi crimini contro l’umanità e ha chiesto la cessazione di ogni forma di supporto agli attori libici coinvolti. Anche la Corte di Cassazione italiana e la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo hanno stabilito che la Libia non è un porto sicuro per lo sbarco delle persone soccorse. Nonostante ciò, la cooperazione continua: dall’inizio del 2025 oltre 20 mila persone sono state intercettate e riportate nei centri di detenzione libici secondo dati dell’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni. A quasi nove anni dalla sua firma, il Memorandum rappresenta una pagina oscura delle politiche migratorie italiane ed europee, una pagina che è ora di chiudere. L’intesa ha, infatti, contribuito a consolidare un sistema di violazioni sistematiche dei diritti umani a danno di persone in movimento e rifugiate, sostenendo di fatto pratiche di respingimento e detenzione illegittime, condotte pericolose e violente di intercettazione in mare da parte della cosiddetta Guardia Costiera libica, nonché la criminalizzazione delle Ong impegnate nelle attività di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale. Il Tavolo Asilo e Immigrazione (TAI), insieme alle organizzazioni della flotta civile e a numerose associazioni della società civile, chiedono con forza al Parlamento italiano di aprire un dibattito pubblico sul rinnovo dell’accordo, e al governo italiano di fermare il Memorandum Italia-Libia. Più nel dettaglio TAI, Ong e associazioni sollecitano l’esecutivo a: 1. Non rinnovare automaticamente il Memorandum d’intesa con la Libia e interrompere ogni forma di cooperazione – tecnica, operativa o logistica – che comporti il ritorno forzato di persone verso un Paese dove i loro diritti fondamentali non sono garantiti e conseguentemente una violazione del principio di non respingimento; 2. Rivedere integralmente gli accordi bilaterali con la Libia, orientandoli alla tutela della vita e dei diritti umani, alla chiusura dei centri di detenzione e alla creazione di alternative sicure e legali per chi cerca protezione; 3. Garantire piena trasparenza sull’uso dei fondi pubblici italiani ed europei destinati alle attività in Libia, rendendo pubbliche le informazioni su spese, progetti e soggetti coinvolti, e assicurando una valutazione indipendente dell’impatto sui diritti umani. Nonostante le richieste condivise da TAI, flotta civile e numerose organizzazioni della società civile, e nonostante le documentate evidenze circa il contesto segnato da impunità diffusa, abusi e violazioni, la mozione n. 1-00498 per la revoca del Memorandum con la Libia non è stata approvata oggi alla Camera. Presentata durante la conferenza stampa di ieri con la partecipazione di rappresentanti del TAI, di ONG impegnate in attività di ricerca e soccorso nel Mediterraneo, di Refugees in Libya e dei partiti promotori, la mozione rappresentava finalmente un’occasione concreta per un cambio di rotta nelle politiche migratorie italiane. Il voto negativo da parte della maggioranza conferma invece l’ennesima occasione persa dal governo italiano per assumere una posizione chiara in difesa dei diritti umani e porre fine alla complicità con le gravi violazioni commesse nei centri di detenzione libici. Per ribadire la richiesta di fermare il Memorandum Italia-Libia – interruzione che, ricordiamo, può avvenire in qualsiasi momento della sua validità – e smettere così di essere complici delle gravissime violazioni commesse sia nei centri di detenzione libici che in mare dalla cosiddetta Guardia Costiera libica, ci sarà un altro importante appuntamento: la manifestazione di sabato 18 ottobre a Roma organizzata da Refugees in Libya.   Sea Watch
Voluntary Humanitarian Refusal: la campagna di denuncia dei falsi rimpatri volontari dai paesi di transito
In vista della discussione sulla Legge di Bilancio e del rinnovo automatico del “Memorandum Italia-Libia”, in scadenza a febbraio 2026 ma la cui decisione per i successivi tre anni di estensione sarà presa già a partire da novembre di quest’anno, le organizzazioni promotrici della campagna “Voluntary Humanitarian Refusal – Una scelta che non puoi rifiutare” ovvero ActionAid, A Buon Diritto, ASGI, Differenza Donna, Le Carbet, Refugees in Libya, Lucha y Siesta e Spazi Circolari, hanno presentato i primi risultati nel corso di conferenza stampa alla Camera dei Deputati. Nel corso della presentazione della campagna a Milano lo scorso 24 maggio nel contesto degli Stati Generali sulla Detenzione Amministrativa, Maria Adelaide Massimi in rappresentanza dell’ASGI (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione) aveva evidenziato come il concetto stesso di “volontarietà” venga stravolto di fatto nella pratica ed esposto l’obiettivo dell’azione ovvero una chiara denuncia delle gravi criticità e dell’uso strumentale dei cosiddetti rimpatri volontari assistiti (RVA o Voluntary Humanitarian Return – VHR) dai paesi di transito, in particolare la Libia e la Tunisia, chiedendo al tempo stesso un cambiamento radicale nelle politiche migratorie europee. Le testimonianze sono inequivocabili: quando la scelta avviene all’interno dei centri di detenzione, sotto minaccia di espulsione o in contesti di violenza e violazione sistematica dei diritti fondamentali, non c’è di fatto nulla di ‘volontario’ e si tratta di ‘espulsioni camuffate’ come illustrano i promotori della campagna, il cui manifesto è stato firmato da 64 associazioni e 320 persone in pochi mesi. «Non è un caso – ha spiegato Massimi – che l’esistenza di alternative al rimpatrio non sia nemmeno contemplata nella definizione ufficiale dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), che è di fatto l’unico ente a implementare questi programmi». Eppure, ha sottolineato Massimi, «secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani e il Relatore Speciale ONU per i diritti dei migranti, la presenza o meno di alternative è determinante nel qualificare un rimpatrio come effettivamente volontario». Nel 2018, durante una visita in Niger, il Relatore Speciale ha chiarito che nella maggior parte dei casi i rimpatri volontari non rispettano i criteri di reale volontarietà: le persone migranti si trovano di fronte a scelte obbligate, spesso tra la detenzione, lo sfruttamento o il ritorno in paesi dai quali erano fuggite. La volontarietà e la legalità dei rimpatri effettuati nell’ambito del quadro RVA, in particolare per le persone vulnerabili, tra cui donne, bambini, vittime della tratta e persone con esigenze mediche, continuano a destare preoccupazione a tutti i livelli. Le criticità di questo meccanismo sono, infatti, ben note alle persone che vivono le rotte migratorie, così come ad accademici e organizzazioni impegnate nel settore. Tuttavia, nell’opinione pubblica prevale ancora una narrazione “umanitaria” del rimpatrio volontario, visto come una forma di supporto a chi si trova in situazioni insostenibili nei paesi di transito. In realtà, è proprio questa rappresentazione a nascondere il nodo centrale: le condizioni di insostenibilità nei paesi di transito non sono accidentali, bensì il prodotto diretto delle politiche europee di esternalizzazione. «Bisogna allargare lo sguardo – ha affermato Massimi – e interrogarsi sulla responsabilità dell’Unione europea nella creazione di queste situazioni. I finanziamenti e i mezzi forniti alla Guardia costiera libica o alla Garde nationale tunisina parallelamente ai sistemi di controllo della mobilità nei paesi di transito sono strumenti che, di fatto, bloccano le partenze e contribuiscono a creare scenari di violenza strutturale». In questo contesto, il ricorso massiccio ai rimpatri “volontari” allontana il problema dalle frontiere europee, lasciando le persone migranti sprofondare nuovamente nei sistemi oppressivi dai quali erano fuggite, spesso aggravando la situazione con lo stigma del ritorno e del fallimento. Particolarmente drammatica la situazione delle persone vittime di tratta: bloccate in Libia, impossibilitate a proseguire il viaggio, finiscono per essere ricondotte nei paesi d’origine – dove le attende, molto spesso, una nuova spirale di sfruttamento e violenza, senza reali prospettive di pianificazione futura né tantomeno di salvezza. L’ASGI, con altre organizzazioni ed esperti giuridici in tutta Europa, da molto tempo è impegnata in contenziosi presso i Tribunali Amministrativi per sottoporre a giudizio la legittimità dei finanziamenti ai programmi di rimpatrio dalla Libia e dalla Tunisia. «L’esito non è ancora favorevole – ha specificato Massimi – ma quel che è emerso con chiarezza è la profonda mancanza di consapevolezza pubblica sulle implicazioni di questi meccanismi». Proprio per queste ragioni la campagna “Voluntary Humanitarian Refusal” ha un duplice obiettivo: aprire un dibattito pubblico sulle responsabilità europee nella produzione di condizioni inumane nei paesi di transito e rilanciare l’urgenza di alternative politiche. «L’alternativa – ha concluso Massimi – esiste sempre: è una scelta politica. Occorre prima di tutto liberarsi dalla retorica dell’aiuto umanitario che, di fatto, legittima l’inazione e normalizza la violenza strutturale. Dopodiché la nostra richiesta riguarda anche l’attivazione di politiche di protezione verso le persone bloccate nei paesi di transito e la sospensione di ogni forma di cooperazione con questi paesi finalizzata al blocco della mobilità». Anna Lodeserto
Cento persone intercettate e ricondotte in Libia
Ieri il nostro aereo da ricognizione Seabird ha assistito all’ennesimo respingimento violento operato dalla cosiddetta Guardia Costiera libica. Quasi 100 persone sono state intercettate e catturate dopo che la loro imbarcazione era stata segnalata da Frontex. Quello che è seguito è stato un incubo, che abbiamo potuto solo osservare inermi dall’alto. I miliziani libici armati di bastoni si sono lanciati all’inseguimento di un gruppo di persone in fuga nel Mediterraneo e hanno poi dato fuoco alla barca. Adesso le persone catturate sono rinchiuse nei centri di detenzione libici, noti per torture e abusi sistematici. Questi sono i criminali che il governo italiano sostiene attraverso il Memorandum Italia-Libia, ed è per questo che ci uniamo alla denuncia di Refugees in Libya  per chiedere ancora una volta la fine degli accordi che dal 2017 finanziano un ciclo di abusi con i soldi dei contribuenti d’Italia e Europa. Spiega Giorgia Linardi, portavoce di Sea-Watch:“I cittadini devono sapere che quasi un miliardo delle loro tasse è stato investito negli ultimi otto anni per contenere le persone in fuga dall’altro lato del Mediterraneo, ad un altissimo costo non solo economico, ma innanzitutto umano.” “È imprescindibile per noi – conclude Linardi – unirci alla voce di chi è sopravvissuto a questo sistema atroce. Chiediamo alle istituzioni di interrompere una politica che uccide non solo le persone in fuga, ma anche i valori fondanti della nostra democrazia e dell’umanità.” Sea Watch