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SCUOLE E UNIVERSITÀ “NON SI ARRUOLANO”, MOBILITAZIONI IN TUTTA ITALIA. 300 PERSONE A BRESCIA
“Il 4 novembre non è la nostra festa! Contro la militarizzazione della cultura, contro il riarmo e le politiche di guerra, per sostenere la Palestina. Costruiamo l’alternativa”. Sono 38 le piazze convocate in tutta Italia dall’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università. Sul senso e il significato di questa giornata di mobilitazione abbiamo sentito Serena Tusini dell’Osservatorio.  Ascolta o scarica  A Brescia si è svolta una partecipata assemblea studentesca questo pomeriggio alle ore 15 presso Magazzino 47.  Sindacati di base e altre realtà del mondo politico e dell’istruzione si sono dati appuntamento alle ore 18 in Piazza Paolo VI.  Poco dopo l’inizio del presidio, quando erano presenti circa 300 persone, ci siamo collegati con piazza Paolo VI dove era presente Marco, inviato della nostra redazione, che ha anche intervistato Alessandro Scattolo dell’Osservatorio, Elisa studentessa universitaria, Olivia del Fronte della Gioventù Comunista, Anna e Martina due lavoratrici del mondo della cultura. Ascolta o scarica
«Riconvertiamo le fabbriche di morte» contro il riarmo nella valle del Sacco
Abbiamo intervistato Federico Bernardini, di Disarmiamoli Valle del Sacco, in vista della mobilitazione prevista per il 26 ottobre a Colleferro che connette la lotta contro il genocidio alla lotta contro il riarmo. Nella provincia di Roma infatti, hanno luogo progetti di espansione dell’industria bellica connessi con la drammatica situazione internazionale. Avete lanciato una mobilitazione importante per domenica 26 ottobre, che unisce la solidarietà alla Palestina e la critica all’economia di guerra con la tutela del territorio, ci racconti le ragioni della manifestazione il percorso che ha portato a questa data? Le ragioni che ci hanno spinto a promuovere la manifestazione sono principalmente tre: 1. Esprimere solidarieta al popolo palestinese e ribadire che siamo per il diritto all’autodeterminazione dei popoli, temendo che questo discutibile accordo di pace possa far calare l’attenzione sul genocidio in atto in Palestina. 2. Ribadire l’opposizione alle politiche di riarmo nazionali ed europee che drenano fondi pubblici e li sottraggono a settori molto sensibili, soprattutto per quanto riguarda la Valle del Sacco, come bonifiche ambientali e sanità pubblica. 3. Chiedere la riconversione delle industrie belliche del territorio (KNDS e Avio) per non sentirci complici della devastazione in Palestina, ma anche in Sudan e Ucraina e negli altri luoghi del mondo dove ci sono conflitti armati. Il percorso che ci ha portato a questa manifestazione nasce agli inizi del 2024, quando siamo rimasti scioccat* da mesi di risposta brutale dell’IDF ai fatti del 7 ottobre. Ad un certo punto non siamo più riuscit* a rimanere in silenzio ed abbiamo sentito la necessità di creare un coordinamento per cominciare a controbattere la narrazione dominante sulle motivazioni del riaccendersi di un conflitto quasi secolare. Abbiamo organizzato una serie di cineforum itineranti nei paesi della zona, dove proiettavamo documentari e film che spiegavano la condizione di occupazione e apartheid in cui sono costretti a vivere i palestinesi, forum sulle fabbriche di armamenti, fiaccolate e sit-in in solidarieta con la global sumund flottilla. L’evento più partecipato è stato sicuramente il sit-in contro l’ampliamento della KNDS ad Anagni. Il territorio di Colleferro è da sempre un territorio sacrificato allo sviluppo del capitale e alla esternalizzazione del peso ecologico di una città come Roma. Potresti spiegarci in che termini? Colleferro nasce intorno ad una fabbrica di armamenti e di prodotti chimici, durante il ventennio fascista. Ha sofferto i danni causati dalle scorie di tali industrie, primo fra tutti il betaesaclorocicloesano, una molecola derivata dalla lavorazione del Lindano (un insetticida utilizzato in agricoltura), ma non solo. La presenza di un enorme cementificio e di fabbriche belliche (SNIA BPD) hanno contribuito gravemente all’inquinamento del territorio. Alla fine anni 90, Colleferro diventa un polo dei rifiuti, con l’istituzione della discarica di Colle Fagiolara e, successivamente, dei due inceneritori. Da qui si comincia a sentire il peso dei rifiuti della capitale che arrivano ad aggravare una situazione già pesantemente compromessa. Attualmente gli inceneritori sono chiusi e la discarica è in fase di chiusura, ma la speculazione non ha abbandonato il nostro territorio. Centinaia di ettari di capannoni per la logistica stanno invadendo la Valle del Sacco, accompagnati da centinaia di ettari di parchi fotovoltaici che sorgeranno su terreni agricoli. Da ultimo, ma non per importanza, oggi assistiamo all’ampliamento delle industrie belliche. A pochi chilometri da Colleferro, ad Anagni c’è una vicenda salita da qualche tempo agli onori della cronaca per via di un progetto della ditta KNDS, ex Winchester, sui capannoni di una ex fabbrica, ce lo puoi raccontare? Ad inizio 2025, navigando tra i progetti in VIA sul sito della regione Lazio, un membro della mia associazione incappa in questo progetto di ampliamento della ex Winchester, oggi KNDS. La KNDS Ammo Italy ha una sede anche a Colleferro dove produce munizionamento di ogni genere, ed è leader mondiale nella produzione di munizionamento navale. Nella sede di Anagni, fino ad ora, si occupavano di dismettere munizionamento scaduto. Questo progetto invece, attraverso il finanziamento europeo ASAP, regala 25 milioni di euro a KNDS per la costruzione di 11 capannoni, destinati alla produzione di nitrogelatina, [esplosivo, necessario per la produzione di propellenti militari ndr] per circa 40 tonnellate al mese. Non è l’unico caso di industria bellica in espansione nel territorio. Avio Spa, società controllata da Leonardo, che fino a pochi anni fa operava quasi esclusivamente nel settore aerospazio, si sta ampliando nel territorio di Colleferro, grazie ad una variante urbanistica\lottizzazione approvata dalla giunta comunale. Ora ha aperto una sede negli USA con lo scopo dichiarato di arrivare al 40 per cento del suo fatturato derivante dal dipartimento difesa. Avio e’ leader nella produzione di motori per missili terra-aria. Già li produceva per la europea MBDA ma ora comincera a produrli anxche per l’US army e per industrie americane come Raytheon direttamente coinvolte nel genocidio palestinese. KNDS Ammo Italy produce munizionamento compatibile con l’artiglieria terrestre israeliana e munizionamento navale che potrebbe essere stato utilizzato dalle motovedette israeliane per bombardare Gaza, come ci dice un’inchiesta della rivista Altraeconomia. Purtroppo non possiamo affermare con certezza che KNDS rifornisce direttamente l’IDF ma possiamo affermare che, vendendo munizionamento agli USA, dà la possibilità a questi ultimi di esportare munizioni verso Israele senza svuotare i propri magazzini. L’economia di guerra a Colleferro oggi impiega persone. Come riuscire, nella vostra esperienza, a superare la dicotomia ambiente e pace vs. lavoro e quindi come allargare il consenso nella lotta contro il riarmo anche in territori come il vostro? L’economia di guerra oggi a Colleferro impiega più di mille persone, un numero importante in una cittadina di ventimila abitanti. Siamo coscienti di questo e del fatto che da questo lavoro derivi la sopravvivenza di altrettante famiglie. Ed è per questo che chiediamo la riconversione e non la chiusura di queste industrie. Avio e Knds, insieme, occupano quasi mille ettari, oltre un terzo del totale del territorio di Colleferro. La loro presenza inibisce ogni qualsivoglia speranza di sviluppo industriale, agricolo e sociale del nostro territorio, piegandolo alle proprie necessità. Ad esempio il Comune di Colleferro, intenzionato a creare una nuova area industriale, fa un avviso pubblico per sondare la possibilità di istituirla su terreni agricoli, quando potrebbe semplicemente far leva per utilizzare i terreni industriali posseduti da Secosvim (910 ettari), una società immobiliare controllata al 100 per cento da Avio Spa. Non è questa la strada per una riconversione ecologica dell’area. La foto di copertina è di Marta D’Avanzo, Dinamopress SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress si può donare sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo «Riconvertiamo le fabbriche di morte» contro il riarmo nella valle del Sacco proviene da DINAMOpress.
21 giugno: in piazza per fermare la guerra, in piazza per riprendersi il futuro
I venti di guerra soffiano sempre più impetuosi e con l’attacco di Israele all’Iran e l’apertura del relativo fronte si moltiplicano le possibilità di una guerra globale, mentre continua nella più assoluta impunità il genocidio a Gaza del popolo palestinese e nessuna via d’uscita sembra essere all’orizzonte della guerra in Ucraina. > Ma qualcosa si muove per contrastare questo drammatico scenario e sabato 21 > giugno una grande manifestazione nazionale attraverserà Roma (appuntamento > Porta S. Paolo ore 14) per dire No alla guerra, al riarmo, al genocidio e > all’autoritarismo. Il 21 giugno non è una data qualsiasi ed è stata scelta perché pochi giorni dopo (dal 24 al 26 giugno) si terrà a L’Aja il vertice Nato che andrà a stabilire le linee guida europee e atlantiche in merito alla difesa e alla sicurezza. Un vertice nel quale la Nato chiederà a tutti i Paesi di portare le spese per gli armamenti al 5% del Pil (100 miliardi in più per l’Italia). E sarà una giornata di mobilitazione continentale, con manifestazioni nelle principali capitali europee, oltre che direttamente a L’Aja, sede del vertice Nato. Sono mobilitazioni promosse dalla campagna Stop ReArm Europe, nata per contrastare l’avvio della svolta bellicista europea, innescata dalla Commissione europea nel marzo scorso, quando la Presidente Ursula von der Leyen ha indicato il riarmo e la guerra come nuova dimensione per i popoli europei, approvando il Libro Bianco per la difesa e un pacchetto di misure finanziarie per mettere in campo 800 miliardi da investire nel settore bellico. In soli tre mesi, la campagna Stop ReArm Europe ha già raggiunto oltre 1600 adesioni di reti, realtà, comitati e collettivi provenienti da 18 Paesi europei, mentre nel nostro Paese sono già oltre 450 le realtà che partecipano al percorso. Due sono gli elementi distintivi di questa nuova campagna: l’analisi sulla guerra come dimensione sistemica e la necessità di una mobilitazione che sia europea per poter rispondere all’altezza della sfida. LA GUERRA COME DIMENSIONE SISTEMICA Lungi dall’essere un’anomalia della «pacifica convivenza garantita dal libero mercato», la guerra è la nuova dimensione sistemica agita dal modello capitalistico per non affrontare le proprie contraddizioni. Quattro decenni di politiche neoliberali, incentrate sull’espansione dei grandi interessi finanziari, sulla trappola del debito e relative privatizzazioni, sull’erosione dei diritti sociali e del lavoro hanno provocato una concentrazione di ricchezza e una diseguaglianza sociale che non hanno precedenti nella storia dell’umanità. > Contemporaneamente, la crisi ecoclimatica prodotta da questo modello > estrattivista, predatorio ed energivoro investe ormai la quotidianità delle > persone mettendo a rischio la stessa sopravvivenza della specie umana sul > pianeta. Sono contraddizioni che, se affrontate con consapevolezza, porterebbero a dichiarare l’insostenibilità di questo modello economico-sociale e la necessità di una radicale trasformazione della società. Ed è qui che si situa la nuova dimensione della guerra: come necessità, se non per risolvere i problemi strutturali del modello capitalistico, almeno per rimandare la presa d’atto della sua insostenibilità. Come fa il passante che, incrociando una lattina abbandonata sul marciapiede, le tira un calcio spingendola in avanti di qualche metro, così la guerra pospone la presa d’atto del fallimento del modello capitalistico e cerca di riaprire, attraverso la distruzione, una nuova stagione di crescita dei profitti basata sulla ricomposizione dei rapporti di forza geopolitici e sui grandi investimenti necessari alla ricostruzione di quanto demolito. Per questo non siamo di fronte a incidenti di percorso, bensì a un processo sistemico che investe l’economia, la società, la natura, la cultura e la democrazia. Un processo da fermare al più presto se ci si vuole riappropriare di una possibilità di futuro. LA DIMENSIONE EUROPEA DELLE LOTTE L’Europa è il continente sul quale stanno precipitando tutte le contraddizioni sopra descritte: un continente di economie forti al cui interno sono oltre 95 milioni le persone che vivono a rischio povertà; un territorio nel quale i cambiamenti climatici incidono più del doppio di ogni altra area del pianeta; un’area consegnata ai grandi interessi tecnocratici e finanziari che hanno prodotto governi populisti, reazionari e neofascisti. A queste contraddizioni, l’attuale governance europea ha deciso di rispondere con la svolta bellicista, mettendo in campo strumenti finanziari per investire oltre 800 miliardi nelle politiche di difesa; dichiarando fuori dal patto di stabilità e dalle relative restrizioni tutti gli investimenti nell’industria degli armamenti e permettendo di devolvere al settore bellico i fondi per la coesione ordinariamente destinati alle aree disagiate del continente. Non solo: abdicando a qualunque ruolo diplomatico, ha deciso di partecipare direttamente alla guerra scatenata dall’invasione russa in Ucraina e di divenire complice del genocidio della popolazione palestinese a Gaza. La guerra come motore della crescita e dell’economia ha tuttavia necessità di popolazioni disciplinate e rassegnate: per questo si approvano leggi liberticide contro le proteste sociali come il DL Sicurezza in Italia; per questo nel Libro Bianco sulla difesa europea si propongono programmi di formazione che aiutino i cittadini «ad allineare le proprie percezioni sulle minacce esterne a cui l’Europa dovrà far fronte». > Non vi sarà alcuna possibilità di fermare tutto questo senza la costruzione di > una mobilitazione sociale che sia capace di situarsi almeno sulla dimensione > europea, ponendosi come contropotere sociale capace di agire all’altezza della > sfida che abbiamo di fronte. 21 GIUGNO: UN PRIMO IMPORTANTE PASSO Dopo diversi anni di divisione e frammentazione fra i movimenti sociali, la campagna Stop ReArm Europe sembra aver innescato una salutare inversione di rotta. Le adesioni, in continuo aumento, all’appuntamento del 21 giugno segnalano la ricomposizione di una alleanza sociale dal basso ampia, plurale e articolata, capace di riaprire un nuovo capitolo della mobilitazione sociale nel nostro Paese e a livello europeo. Perché questo avvenga occorre non fare salti in avanti: la manifestazione nazionale del 21 giugno è solo un primo passo per ridare un luogo collettivo e comune alle decine di migliaia di donne e uomini che da sempre sono in campo contro la guerra e per la pace, per il disarmo, per la giustizia sociale e climatica. Il passo successivo sarà quello di andare oltre l’evento per sedimentare dentro i territori, dentro i luoghi di studio e di lavoro, dentro la società una capacità di riappropriazione collettiva dei beni comuni, dei diritti e delle risorse collettive per fermare il baratro nel quale vorrebbero farci precipitare e riaprire la strada dell’alternativa di società. “O la Borsa o la vita” – ci intimano armati fino ai denti. A partire dal 21 giugno dobbiamo dimostrare collettivamente di avere scelto la vita. Tutte e tutti insieme, la vita. L’immagine di copertina è Francesco Arrigoni SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress si può donare sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo 21 giugno: in piazza per fermare la guerra, in piazza per riprendersi il futuro proviene da DINAMOpress.