Che professori e professoresse siamo? Alcune riflessioni sul ruolo dell’intellettuale
Le nostre posizioni sulla militarizzazione delle scuole, delle università e
della società in generale suscitano spesso reazioni ostili e rabbiose in quella
parte di opinione pubblica reazionaria o conformista o semplicemente
disinformata, gonfiata ormai dalla propaganda guerrafondaia di lungo corso che
l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università tre
anni fa ha cominciato a denunciare.
In questa parte di opinione pubblica stanno politici, opinionisti/e e anche
genitori.
«Che vergogna, un professore così!». Una parte della classe docente viene
aggredita e professionalmente delegittimata sulla base di legittime opinioni (la
democrazia, la pace, l’antimilitarismo) e delle azioni conseguenti (la denuncia
e la disobbedienza civile) di cui è stata un esempio l’azione a bordo della
“Vespucci” da parte di due militanti dell’Osservatorio (clicca qui per la
notizia).
Un precedente di questo atteggiamento ci fu il 30 marzo 2022, quando un ministro
per i Rapporti con il Parlamento affermò in un question time, dando voce a una
forma mentis illiberale: «Gli insegnanti inadempienti [all’obbligo vaccinale]
disattendono il patto sociale ed educativo su cui si fonda la comunità nella
quale sono inseriti. Il puro e semplice rientro in classe avrebbe comportato un
segnale altamente diseducativo».
Secondo questo modo di pensare a agire da parte dei politici, che si tratti di
obbligo vaccinale o di militarizzazione, il docente e la docente sarebbero
“obbligati” (pena la loro estromissione) a sospendere ogni giudizio critico,
ottemperare e tacere, tuttavia, questo obbligo non solo non esiste, ma è
anticostituzionale.
Chiediamoci: rifiutare la “cultura della difesa”, i militari nelle scuole, la
ricerca finanziata dal settore militare industriale vuol dire disattendere il
patto sociale? Esprimere e motivare liberamente la propria opinione e agire di
conseguenza vuol dire proporsi come modello diseducativo?
Se ci riflettiamo un momento la risposta è no. Anzi, rifiutando i militari nelle
scuole si testimonia e si dà valore alla libertà di pensiero che sta alla base
della democrazia e della cultura, da cui derivano poi le scelte collettive,
politiche. Scelte politiche intelligenti ed efficaci – non dispendiose e nemmeno
disastrose, come la guerra nella quale ci stanno conducendo.
Occorre quindi rispedire al mittente tutte queste deliranti accuse che
presuppongono un patto sociale bellicista e un modello di insegnante omologato,
francamente inaccettabile e pernicioso. Queste accuse fanno parte della
propaganda in cui siamo immersi, grazie all’inconsistenza di scelte politiche –
queste sì – dannose e nocive per il patto sociale: la guerra invece della
diplomazia, la produzione e il commercio di armi, l’alleanza ottusa con un
impero in declino, quello americano, la connivenza con “ Stati canaglia” che non
solo vogliono guerre ma le fanno con il terrorismo di Stato, come Israele.
Gli/le Insegnanti, i professori e le professoresse, in quanto intellettuali che
hanno a cuore il parlare franco e critico, in quanto educatori che hanno il
privilegio di parlare in pubblico davanti a soggetti politici in crescita,
stanno dando voce a quello che la maggioranza delle persone – in Italia, in
Europa, nel Mondo – pensano, ma che in questa fase storica hanno difficoltà a
dire e a far valere.
Lorenzo Perrona, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle
università