Tag - professori

Burnout docenti: un’emergenza educativa e democratica
Il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani (CNDDU) denuncia con forza la crescente incidenza del burnout tra i docenti italiani ed europei, una condizione che non può più essere interpretata come disagio individuale, ma come emergenza sistemica che mina il diritto all’educazione e la qualità della democrazia. Secondo i dati più recenti diffusi dall’OECD TALIS 2024, circa il diciotto per cento degli insegnanti della scuola secondaria dichiara di provare un livello elevato di stress, e più della metà individua nel carico burocratico la principale fonte di pressione professionale. In Italia, soltanto il quattordici per cento dei docenti ritiene che la propria professione sia realmente valorizzata dalla società, mentre appena il 5,8 per cento crede che la voce degli insegnanti sia ascoltata dai decisori politici, come evidenziato dall’OECD Education GPS 2024. Il disagio non è confinato ai confini nazionali. Nell’Unione Europea, numerosi Paesi – fra cui Francia, Croazia, Portogallo, Slovacchia e Slovenia – registrano livelli di riconoscimento sociale del docente inferiori al dieci per cento. Il rapporto UNESCO-Fundación SM “Global Report on Teachers” (2024) stima che oltre il novanta per cento del turnover di insegnanti in Europa e Nord America sia legato a condizioni lavorative insostenibili e alla perdita di motivazione professionale. Si tratta di una crisi strutturale che riflette non solo la carenza di risorse, ma anche la progressiva erosione dell’identità di chi educa. Una ricerca internazionale pubblicata nel 2024 su ResearchGate (“Stress, Burnout and Resilience: Are Teachers at Risk?”) ha rilevato che circa il sei per cento dei docenti presenta simultaneamente esaurimento emotivo, cinismo e ridotta efficacia personale, i tre sintomi chiave del burnout. Gli psicologi del lavoro sottolineano che l’esposizione prolungata a richieste eccessive genera un logoramento profondo della motivazione e della capacità di relazione, con conseguenze dirette sulla qualità dell’insegnamento e sulla salute mentale. Il CNDDU richiama l’attenzione delle istituzioni sul fatto che la tutela della salute psicologica dei docenti non è un atto di benevolenza, ma l’attuazione di un diritto umano universale sancito dall’articolo 25 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e recepito dal D.Lgs. 81/2008 in materia di rischi psicosociali. Una scuola che non protegge chi insegna non può garantire pienamente il diritto all’apprendimento di chi studia. Alla luce di questi dati, il CNDDU avanza una proposta concreta al Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara: promuovere un grande patto per il benessere degli insegnanti, una “Carta del Benessere Docente” che riconosca la salute mentale come componente essenziale della professionalità educativa. Tale iniziativa dovrebbe prevedere un monitoraggio periodico del clima lavorativo, un sostegno psicologico continuativo accessibile a tutti gli istituti, la semplificazione delle procedure amministrative e un piano di formazione volto a rafforzare la consapevolezza emotiva e la resilienza professionale. Esempi virtuosi in altri Paesi europei – come il Teacher Well-Being Programme britannico, sostenuto da Education Support (2024) – dimostrano che la prevenzione non è un costo ma un investimento: ogni euro speso in salute mentale dei docenti produce benefici misurabili in termini di qualità didattica, continuità formativa e riduzione dell’assenteismo. L’Italia può e deve farsi capofila di una nuova cultura educativa fondata sulla cura di chi si prende cura. Il CNDDU invita il Ministero a istituire un tavolo tecnico permanente con psicologi del lavoro, università e rappresentanze professionali per elaborare linee guida nazionali sulla prevenzione del burnout docente e sulla promozione del benessere emotivo nelle scuole. Rimettere al centro il valore umano dell’insegnamento significa restituire dignità alla scuola e forza alla democrazia. Perché un insegnante sostenuto non solo insegna meglio: testimonia, ogni giorno, che i diritti umani cominciano in classe. prof. Romano Pesavento presidente CNDDU Redazione Italia
Che professori e professoresse siamo? Alcune riflessioni sul ruolo dell’intellettuale
Le nostre posizioni sulla militarizzazione delle scuole, delle università e della società in generale suscitano spesso reazioni ostili e rabbiose in quella parte di opinione pubblica reazionaria o conformista o semplicemente disinformata, gonfiata ormai dalla propaganda guerrafondaia di lungo corso che l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università tre anni fa ha cominciato a denunciare. In questa parte di opinione pubblica stanno politici, opinionisti/e e anche genitori. «Che vergogna, un professore così!». Una parte della classe docente viene aggredita e professionalmente delegittimata sulla base di legittime opinioni (la democrazia, la pace, l’antimilitarismo) e delle azioni conseguenti (la denuncia e la disobbedienza civile) di cui è stata un esempio l’azione a bordo della “Vespucci” da parte di due militanti dell’Osservatorio (clicca qui per la notizia). Un precedente di questo atteggiamento ci fu il 30 marzo 2022, quando un ministro per i Rapporti con il Parlamento affermò in un question time, dando voce a una forma mentis illiberale: «Gli insegnanti inadempienti [all’obbligo vaccinale] disattendono il patto sociale ed educativo su cui si fonda la comunità nella quale sono inseriti. Il puro e semplice rientro in classe avrebbe comportato un segnale altamente diseducativo». Secondo questo modo di pensare a agire da parte dei politici, che si tratti di obbligo vaccinale o di militarizzazione, il docente e la docente sarebbero “obbligati” (pena la loro estromissione) a sospendere ogni giudizio critico, ottemperare e tacere, tuttavia, questo obbligo non solo non esiste, ma è anticostituzionale. Chiediamoci: rifiutare la “cultura della difesa”, i militari nelle scuole, la ricerca finanziata dal settore militare industriale vuol dire disattendere il patto sociale? Esprimere e motivare liberamente la propria opinione e agire di conseguenza vuol dire proporsi come modello diseducativo? Se ci riflettiamo un momento la risposta è no. Anzi, rifiutando i militari nelle scuole si testimonia e si dà valore alla libertà di pensiero che sta alla base della democrazia e della cultura, da cui derivano poi le scelte collettive, politiche. Scelte politiche intelligenti ed efficaci – non dispendiose e nemmeno disastrose, come la guerra nella quale ci stanno conducendo. Occorre quindi rispedire al mittente tutte queste deliranti accuse che presuppongono un patto sociale bellicista e un modello di insegnante omologato, francamente inaccettabile e pernicioso. Queste accuse fanno parte della propaganda in cui siamo immersi, grazie all’inconsistenza di scelte politiche – queste sì – dannose e nocive per il patto sociale: la guerra invece della diplomazia, la produzione e il commercio di armi, l’alleanza ottusa con un impero in declino, quello americano, la connivenza con “ Stati canaglia” che non solo vogliono guerre ma le fanno con il terrorismo di Stato, come Israele. Gli/le Insegnanti, i professori e le professoresse, in quanto intellettuali che hanno a cuore il parlare franco e critico, in quanto educatori che hanno il privilegio di parlare in pubblico davanti a soggetti politici in crescita, stanno dando voce a quello che la maggioranza delle persone – in Italia, in Europa, nel Mondo – pensano, ma che in questa fase storica hanno difficoltà a dire e a far valere. Lorenzo Perrona, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università