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La Cop nell’Amazzonia che muore
Piogge torrenziali, manifestazioni oceaniche, la pressione delle comunità indigene che ha attraversato i corridoi dei negoziati, e persino un incendio tra i padiglioni; un susseguirsi di eventi esterni ha accompagnato il vertice. Quelle fiamme divampate nei padiglioni non sono state altro che l’annuncio di una fumata nera che sarebbe arrivata poche ore dopo.  Il documento finale della COP, la Mutirao decision, denunciava che il testo in discussione era scritto di fatto dai PetroStati, grazie alle pressioni di Arabia Saudita, Stati Uniti e Russia.   Nonostante il nome simbolico del documento finale, Mutirao, che significa lavoro comunitario per conseguire un bene collettivo, questo testo farà il bene di pochi lasciando liberi i paesi ricchi di continuare a devastare.  Nel documento finale non c’è alcun riferimento ai combustibili fossili, non vengono neppure menzionati.  Il mondo si è congedato da Belém senza un piano per abbandonare gas, petrolio e carbone tornando indietro rispetto a quanto deciso a Dubai nel 2023. Le proteste e e danze indigene diventano una mera operazione i green whashing dell’amministrazione brasiliana. Ne abbiamo parlato con Andrea Merlone, Dirigente di ricerca all’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica (INRiM) e ricercatore associato all’Istituto di Scienze Polari del CNR. Ascolta la diretta:
Dichiarazione sulla COP 30 di Fridays For Future International
Ecco le richieste che supportiamo per questa COP 30: Decisione finale:  Chiediamo ai paesi partecipanti alla COP30 di impegnarsi a raggiungere una decisione finale per un percorso che porti all’eliminazione totale dei combustibili fossili. La formula di “transizione” della COP28 e la semplice “eliminazione graduale del carbone” della COP26 non sono più accettabili. Chiediamo inoltre che vengano gettate le basi per un nuovo accordo che vada oltre l’Accordo di Parigi e risponda alle sfide del nuovo contesto climatico e politico globale, in modo da scongiurare il pericolo di superare in modo permanente il limite di aumento della temperatura di 1,5 °C.   Obiettivo finanziario: Chiediamo che il NCQG sia aumentato a 1,3 trilioni di dollari all’anno entro il 2035 a favore dei paesi MAPA, anche per affrontare le perdite e i danni. Chiediamo l’accesso diretto ai finanziamenti affinché questi raggiungano effettivamente le comunità locali e le popolazioni indigene. È essenziale che i finanziamenti non comportino debiti e siano prevalentemente pubblici, che le barriere burocratiche siano ridotte al minimo e che il processo decisionale partecipativo sia rafforzato.   Cancellazione del debito: Senza la cancellazione del debito, i paesi MAPA saranno costretti ad allocare i fondi per il clima e per le perdite e i danni a progetti che consentano loro di ripagare i debiti contratti con il Nord del mondo. Inoltre, i paesi MAPA stanno già cedendo la gestione delle loro aree naturali a paesi stranieri in cambio di una parziale cancellazione del debito, minando così la loro autonomia territoriale. Chiediamo la cancellazione immediata dei debiti del Sud del mondo e la fine delle politiche di austerità, affinché i finanziamenti per il clima possano essere utilizzati per una transizione ecologica autonoma e guidata dalle comunità, dai lavoratori e dalle popolazioni indigene.   Tassare i più ricchi: Siamo favorevoli all’introduzione di un’imposta minima del 2% sul patrimonio dei centimilionari (Zucman), il cui gettito sarebbe destinato al finanziamento della lotta contro il cambiamento climatico e alla protezione delle foreste. Riteniamo inoltre che i paesi con maggiori risorse dovrebbero contribuire in modo proporzionale alla protezione dell’ambiente globale.   NDC 3.0: I paesi devono rivedere i propri contributi determinati a livello nazionale (NDC) e includere misure e politiche concrete in linea con l’obiettivo di limitare il riscaldamento a 1,5 gradi. Non possiamo accettare impegni vuoti che, da un lato, promettono di abbandonare i combustibili fossili e, dall’altro, continuano la loro espansione o trascurano una transizione giusta. Inoltre, è essenziale che le indicazioni del primo Global Stocktake siano attuate.   Palestina: Siamo al fianco della Coalizione palestinese COP30 e sosteniamo le richieste di un embargo energetico globale e della fine delle forniture di combustibili fossili a Israele, attraverso le quali i paesi stanno diventando complici di genocidio. Chiediamo la fine dell’apartheid idrica e della complicità dell’agroindustria. Israele non può partecipare alla COP30 come qualsiasi altro paese; le sue azioni devono essere condannate in ogni forum.   Perdite e danni: I finanziamenti per le perdite e i danni devono coprire i danni materiali e immateriali che le comunità subiscono a causa della crisi climatica, con un fabbisogno minimo di 400 miliardi di dollari all’anno. Ad oggi, sono stati versati nel Fondo solo 402 milioni di dollari: meno dello 0,2% del fabbisogno. È necessario un Segretariato indipendente dalla Banca Mondiale, con una gestione trasparente e inclusiva e canali di feedback diretti con le comunità. Le politiche e i piani nazionali NDC devono integrare gli impegni in materia di perdite e danni. È necessario sostenere risposte rapide agli shock climatici, microprogetti e sovvenzioni su piccola scala, responsabilizzando i governi locali e le comunità. Si tratta di un obbligo legale e di giustizia, secondo i principi di equità e responsabilità comune ma differenziata. Dobbiamo andare oltre i contributi volontari, rendendo vincolanti gli impegni e ritenendo responsabili i maggiori inquinatori.   Adattamento:  Nonostante i danni irreversibili causati dalla crisi climatica e la conseguente instabilità politica, i fondi stanziati per l’adattamento sono 12 volte inferiori al fabbisogno stimato di 310-365 miliardi di dollari all’anno entro il 2035. Solo il 40% del finanziamento totale per il clima è destinato all’adattamento. Per invertire questa tendenza, è essenziale dare priorità alla governance inclusiva e alle soluzioni di resilienza climatica guidate a livello locale, integrando sistematicamente il genere, l’equità e la giustizia nei processi decisionali. L’adattamento non può ignorare un approccio incentrato sulla comunità, soprattutto in contesti in cui le conseguenze della crisi climatica amplificano le vulnerabilità preesistenti. L’Obiettivo Globale di Adattamento (GGA) deve essere trasformato in un quadro operativo con obiettivi quantificabili e misurabili. Gli NDC e i NAP devono essere attuati attraverso sovvenzioni, strumenti agevolati e non generatori di debito per evitare di aumentare le vulnerabilità e le disuguaglianze.   Transizione giusta:  La transizione giusta non deve lasciare indietro nessuno. È la nostra occasione per ottenere posti di lavoro dignitosi, sovranità energetica e alimentare, comunità più forti e un pianeta vivibile per tutti. Non si tratta solo di energia pulita o industria verde; dobbiamo ripensare ogni settore – agricoltura, trasporti, turismo – senza dimenticare chi lavora nell’economia informale, nelle microimprese e chi è coinvolto nell’assistenza. Per raggiungere questo obiettivo, abbiamo bisogno di un meccanismo globale che promuova percorsi inclusivi, equi e incentrati sulle persone, applicando il principio delle responsabilità comuni ma differenziate. Dobbiamo cambiare le regole del gioco economico: modelli che riducano la povertà, tasse ambientali che colpiscano chi inquina (e poi ridistribuiscano le risorse) e la rottura degli accordi neocoloniali. Dobbiamo garantire finanziamenti nuovi, aggiuntivi, adeguati, non generatori di debito e prevedibili per questo meccanismo. E soprattutto, ascoltare i lavoratori e le comunità. Senza una partecipazione reale, non può esserci transizione. Per raggiungere questo obiettivo, la transizione giusta deve essere presa in considerazione negli NDC. Fridays For Future
“COP2025, siamo 1.5°C di ritardo”: grande striscione di Extinction Rebellion dal tetto di Porta Susa
Extinction Rebellion ha srotolato un grande striscione dal tetto di Porta Susa con scritto “COP2025: 1.5°C di ritardo”. Nei giorni della COP30, che si svolge a Belem in Amazzonia, il movimento denuncia il ritardo dei governi, e del governo italiano, in tema di politiche climatiche internazionali, che porteranno il pianeta a un aumento della temperatura di 2,6°C. Questa mattina, dopo essersi arrampicate con imbraghi e caschetti sul tetto della stazione di Porta Susa, alcune persone di Extinction Rebellion hanno calato sulla facciata di vetro sopra l’ingresso principale un grande striscione con lo slogan: “COP2025: 1.5°C DI RITARDO”. Sul marciapiede antistante, diverse persone si sono radunate in presidio per parlare con i passanti, mentre tra loro si aggirava una persona travestita da Bianconiglio, che nervosamente guardava il suo orologio e borbottava “È tardi”.  Un modo ironico per enfatizzare l’urgenza di politiche climatiche più incisive, proprio nei giorni in cui a Belem, la capitale dell’Amazzonia, si svolge la COP30, il vertice annuale sul clima. Qui i rappresentanti dei governi hanno presentato gli impegni di ogni nazione per mantenere l’aumento della temperatura sotto gli 1,5°C, una soglia che molti scienziati ritengono ormai impossibile da rispettare. Nonostante le promesse, infatti, i nuovi piani di taglio delle emissioni porteranno il pianeta a un catastrofico aumento della temperatura di 2,6°C. “La temperatura media lo scorso anno è stata di 1,55 °C: un evidente fallimento di tutte le politiche climatiche di questi anni” afferma Ivan “Le conferenze mondiali sono state trasformate da incontro della diplomazia mondiale in fiere commerciali tenute in petrostati tra i paesi più autoritari: l’Egitto, gli Emirati Arabi, l’Azerbajian. Migliaia di lobbisti, partecipano infatti ogni anno per difendere i loro profitti, impedendo che qualsiasi reale progresso venga fatto sulla strada della decarbonizzazione e della protezione del clima“. La partecipazione dell’industria del fossile ai summit internazionali è andata  infatti costantemente aumentando e a Belem quest’anno sono presenti oltre 1.600 lobbisti, un numero che supera quello di qualsiasi delegazione nazionale, esclusa quella brasiliana. Parallelamente il coinvolgimento di alcune delegazioni nazionali si è affievolito, ad esempio quello della delegazione italiana. La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, non sarà presente a Belem. “Un disimpegno che riflette la posizione dell’Italia sulle politiche di decarbonizzazione: antiscientifica e ideologica” continua Ivan. In Europa, infatti, il Bel Paese ha ostacolato l’avanzamento delle principali politiche europee per contrastare la crisi ecoclimatica: dalla riduzione delle emissioni al 2040, agli standard sulle auto elettriche, fino ai piani di decarbonizzazione industriale. Più recentemente, il governo ha inoltre dato il via libera a nuove trivellazioni in tutta Italia, con 34 nuove licenze per ricerca di petrolio e gas. La drammaticità della situazione è stata sottolineata in questi giorni anche da Antonio Guterres, il segretario generale dell’ONU, che in un’intervista rilasciata pochi giorni fa ha dichiarato “che abbiamo fallito e il superamento degli 1,5°C è ormai inevitabile nei prossimi anni”.  Nel solo 2025, in Europa, sono morte 16.500 persone per ondate di calore, e in tutto il mondo migliaia hanno perso la vita in eventi climatici estremi causati dall’aumento delle temperatura globale: più di 400 morti riconducibili agli incendi di Los Angeles dello scorso gennaio, oltre 200 morti nell’inondazione di Valencia dell’ottobre 2024, le isole di Jamaica e Cuba distrutte dal tornado Melissa solo pochi giorni fa. “Politiche del tutto ideologiche e antiscientifiche che si osservano anche a livello locale” aggiunge Irene di Extinction Rebellion. “La Regione, ad esempio, continua ad investire in settori altamente energivori ed estremamente impattanti sul territorio, come grandi opere e piste da sci”. Per il 2025, la Regione Piemonte ha infatti stanziato 70 milioni di euro per potenziare impianti di innevamento artificiale,  che richiedono grandi quantità di energia e di acqua, prelevata da bacini per l’innevamento artificiale – ben 23 in Piemonte – e compensare la carenza di neve naturale.  Questo nonostante in Piemonte siano 76 gli impianti sciistici dismessi, perché posti a quote dove ormai non nevica più. “Gli impatti della crisi sono sempre più intensi e chi oggi è al governo, in Italia come in Piemonte, ci sta letteralmente conducendo al collasso” – dichiara Elsa – “Siamo in emergenza, non c’è più tempo per le favole del governo: il momento è adesso, è già tardi”. Extinction Rebellion
Crisi climatica: “Agire prima che causi ulteriori devastanti danni ai diritti umani”
In occasione della Conferenza sul clima, iniziata oggi a Bonn e che andrà avanti fino al 26 giugno, Amnesty International ha pubblicato un nuovo briefing in cui ha chiesto agli stati di adottare urgentemente misure ambiziose in materia di clima, pianificando una transizione giusta per abbandonare i combustibili fossili, al fine di prevenire danni ancora peggiori ai diritti umani. Nonostante le sfide poste dal ritiro degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi sul clima, l’aumento delle pratiche autoritarie a livello globale e la crescente devastazione ambientale causata dai conflitti armati in corso nel Territorio palestinese occupato, in Sudan e in Ucraina, non è troppo tardi perché gli stati trovino un terreno comune e intensifichino l’ambizione climatica per il pianeta e per i diritti delle generazioni presenti e future. Nel 2024, per la prima volta, il mondo ha superato la soglia di 1,5°C di riscaldamento globale rispetto ai livelli preindustriali. Nell’anno più caldo mai registrato, incendi boschivi hanno devastato l’America Latina, i Caraibi sono stati colpiti dal primo uragano atlantico di categoria 5 mai verificatosi così presto nella stagione e parti dell’Europa centrale sono state sommerse da piogge pari a tre mesi in soli cinque giorni, mentre l’emergenza climatica, causata dalle attività umane e dal continuo uso di combustibili fossili, peggiora. “I nuovi e devastanti danni ai diritti umani causati dai cambiamenti climatici aumenteranno drammaticamente se non si riuscirà a contenere il riscaldamento globale. Sempre più persone saranno spinte nella povertà, perderanno le loro case o subiranno le conseguenze della siccità e dell’insicurezza alimentare. Nonostante l’aggravarsi della crisi climatica, le azioni dei governi per limitare la produzione e l’uso di combustibili fossili sono del tutto inadeguate”, ha dichiarato Ann Harrison, consulente per la giustizia climatica di Amnesty International. “I governi sono soggiogati dalle compagnie di combustibili fossili, che cercano di minimizzare i danni climatici e screditare la scienza climatica. Gli stati continuano a fornire sussidi a queste aziende, incentivando di fatto la prosecuzione dell’industria fossile. Tutte e tutti hanno diritto a vivere in un ambiente pulito, sano e sostenibile, ma con l’intensificarsi della crisi climatica, questo diritto, e altri, sono sempre più minacciati”, , ha proseguito Ann Harrison. In tutto il mondo, disastri “innaturali” aggravati dal cambiamento climatico, come siccità più gravi e inondazioni intense, stanno danneggiando i raccolti e causando scarsità di cibo e carenza d’acqua, contribuendo a sfollamenti, migrazioni e conflitti. Proteggere e ascoltare le voci dei territori Le comunità marginalizzate in prima linea e quelle che vivono accanto a impianti fossili, pur essendo tra le meno responsabili dell’uso di combustibili fossili, continuano a subire alcuni degli impatti peggiori del cambiamento climatico. Tra queste vi sono agricoltori di sussistenza, persone native e abitanti di stati insulari minacciati dall’innalzamento del livello del mare e da tempeste più violente, o di zone adiacenti a impianti di produzione e trasporto di combustibili fossili. Ad esempio, il Pakistan contribuisce per meno dell’uno per cento alle emissioni globali annuali di gas serra ma è tra gli stati più vulnerabili ai disastri climatici. In un rapporto pubblicato lo scorso mese, Amnesty International ha documentato come le alluvioni e le ondate di calore sempre più frequenti stiano causando morti evitabili, in particolare tra bambini piccoli e persone anziane. Nonostante l’urgenza della crisi climatica, chi chiede azioni alle autorità è oggetto di intimidazioni, stigmatizzazione, attacchi e criminalizzazione. In tutto il mondo i difensori e le difensore dei diritti umani ambientali rischiano la vita e la libertà per difendere le loro terre e il diritto delle loro comunità a un ambiente sano, come i Guerrieri per l’Amazzonia in Ecuador. La conferenza di Bonn rappresenta un’opportunità per puntare i riflettori sulla situazione in Azerbaigian, che ha ospitato la Cop29, dove il difensore dei diritti umani ambientali Anar Mammadli e la giornalista Nargiz Absalamova, che ha scritto su questioni ambientali, restano in carcere. Altri giornalisti che hanno riferito sulla situazione dei diritti umani in relazione alla Cop29 sono stati arrestati successivamente, in quella che è parsa una rappresaglia. Il Brasile, dove si svolgerà la Cop30, è uno degli stati più pericolosi per i difensori e le difensore dei diritti umani ambientali, che subiscono uccisioni, violenze, minacce e stigmatizzazione per il loro lavoro. “Le voci, le opinioni, le conoscenze e la saggezza delle persone native, delle comunità in prima linea e dei difensori dei diritti umani devono essere incorporate nelle politiche, nei piani e nelle azioni climatiche”, ha dichiarato Ann Harrison. “Ancora una volta, giungono notizie di accrediti limitati e problemi con i visti per chi proviene dal Sud globale e desidera partecipare alla conferenza di Bonn. Inoltre, gli Accordi del paese ospitante della Cop, uno strumento fondamentale che deve essere rafforzato per garantire la libertà di espressione e di riunione pacifica ai partecipanti, non sono resi pubblici come prassi ordinaria”. Affrontare il nodo dei finanziamenti climatici Amnesty International chiede inoltre agli stati di affrontare la questione del finanziamento climatico. Attualmente, gli stati a basso reddito stanno pagando più in rimborsi del debito di quanto ricevano in finanziamenti climatici dai paesi ad alto reddito. Gli stati storicamente più responsabili delle emissioni continuano a sottrarsi all’obbligo di fornire finanziamenti a quelli a basso reddito per ridurre le emissioni e di aiutare le comunità ad adattarsi ai cambiamenti climatici, oltre a fornire risarcimenti per perdite e danni, che potrebbero alleggerire il peso in quei paesi colpiti dagli impatti climatici. “Tassare le compagnie di combustibili fossili, i profitti straordinari delle imprese e le persone con un alto patrimonio netto, nonché porre fine ai sussidi e agli investimenti nei combustibili fossili e agli abusi fiscali globali, potrebbe generare oltre 3000 miliardi di dollari l’anno, una somma che potrebbe contribuire in maniera significativa ad affrontare la crisi climatica”, ha affermato Ann Harrison. Servono cambiamenti enormi La Conferenza sul clima di Bonn è un momento chiave di preparazione per la Cop 30 in Brasile, lo stato ospitante che intende promuovere pubblicamente un messaggio di protezione ambientale globale. Tuttavia, internamente, alcune istituzioni stanno adottando misure contrarie a questa agenda, come la concessione di autorizzazioni meno rigorose per progetti ambientalmente distruttivi e l’espansione della produzione di combustibili fossili. “Se si vuole prendere sul serio il cambiamento climatico e mantenere il riscaldamento globale al di sotto di 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali, è necessario ottenere progressi concreti con scadenze chiare verso un finanziamento climatico su misura, notevolmente potenziato, in particolare per l’adattamento e per perdite e danni, sotto forma di sovvenzioni, non prestiti, e con i paesi più responsabili delle emissioni che contribuiscano in misura maggiore”, ha dichiarato Ann Harrison. Amnesty International chiede agli stati di impegnarsi per una rapida, equa e finanziata eliminazione completa dei combustibili fossili attraverso transizioni giuste in tutti i settori, senza fare affidamento su tecnologie rischiose e non comprovate o su compensazioni che non portano a reali riduzioni delle emissioni. Chiede inoltre che i dibattiti sul cambiamento climatico siano inclusivi, coinvolgano le persone più colpite e che a queste venga garantito un accesso reale e senza discriminazioni alle negoziazioni di alto livello. Amnesty International