Demolizione e ricostruzione di immobili, il Consiglio di Stato fa chiarezzaMentre si profila all’orizzonte una nuova legge che si inserisce nel filone
della cosiddetta “Salva Milano” ad opera del Ministro delle Infrastrutture e dei
Trasporti Matteo Salvini, proponiamo una sentenza del Cosniglio di Stato
pubblicata qualche settimana fa che fa finalmente chiarezza, con rigore e buon
senso, su cosa si debba intendere per “rigenerazione urbana” e con quali
modalità si debba applicare perchè vada nel senso dell’interesse pubblico e non
della speculazione privata. Una sentenza che adesso potrebbe essere del tutto
superata dalle modifiche normative al Testo Unico dell’edilizia che si vogliono
introdurre e che sono l’ennesima offensiva alla qualità della vita dei
cittadini, oltre che della tutela dell’ambiente e del paesaggio.
Il dibattito sull’urbanistica scaturito dalla proposta di legge cosiddetta
“Salva Milano” (1), a sua volta scaturita dalle indagini della magistratura su
controverse decisioni urbanistiche del capoluogo lombardo, ruota
fondamentalmente intorno a due punti: il primo riguarda l’obbligo di un “piano
particolareggiato” stilato dal Comune per la costruzione di immobili che
superano le altezze e gli indici stabiliti dalla legge (2); il secondo, un
corollario del primo, riguarda il titolo edilizio necessario per gli interventi,
se la SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività), o il Permesso di
Costruire rilasciato dal Comune. Nel caso di demolizioni e ricostruzioni di
immobili ci si può avvalere della SCIA per interventi che rientrino nella
categoria della “ristrutturazione urbanistica”, così come stabilita dal Testo
Unico dell’Edilizia (3), mentre è obbligatorio ottenere il Permesso di Costruire
in caso di “nuova costruzione” (4). Le ricadute concrete sono consistenti: nel
primo caso i costruttori si avvalgono di un’autodichiarazione che sfugge a
qualsiasi pianificazione pubblica e che permette una riduzione fino al 40% degli
oneri di urbanizzazione, mentre per la nuova costruzione devono corrispondere al
Comune gli oneri necessari a garantire le opere pubbliche e i servizi per i
nuovi fruitori, secondo le destinazioni d’uso degli immobili (residenze, uffici,
commerciale ecc).
Un grattacielo di 25 piani sorto dalla demolizione di una palazzina di due piani
è ristrutturazione o nuova costruzione? L’interpretazione del Testo Unico
dell’edilizia DM 380 /2001, nelle varie versioni che si sono succedute negli
anni, in verità non sempre univoca da parte dei tribunali chiamati a dirimere
contenziosi, a Milano ha prodotto una vera deregulation edilizia, che rischia di
estendersi a tutta la penisola, annullando decenni di battaglie per i diritti
degli abitanti e per la vivibilità dei quartieri, con servizi – verde,
parcheggi, scuole – adeguate al “carico urbanistico” che si inserisce in una
zona abitata.
Qualche settimana fa è arrivata una sentenza del Consiglio di Stato (5), che ci
sembra faccia chiarezza una volta per tutte sulla questione, con una buona dose
di buon senso.
Pubblichiamo alcuni stralci della sintesi dal sito Icalex (6) e i passaggi
principali della sentenza pubblicata da Lexambiente.it (7), a cui rimandiamo per
la lettura del documento integrale.
(sintesi dell’articolo sul sito Icalex)
La questione nodale dell’intera vicenda ruota intorno alla nozione di
ristrutturazione ricostruttiva e al tema della continuità tra il nuovo edificio
e quello precedente. Il caso su cui è stato chiamato a esprimersi il CdS,
riguarda un intervento di demolizione e ricostruzione di due edifici e
contestuale cambio di destinazione d’uso da industriale a residenziale, mediante
SCIA alternativa al permesso di costruire.
Il TAR di Milano aveva accolto il ricorso presentato da alcuni condomini e dal
Condominio confinante annullando il provvedimento con il quale il Comune aveva
confermato la legittimità dell’intervento, con la principale motivazione che con
la demolizione di un vecchio fabbricato adibito a laboratorio-deposito e la
realizzazione in suo luogo di una palazzina residenziale avente due piani fuori
terra ed un piano seminterrato “si fuoriesce dall’ambito della ristrutturazione
edilizia e si rientra in quello della nuova costruzione quando fra il precedente
edificio e quello da realizzare al suo posto non vi sia alcuna continuità,
producendo il nuovo intervento un rinnovo del carico urbanistico che non
presenta più alcuna correlazione con l’edificazione precedente”.
La nozione di ristrutturazione edilizia (3),nel tempo ha subito un progressivo
ampliamento, allontanandosi dall’obbligo originario della fedele ricostruzione
che prescriveva il rispetto della sagoma, dei prospetti, del sedime e delle
caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, rendendo più incerto il confine
tra la “ristrutturazione ricostruttiva” e la “nuova costruzione”, rendendo
sempre più urgente l’individuazione di una chiara linea di demarcazione tra le
due nozioni.
La sentenza del Consiglio di Stato prende una posizione netta sul tema della
continuità (tra immobile demolito e immobile ricostruito) affermando che detto
requisito “se preteso in termini assoluti, non trova fondamento nell’attuale
testo dell’articolo 3 del Testo Unico Edilizia” (4) ma che una esegesi
rispettosa della norma non può nemmeno condurre a ritenere che dalla demolizione
derivi una sorta di credito volumetrico “che il proprietario può spendere
rimanendo comunque nell’alveo della ristrutturazione edilizia”.
Per questo motivo, il giudice amministrativo, chiarisce che rientra nella
nozione di demo-ricostruzione quell’intervento che rispetti i seguenti
presupposti:
* avere a oggetto un unico edificio (ricade nella nuova costruzione
l’accorpamento di due o più volumi in un unico edificio, ovvero il
frazionamento di un unico volume originario in più edifici di nuova
realizzazione)
* è necessaria la contestualità temporale tra la demolizione e ricostruzione,
come fasi costruttive di un unico intervento, oggetto quindi di un’unica
segnalazione certificata di inizio attività alternativa al permesso di
costruire;
* il volume dell’edificio ricostruito non può superare quello del fabbricato
demolito, in quanto gli incrementi di volumetria sono ammissibili “nei soli
casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti
urbanistici comunali”
Secondo il giudice amministrativo, al di là di tali ipotesi eccezionali, laddove
vi sia volumetria aggiuntiva si ricade nella nuova costruzione e, quindi, devono
essere qualificate come tale “tutte quelle opere che non siano meramente
funzionali al riuso del volume precedente e che comportino una trasformazione
del territorio ulteriore rispetto a quella già determinata dall’immobile
demolito. Infatti, nelle varie evoluzioni della nozione di ‘ristrutturazione
ricostruttiva’ che si sono susseguite, è rinvenibile un minimo comune
denominatore, consistente nel fatto che l’intervento deve comunque risultare
‘neutro’ sotto il profilo dell’impatto sul territorio nella sua dimensione
fisica”.
Il superamento anche solo di uno di questi parametri, pertanto, secondo i
giudici, rende la demolizione e ricostruzione di un edificio qualificabile come
nuova costruzione, soggetta al regime previsto per il permesso di costruire.
Il Consiglio di Stato si è pronunciato in relazione a un complesso non
vincolato. Nei casi di immobili soggetti a tutela ai sensi del d.lgs. n.
42/2004, permane, invece, l’obbligo di mantenere coerenza in termini di sagoma,
materiali, prospetti e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, a
salvaguardia dei valori paesaggistici e culturali riconosciuti.
CONSIGLIO DI STATO SEZIONE II, ESTRATTO DALLA SENTENZA DEL 4 NOVEMBRE 2025 N.
8542
(evidenziazioni di Carteinregola)
(…)
FATTO e DIRITTO
1. Viene impugnata, da più soggetti e in più parti, la sentenza del T.a.r. per
la Lombardia che, in accoglimento del ricorso di primo grado, ha annullato il
provvedimento con cui il Comune di Milano ha attestato la conformità edilizia e
urbanistica dell’intervento di demolizione e ricostruzione, con cambio di
destinazione da industriale a residenziale, di un edificio in via -OMISSIS-,
negando tuttavia il risarcimento del danno chiesto dai ricorrenti.
La decisione è censurata: dall’Ente, con l’appello principale …; dalla società
proprietaria del bene oggetto dell’intervento…; dal condominio vicino
all’immobile e da singoli condomini ricorrenti in primo grado…
2. I fatti di causa rilevanti, quali emergono dalle affermazioni delle parti non
specificamente contestate e comunque dagli atti e documenti del giudizio,
possono essere sinteticamente ricostruiti nei termini seguenti.
2.1. La società -OMISSIS- (di seguito, “la società proprietaria” o “la società”)
ha acquisito l’immobile oggetto di causa per effetto del decreto del Tribunale
di Milano n. -OMISSIS- 2017, emesso nell’ambito della procedura r.g.e. n.
-OMISSIS- del 2013.
2.2. Il 27 luglio 2018 ha presentato al Comune di Milano la segnalazione
certificata d’inizio attività (Scia) prot. -OMISSIS-avente a oggetto opere di
bonifica preventiva alla demolizione e ricostruzione, rappresentando la
demolizione degli edifici esistenti, secondo la procedura semplificata
disciplinata dall’art. 242-bis del codice dell’ambiente approvato con d.lgs. 3
aprile 2006, n. 152.
Questo progetto è stato interessato da una variante, oggetto della Scia prot.
-OMISSIS- del 14 dicembre 2018, relativa a opere di demolizione con
l’indicazione della rimozione degli alberi esistenti.
Sulla base di questi atti, l’immobile è stato demolito nel 2018.
2.3. In parallelo, il 14 giugno 2018 è stata presentata l’istanza prot.
-OMISSIS- per l’attivazione dell’istruttoria preliminare facoltativa prevista
dall’art. 40 del regolamento edilizio comunale (disposizione che disciplina
l’attivazione di un procedimento istruttorio preliminare che consenta
l’individuazione delle linee fondamentali degli elementi caratterizzanti
l’intervento e la fattibilità dello stesso), rispetto alla quale – come riferito
nell’istruttoria tecnica del 17 ottobre 2023 – sono stati comunicati l’esito
negativo dell’istruttoria tecnica e il parere favorevole della commissione per
il paesaggio.
Un’analoga istanza è stata presentata il 25 agosto 2021 e ha ottenuto un esito
favorevole sia sul piano tecnico, sia su quello paesaggistico.
2.4. Il 5 agosto 2022 la società ha presentato al Comune di Milano la Scia prot.
-OMISSIS-, alternativa al permesso di costruire, per un intervento di
demolizione e ricostruzione dell’immobile in questione, con la stessa superficie
lorda di pavimento (s.l.p.) preesistente fuori sagoma e sedime.
2.5. Secondo la relazione allegata alla Scia, l’edificio preesistente, un tempo
adibito a laboratorio e poi dismesso, si articolava in due corpi di fabbrica:
«il primo, risalente a dopo il 1910, un semplice rettangolo costruito in
muratura con grandi specchiature di serramento tipiche dei laboratori produttivi
con copertura a volta tirantata ai muri portanti», con una struttura portante in
mattoni pieni e legata al muro perimetrale; il secondo, posto in adiacenza al
muro di confine verso un’altra proprietà, con una struttura in cemento armato
gettato in opera e uno sviluppo su due piani, perché «attraverso una scala in
ferro, si sale al corpo che ospitava in origine il locale mensa del laboratorio
che è anche il corpo edilizio più alto, che si sviluppa fino ad una altezza di
colmo di 9,50mt. e con una altezza di gronda di 7,60mt. dalla quota di “zero”».
Il progetto presentato dalla società prevede, riqualificato il sito e demolito
il fabbricato precedente con bonifica del terreno, la ricostruzione di un
edificio a uso residenziale di due piani fuori terra, con un’altezza massima di
gronda di 7,6 mt., destinato a ospitare quattro unità abitative, nonché un piano
cantine con garage interrati per sette posti auto (pp. 6-7 della relazione
allegata alla Scia).
2.6. Il lotto interessato dall’intervento è situato in via-OMISSIS-, nel secondo
cortile interno, e condivide l’accesso dalla pubblica via con il supercondominio
confinante (come spiegato nella relazione di consulenza tecnica e stima
immobiliare del perito nominato dal giudice civile nell’ambito del procedimento
esecutivo, «dall’androne principale, che prospetta direttamente su Via
-OMISSIS-, si accede al 1° cortile e da questo attraverso un altro androne si
accede al secondo cortile, che insieme ai fabbricati presenti costituiscono
l’oggetto della presente procedura»).
Essendo intercluso tra i palazzi del condominio, con atto notarile del 17 marzo
1972, n. -OMISSIS-di repertorio e n. -OMISSIS- di raccolta, a favore del
fabbricato è stata costituita una servitù di passaggio, pedonale e carrabile,
attraverso i due androni condominiali.
(…)
17. Data l’importanza giuridica (ma anche economica e sociale) della questione
relativa alla definizione della nozione e dell’ambito di applicazione di quella
che nella prassi viene chiamata “demoricostruzione” o “ristrutturazione
ricostruttiva”, tematica che trascende la vicenda per cui è causa ed è
suscettibile di porsi in diverse altre situazioni, alimentando così il
contenzioso dinanzi ai giudici amministrativi – come le stesse parti hanno più
volte posto in luce, negli scritti e nella discussione orale – il Collegio
ritiene opportuno premettere alcune considerazioni di ordine generale, comunque
necessarie per l’interpretazione delle disposizioni che vengono in rilievo e per
la loro applicazione al caso di specie, muovendo dall’evoluzione che ha
interessato la normativa.
17.1. L’art. 31 della legge 5 agosto 1978, n. 457, che dettava norme
sull’edilizia residenziale, ricomprendeva gli “interventi di ristrutturazione
edilizia” tra quelli di recupero del patrimonio edilizio esistente e li
caratterizzava come «rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un
insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in
tutto o in parte diverso dal precedente».
Nel vigore di questa normativa, la giurisprudenza amministrativa aveva già
ritenuto di poter ricondurre al concetto di “ristrutturazione” «anche la
demolizione seguita dalla fedele ricostruzione del manufatto, con l’unica
condizione che la riedificazione assicuri la piena conformità di sagoma, volume
e superficie tra il vecchio e il nuovo manufatto, con la conseguente possibilità
di pervenire, in tal modo, ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso
dal precedente, purché la diversità sia dovuta ad interventi comprendenti il
ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio,
l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti, e non
già la realizzazione di nuovi volumi o una diversa ubicazione» (Cons. Stato,
sez. IV, 22 marzo 2007, n. 1388, e precedenti ivi citati).
La definizione dell’art. 31 della legge n. 457 del 1978 è confluita nel testo
originario dell’art. 3, comma 1, lettera d), del t.u. dell’edilizia approvato
con d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, che, senza modificare il periodo (giunto
immutato sino a oggi e tuttora dotato di valenza normativa), ha aggiunto delle
precisazioni – secondo cui tali interventi «comprendono il ripristino o la
sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la
modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti» – e, soprattutto, ha
codificato l’ulteriore ipotesi di “ristrutturazione”, consistente «nella
demolizione e successiva fedele ricostruzione di un fabbricato identico, quanto
a sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche dei materiali, a quello
preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla
normativa antisismica».
In seguito, il d.lgs. 27 dicembre 2002, n. 301, ha espunto l’aggettivo “fedele”
che accompagnava il sostantivo “ricostruzione” e ha eliminato il vincolo
relativo all’identità di area di sedime e caratteristiche dei materiali,
lasciando dunque – per tutti gli edifici, fossero o meno tutelati – i limiti
della volumetria e sagoma del fabbricato preesistente.
Nel vigore di questa versione della norma, la Corte costituzionale, con sentenza
23 novembre 2011, n. 309, riconducendo tra i principi in materia di “governo del
territorio”, attribuita dall’art. 117, comma 3, Cost. alla potestà legislativa
concorrente di Stato e Regioni, le disposizioni legislative che definiscono le
categorie degli interventi edilizi, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale
dell’art. 27, comma 1, lettera d), della l.r. Lombardia 11 marzo 2005, n. 12,
«nella parte in cui esclude l’applicabilità del limite della sagoma alle
ristrutturazioni edilizie mediante demolizione e ricostruzione».
In seguito, l’art. 30 del d.l. 21 giugno 2013, n. 69, convertito con
modificazioni dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, ha nuovamente modificato l’art.
3, comma 1, lettera d), del t.u. dell’edilizia, da un lato eliminando il vincolo
della sagoma per gli edifici che non fossero sottoposti a vincolo ai sensi del
codice dei beni culturali e del paesaggio approvato con d.lgs. 22 gennaio 2004,
n. 42, dall’altro introducendo un’ulteriore ipotesi di “ristrutturazione”,
consistente nel «ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati
o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la
preesistente consistenza».
Quindi, le condizioni della “demoricostruzione” sono state ulteriormente
ridefinite in forza del d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito con modificazioni
dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, il quale ha precisato espressamente che
l’immobile ricostruito può avere anche «diversi sagoma, prospetti, sedime e
caratteristiche planivolumetriche e tipologiche» rispetto al fabbricato
preesistente e persino presentare «incrementi di volumetria» nei casi previsti
dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali. Il rispetto
di sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche
dell’edificio preesistente, nonché il divieto assoluto di prevedere incrementi
di volumetria, sono stati invece ribaditi per gli immobili sottoposti a tutela
ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio, per quelli ubicati nelle
zone A del decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444
(ossia gli agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico o di
particolare pregio ambientale), o in zone a esse assimilate dalla normativa
regionale e dai piani urbanistici, nei centri e nuclei storici consolidati e
negli ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico.
Le modifiche più recenti all’art. 3 del t.u. dell’edilizia sono state apportate
dal d.l. 1 marzo 2022, n. 17, convertito con modificazioni dalla legge 27 aprile
2022, n. 34, che ha escluso dalla nozione di “ristrutturazione edilizia” gli
interventi di demolizione e ricostruzione ovvero di ripristino di edifici
crollati o demoliti che si trovino in aree sottoposte a vincolo paesaggistico
per legge ai sensi dell’art. 142 del codice dei beni culturali e del paesaggio,
nonché dal d.l. 17 maggio 2022, n. 50, convertito con modificazioni dalla legge
15 luglio 2022, n. 91, che ha esteso tale esclusione agli immobili tutelati per
il notevole interesse pubblico che essi rivestono, ai sensi dell’art. 136, comma
1, lettere c) e d), del medesimo codice.
La disposizione, nel testo attuale e comunque vigente alla data del 5 agosto
2022, quando è stata presentata la Scia oggetto di causa, fornisce dunque la
seguente definizione di “interventi di ristrutturazione edilizia”: «gli
interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme
sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in
parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la
sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la
modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell’ambito degli
interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi
di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma,
prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le
innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, per
l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’istallazione di
impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico. L’intervento può
prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione
vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche
per promuovere interventi di rigenerazione urbana. Costituiscono inoltre
ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti
di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione,
purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che,
con riferimento agli immobili sottoposti a tutela ai sensi del codice dei beni
culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42,
ad eccezione degli edifici situati in aree tutelate ai sensi degli articoli 136,
comma 1, lettere c) e d), e 142 del medesimo codice, nonché, fatte salve le
previsioni legislative e degli strumenti urbanistici, a quelli ubicati nelle
zone omogenee A di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile
1968, n. 1444, o in zone a queste assimilabili in base alla normativa regionale
e ai piani urbanistici comunali, nei centri e nuclei storici consolidati e negli
ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico, gli interventi
di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici
crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia
soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche
planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e non siano previsti
incrementi di volumetria».
Come messo in luce dalla giurisprudenza, l’evoluzione della normativa ha quindi
portato all’individuazione di tre distinte ipotesi di “ristrutturazione
edilizia”, che possono tutte portare «ad un organismo edilizio in tutto o in
parte diverso dal precedente»: una prima ipotesi, spesso definita
“ristrutturazione conservativa”, che non comporta la demolizione del
preesistente fabbricato e che può apportarvi anche modifiche di significativo
impatto, compresi, in linea generale, l’inserimento di nuovi volumi o la
modifica della sagoma; una seconda e una terza ipotesi, definite anche
“ristrutturazione ricostruttiva” o “demoricostruzione”, caratterizzate,
rispettivamente, da demolizione e ricostruzione di un edificio e dal ripristino
di un fabbricato crollato o demolito (tra le tante, Cons. Stato, sez. IV, 30
maggio 2017, n. 2567 e 12 ottobre 2017, n. 4728).
17.2. Dalla qualificazione dell’intervento come “ristrutturazione edilizia”
ovvero come “nuova costruzione” dipende l’individuazione del titolo edilizio
necessario per legittimare le opere.
L’art. 23 del t.u. dell’edilizia consente infatti di realizzare mediante Scia
“in alternativa al permesso di costruire” (per questo spesso definita
“Super-Scia” nella prassi) «gli interventi di ristrutturazione di cui
all’articolo 10, comma 1, lettera c)», il quale a sua volta comprende le ipotesi
più impattanti (o “pesanti”) di “ristrutturazione edilizia” («gli interventi di
ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in
parte diverso dal precedente, nei casi in cui comportino anche modifiche della
volumetria complessiva degli edifici ovvero che, limitatamente agli immobili
compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso,
nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma o della
volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti di immobili sottoposti a
tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e, inoltre, gli interventi di
ristrutturazione edilizia che comportino la demolizione e ricostruzione di
edifici situati in aree tutelate ai sensi degli articoli 136, comma 1, lettere
c) e d), e 142 del medesimo codice di cui al decreto legislativo 22 gennaio
2004, n. 42, o il ripristino di edifici, crollati o demoliti, situati nelle
medesime aree, in entrambi i casi ove siano previste modifiche della sagoma o
dei prospetti o del sedime o delle caratteristiche planivolumetriche e
tipologiche dell’edificio preesistente oppure siano previsti incrementi di
volumetria»).
All’art. 23 del d.P.R. n. 380 del 2001 rinvia anche l’art. 33, comma 1, lettera
d), della l.r. Lombardia 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del
territorio), per l’individuazione dei casi in cui può essere presentata la Scia
in alternativa al permesso di costruire (aggiungendone poi di ulteriori).
È opportuno ricordare che, in questi casi, gli interventi sono soggetti al
contributo di costruzione ai sensi dell’art. 16 del t.u. dell’edilizia
(commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di
costruzione) e che, diversamente da quanto avviene secondo il regime della Scia
ordinaria, disciplinata dall’art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, cui
rinvia l’art. 22 del t.u. dell’edilizia con riferimento a interventi meno
impattanti (manutenzione straordinaria delle parti strutturali e dei prospetti,
restauro e risanamento conservativo che interessino le parti strutturali,
ristrutturazione “leggera”, essenzialmente di natura “conservativa” e senza
aumenti di volumetria), i lavori non possono avere inizio prima di trenta giorni
dalla presentazione della segnalazione.
Si aggiunga, con specifico riferimento agli interventi che comportino il
mutamento della destinazione d’uso dell’immobile, che l’art. 23-ter, comma
1-quinquies, del t.u. dell’edilizia richiede la Scia “ordinaria” per i
cambiamenti senza opere (o con opere rientranti nell’edilizia libera, ai sensi
dell’art. 6, ovvero soggette a comunicazione d’inizio lavori asseverata-Cila, ai
sensi dell’art. 6-bis), mentre in caso di esecuzione di opere prevede che il
titolo richiesto per la loro realizzazione legittimi anche il cambio di
destinazione.
Inoltre, l’art. 10, comma 2, del medesimo t.u., stabilisce che, fermo restando
quanto disposto dal citato art. 23-ter, con legge regionale possano essere
definiti «quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche,
dell’uso di immobili o di loro parti, sono subordinati a permesso di costruire o
a segnalazione certificata di inizio attività».
Nel caso della Lombardia, la legge per il governo del territorio n. 12 del 2005,
all’art. 42, comma 5, nel dettare la disciplina della Scia alternativa precisa
che «nel caso in cui l’intervento comporti una diversa destinazione d’uso, non
esclusa dal PGT, in relazione alla quale risulti previsto il conguaglio delle
aree per servizi e attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale, il
dichiarante allega impegnativa, accompagnata da fideiussione bancaria o
assicurativa».
Se dunque gli interventi di “ristrutturazione edilizia” possono essere
realizzati previa Scia alternativa, quelli che esorbitano dai confini di tale
nozione rappresentano delle “nuove costruzioni” soggette al previo rilascio del
permesso di costruire: per avviare i lavori, il privato dovrà quindi attendere
l’autorizzazione dell’amministrazione, oppure, sussistendone le condizioni, la
formazione del silenzio-assenso, di regola dopo sessanta giorni dall’istanza, ai
sensi dell’art. 20, comma 8, del t.u. dell’edilizia (e salvo che sussistano
vincoli relativi all’assetto idrogeologico, ambientali, paesaggistici o
culturali).
È infine opportuno ricordare che, nell’ottica di assicurare una maggiore
certezza, l’art. 22, comma 7, del t.u. dell’edilizia riconosce al privato la
facoltà di chiedere comunque il permesso di costruire – così trasferendo
sull’amministrazione l’onere e la responsabilità di valutare sin dall’origine la
legittimità del progetto – per gli interventi subordinati alla Scia (e, a
maggior ragione, alla Super-Scia, già di per sé “alternativa” alla richiesta
dell’autorizzazione).
17.3. Oltre che ai fini dell’individuazione del titolo legittimante, dalla
qualificazione come “ristrutturazione” piuttosto che come “nuova costruzione” di
una complessa attività che vede susseguirsi la demolizione di un fabbricato e
l’edificazione di un nuovo manufatto discendono anche conseguenze ulteriori.
Se infatti in caso di “demoricostruzione” il proprietario può sfruttare il
volume dell’edificio demolito, nell’ipotesi di “nuova costruzione” può
utilizzare solo la volumetria espressa dall’area di edificazione (come
puntualmente osservato dalla difesa del condominio).
Inoltre, la “ricostruzione” è consentita nei limiti delle distanze
legittimamente preesistenti (come da tempo affermato dalla giurisprudenza – tra
le tante, Cons. Stato, sez. IV, 14 settembre 2017, n. 4337 – e come oggi
codificato nel comma 1-ter dell’art. 2-bis del t.u. dell’edilizia, come inserito
dal d.l. 18 aprile 2019, n. 32, convertito con modificazioni dalla legge 14
giugno 2019, n. 55, e modificato dal d.l. n. 76 del 2020, convertito in legge n.
120 del 2020) – mentre i “nuovi edifici” devono rispettare i limiti di distanza
tra i fabbricati previsti dall’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968.
L’individuazione degli esatti confini della nozione di “ristrutturazione
ricostruttiva” o “demoricostruzione” (problema che sconta – come descritto – una
non lieve stratificazione normativa) risulta quindi cruciale per la soluzione
della presente controversia, non sottacendosi la necessità di chiarezza evocata
(anche in corso di discussione all’udienza pubblica) dalle amministrazioni e
dagli operatori del settore, trattandosi di un istituto che, da un lato, è
ritenuto essenziale dal legislatore per perseguire obiettivi di rigenerazione
urbana, contenimento del consumo di suolo, incentivazione degli investimenti –
e, conseguentemente, migliore occupazione – ma che, dall’altro, consente
modifiche di portata tale da incidere sulla “urbanistica” (e relativo potere di
pianificazione) – meglio, sul “governo del territorio” – intesa non solo come
coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà,
ma, più ampliamente e compiutamente, come modello di sviluppo che s’intende
imprimere ai luoghi in cui è insediata una comunità (secondo la nota
ricostruzione elaborata da Cons. Stato, sez. IV, 10 maggio 2012, n. 2710, e
ormai consolidatasi: tra le più recenti, Cons. Stato, sez. IV, 24 gennaio 2023,
n. 765, e 27 ottobre 2025, n. 8313).
17.4. Da questo punto di vista, la descritta evoluzione dell’art. 3, comma 1,
lettera d), del t.u. dell’edilizia è innegabilmente caratterizzata da un
progressivo allontanamento dall’obbligo originario della fedele ricostruzione,
mediante eliminazione dei vari vincoli e conseguente estensione della nozione di
“ristrutturazione”, rendendo ancor più necessario un chiarimento sui suoi
confini rispetto alla “nuova costruzione”.
In giurisprudenza si è infatti ritenuto, anche a seguito dell’eliminazione del
vincolo della sagoma (fatti salvi gli immobili vincolati) in forza del d.l. n.
69 del 2013 (convertito in legge n. 98 del 2013), che l’esistenza di un “nesso
di continuità” tra il fabbricato preesistente e quello risultante
dall’intervento sia un requisito essenziale della “ristrutturazione
ricostruttiva”, la cui mancanza induce a qualificare l’attività edilizia come
“nuova costruzione” (tra le tante, Cons. Stato, sez. VI, 12 maggio 2023, n.
4794, relativa a un caso in cui l’edificio nuovo era «traslato in maniera
significativa» rispetto a quello precedente; sez. II, 6 marzo 2020, n. 1641,
inerente un’ipotesi di demolizione di un garage con ricostruzione di un edificio
diverso per materiale utilizzato e per l’aumento della quota d’imposta; nonché,
di recente – ma comunque con riferimento a una fattispecie alla quale era ancora
applicabile l’art. 3 del t.u. dell’edilizia nella versione precedente alle
modifiche apportate dal d.l. n. 76 del 2020, convertito in legge n. 120 del 2020
– Cons. Stato, sez. IV, 3 aprile 2025, n. 2857; nella giurisprudenza penale, tra
le molte, Cass. pen., sez. III, 10 gennaio 2020, n. 280338, secondo cui nella
“ristrutturazione” non si può prescindere dalla necessità che venga conservato
l’immobile preesistente «del quale – a prescindere dalla identità di sagoma –
deve essere comunque garantito il recupero»).
Questo orientamento risulta ancora seguito in sede penale (Cass. pen., sez. III,
8 maggio 2024, n. 18044, relativa alla realizzazione di dieci villini in luogo
di un unico immobile con destinazione commerciale, e 18 gennaio 2023, n. 1670,
relativa all’abbattimento di una casa colonica e per l’edificazione di un
complesso residenziale costituito da dieci villini in linea) e a esso ha aderito
il T.a.r. nella sentenza impugnata.
Tuttavia, il requisito della “continuità” con l’edificio preesistente, se
preteso in termini assoluti, non trova fondamento nell’ultimo testo della
disposizione, sul quale il legislatore è intervenuto nel 2020 con l’intenzione –
ricavabile oggettivamente dalle modifiche apportate (l’espressa puntualizzazione
che possono mutare «sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche
planivolumetriche e tipologiche») ed esplicitato nei lavori parlamentari (in
particolare, nella relazione illustrativa al Senato), e nella circolare
congiunta del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e del Ministero per
la pubblica amministrazione del 2 dicembre 2020 (come ricordato dalla società
proprietaria nel proprio appello incidentale) – di ricomprendere, per gli
immobili non vincolati, qualsiasi intervento di demolizione e ricostruzione
anche con caratteristiche molto differenti rispetto al preesistente, salvo il
limite della volumetria (al punto che, secondo C.g.a., sez. giur., 3 giugno
2025, n. 422, la ricostruzione sarebbe possibile «anche altrove, ossia in un
diverso lotto, pur sempre nel rispetto delle capacità edificatorie proprie di
quest’ultimo»).
17.5. Tuttavia, da altra prospettiva, un’esegesi che sia rispettosa della
lettera e della logica della disposizione non può nemmeno condurre a ritenere
che dalla demolizione derivi – di per sé sola e in assenza di specifiche
previsioni di legge o degli strumenti urbanistici – una sorta di “credito
volumetrico” che il proprietario può spendere rimanendo comunque nell’alveo
della “ristrutturazione”, dovendo quest’ultima rispettare una serie di limiti e
condizioni, che si ricavano dall’art. 3, comma 1, lettera d), del t.u.
dell’edilizia e ai quali deve essere ricondotta ogni pretesa di “continuità”.
17.5.1. In primo luogo, l’intervento deve avere a oggetto un unico edificio, nel
senso che nella fase di ricostruzione è precluso – meglio, esorbita dall’ambito
della “ristrutturazione ricostruttiva” – l’accorpamento di volumi
precedentemente espressi da manufatti diversi ovvero il frazionamento di un
volume originario in più edifici di nuova realizzazione.
Tale condizione è stata affermata dalla giurisprudenza nel vigore delle varie
versioni dell’art. 3 del t.u. dell’edilizia (tra le tante, Cons. Stato, sez. IV,
16 dicembre 2008, n. 6214 e, più di recente, 3 aprile 2025, n. 2857, dove si
afferma che «l’essenza della nozione di ristrutturazione edilizia è che
l’intervento deve agire sull’edificio preesistente al fine di dare continuità
all’immobile pregresso, crollato o demolito. In altre parole la ristrutturazione
edilizia non può mai prescindere dall’obiettivo di recupero del singolo immobile
che ne costituisce oggetto»; nonché, nella giurisprudenza penale, Cass. pen.,
sez. III, 27 luglio 2020, n. 23010) e risulta dal testo della disposizione, il
quale, nel porre a confronto “un organismo edilizio” (quello risultante
dall’intervento) con il “precedente” – al singolare – e nell’evocare elementi
quali la sagoma, i prospetti, il sedime e le caratteristiche planivolumetriche e
tipologiche, anche solo per sancirne l’irrilevanza, non può che presupporre che
come termine di paragone venga assunto un unico edificio, poiché diversamente
tali parametri sarebbero già di per sé inutilizzabili.
17.5.2. In secondo luogo la norma, rispetto alla prima ipotesi di
“demoricostruzione”, che viene in rilievo nel caso di specie, presuppone
necessariamente una contestualità temporale tra la demolizione e la
ricostruzione, dando luogo ad una “unitarietà” dell’intervento prospettato con
la Scia, nel senso, dunque, che entrambe debbono essere legittimate dal medesimo
titolo.
Vero è che, come obiettato dal Comune nei suoi scritti, a seguito delle
modifiche apportate dal d.l. n. 69 del 2013 (conv. in legge n. 98 del 2013), è
ora ricompreso nella “ristrutturazione ricostruttiva” anche il ripristino di
edifici crollati o demoliti ed è quindi venuta meno «quella particolare
relazione di continuità tra edificio preesistente ed edificio risultante dalla
ristrutturazione» in forza della quale si richiedeva «che le due operazioni,
cioè la demolizione e la ricostruzione, avvenissero in un unico contesto» (Cons.
Stato, sez. IV, 3 aprile 2025, n. 2857). Tuttavia, in questa particolare
ipotesi, «la continuità che si perde sul piano temporale viene recuperata, dal
legislatore, con la reintroduzione del limite costituito dal rispetto della
“preesistente consistenza” del fabbricato non più esistente; é da ritenersi che
con tale precisazione il legislatore abbia inteso affermare la necessità di
rispettare, nel nuovo fabbricato, la volumetria del fabbricato crollato o
demolito» (Cons. Stato, sez. VI, 18 gennaio 2023, n. 616).
La differenza tra le due ipotesi di “ristrutturazione ricostruttiva” si coglie
soprattutto sui presupposti per la legittimità dell’intervento: nel caso in cui
non vi sia soluzione di continuità tra demolizione e ricostruzione, l’edificio è
ancora presente nel momento in cui il privato instaura il rapporto con
l’amministrazione, presentando l’istanza di rilascio del permesso di costruire
ovvero la Scia alternativa allo stesso, con la conseguenza che la sua
consistenza può essere verificata da quest’ultima, nell’istruttoria preordinata
al rilascio del titolo abilitativo ovvero ai fini dell’eventuale esercizio dei
poteri inibitori, repressivi e conformativi di cui all’art. 19, comma 3, della
legge n. 241 del 1990; al contrario, quando intenda ripristinare un edificio che
non esiste più, il privato deve dimostrarne la “preesistente consistenza”, onere
che logicamente non può essere assolto unicamente mediante i rilievi e le
asseverazioni del tecnico di fiducia – i quali devono a loro volta essere
verificabili – ma deve esserlo mediante elementi oggettivi, quali gli atti di
fabbrica o i titoli edilizi che hanno interessato il precedente fabbricato,
ovvero le planimetrie catastali, purché da essi siano ricavabili «in maniera
pressoché certa, l’esatta cubatura e sagoma d’ingombro del fabbricato su cui
intervenire; solo se è chiara la base di partenza, è possibile discutere
l’entità e la qualità delle modifiche apportabili» (Cons. Stato, sez. IV, 3
aprile 2025, n. 2857).
17.5.3. Infine, dall’art. 3, comma 1, lettera d), del t.u. dell’edilizia si
ricava che il volume dell’edificio ricostruito non può superare quello del
fabbricato demolito, perché si stabilisce che gli incrementi di volumetria sono
ammissibili «nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o
dagli strumenti urbanistici comunali» (sul punto, Cons. Stato, sez. IV, 2 maggio
2024, n. 4005 ha chiarito che «a differenza della fattispecie della
ricostruzione con diversa sagoma e sedime, le modifiche e gli ampliamenti
volumetrici di manufatti edilizi continuano ad integrare, di regola, interventi
di nuova costruzione (art. 3 comma 1 lett. e. 1 D.P.R. n. 380/2001), sicché, ai
sensi del richiamato art. 3 comma 1 lett. d) del D.P.R. n. 380/2001,
l’incremento volumetrico eccezionalmente (art. 14 disp. prel. cod. civ.)
conseguibile con un intervento di ristrutturazione edilizia è soltanto quello
specificamente ammesso una tantum dalla legislazione vigente o dagli strumenti
urbanistici comunali per tale tipo di intervento edilizio e non quello
(eventualmente) maggiore connesso all’indice edificatorio previsto per gli
interventi di nuova costruzione o di ristrutturazione urbanistica»).
Tale limite, letto in un’ottica sistematica, comporta che devono ritenersi
escluse – meglio, conducono a qualificare l’intervento come “nuova costruzione”
– tutte quelle opere che non siano meramente funzionali al riuso del volume
precedente e che comportino una trasformazione del territorio ulteriore rispetto
a quella già determinata dall’immobile demolito.
Infatti, nelle varie evoluzioni della nozione di “ristrutturazione
ricostruttiva” che si sono susseguite, è rinvenibile un minimo comune
denominatore, consistente nel fatto che l’intervento deve comunque risultare
“neutro” sotto il profilo dell’impatto sul territorio nella sua dimensione
fisica.
Tale condizione, sicuramente sottesa a quella “fedele ricostruzione” che si
pretendeva in origine, deve ritenersi presente anche nell’attuale quadro
normativo e si evince dall’art. 10 del d.l. n. 76 del 2020 (conv. in legge n.
120 del 2020), il quale, pur avendo eliminato i «precedenti requisiti
presupponenti una rigida “continuità” tra le caratteristiche strutturali
dell’immobile preesistente e quelle del manufatto da realizzare» (C.g.a., sez.
giur., sent. n. 422 del 2025), ha comunque ricondotto tali innovazioni agli
scopi di «assicurare il recupero e la qualificazione del patrimonio edilizio
esistente» e di «contenimento del consumo di suolo», così confermando la
finalità “conservativa” sottesa al concetto di ristrutturazione (Cons. Stato,
sez. IV, sent. n. 2857 del 2025).
18. Nel caso di specie, le caratteristiche dell’intervento posto in essere dalla
società proprietaria del bene esorbitano dai confini della nozione di
“ristrutturazione ricostruttiva”, come sopra delineati, e inducono a
qualificarlo come “nuova edificazione”, con ciò che ne consegue in termini di
titolo abilitativo necessario (il permesso di costruire, non sostituibile dalla
Super-Scia) e limiti applicabili all’attività edilizia.
Su questo punto essenziale – e assorbente rispetto a ogni altra questione
sostanziale – la sentenza di primo grado merita dunque conferma, seppur con la
precisazione che, in ossequio al principio di legalità di cui all’art. 97 Cost.
e alla luce del testo vigente dell’art. 3 del t.u. dell’edilizia, nella
“demoricostruzione” non può pretendersi una “continuità” tra il nuovo edificio e
quello precedente se non nella misura in cui per essa s’intenda il doveroso
rispetto dei requisiti, sopra indicati, dell’unicità dell’immobile interessato
dall’intervento, della contestualità tra demolizione e ricostruzione, del mero
utilizzo della volumetria preesistente senza ulteriori trasformazioni della
morfologia del territorio.
19. Premesso che il superamento di uno solo di questi limiti comporterebbe di
per sé solo la qualificazione dell’intervento come “nuova costruzione”, nella
specie essi risultano tutti inosservati.
19.1. È innanzitutto evidente, e dirimente, l’assenza di continuità temporale,
dato che l’edificio preesistente è stato demolito nel 2018, mediante un
intervento che non può certo ritenersi legittimato dalla Scia presentata nel
2022 (e che infatti è stato svolto sulla base di una diversa Scia).
19.1.1. Né tale continuità può ricavarsi dal fatto che la società nel 2018 aveva
presentato istanza per l’attivazione dell’istruttoria preliminare facoltativa
prevista dall’art. 40 del regolamento edilizio comunale: il carattere (appunto
“preliminare”) e la finalità (appunto “istruttoria”) della procedura in
questione escludono che alla presentazione della domanda – peraltro, poi
abbandonata e ripresentata nel 2021, a demolizione già avvenuta – possa farsi
retroagire l’effetto legittimante della Scia.
A tal proposito, non è superfluo ricordare che, come espressamente stabilito dal
comma 2 della stessa disposizione, le definizioni contenute nel primo comma
dell’art. 3 del t.u. dell’edilizia prevalgono sugli strumenti urbanistici e sui
regolamenti edilizi e la definizione di “ristrutturazione” mediante demolizione
e ricostruzione presuppone la contestualità tra le due attività, nel senso che
entrambe devono essere realizzate in forza di un unico titolo legittimante
(anche al fine di consentire al Comune di verificare l’esatta consistenza del
fabbricato preesistente prima che ne inizi la demolizione).
19.1.2. Nemmeno può invocarsi la modifica apportata dal d.l. n. 69 del 2013, che
ha ricondotto alla nozione di “ristrutturazione” anche gli interventi volti al
ripristino di edifici crollati o demoliti.
In primo luogo, e con portata già di per sé dirimente, perché la stessa società
proprietaria ha presentato l’intervento come demolizione e ricostruzione, e non
come ricostruzione di immobile demolito.
Inoltre perché, come già messo in luce, questa speciale ipotesi presuppone che
il privato dimostri la preesistente consistenza dell’immobile mediante elementi
oggettivi, che tuttavia nella specie non sono presenti (meglio, non sono stati
prodotti nel procedimento e nel processo).
Mancano infatti gli atti di fabbrica originari e le varie misure necessarie a
individuarne l’esatta cubatura e sagoma d’ingombro non sono ricavabili in
maniera univoca dagli altri titoli rilasciati e acquisiti al giudizio.
In particolare, l’istanza di condono avanzata il 30 aprile 1986 (atto p.g.
178187.400/1986), poi integrata il 22 febbraio 1995, per cui è stata rilasciata
la concessione edilizia in sanatoria n. -OMISSIS- del 18 febbraio 2003, ha ad
oggetto un intervento che ha interessato l’edificio solo parzialmente
(realizzazione di un soppalco, di un deposito, di un locale laboratorio annesso
al corpo esistente, di una tettoia completamente chiusa) e, anche per questo,
non rappresenta tutti i volumi del complesso nella loro interezza e con le varie
misure.
Anche la pratica presentata il 17 aprile 1991 (p.g. 116963.400), per cui è stata
rilasciata l’autorizzazione n. -OMISSIS- del 16 settembre 1991, ha ad oggetto un
intervento parziale (la manutenzione straordinaria alla copertura esistente
quale vano deposito) e indica un’altezza di gronda del locale mensa, posto sopra
al capannone, pari a 5,95 mt, inferiore a quella di progetto.
Un’altezza ancora inferiore si ricava dalla piantina catastale del 1940, dove è
indicata in 5,20 mt.
Né tali elementi si ricavano dalla CTU svolta nel giudizio davanti al giudice
dell’esecuzione, nella quale è peraltro riportata un’indicazione della
superficie lorda di pavimento (650 mq) che non collima con quella indicata negli
elaborati allegati alla Scia (tanto la tavola 5, quanto la relazione allegata
indicano infatti una superficie lorda di 593,33 mq).
Per concludere sul punto, dunque, dagli atti acquisiti al giudizio non si ricava
quella certezza in ordine all’esatta cubatura e sagoma d’ingombro dell’edificio
demolito che si vorrebbe recuperare.
19.2. Sotto altro profilo, è pacifico che l’intervento progettato dalla società
accorpi volumi che in precedenza erano distinti.
19.2.1. In particolare, alla volumetria e superficie del capannone principale
(con i vari ampliamenti che si sono succeduti nel tempo) si vorrebbero
aggiungere quelle del “piccolo deposito” (identificato come “volume C” nella
tavola 5 relativa allo stato di fatto e alla dimostrazione della consistenza
della superficie lorda), il quale, tuttavia, rappresenta un manufatto totalmente
separato.
19.2.2. Per giustificare questa operazione, la società e il Comune ne richiamano
la natura pertinenziale, ma l’argomento non risulta convincente.
Anche considerandolo una pertinenza, si tratta comunque di un manufatto distinto
dall’edificio principale e che esprime una propria volumetria. Il fatto che
questa sia irrilevante, ai fini urbanistici, dipende dalle sue caratteristiche
strutturali – consistenti in una «dimensione ridotta e modesta» (tra le tante,
Cons. Stato, sez. VII, 15 maggio 2025, n. 4175) – ma quella stessa volumetria
diviene rilevante laddove si voglia cumularla a quella dell’edificio
“principale” per aumentare quest’ultima.
In altre parole, l’accorpamento della volumetria della pertinenza a quella
dell’edificio principale viola il limite della “neutralità” dell’intervento di
“demoricostruzione”, perché, mentre in origine l’impatto sul territorio era
limitato al fabbricato principale (proprio per l’irrilevanza della volumetria
espressa dalla pertinenza), con la ricostruzione si addiverrebbe a un immobile
che presenta una volumetria e un’incidenza maggiore sul territorio.
19.3. Lo stesso limite della “neutralità” è oltrepassato, nel caso di specie,
anche per la realizzazione di lavori ulteriori rispetto al mero recupero del
volume preesistente, ossia le opere di sbancamento del terreno, costruzione del
muro di contenimento e realizzazione del seminterrato, della rampa carraia e
della sede viaria di collegamento.
Tali lavori non si limitano a quanto strettamente funzionale a riutilizzare la
volumetria disponibile – come avverrebbe, per esempio, per le sole opere di
fondazione necessarie a riedificare l’immobile su un diverso sedime – ma
comportano un rimodellamento della morfologia del terreno, che conduce a
qualificare il complessivo intervento – il quale, secondo una consolidata
giurisprudenza, deve essere apprezzato in modo globale e non in termini
atomistici (tra le più recenti, Cons. Stato, sez. II, 4 luglio 2025, n. 5796) –
come “nuova costruzione”.
19.4. Pertanto, per tutte queste ragioni – ciascuna delle quali sarebbe di per
sé sola dirimente – la sentenza di primo grado deve essere confermata nella
parte relativa alla qualificazione dell’intervento e alla conseguente
individuazione del titolo abilitativo necessario, che non può essere la Scia
alternativa, ma è rappresentato dal permesso di costruire.
Sono dunque infondati il terzo motivo dell’appello del Comune e il secondo
motivo di quello della società proprietaria (relativi appunto alla
qualificazione dell’intervento), mentre è fondato il terzo motivo riproposto dal
condominio (relativo alla realizzazione di opere ulteriori).
La portata radicale dei vizi rilevati conduce di per sé a una conferma
dell’accoglimento della domanda di annullamento avanzata in primo grado ed esime
da una pronuncia sulle altre questioni sostanziali dedotte dalle parti, che
possono essere assorbite, così come risulta superflua l’istruttoria richiesta
dalla società con l’appello incidentale.
20. È invece infondato l’appello proposto dal condominio contro il capo della
sentenza che ha respinto la domanda risarcitoria.
Anche sotto questo aspetto, la decisione del T.a.r. è condivisibile.
(…)
29 novembre 2025
Per osservazioni e precisazioni: laboratoriocarteinregola@gmail.com
NOTE
(1) VEDI Salva Milano, cronologia materiali
vai alla Relazione di Carteinregola all’audizione alla Camera sulla Proposta di
legge 1987 (disposizioni connesse alla rigenerazione urbana) a cura di Giancarlo
Storto
8 febbraio 2025 Audizione Carteinregola al Senato– intervento Giancarlo Storto a
58’20″(> vai alla registrazione
(2) in base all’Art. 41-quinquies della legge 1150/1942 le costruzioni non
possono superare l’altezza di 25 m e l’indice di fabbricabilità fondiaria non
può superare i 3 mc/mq. Per superare tali limiti occorre la preventiva
approvazione di un piano particolareggiato o un piano di lottizzazione estesi
all’intera area con disposizioni planovolumetriche;
In base all’art. 8 del decreto ministeriale 1444/68 le altezze massime degli
edifici devono sottostare alle seguenti limitazioni: per la zona “A” alle
altezze preesistenti nel caso di interventi di risanamento conservativo o agli
edifici circostanti per le nuove costruzioni; per la zona “B” agli edifici
circostanti ammettendo la possibilità di altezze superiori solo in presenza di
un piano particolareggiato o un piano di lottizzazione estesi all’intera area
con disposizioni planovolumetriche; per la zona “C” nessun limite a meno degli
edifici “contigui o in diretto rapporto con la zona A” rispetto alla quale le
altezze devono risultare “compatibili”.
(3) DM 380/2001 articolo 3, comma 1, lett. d)
d) “interventi di ristrutturazione edilizia”, gli interventi rivolti a
trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che
possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal
precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di
alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e
l’inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell’ambito degli interventi di
ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione
e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e
caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie
per l’adeguamento alla normativa antisismica, per l’applicazione della normativa
sull’accessibilità, per l’istallazione di impianti tecnologici e per
l’efficientamento energetico. L’intervento può prevedere altresì, nei soli casi
espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici
comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di
rigenerazione urbana. Costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli
interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente
crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile
accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli
immobili sottoposti a tutela ai sensi del codice dei beni culturali e del
paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, ad eccezione
degli edifici situati in aree tutelate ai sensi degli articoli 136, comma 1,
lettere c) e d), e 142 del medesimo codice, nonché, fatte salve le previsioni
legislative e degli strumenti urbanistici, a quelli ubicati nelle zone omogenee
A di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 14444,
o in zone a queste assimilabili in base alla normativa regionale e ai piani
urbanistici comunali, nei centri e nuclei storici consolidati e negli ulteriori
ambiti di particolare pregio storico e architettonico, gli interventi di
demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o
demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove
siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e
tipologiche dell’edificio preesistente e non siano previsti incrementi di
volumetria
(lettera modificata dall’art. 10, comma 1, lettera b), della legge n. 120 del
2020, poi dall’art. 28, comma 5-bis, lettera a), legge n. 34 del 2022, poi
dall’art. 14, comma 1-ter, legge n. 91 del 2022 poi dalla legge n. 105 del 2024
di conversione del decreto-legge n. 69 del 2024)
(4) DM 380/2001 Art. 3 L) – Definizioni degli interventi edilizi (comma 1 lett.
e)
1. Ai fini del presente testo unico si intendono per:
e) “interventi di nuova costruzione”, quelli di trasformazione edilizia e
urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere
precedenti. Sono comunque da considerarsi tali:
e.1) la costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati, ovvero
l’ampliamento di quelli esistenti all’esterno della sagoma esistente, fermo
restando, per gli interventi pertinenziali, quanto previsto alla lettera e.6);
e.2) gli interventi di urbanizzazione primaria e secondaria realizzati da
soggetti diversi dal Comune;
e.3) la realizzazione di infrastrutture e di impianti, anche per pubblici
servizi, che comporti la trasformazione in via permanente di suolo inedificato;
e.4) l’installazione di torri e tralicci per impianti radio-ricetrasmittenti e
di ripetitori per i servizi di telecomunicazione;
(punto da ritenersi abrogato implicitamente dagli artt. 87 e segg. del d.lgs. n.
259 del 2003)
e.5) l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture
di qualsiasi genere, quali roulotte, camper, case mobili, imbarcazioni, che
siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi,
magazzini e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare
esigenze meramente temporanee o delle tende e delle unità abitative mobili con
meccanismi di rotazione in funzione, e loro pertinenze e accessori, che siano
collocate, anche in via continuativa, in strutture ricettive all’aperto per la
sosta e il soggiorno dei turisti previamente autorizzate sotto il profilo
urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico, che non posseggano alcun
collegamento di natura permanente al terreno e presentino le caratteristiche
dimensionali e tecnico-costruttive previste dalle normative regionali di settore
ove esistenti;
(punto sostituito dall’art. 10, comma 1, lettera b), della legge n. 120 del
2020)
e.6) gli interventi pertinenziali che le norme tecniche degli strumenti
urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e
paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova costruzione,
ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume
dell’edificio principale;
e.7) la realizzazione di depositi di merci o di materiali, la realizzazione di
impianti per attività produttive all’aperto ove comportino l’esecuzione di
lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato;
(5) Consiglio di stato Sezione II, sentenza del 4 novembre 2025 n. 8542,
(6) VEDI Icalex 10 11 2025 Ristrutturazione ricostruttiva: il Consiglio di Stato
ridefinisce il concetto di continuità tra fabbricato preesistente e quello
ricostruito La sentenza del Consiglio di Stato
(7) vedi Lexambiente 5 novembre 2025 Urbanistica.Requisiti della
demo-ricostruzione e differenza con la nuova costruzione