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Milei usa l’estradizione di Bertulazzi per riabilitare la dittatura
La mattina di lunedì 16 luglio è stato esaminato davanti la corte suprema federale di cassazione argentina il ricorso presentato dalla difesa di Bertulazzi contro il nuovo arresto eseguito dopo il parere favorevole alla estradizione concesso dalla corte suprema di giustizia. La corte si è riservata e la decisione finale […] L'articolo Milei usa l’estradizione di Bertulazzi per riabilitare la dittatura su Contropiano.
Panama: “Peggio che durante la dittatura militare”
Luis Sánchez e Diógenes Sánchez sono dirigenti sindacali di AEVE e ASOPROF. La Rel ha parlato con loro della delicata situazione che sta attraversando il Paese e della crescente repressione governativa. “Sono due mesi che assistiamo a proteste incessanti che coinvolgono diversi settori della nostra società, e sono due mesi di sciopero generale degli insegnanti per l’abrogazione della legge 462. La protesta gode di un ampio sostegno popolare e forse è per questo che il governo ha iniziato ad aumentare la repressione”, dice Luis Sánchez, segretario generale dell’Associazione degli educatori veragüenses (AEVE). Le mobilitazioni che si stanno svolgendo in varie parti del Paese sono contro la riforma del sistema di previdenza sociale e pensionistico, la riapertura della miniera Cobre Panamá, i bacini idrici multifunzionali del canale interoceanico e l’accordo di intesa firmato da Panama con gli Stati Uniti. “Il governo intende decapitare il movimento, criminalizzando e perseguendo penalmente i principali dirigenti, trattenendo gli stipendi degli insegnanti in sciopero e minacciandoli di licenziamento. La verità è che ci troviamo di fronte a una dittatura in abiti civili, che gode del sostegno degli Stati Uniti e che sta diventando sempre più repressiva“, aggiunge. Intransigenza e repressione Diógenes Sánchez, segretario generale dell’Associazione degli insegnanti della Repubblica di Panama (ASOPROF), ha condiviso con il suo collega la preoccupazione per la crescente intransigenza del governo. “Il governo ha già detto che non dialogherà. Ci troviamo di fronte a una polizia militarizzata e siamo preoccupati per il sangue già versato e per ciò che potrebbe succedere nelle prossime settimane”, avverte il rappresentante sindacale dei maestri. “Qui”, continua Diógenes Sánchez, “le libertà democratiche sono state calpestate, non c’è indipendenza giudiziaria e tutti coloro che hanno una voce dissenziente vengono criminalizzati. La democrazia è in pericolo a Panama”. Nonostante le grandi difficoltà, il segretario generale di AEVE assicura che la lotta non si fermerà. “Viviamo una situazione che è persino peggiore di quella durante la dittatura militare. Tuttavia, siamo disposti a resistere. Abbiamo il sostegno di un popolo che si è dimostrato solidale e speriamo che il mondo si solidarizzi con questo grande movimento”. Ultimi eventi Domenica scorsa, i leader indigeni Ngäbe-Buglé del più grande sindacato bananiero di Panama, il Sitraibana, sono stati arrestati e incarcerati – tra di essi il  segretario generale Francisco Smith – dopo che Chiquita Panama ha licenziato quasi 5000 lavoratori che avevano indetto uno sciopero contro gli effetti della legge 462 sul loro sistema pensionistico. L’arresto è avvenuto dopo che il Sitraibana aveva firmato accordi con il governo e il parlamento. Francisco Smith e Gilberto Guerra sono stati condannati a sei mesi di custodia cautelare mentre sono in corso le indagini. Continuano intanto gli scontri violenti in vari punti del territorio indigeno. Più di 20 persone affiliate al Sitraibana sono state arrestate e ci sono già diversi feriti. Sono stati anche arrestati alcuni rappresentanti sindacali del settore scuola, mentre la ministra dell’Istruzione, Lucy Molinar, ha minacciato di prendere provvedimenti contro i lavoratori e le lavoratrici, che vanno da ritorsioni economiche, a sospensioni e persino licenziamenti. Genaro López, segretario generale del Suntracs (sindacato dell’edilizia), è anch’egli agli arresti domiciliari, mentre Saúl Méndez, presidente della stessa organizzazione, ha chiesto asilo politico alla Bolivia e si trova nell’ambasciata boliviana a Panama. Un terzo dirigente, Erasmo Cerrud, ha chiesto asilo in Nicaragua e gli è stato concesso. Maggiori informazioni (in spagnolo) – (video) “No tenemos vocación de ser colonia” – (video) La justa lucha del pueblo panameño – (foto) FUCLAT movilizada – (video) “Quien usufructúa del canal no es el pueblo” Giorgio Trucchi
11 giugno 2025, lettera da Buenos Aires, Argentina
Quella che segue è la dichiarazione che il mio amico e socio Julio Santucho ha rilasciato l’11 giugno 2025, in apertura del XXIV Festival de Cine de Derechos Humanos de America Latina y Caribe di Buenos Aires, Argentina, di cui è stato fondatore nel 1997. In poche righe, Julio ha sintetizzato la sua straordinaria esistenza, segnata dalla lotta contro i regimi dittatoriali che hanno caratterizzato indelebilmente la storia del suo Paese, l’Argentina; con questa riflessione, Julio ha pure spiegato il significato della scelta di avere creato un Festival cinematografico per ricordare un passato doloroso che non è mai definitivamente scomparso. Nel testo si fa riferimento al ruolo svolto da suo fratello Roberto (Robi) fondatore del Partito Armato dei Lavoratori (PRT), di ispirazione guevarista, in cui lo stesso Julio ha militato, che è stato il primo oppositore della dittatura militare degli anni 1976-83. E si fa cenno alla figura di Cristina Navajas, sua prima moglie, desaparecida, trucidata dai militari dopo avere dato alla luce il suo terzo figlio, Daniel, ritrovato soltanto nel 2023, a 46 anni, grazie all’incessante impegno delle Nonne (Abuelas) della Plaza de Majo, le mitiche donne argentine che sconfissero la dittatura senza usare le armi, solo con la loro implacabile e pacifica determinazione. Il loro lavoro silente e inarrestabile ha fatto anche questo miracolo e Daniel è stato il 133simo bambino rapito e ritrovato. Credo che il testo che segue sia il testamento spirituale di Julio che, in tutti questi anni, ha portato nella mente e nel cuore il peso insostenibile di una memoria paragonabile solo a quella di Adelmo Cervi, l’unico sopravvissuto di una grande famiglia massacrata dai fascisti italiani nella parte finale della seconda guerra mondiale. Il racconto di queste memorie, di cui Julio è l’ultimo depositario, rende omaggio infine alla capacità del nostro popolo di ospitare i profughi di guerre e persecuzioni, una virtù che stride, oggi, con il frenetico tentativo del nostro governo di relegare i migranti e i profughi in campi di concentramento, allestiti in tutta fretta per impedire che le file di disperati in fuga dalle guerre possano trovare ospitalità sul nostro territorio. Queste parole ci parlano quindi di un’Italia che sta scomparendo e di un mondo in cui la scelta di dare vita ad un Festival di Cinema dei Diritti Umani per non perdere l’insegnamento della storia si è rivelata opportuna, necessaria e quanto mai attuale. Per questo il nostro Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli, di cui io e lui siamo cofondatori, lo ringrazia e si augura che queste due manifestazioni restino legate ancora per molto, soprattutto ora che la forza è tornata prepotentemente a piegare la storia e il nostro dovere è quello di tornare in trincea, in Argentina come in Italia, nell’America Latina come in Europa. Buona lettura a tutti e a tutte. A questo punto della mia vita, vale la pena ricapitolare. Sono il decimo figlio di una famiglia di cui sono orgoglioso. Essere lo shuika, come si dice in quechua per “figlio minore”, ha i suoi vantaggi e svantaggi. Lo svantaggio è che non ho mai conosciuto nessuno dei miei nonni o nonne. A scuola mi prendevano in giro perché “non hai una nonna” era una specie di insulto. I vantaggi sono che ho avuto un padre e una madre laboriosi e nove fratelli che mi viziavano eccessivamente. Al termine di un’infanzia e un’adolescenza felici, influenzato dal fervente cattolicesimo di mia madre e nonostante la feroce opposizione di mio fratello Robi, ho deciso di intraprendere la carriera sacerdotale, che mi ha portato prima a Buenos Aires e poi in Spagna. Durante uno dei suoi viaggi di ritorno da Cuba, Robi venne a trovarmi in Galizia e, grazie a tutte le lettere e alle conversazioni che avevamo avuto fino ad allora, mi convinse definitivamente che era giunto il momento per me di unirmi al Partito Rivoluzionario dei Lavoratori e lottare per la trasformazione del Paese. All’inizio di questo nuovo percorso, conobbi Cristina. E poi, la passione politica e un amore travolgente mi portarono ad abbandonare l’ideale sacerdotale per un ideale più nobile: l’attivismo rivoluzionario. In ogni caso, conseguii la laurea triennale in filosofia e teologia, come mio padre si aspettava da tutti i suoi figli. Robi non era d’accordo perché mi disse che l’ideale sarebbe stato per me essere un prete rivoluzionario, perché avrebbe avuto un profondo impatto sociale. Il mio attivismo nei quartieri popolari della periferia sud e la nascita di due splendidi bambini diedero inizio a quello che fu forse il periodo più felice della mia vita. Facemmo attività legale nel Comitato di Base di Avellaneda fino al 1974, quando iniziò la repressione delle Tripla A. Non potevo più circolare con il mio documento d’identità a nome di Santucho. Poi, il Partito ci indirizzò a lavorare nelle Scuole Politiche, un’esperienza clandestina straordinaria che migliaia di compagni vissero, e la polizia non riuscì mai a scoprirci. In ogni caso, sentirci parte di un cambiamento storico ci riempì il cuore di gioia e minimizzò i rischi che correvamo. Nel 1976, la mia famiglia subì dei lutti gravissimi e ci fu il colpo di stato. Persi cinque fratelli e cinque donne, a cominciare dalla mia Cristina, due nuore e due nipoti. Non lo dico per suscitare pietà, ma perché sono orgoglioso che in quell’ondata di mobilitazione popolare la nostra famiglia abbia contribuito con la sua parte di combattenti e, di conseguenza, sia scomparsa. Poi arrivò l’esilio. Qualcosa di difficile da affrontare. I miei figli mi prendevano in giro perché passavo troppo tempo ad ascoltare il folklore, soprattutto Mercedes Sosa. Mi sistemai, mi risposai e questa meraviglia che è Florencia apparve nella mia vita. Ho ottenuto un lavoro all’università come professore durante il boom della letteratura latinoamericana. Era un lusso accompagnare i giovani nelle loro letture di Borges, Cortázar, García Márquez, Vargas Llosa, Asturias, Debenedetti, Galeano, ecc. Una musa ispiratrice mi ha ispirato a pensare che fosse appropriato introdurre i media audiovisivi nell’insegnamento, perché le opere di molti di questi autori erano state adattate per il cinema. Fu un enorme successo. Le mie classi erano piene di studenti di altri corsi di laurea. Questa era la conferma che i media audiovisivi stavano iniziando a essere il linguaggio preferito dai giovani. Il progetto di far tornare la famiglia in Argentina è stato interrotto perché la madre di Florencia è entrata in politica ed è diventata sindaco di un municipio di Roma, il che alla fine ha portato alla nostra separazione. Il mio figlio maggiore frequentava già l’università. Così, sono tornato in Argentina nel 1993, accompagnato solo da Miguel, che era già innamorato dell’Argentina. Quando sono arrivato a Buenos Aires, mi sono reso conto che, sebbene ci fosse già una significativa produzione cinematografica sui diritti umani, non c’erano canali per la sua distribuzione. Esisteva solo il Festival del Cinema di Mar del Plata; non esisteva ancora il Bafici, né i cinema indipendenti. Così iniziai a lavorare per organizzare un Festival del Cinema sui Diritti Umani. La società argentina era traumatizzata dal terrore imposto dalla dittatura. Solo le Madri di Plaza de Mayo facevano il loro giro, nell’indifferenza generale. Ma nel 1996 quell’incantesimo si ruppe. Era nata l’organizzazione HIJOS (Figli). Il 24 marzo 1996 fu una giornata storica: in ogni città del Paese, la gente scese in piazza per gridare MAI PIÙ (Nunca mas). Era la prima volta che Plaza de Mayo si riempiva di proclami di Memoria, Verità e Giustizia. I giornali pubblicarono speciali sulla dittatura e sui campi da calcio fu osservato un minuto di silenzio per i 30.000 desaparecidos. Era il momento di fondare il Festival del Cinema sui Diritti Umani. Ci riuscimmo il 24 marzo 1997, e da allora questa è stata la nostra trincea. Nel dicembre 2001, Florencia venne in vacanza, come ogni anno. Quando si imbatté nella ribellione sociale che dilagava per le strade, mi disse: “Io resto qui, in Italia non succede niente”. E da allora, il volto del Festival è cambiato, diventando più giovane, più femminista, più indigeno, più ambientalista, più globale, come lo è oggi. Non credo di avere abbastanza meriti per ricevere l’enorme dono che la vita mi ha fatto quando siamo riusciti a recuperare mio figlio Daniel, che era stato rubato dalla dittatura. Abbiamo recuperato una parte di Cristina, la cui perdita ci ha addolorato, ma è anche una vittoria per la democrazia e una sconfitta per la dittatura genocida che ha messo in atto un piano sistematico per rubare i figli dei rivoluzionari e far loro il lavaggio del cervello, cosa che non è riuscita a fare con Daniel. Inoltre, Dani è arrivata con una meravigliosa sorpresa: due nipoti tenerissime che portano il totale a quattro figli amorevoli e sei nipoti esplosivi. Cosa si può chiedere di più! Infine, nel 1976, quando sterminarono gran parte della nostra famiglia, mio padre compì 80 anni. Lungi dal deprimersi e dal ritirarsi a leccarsi le ferite, andò a combattere contro la dittatura. Ho accompagnato i miei due genitori anziani in un tour in Europa, dove siamo stati ricevuti dai capi di stato di Italia, Francia, Germania e Svezia per testimoniare che in Argentina era in corso un genocidio. Hanno poi testimoniato davanti alla Commissione per gli Affari Esteri del Senato degli Stati Uniti. Paradossalmente, nello stesso Paese il cui potere esecutivo ha promosso i colpi di Stato in Cile, Argentina e altri Paesi, il potere legislativo ha emesso la prima condanna internazionale della dittatura di Videla con la risoluzione che interrompe gli aiuti militari all’Argentina per violazioni dei diritti umani. A 80 anni, finché ne avrò la forza, non abbandonerò questo splendido luogo di lotta che è il Festival del Cinema per l’Ambiente e i Diritti Umani, per contrastare la battaglia culturale reazionaria di questo governo e di tutti quelli che verranno. Sebbene mi sia dimesso dalla carica di presidente del Festival per lasciare il posto ai giovani formati negli ultimi anni che lo organizzano meglio di me, non potrei vivere senza il Festival. Grazie.   Maurizio Del Bufalo
Le proteste dell’ICE si estendono da Los Angeles a New York
New York – Press TV. Mentre le rivolte a Los Angeles contro gli agenti dell’ICE e il Presidente Trump prendono una piega violenta, la città di New York, tra le altre città degli Stati Uniti, ha iniziato la propria manifestazione di solidarietà con i manifestanti di Los Angeles. I manifestanti hanno occupato le strade di fronte al tribunale federale per chiedere all’ICE di interrompere la sua campagna contro immigrati e lavoratori a New York. Manifestanti e oratori hanno accusato l’amministrazione Trump di applicare politiche fasciste contro il popolo, mentre mostravano cartelli che riconoscevano che gli USA sono fatti di immigrati. Uno striscione illustrava la lotta comune dei palestinesi e dei nativi statunitensi sotto i regimi imperialisti degli Stati Uniti e dei loro alleati. > “Chiaramente, quello che sta succedendo è anormale. Si tratta di vere […] > violazioni della legge, dei diritti e dei diritti umani. E sono contento che > ci siano persone qui per dire qualcosa al riguardo”. > > Manifestante 01. > “Gli Stati Uniti sono pesantemente militarizzati, le implicazioni e l’impatto > che hanno avuto a livello globale sono incredibili, e le persone devono > comprendere il tipo di impatto e il messaggio che gli USA inviano. E per loro > iniziare a diffondere questo regime pieno d’odio, deportando gli immigrati, > ovviamente, persone che hanno costruito questo paese. Voglio dire, tutti noi > proveniamo da famiglie di immigrati”. > > Manifestante 02. L’invio di Marines e della Guardia Nazionale statunitensi a Los Angeles ha fatto infuriare i manifestanti di New York, che ora hanno lanciato una serie di proteste contro l’ICE. I newyorkesi adesso stanno prendendo posizione in solidarietà con i manifestanti di Los Angeles e gli immigrati, in una situazione che potrebbe trasformarsi in una serie di manifestazioni anti-Trump a livello nazionale. Proteste in tutto il paese si sono svolte in molti stati, come California, Texas e Colorado. Gli oratori di New York hanno sottolineato l’unità della popolazione contro il programma capitalista e razzista che separa famiglie e bambini. Le forze statunitensi sparano gas lacrimogeni e proiettili di gomma contro i manifestanti a Los Angeles. > “Non si tratta di chi è legale o chi è illegale, perché, come ha detto mio > fratello, non c’è nessuno illegale su terra rubata. Si tratta di una guerra > contro gli immigrati e le persone di colore. L’attuazione di un nuovo divieto > per musulmani e africani è iniziata ieri. Sorpresa, sorpresa: i paesi presenti > nella lista sono tutti neri e ispanici, e per lo più a maggioranza musulmana”. > > Linda Sarsour, attivista. > Sono qui oggi perché stanno sequestrando e facendo sparire persone. Sono > un’educatrice e non posso restare a guardare mentre famiglie e bambini vengono > strappati dalle loro case, e c’è un filo diretto con l’ICE, con Gaza, con la > Cisgiordania. […] non possiamo ignorare il fascismo qui o all’estero. > > Manifestante 03. Mentre Los Angeles ora affronta i Marines e la Guardia Nazionale, molti temono che la stessa sorte possa toccare a New York. Detto e fatto, una cosa è certa: il potere degli immigrati, dei lavoratori e degli oppressi rimane dominante di fronte all’oppressione. Traduzione per InfoPal di F.H.L.