Adesso finalmente è fuori
GEORGES IBRAHIM ABDALLAH, MILITANTE COMUNISTA LIBANESE, È LIBERO DOPO UNA
PRIGIONIA DI 40 IN FRANCIA. L’ACCANIMENTO DI USA E ISRAELE
Georges Ibrahim Abdallah è libero dopo 40 anni trascorsi dietro le sbarre in
Francia. Il militante libanese filopalestinese, condannato negli anni ’80 per
complicità nell’omicidio di diplomatici americani e israeliani, ha lasciato il
carcere venerdì mattina ed è partito per Beirut.
L’aereo che lo trasportava in Libano è decollato poco dopo le 9:30 del 25 luglio
dalla pista dell’aeroporto di Roissy, nella regione parigina, secondo quanto
riferito all’AFP da una fonte aeroportuale.
Verso le 03:40, un convoglio di diversi veicoli, tra cui due furgoni neri, è
partito dal centro penitenziario di Lannemezan (sud-ovest) dove era detenuto
Georges Abdallah, con le sirene accese, come ha constatato una troupe dell’AFP
senza però riuscire a vedere il militante dalla barba ormai bianca. Una fonte
vicina al caso ha confermato che l’ex insegnante, oggi settantaquattrenne, era
effettivamente uscito. Era poi partito da un aeroporto vicino per la regione
parigina.
“Stava bene, era in buona salute, molto felice di tornare in Libano dalla sua
famiglia e di ritrovare la libertà dopo più di 40 anni”, ha detto all’AFP il
chargé d’affaires dell’ambasciata libanese a Parigi, Ziad Taan, che lo ha visto
a Roissy prima della sua partenza.
Georges Abdallah ha anche “speso parole di elogio nei confronti dei responsabili
della prigione di Lannemezan”, lodando il “trattamento umano” ricevuto sul
posto, ha precisato.
«Quarant’anni sono tanti, ma non si sentono quando c’è una dinamica di lotta»,
aveva assicurato all’AFP, il militante libanese all’inviato dell’agenzia di
stampa che lo aveva incontrato il giorno della decisione di rilascio, nella sua
cella, accompagnando una parlamentare.
Il procuratore generale di Parigi ha annunciato lunedì un ricorso in cassazione
contro questa decisione. Il ricorso, che non sarà esaminato prima di diverse
settimane, non ha effetto sospensivo e non ha potuto impedire la partenza di
Georges Abdallah.
Negli ultimi giorni, Georges Abdallah ha quindi svuotato la sua cella, decorata
con una bandiera rossa di Che Guevara e piena di pile di giornali e libri, che
ha affidato al suo comitato di sostegno.
Ha dato la maggior parte dei suoi vestiti ai compagni di detenzione e porta con
sé solo «una piccola valigia», secondo il suo avvocato.
I suoi cari sperano che sarà accolto nella «sala d’onore» dell’aeroporto di
Beirut. Hanno chiesto l’autorizzazione alle autorità libanesi, che da anni
chiedevano alla Francia il suo rilascio.
Georges Abdallah si recherà poi nel suo villaggio natale di Kobayat (nel nord
del Libano), dove «gli sarà riservata un’accoglienza popolare e ufficiale»,
secondo la sua famiglia.
La durata della sua detenzione è “sproporzionata” rispetto ai crimini commessi e
all’età dell’ex capo delle FARL (Frazioni Armate Rivoluzionarie Libanesi), hanno
giudicato i magistrati della corte d’appello.
La decisione è stata presa dalla Corte d’Appello di Parigi l’11 luglio 2025.
Abdallah, ex leader della Frazione Armata Rivoluzionaria Libanese (FARL), gruppo
marxista e filo-palestinese, era stato condannato all’ergastolo nel 1987 per
complicità negli omicidi di due diplomatici — il tenente colonnello americano
Charles Ray e poi l’israeliano Yacov Barsimantov, considerato il responsabile
del Mossad in Francia, ucciso da una donna davanti alla moglie e ai due figli.
La condanna è stata al centro di numerose critiche per le irregolarità
processuali riconosciute anche da osservatori ufficiali.
All’epoca dei fatti, nel contesto della guerra civile libanese e dell’invasione
israeliana del Libano meridionale nel 1978, le FARL prendevano di mira gli
interessi di Israele e del suo alleato americano all’estero.
Prima dell’arresto di Georges Abdallah nel 1984, il gruppo aveva colpito cinque
volte in Francia, uccidendo i due diplomatici nel 1982. Ha sempre negato il suo
coinvolgimento nell’assassinio dei diplomatici, rifiutandosi però di condannare
gli “atti di resistenza” contro “l’oppressione israeliana e americana”.
Identificato grazie alle impronte rinvenute in un nascondiglio pieno di
esplosivi e armi, tra cui la pistola utilizzata per i due omicidi, Georges
Abdallah era comparso da solo in tribunale nel 1987: era diventato il nemico
pubblico numero 1 e il prigioniero più famoso di Francia perché si credeva, a
torto, che fosse dietro l’ondata di attentati del 1985-86 che causò 13 morti.
Era stato condannato all’ergastolo.
Nonostante Abdallah fosse tecnicamente liberabile già dalla fine degli anni ’90,
tutte le sue richieste sono state sistematicamente respinte, in gran parte a
causa delle forti pressioni esercitate dagli Stati Uniti. Come documentato da
Mediapart, Washington ha costantemente sollecitato la giustizia francese a
mantenere in carcere l’ex militante, sostenendo che la sua liberazione
rappresenterebbe un rischio per la sicurezza dei propri diplomatici e che, non
avendo mai rinnegato le sue convinzioni politiche, potrebbe «riprendere attività
violente». In passato, come rivelato dai cables diplomatici pubblicati da
WikiLeaks nel 2015, gli Stati Uniti si erano mossi attivamente anche per
bloccare il decreto di espulsione necessario al suo rilascio, come avvenne nel
2013 su richiesta diretta di Hillary Clinton all’allora ministro degli Esteri
francese Laurent Fabius.
Il suo avvocato, Jean-Louis Chalanset, ha definito la liberazione una «vittoria
politica contro gli Stati Uniti» e anche «una vittoria della giustizia
francese», affermando che «la giustizia ha superato la politica». Il tribunale
ha motivato la decisione affermando che quarant’anni di prigione costituiscono
una durata ormai sproporzionata rispetto ai fatti commessi e alla pericolosità
attuale dell’uomo. La Corte ha anche riconosciuto come condizione per la
scarcerazione l’espulsione di Abdallah verso il Libano.
Durante il periodo di detenzione, Georges Abdallah è diventato un simbolo per
vari movimenti antimperialisti e filo-palestinesi. La sua liberazione è stata
sostenuta da una mobilitazione costante, in particolare da parte del Collectif
unitaire pour la libération de Georges Abdallah, attivo da decenni, e da reti di
solidarietà come Palestine Vaincra. Le manifestazioni organizzate davanti al
carcere di Lannemezan, dove Abdallah è detenuto, sono state citate dalla stessa
Corte d’Appello come elemento che rendeva rischioso, per l’ordine pubblico, un
ulteriore prolungamento della detenzione.
Anche L’Anticapitaliste, il sito del Nouveau Parti Anticapitaliste (NPA), ha
ricordato le gravi anomalie del processo del 1987, tra cui il ruolo controverso
del primo avvocato di Abdallah, Jean-Paul Mazurier, che avrebbe agito come
informatore dei servizi francesi.
Secondo quanto ricostruito da Mediapart, gli Stati Uniti si sono costituiti
parte civile nel ricorso contro la sentenza di liberazione del 2024, reiterando
le proprie preoccupazioni e chiedendo un risarcimento danni che il detenuto,
oggi settantaquattrenne e senza reddito, non era in grado di pagare. La Corte,
nella sentenza del 17 luglio, ha giudicato irragionevole questa pretesa,
specificando che il risarcimento potrebbe essere eventualmente sostenuto da
terzi.
Infine, la figura di Abdallah è oggi considerata, anche dalla giustizia
francese, distinta da quella dei membri delle organizzazioni jihadiste. La Corte
lo ha definito «laico e comunista», riconoscendo come il suo caso abbia assunto
un valore simbolico. Come dichiarato da Chalanset, se gli israeliani «lo
uccidessero a Beirut, come è possibile che facciano, morirebbe libero come
resistente».
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