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FERMI E DEPORTAZIONI DI ATTIVISTI E ATTIVISTE DELLA GLOBAL MARCH TO GAZA GIUNTI IN EGITTO
Dura repressione delle autorità egiziane contro centinaia di attivisti e attiviste arrivati da tutto il mondo presso l’aeroporto internazionale del Cairo per partecipare alla Global March to Gaza. Convogli di civili e migliaia di persone da tutto il mondo (7mila secondo le ultime stime dell’organizzazione) stanno raggiungendo l’Egitto per marciare insieme verso il valico di Rafah, confine con la Striscia di Gaza, per rompere via terra l’assedio imposto da Israele e portare aiuti umanitari alla popolazione civile ridotta alla fame dalle forze di occupazione israeliane. Presso l’aeroporto internazionale del Cairo, a partire dalla serata di ieri, chiunque arrivasse da scali internazionali – in particolare da Italia ed Europa – è stato fermato, interrogato e in diversi casi rimpatriato. Sono ancora in corso interrogatori e fermi: nonostante gli organizzatori fossero in contatto con la diplomazia egiziana, il Cairo ha mobilitato esercito e polizia per bloccare attivisti e attiviste. A molti di loro sono stati sequestrati passaporti e telefoni e si trovano da ore bloccati all’aeroporto. Diverse persone sono già state rimpatriate in Italia. Altre sono state deportate in Turchia e poi rimpatriate. Ore 9.30 – Il collegamento con Antonietta Chiodo, portavoce italiana della Global March to Gaza. Ascolta o scarica.
GLOBAL MARCH TO GAZA: ANCHE DUE BRESCIANE ALLA MARCIA PER ROMPERE L’ASSEDIO DI ISRAELE SULLA PALESTINA
Global march to Gaza. Migliaia di attivisti, attiviste e civili da tutto il mondo si sono organizzati per marciare verso la Striscia di Gaza e cercare di rompere il soffocante assedio di Israele sulla Palestina. Già partiti i primi convogli da Tunisia e Algeria. 54 le delegazioni internazionali. Da giovedì 12 giugno diversi parteciparti alla marcia partiranno anche dall’Italia, in direzione Egitto. Il convoglio italiano, che vede come referente nazionale Antonietta Chiodo, ha tra i 200 partecipanti anche due bresciane. Una di loro è Chiara, già volontaria alla Festa di Radio Onda d’Urto e attivista. Radio Onda d’Urto l’ha intervistata. Ascolta o scarica.
La resistenza israeliana: quanto conta quella marcia verso Gaza
Il gesto di solidarietà simbolico di ebrei e arabi mostra che la guerra non ha sconfitto il desiderio di pace. I contrari al conflitto sono i due terzi. «Non siamo impotenti. Di fronte alla tragedia di questa guerra, alziamo insieme la voce, per dire basta». Cappellino per difendersi dal sole, t-shirt e pantaloni, qualche migliaio di cittadini israeliani, ebrei e arabi – almeno duemila per le forze di sicurezza, ben di più a giudicare dalle immagini – ha marciato da Tel Aviv fino al confine della Striscia, un’ottantina di chilometri a sud portando sulle spalle sacchi di generi alimentari. Una dimostrazione simbolica: sapevano che le autorità israeliane non avrebbero consentito agli aiuti di oltrepassare il valico di accesso. Eppure questo non ha impedito a Standing together e a una miriade di altri gruppi di mettersi in cammino. Non tanto per raggiungere una meta, bensì per mostrare con il proprio corpo il movimento in atto da tempo nella società israeliana, molto più plurale e complessa di come spesso viene rappresentata. La guerra, drammaticamente, ne ha acuito le tensioni, ma ha anche mostrato un fermento in apparenza sopito. L’opposto della narrativa promossa dal governo di Benjamin Netanyahu che ha cercato e cerca di paralizzare il Paese nello choc del 7 ottobre. Il sostegno al conflitto, sull’onda del massacro di Hamas, da tempo ha smesso di essere maggioritario. Fin dal principio, in realtà, a ben osservare, la presunta unanimità appariva più una reazione di pancia che una scelta di campo. I gruppi e i movimenti impegnati per la pace, nonostante il duro colpo, sono stati capaci di resistere. E di reinventarsi grazie anche all’inclusione di nuove leve. Se i familiari degli ostaggi sono stati i primi a manifestare in difesa dei propri cari, questi ultimi hanno cominciato ad affiancarli già dalla fine del 2023. Il punto di svolta è stata l’invasione di Rafah della primavera successiva, che ha mostrato al pubblico l’assenza di un orizzonte politico da parte del premier al di là della retorica della «vittoria totale». In centomila sono rimasti accampati una settimana davanti alla Knesset di Gerusalemme per protestare contro il governo. In prima linea, certo, c’erano i familiari dei rapiti, ma accanto, su Kaplan street, c’erano formazioni di diverso orientamento, dai progressisti ai conservatori, veterani delle dimostrazioni contro la riforma giudiziaria, ex militari e formazioni pacifiste. A questo periodo risale anche la prima presa di posizione pubblica di un gruppo di riservisti. Da allora è stato un crescendo, come confermato dai due eventi di It’s time – a luglio 2024 e lo scorso mese – che hanno riunito decine di organizzazioni e migliaia di persone determinate a immaginare alternative al muro contro muro. La marcia verso il confine affonda le radici in questo processo. E, al contempo, gli dà ulteriore slancio. Perché dimostra la capacità di collaborazione stabile fra i differenti raggruppamenti e settori. E che la guerra, l’orrore, la violenza non hanno sconfitto il desiderio di incontro fra questi due popoli: i nostri lettori, a giudicare dai commenti su Facebook, lo hanno compreso. Si insiste, a volte, sul fatto che, comunque, rappresentano una minoranza. In realtà, le recenti rilevazioni rivelano che a essere minoranza – un terzo della popolazione – sono i sostenitori del conflitto. I due terzi chiedono un accordo. Non tutti per le stesse ragioni, è ovvio: per molti la priorità è salvare gli ostaggi, per altri mettere fine alla carneficina, di civili ma anche di soldati, nella Striscia, per altri ancora uscire dalla crisi economica e politica causata dalla temperie bellica. Il punto è semmai tradurre questa consapevolezza civile in un’alternativa politica concreta. In questo, Israele è lo specchio rovesciato della Palestina. Anche in Cisgiordania e a Gaza – nella prima lo certificano i sondaggi, nella seconda lo confermano le manifestazioni anti-Hamas sotto i bombardamenti – l’appoggio agli estremisti non supera il 30 per cento dei cittadini. Il resto, però, non è ancora riuscito a tradurre il sentire in un programma di rinnovamento della leadership. Israeliani e palestinesi, però rifiutano di attendere inerti tale maturazione. Il popolo della pace, pur tra mille ostacoli, continua a camminare. Ripubblicazione autorizzata dall’autrice Redazione Italia