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La popolazione sudanese come popolazione sacrificata – di Gennaro Avallone
Il mondo trabocca di aree territoriali e popolazioni sacrificate. È questo un dato di lungo periodo che si ritrova nelle origini della storia del modo di produzione e organizzazione della natura che chiamiamo capitalismo. Sono state aree sacrificate quelle della conquista spagnola lungo il 1500. Lo sono state le aree africane della caccia alle [...]
SUDAN: IL CONFLITTO DIMENTICATO A RISCHIO “SCENARIO LIBICO”, 25 MILIONI I DENUTRITI
Un attacco di droni ha colpito questa mattina le vicinanze dell’aeroporto internazionale della capitale del Sudan, Khartoum. Il raid avviene a un giorno dalla riapertura dello scalo per la prima volta in oltre due anni di guerra civile tra l’esercito regolare e le Forze di Supporto Rapido, le milizie paramilitari. I voli nazionali avrebbero dovuto riprendere una volta completati i preparativi tecnici e operativi. Non vi è stata alcuna rivendicazione immediata di responsabilità e non sono state rilasciate informazioni sulle vittime o sui danni. L’aeroporto è chiuso da quando, ad aprile 2023, sono scoppiati gli scontri che hanno causato gravi danni alle infrastrutture vitali della capitale. Testimoni hanno riferito di aver sentito i droni nel centro e nel sud di Khartoum e i suoni delle esplosioni nell’area dell’aeroporto dalle 4.00 alle 6.00 ora locale. L’attacco è il terzo in sette giorni contro la capitale da parte dei droni, che la scorsa settimana hanno preso di mira la capitale Khartoum per due giorni consecutivi, colpendo anche due basi militari nel nord-ovest della città. Nel conflitto dimenticato iniziato nell’aprile del 2023, 12 milioni di persone sono fuggite dalla propria abitazione (4 milioni quelle che hanno lasciato il Sudan), 30 milioni necessitano di aiuti umanitari e 25 milioni vivono l’insicurezza alimentare. Per porre un argine al conflitto dimenticato e alla gravissima crisi umanitaria, i Missionari Comboniani chiedono al Governo Italiano, tramite i canali di Nigrizia, un intervento urgente per istituire corridoi umanitari protetti per i civili bloccati senza cibo a El Fasher, città assediata in Darfur. Altra notizia che andiamo ad approfondire riguarda la banca BNP Parisbas: la scorsa settimana è stata condannata da un tribunale di Manhattan a pagare oltre 20 milioni di dollari a tre rifugiati sudanesi, ora residenti negli Stati Uniti, che le avevano fatto causa con l’accusa di avere contribuito ai crimini del regime, quello di Omar al-Bashir, al quale la banca aveva offerto i suoi servizi tra il 1997 e il 2011. Crollo delle azioni in borsa, con i vertici della banca e gli investitori che ora temono di vedersi sommergere da migliaia di richieste di risarcimento, dopo che il “caso pilota” è andato a segno. A detta degli analisti di BDL Capital Management “il numero potenziale di vittime coinvolte – circa 23.000 persone – espone la banca a un rischio teorico di risarcimenti fino a 150 miliardi di dollari”. L’approfondimento con Brando Ricci, giornalista di Nigrizia. Ascolta o scarica
Campagna Banche Armate. L’ 11 giugno a Cagliari contro la finanza di guerra
In Sardegna, isola martoriata dalla presenza delle basi militari, avvelenata da continue esercitazioni belliche, con la presenza dell’ingombrante fabbrica di bombe RWM, non ci si arrende facilmente. Se i poligoni sono così protetti e la fabbrica così ben difesa da spuntarla sempre nei procedimenti amministrativi e penali fin qui intentati dalla società civile, si può sempre tentare di smuovere qualcosa nel mondo delle banche che, con i loro finanziamenti e i loro servizi, supportano di fatto l’industria bellica: le cosiddette “banche armate”. È quanto pensato e messo in pratica dal Comitato Sardo Campagna Banche Armate, che ha scelto di provare ad aprire un dialogo con gli istituti di credito cui, volenti o nolenti, siamo costretti ad avere a che fare. Perché allora non riprendersi il proprio potere di clienti e, innanzitutto, di cittadini, per chiedere alla propria banca se compie servizi per le industrie di armamenti e verso quali Paesi? Se la loro risposta non ci soddisferà, sapremo fare le nostre scelte. Così ci raccontano gli attivisti del comitato, nella sede cagliaritana dell’Unione Sindacale di Base che, insieme al Movimento Nonviolento Sardegna, ha fatto propria questa campagna, invero già lanciata nel 2000 e poi ripresa nel 2020, dalle riviste Mosaico di pace, Nigrizia e Missione Oggi, assieme ad Azione Nonviolenta e Osservatorio Diritti. “L’idea centrale della campagna” ci spiega Filippo “è quella di fare pressione per spingere le banche a cambiare la propria politica riguardo all’industria degli armamenti. Come? Interrogando le banche, e chiedendo risposte chiare e trasparenti. Alle banche si può chiedere tutto sul loro coinvolgimento con il settore delle armi, tranne il nome delle aziende”. “Per questo abbiamo avviato una interlocuzione riservata con Il Banco di Sardegna, banca storica dell’Isola, che fa parte del gruppo BPER, e con Poste Italiane, perché entrambe sono fortemente presenti sul territorio sardo ed entrambe risultano nell’elenco delle banche armate, sebbene siano distanti dalle prime in classifica, come Unicredit o Intesa-Sanpaolo”, “La terza banca che abbiamo interpellato, -interviene Antonella– è la Banca Valsabbina, che non ha sportelli in Sardegna, ma che è già stata oggetto della Campagna di pressione alle banche armate nel 2017, in quanto banca di riferimento della RWM, che ha la sua fabbrica di bombe a soli cinquanta chilometri da qui. Fabbrica diventata tristemente famosa per le bombe d’aereo utilizzate nella guerra in Yemen anche su obiettivi civili, contribuendo a quella l’ONU ha dichiarato essere la più grave crisi umanitaria dalla fine della seconda guerra mondiale. Nel 2021 il governo italiano ha revocato le autorizzazioni all’esportazione, finora unico caso di puntuale applicazione della legge 185/90. Attualmente la RWM produce bombe d’aereo per i caccia, munizioni per l’Ucraina, mine marine per l’Australia, e droni killer su licenza israeliana per il mercato dell’UE. Banca Valsabbina, naturalmente, non si è nemmeno degnata di risponderci.” Scontato. “Ma forse altre banche saranno spinte a riflettere e ad ascoltare le ragioni dei loro clienti, soprattutto nella misura in cui questi sapranno diventare massa critica,” sostiene Federico, mentre prepara un cartello con su scritto: “NO ALLA FINANZA DI GUERRA”. Poi aggiunge: “Il punto di forza di questa campagna sta proprio nel portare avanti un’azione nonviolenta in maniera organizzata e coordinata con le associazioni pacifiste e le cittadine e i cittadini. Già diverse associazioni e organizzazioni della società civile hanno aderito alla campagna. Non è sempre facile convincere le persone a partecipare, ma continuando e dando l’esempio, siamo certi che molti altri si uniranno. Così, dopo le interlocuzioni, il comitato lancia un’iniziativa pubblica: per l’11 giugno, alle 10, è convocato un sit-in conferenza stampa nel piazzale antistante la sede centrale del Banco di Sardegna, in viale Bonaria, a Cagliari. “Contiamo di dare massimo risalto all’iniziativa”, ci dice Carlo, “dovrà essere un momento di sensibilizzazione e informazione e, allo stesso tempo, di pressione. È uno dei pochi strumenti che ci restano: la pressione popolare, la riappropriazione di un potere di scelta, su basi etiche e politiche. Questa campagna è dentro un quadro di lotta più ampia, in Sardegna e nel mondo, contro la guerra ed il saccheggio del pianeta”. Dobbiamo provare, dobbiamo crederci. Questo ci dicono i militanti di questa battaglia politica disarmata e disarmista, una lotta nonviolenta per portare allo scoperto le banche che convivono con le industrie d’armamenti. Per chi vuole appoggiarli o avere maggiori informazioni comsardo.campagna.banchearmate@gmail.com Redazione Sardigna