Tutta colpa dei pacifisti!
A riguardo della ricerca del Censis ‘Gli italiani e la guerra’ (di cui su
Pressenza è stata pubblicata lunedì una sintesi di Giovanni Caprio
https://www.pressenza.com/it/2025/07/gli-italiani-in-guerra-indagine-sulla-percezione-dei-conflitti-e-sul-riarmo-nella-societa-italiana/)
vi proponiamo una riflessione di Pasquale Pugliese , filosofo, della Rete pace e
nonviolenza Emilia-Romagna,
https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/07/22/censis-italiani-pacifisti-impreparati-guerra-notizie/8069239/
Tutta colpa dei pacifisti! Gli italiani ‘impreparati alla guerra’ bacchettati
dal Censis
Forse all’Istituto bisognerebbe fare un corso accelerato sulla lingua della
Costituzione, specificando il significato del verbo “ripudiare” la guerra .
La recente indagine del Censis “Gli italiani e la guerra” descrive un Paese che
ha una diffusa coscienza pacifista, molto più profonda delle sue classi
dirigenti.
Alla domanda “come reagirebbe se l’Italia fosse coinvolta direttamente in una
guerra e fosse richiamato dalle Forze armate?”
Il 39% protesterebbe in quanto pacifista e il 19% diserterebbe: solo il 16% si
dichiara pronto a combattere. Inoltre, l’opinione dominante è che l’Italia debba
restare fuori dai teatri di guerra: “è il ritratto di un’Italia che rifiuta la
retorica bellicista”, scrive il Censis.
Se pure il 25% sostiene che “dobbiamo investire nella nostra difesa militare,
anche riducendo la spesa pubblica per la sanità e la previdenza” – come prevede
l’aumento delle spese militari al 5% del Pil – in dieci anni, segnala la
ricerca, la spesa militare italiana è già aumentata del 46,0% in termini reali.
Nel 2024 l’Italia ha destinato alla difesa 35,6 miliardi di dollari,
posizionandosi al 5° posto nella Nato in termini assoluti, alle spalle di Stati
Uniti, Germania, Regno Unito e Francia. Inoltre contribuiamo già in modo
rilevante al suo funzionamento, coprendo l’8,5% del budget complessivo della
Nato, posizionandosi al 5° posto tra i finanziatori. Sul piano delle risorse
umane, inoltre, il personale militare italiano conta 171.000 unità: un
contingente che ci vede preceduti da Stati Uniti, Turchia, Polonia, Francia e
Germania, ma davanti a Regno Unito e Spagna.
L’aumento delle spese militari italiane si inserisce in un trend decennale di
crescita globale degli armamenti, come certificato dal SIPRI, ma invece di
ridurre i conflitti armati nel mondo – come vorrebbe l’obsoleto adagio che se
vuoi la pace devi preparare la guerra – il Censis riconosce che essi sono
proliferati: dagli 86 registrati nel 1989 siamo passati a 184 nel 2024.
Parallelamente, le vittime sono cresciute in modo drammatico, aumentando da
67.346 nel 1989 a 159.837 nell’ultimo anno.
Ma insieme alle spese militari, alle guerre ed alle vittime, sono cresciuti i
profitti dell’industria bellica internazionale, compresa quella italiana. Nel
2024 – è ancora il Censis a segnalarlo – l’Italia ha autorizzato esportazioni di
armamenti per 7,7 miliardi di euro, in crescita del 23,6% rispetto all’anno
precedente. I prodotti principali sono aeromobili, navi da guerra, missili e
artiglieria pesante, e oltre il 50% degli incassi sono andati a Leonardo e
Fincantieri. Dal lato delle importazioni, l’Italia ha acquistato armamenti per
744 milioni di euro, principalmente da Stati Uniti e Israele. Eppure il Censis,
cinicamente, vede l’aspetto positivo della “domanda di armamenti, sostenuta
dalle tensioni geopolitiche globali”, perché “potrebbe stimolare un’economia
italiana che stenta a superare la crescita da zero virgola”.
Infatti, secondo il Censis – che non si limita a fotografare dati e opinioni, ma
le giudica – la questione da sottolineare non è che la deterrenza armata non
funzioni (se non per i profitti dell’industria bellica) perché alimenta anziché
eliminare i conflitti armati, ma l’impreparazione della società italiana alla
guerra: “Una impreparazione culturale e psicologica” che non riesce a concepire
la guerra come ineluttabile, “ritenendo ancora” – aggiunge – “di poterla
aggirare con astuzie politico-diplomatiche”. Il Censis, ignorando che il ripudio
della guerra non è “un’astuzia” ma un Principio fondamentale della Costituzione,
bacchetta la società italiana perché “indugia in un neutralismo
autoreferenziale, inadatto a un’epoca segnata dal ritorno prepotente della
politica di potenza come fattore essenziale dell’azione degli Stati a livello
globale: un orizzonte minaccioso in cui la soluzione bellica diventa ordinaria”.
Il problema per il Censis non è il capovolgimento di scenario che normalizza la
guerra: problematici sono gli italiani per i quali “non ci sono guerre giuste né
giustificate. La nostra società opera come una fabbrica dell’innocenza che
ritiene possibile preservare il territorio nazionale e quello europeo come uno
spazio irriducibilmente votato alla pace, come se la guerra fosse una scelta e
quindi bastasse rifiutarla per allontanarla”. Forse al Censis bisognerebbe fare
un corso accelerato sulla lingua della Costituzione, specificando il significato
del verbo “ripudiare”, più forte dello stesso “rifiutare”. Ma questi italiani
retrogradi, “restii ad accettare il nuovo mondo, quello in cui si è visibilmente
insediato lo stato di guerra, in cui il ricorso alle armi è di fatto una scelta
praticabile”, continuano a pensare che la guerra sia inaccettabile: vivono in
una “anestesia collettiva che ha rimosso ogni simbolo bellico”.
Una colpa, secondo il Censis, dovuta al lungo periodo di pace nel quale siamo
vissuti, imbevuti di cultura pacifista.
Leggere per credere: “Il rifiuto dell’idea della guerra è il frutto del
prolungato periodo di pace vissuto da diverse generazioni di italiani.
L’abolizione della leva obbligatoria ne è un esempio. Aggiungiamo pure una
cultura pacifista profondamente radicata nel Paese, come portato storico di
tradizioni politico-ideologiche di intere generazioni, nonché dell’impegno
cattolico”.
Insomma è colpa dell’egemonia culturale pacifista.
Ma ora basta! “Ritornano dominanti politiche nazionali di potenza. E la guerra
irrompe prepotentemente nella vita quotidiana, tornando a imporre la sua
grammatica ed estinguendo l’eccezionalità italiana ed europea durata per
ottant’anni. E torna attuale l’idea della guerra come espressione della politica
con altri mezzi”. E’ il ritorno a Clausewitz, che suona la sveglia
“dall’anestesia collettiva di lungo periodo per non essere percepiti come facili
prede e per guadagnarsi credibilità nei consessi internazionali”.
Basta pacifismo, è ora di correre ad arruolarsi. Avanguardia pura.
Pasquale Pugliese