Privatizzare gli spazi, militarizzare la cultura e viceversa
Mettiamo a confronto due aree militari dismesse: il Forte Prenestino, posto in
una periferia popolare a basso reddito pro-capite, e il Forte Trionfale, posto
di fronte un noto istituto comprensivo romano ai confini di uno dei quartieri
più costosi di Roma.
Questi sono solo due esempi dei quindici fortini costruiti dopo il 1870, oltre
il cerchio delle mure aureliane, per la difesa di Roma, ma che stranamente
avevano dei cannoni puntati anche verso il centro della capitale, forse per
sedare una popolazione sempre a rischio di rivolta contro il nuovo padrone
sabaudo.
Il primo, dopo lunghe lotte, è diventato un centro sociale occupato autogestito,
denso di proposte culturali che nascono dal basso, eventi che stimolano la
conoscenza della società al fine di cambiarla in meglio, il tutto all’insegna
dell’autogestione, della spontaneità e senza nessuna volontà di crearne un
profitto.
Il secondo ha subìto un destino diametralmente opposto e sintomatico dei tempi
che stiamo vivendo. Non è più una novità quella della militarizzazione della
cultura operata da Difesa Servizi SpA la società partecipata al 100% dal
Ministero della Difesa preposta a monetizzare la cultura sotto diversi aspetti:
dal promuovere il proprio marketing territoriale, centrato sul made in Italy, in
giro per il mondo accompagnando la nave militare Amerigo Vespucci con il suo
Villaggio Italia, al promuovere eventi culturali di varia natura, partnership
con imprese e soggetti privati, ecc..: insomma il concetto e la “cultura della
difesa” che si ramifica nel tessuto sociale.
Non potevano sfuggire appunto le aree militari dismesse che pomposamente vengono
propagandate come luoghi “restituiti alla collettività” mentre andando a leggere
con quali soggetti vengono sviluppate queste operazioni, come ad esempio la
Urban Value, per il Forte Trionfale, è chiaro che di crescita culturale, critica
e consapevole, c’è poco o nulla e di restituzione alla cittadinanza nemmeno
l’ombra, ma in compenso tanta monetizzazione del metro quadro, una volta
riqualificato.
Il Ministero della Difesa, quindi, ha trovato una propria forma di finanziamento
o meglio di autofinanziamento che consiste nel monetizzare aree dismesse
attraverso una riqualificazione fatta di proposte culturali a pagamento,
inquadrate nell’ambito di un arredo urbano ripulito e perfettamente in linea con
l’idea di “decoro urbano” caro ad una visione arcaica e conservatrice della
società.
Si prova ad attrarre gente con eventi culturali creati a tavolino da esperti di
marketing, si offrono esercizi commerciali e locali aperti al pubblico per la
ristorazione o gli aperitivi danzanti, forme di intrattenimento accattivanti,
tanto rilassanti quanto banali. Nel caso del Forte Trionfale Difesa Servizi SpA,
in accordo con Urban Value, ha optato per la cultura a pagamento e quindi per
veicolare un modello di società che ha per bussola il profitto: uno dei primi
eventi che rende accessibile al pubblico, disposto a pagare tra i 17 e i 24
euro, una piccola parte dell’intera area dismessa, è un’esperienza
tridimensionale immersiva, con visori 3D che ci fanno rivivere la tragedia del
Titanic.
Visti i tempi che corrono e le analogie con il clima culturale degli anni venti
del secolo scorso, questa mostra appare alquanto inquietante. Altrettanto
inquietante è come una struttura pubblica, Difesa Servizi SpA, si affidi ad una
società la cui mission è “la rigenerazione e valorizzazione di grandi immobili
in disuso durante il periodo transitorio che precede la riqualificazione
definitiva” e che “consente la riapertura di questi spazi in tempi brevissimi,
permettendo alla cittadinanza di riappropriarsene ed al mercato di poterli
utilizzare temporaneamente. Le risorse per la rigenerazione e gestione degli
immobili vengono recuperate esclusivamente attraverso l’utilizzo degli stessi
con usi temporanei creando un virtuoso modello WIN-WIN che genera valore nel
breve periodo, contrastando il degrado e generando indotto per il territorio“.
Business, profitto, aumento del valore al metro quadro del territorio, una volta
riqualificato ed una popolazione strumentalizzata dall’offerta di
intrattenimento che non è altro che uno specchietto per le allodole per far
girare il profitto laddove stagnava. L’operazione è nata da pochi mesi e quindi
staremo ad osservare che fine farà quest’area, cioè se continuerà a proporre
eventi culturali a caro prezzo oppure ad accesso libero ma a sfondo militaresco
e bellico.
Stefano Bertoldi, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle
università