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Prezzolati e no
Sospettare qualcuno di fare cose vergognose simili a quelle dei “prezzolati” – che sia un influencer, un politico o un conduttore televisivo – è effettivamente un piccolo insulto. Molto piccolo, perché comunque ritiene quel comportamento in qualche misura “razionale”, benché abietto come ogni scambio tra etica/deontologia e vantaggi personali di […] L'articolo Prezzolati e no su Contropiano.
In Parlamento non passano le mozioni contro riarmo e spese militari
I risultati del voto sulle mozioni contro il riarmo e le spese militari hanno confermato due cose: la prima è che il governo, nonostante gli schiamazzi di Salvini, non intende deviare dalla strada del riarmo; la seconda è che Renzi e Calenda stanno sulle scatole a tutti. Infatti le mozioni […] L'articolo In Parlamento non passano le mozioni contro riarmo e spese militari su Contropiano.
Un tango peronista a Buenos Aires
Doppia sconfitta in Argentina per il governo ultra-liberista di Javier Milei in pochi giorni. La prima è di carattere elettorale. La seconda nel Parlamento, dove il governo ha subito una pesante battuta d’arresto, sia concreta che simbolica. Per quanto riguarda la sconfitta elettorale, domenica scorsa il peronismo ha vinto ampiamente nelle importanti elezioni legislative della provincia di Buenos Aires. Al voto erano chiamati oltre 14 milioni di argentini-e. La coalizione peronista Fuerza Patria ha ottenuto circa il 47 % delle preferenze contro il 33,8 % di “La Libertà Avanza” (LLA), il partito del Presidente Javier Milei. Come spesso accade, l’inatteso distacco di quasi 14 punti non era previsto nei sondaggi, che, su suggerimento di Milei, parlavano di una tendenza al pareggio. Lungi dal correggere la direzione del suo governo, come richiesto dall’opposizione, le prime dichiarazioni di Milei non lasciano spazio a malintesi.  “… abbiamo registrato una chiara sconfitta e se vogliamo continuare a crescere dobbiamo riconoscerlo”, ha dichiarato il Presidente ultraliberista. Sul programma economico “non tornerò indietro neanche di un passo”. “Non siamo disposti a rinunciare a un modello che ha ridotto l’inflazione dal 200 al 30% …”. I dissidenti radicali e peronisti Al terzo posto, si piazza l’inedita alleanza elettorale delle dissidenze del Partito Radicale e di quello peronista, che in poco tempo sono riusciti a presentare una propria lista (Somos Buenos Aires).  La lista ottiene un discreto risultato (5,4 %) che assicura una visibilità a futuro. Una parte della sinistra La quarta forza, è il Frente de Izquierda y de Trabajadores – Unidad (FIT-U), una lista di alcuni settori che provengono dal trotzkismo, ma che in questa occasione avevano aperto le liste ad altri. Con il 4,3 % entra per la prima volta nel parlamento della Provincia e promette di dare battaglia. La sconfitta parlamentare La seconda sconfitta è sul versante parlamentare. Nelle settimane scorse, il Parlamento aveva approvato una legge sulla disabilità che assegnava nuove risorse al settore. Una legge a cui il Presidente Milei aveva contrapposto il veto, adducendo la mancanza di fondi e la necessità di tagli.  Ma pochi giorni dopo, sono state rese pubbliche alcune registrazioni telefoniche che hanno scoperchiato un gravissimo scandalo di corruzione e mazzette sulle forniture mediche per l’Agenzia per la disabilità (ANDIS). Lo scandalo ha coinvolto direttamente l’ex direttore della ANDIS, Diego Spagnuolo, due parenti dell’ex-presidente Menem, ma soprattutto Karina Milei, sorella e capo gabinetto del Presidente, una figura chiave nella gestione e nelle trame di governo. E così, facendo uso delle prerogative costituzionali, il Parlamento ha rispedito al mittente il veto del Presidente, approvando la legge. C’è da dire che, nonostante “il callo” della popolazione rispetto agli episodi di malversazione, il furto dei fondi delle disabilità ha provocato una enorme indignazione popolare. E quello che ha fatto traboccare il vaso, è stata la concomitanza dei nuovi tagli ai fondi per le disabilità e del veto presidenziale, con lo scandalo di mazzette venuto alla luce. E questa volta, non sono bastate le promesse di maggiori fondi alle province per convincere i governatori riottosi e comprare il voto di qualche deputato e senatore per ribaltare i numeri. I perché della sconfitta elettorale Sul risultato elettorale hanno pesato diversi fattori. Innanzitutto, la durissima situazione economica frutto di una violenta politica neo-liberista che, dal dicembre 2023, ha impoverito ulteriormente una gran parte della popolazione, con una pesante riduzione del potere d’acquisto dei salari. Le tasche vuote hanno ovviamente ridotto la pressione inflazionaria da domanda che, secondo i dati ufficiali, è scesa dal 200% al 30%. Ma Milei ha sopravvalutato il sostegno popolare alla sua politica economica e sottovalutato l’impatto sul tessuto sociale. L’enormità dei tagli, la forte riduzione dei lavori pubblici, la chiusura di decine di istituzioni ed i massicci licenziamenti nell’amministrazione statale hanno colpito duramente i settori più vulnerabili e lo stesso ceto medio. Da non dimenticare anche la violenta repressione di piazza contro i pensionati che manifestano tutte le settimane, che ha causato un’indignazione diffusa. Alle urne, questo disagio profondo ha portato a un voto castigo contro il governo, anche in settori che lo avevano votato nel 2023 e che in questo periodo hanno accettato di fare sacrifici, convinti della loro necessità. In seconda battuta, ha pesato non poco il recentissimo scandalo di corruzione e mazzette, che coinvolge Karina Milei, sorella del Presidente. I tagli alle pensioni per invalidità ed il furto dei fondi dei disabili hanno superato ogni limite e vergogna di chi aveva vinto la presidenza promettendo di “farla finita con la casta corrotta dei politici” a colpi di motosega. Oltre a ciò, nelle settimane scorse, si era gridato ad un altro scandalo a causa di un coinvolgimento di Milei in una truffa con Criptomonete basata sullo “schema Ponzi”. Un episodio su cui sta indagando anche la giustizia statunitense. Inoltre, una parte dei poteri forti del Paese non vede di buon occhio il linguaggio carico di insulti e di odio contro la sinistra, contro i sindacati, contro il peronismo e Cristina Kirchner in particolare. Nelle settimane precedenti al voto, gli “spin doctors” della comunicazione del governo, gli avevano consigliato di assumere un atteggiamento più prudente e meno aggressivo, ma la promessa fatta in campagna elettorale è stata quella di “porre l’ultimo chiodo nella bara del kirchnerismo”. Visto il personaggio, non sarà semplice per lui smettere di attaccare la democrazia, il federalismo e la Costituzione, nonché rispettare la separazione dei poteri. Il braccio di ferro delle destre Si tratta quindi di una dura sconfitta elettorale del Presidente Milei e di La Libertà Avanza (LLA), ma anche dell’ex-Presidente Mauricio Macri il cui partito (PRO) era parte dell’alleanza con Milei. I rapporti tra i due non sono certo stati dei migliori dal dicembre 2023 e, in questo periodo, il braccio di ferro interno non si è mai interrotto. Molti sostengono sia farina del suo sacco la pubblicazione delle registrazioni audio con lo scandalo sulle disabilità che coinvolge il governo. Di certo, di fronte ad un risultato che cambia la geografia politica e tenendo conto della battaglia intestina, le destre argentine dovranno trovare una loro nuova ricomposizione, priorità e gerarchie. Nonostante la sconfitta, sarebbe un errore non tener conto della forza elettorale di Milei e della crescita in parlamentari locali che finora non aveva nella provincia di Buenos Aires. Anche in vista delle prossime elezioni di medio termine del prossimo 26 ottobre dove si rinnova una parte del parlamento e si vota per i parlamenti di diverse province. Saranno elezioni decisive per il Paese, ma oggi sono accompagnate da una grande incertezza. La proiezione del peronismo La vittoria di “Fuerza Patria” va oltre la provincia di Buenos Aires, con quasi il 40 % degli elettori del Paese e una grande ricchezza economica. È una vittoria che ha un significato ed una proiezione nazionale e rafforza la figura di Alex Kicillof, riconfermato come governatore della Provincia e vincitore de “la interna peronista”. Per molti, il suo discorso ottimista e la capacità di mobilitazione territoriale dei sindaci peronisti sono stati decisivi per la vittoria elettorale. Kicillof ha denunciato la proscrizione di Cristina e ne ha chiesto la libertà dagli arresti domiciliari. Lo ha fatto senza porre l’accento sullo slogan “Cristina Libera”, ma sulla necessità collettiva di “fermare Milei”. Infine, come aspetto simbolico chiave, la sua vittoria ha restituito autostima al peronismo, infliggendo una sconfitta strategica all’anarco-capitalismo in un momento cruciale, sia dal punto di vista politico che economico. La nettezza del risultato lo proietta quindi come possibile futuro candidato presidenziale, anche se nella storia argentina, nessun governatore della provincia è mai riuscito a diventare presidente.   La risposta dei “mercati” e le ripercussioni economiche A proposito dei “mercati”, la sconfitta del Governo è stata interpretata correttamente come una perdita di fiducia popolare che mette a rischio il suo piano economico. Milei non avrà davanti a sé uno scenario semplice per portare avanti il suo programma “market-friendly” e appaiono i primi segni delle ripetute crisi cicliche del liberalismo in Argentina. La sfiducia dei mercati si era già manifestata prima delle elezioni, quando JP Morgan aveva aumentato di molto l’indicatore di “rischio Paese”. Quella previsione era stata formulata sulla base del sospetto di una vittoria del peronismo con un margine di 5 punti, ma la differenza finale è stata di quasi 14. E da domenica scorsa, il “rischio Paese” è ulteriormente salito, mentre è sceso il prezzo dei titoli del debito pubblico. Per investitori e analisti, il verdetto delle urne è risultato più credibile del discorso del Presidente dopo la sconfitta («non si cambierà nulla, anzi si approfondirà») e dei tentativi del ministro dell’Economia, Luis Caputo, di far credere che «nulla cambierà». Dopo il voto, quasi tutto il mercato azionario ha subito un duro contraccolpo, ma i ribassi più marcati hanno riguardato i titoli del settore bancario ed energetico. A New York le azioni delle banche hanno registrato perdite del 20%, mentre i ribassi dei bond sovrani sono stati fino al 17%. Anche sul versante del dollaro c’è stato un rialzo nel cambio che, come si sa opera sia sui canali ufficiali che su quelli del “dollaro blue” del mercato parallelo.  Mentre scrivo, il dollaro ufficiale è quotato presso il Banco Nación a 1.390 pesos per l’acquisto e 1.450 pesos per la vendita. Per gli investitori, la sconfitta di Buenos Aires solleva dubbi sulla stabilità politica necessaria per sostenere il programma economico del governo. Il ricordo della sconfitta di Mauricio Macri nelle primarie del 2019, che aveva causato un forte impatto in borsa e sul mercato azionario, pesa ancora sulla memoria degli argentini e degli investitori. Certamente il contesto attuale è diverso, ma la batosta politica del governo Milei ha già sollevato molti segnali di allarme e genera incertezza economica e politica. Mentre probabilmente si rafforzerà la pressione per svalutare il peso argentino, la decisione di Milei è quella di raddoppiare la scommessa, di approfondire ed accelerare il modello neo-liberista, indurendo lo scontro con l’opposizione e con una cittadinanza che ha già mostrato il suo malcontento. Conclusioni Sul versante internazionale, mentre Giorgia Meloni sceglie di tacere sulla sconfitta del suo migliore alleato in America Latina, il criminale di guerra israeliano Netanyahu ha annunciato la cancellazione della sua prevista visita all’amico Milei. Dall’Argentina viene un messaggio chiaro: la politica di aggiustamento strutturale senza risultati che favoriscano la maggioranza della popolazione logora rapidamente il governo che aveva vinto con la promessa di combattere la corruzione e trasformare radicalmente il Paese. Viceversa, questo risultato rafforza la resistenza popolare contro il governo, mentre appare uno spiraglio di speranza per i pensionati, i funzionari pubblici, i lavoratori e lavoratrici della scuola e della salute. I prossimi mesi saranno decisivi per capire se, a partire dalla resistenza popolare e dai risultati elettorali, si riuscirà a costruire un’alternativa politica credibile.   Redazione Italia
La Scozia sospende i finanziamenti ai produttori di armi che riforniscono Israele
Mercoledì 3 settembre il Primo Ministro scozzese John Swinney ha annunciato che il suo governo ha sospeso i finanziamenti alle industrie belliche che vendono armi a Israele, ordinando che la bandiera palestinese fosse issata sugli edifici governativi scozzesi. Swinney ha fatto l’annuncio mentre i membri del Parlamento scozzese votavano 65 a 24 per riconoscere lo Stato di Palestina, esortando il governo britannico a seguire il loro esempio. “Di fronte al genocidio non si può continuare come se nulla fosse. Sospenderemo l’assegnazione di nuovi fondi pubblici alle aziende belliche che forniscono armi o servizi a Paesi in cui esistono prove plausibili che si stia commettendo un genocidio. E questo comprende Israele” ha dichiarato il Primo Ministro John Swinney. Democracy Now!
Storica decisione della Catalogna: il sionismo è una forma di razzismo
Il Parlamento catalano riconosce il sionismo come forma di razzismo, chiede il taglio dei rapporti con Israele e fa un passo decisivo contro il genocidio e l’apartheid in Palestina. In un atto di straordinario coraggio politico e di fermezza etica, il Parlamento della Catalogna ieri, 24 luglio 2025, ha approvato oggi una risoluzione storica che potrebbe segnare un punto di svolta nella lotta globale per i diritti del popolo palestinese. Per la prima volta dalla revoca della storica risoluzione ONU del 1975 (abrogata nel 1991), un parlamento riconosce ufficialmente il sionismo come una forma di razzismo. La risoluzione, proposta da ERC, CUP e la Coalizione “Basta Complicità con Israele” (CPCI), con l’appoggio di Comuns, PSC e parzialmente Junts, punta dritta al cuore della complicità istituzionale, economica e diplomatica con lo Stato di Israele, e chiede con forza l’interruzione di ogni legame finché Tel Aviv continuerà a violare sistematicamente i diritti fondamentali del popolo palestinese. I punti chiave della risoluzione * Riconoscimento del sionismo come ideologia razzista, diventando il primo Parlamento al mondo a farlo dal 1991. * Stop agli appalti pubblici per le aziende che collaborano con il regime israeliano di apartheid, occupazione e colonialismo, incluse quelle presenti nel database dell’ONU per gli insediamenti illegali. * Rottura dei rapporti istituzionali tra la Generalitat e Israele fino al rispetto dei diritti fondamentali del popolo palestinese. * Veto all’attracco nei porti catalani di navi coinvolte nel traffico di armi o materiali bellici destinati a Israele. * Sostegno esplicito alla causa presso la Corte Internazionale di Giustizia e richiesta allo Stato spagnolo di un embargo militare totale contro Israele. * Rifiuto della partecipazione israeliana alla Fira de Barcelona, inclusi padiglioni e aziende complici, in coerenza con le nuove linee guida etiche. Una svolta che nasce dal basso Questa risoluzione è frutto di una mobilitazione civile tenace e trasversale, che ha coinvolto associazioni, movimenti e cittadini impegnati nel sostegno alla Palestina. Non è un gesto isolato: segue infatti la decisione del Comune di Barcellona (30 maggio) di adottare una linea simile, la chiusura dell’ufficio catalano a Tel Aviv da parte della Generalitat e l’annuncio del premier Pedro Sánchez di lavorare a un embargo sulle armi verso Israele. Un primo passo concret Il Movimento di Solidarietà con la Palestina, che da anni denuncia la complicità politica ed economica dell’Europa con Israele, saluta la risoluzione come un primo passo fondamentale:  “Israele può continuare a commettere i suoi crimini solo grazie alla complicità istituzionale e aziendale. Misure come queste iniziano a rompere il muro dell’impunità. Ma ora serve coerenza e volontà politica per attuare ogni punto votato”. La tempistica è drammatica: la risoluzione arriva a 21 mesi dall’inizio del genocidio a Gaza e a poche ore dalla decisione della Knesset israeliana di annettere ufficialmente la Cisgiordania e la Valle del Giordano, segnando un’ulteriore escalation nell’occupazione e nel disprezzo del diritto internazionale. E ora? Con due delle tre istituzioni del consorzio Fira de Barcelona (Comune e Parlamento) che si oppongono alla presenza israeliana, cresce la pressione per cancellare il padiglione di Israele previsto per lo Smart City Congress di novembre. Ma non si tratta solo di fiere o simboli: è in gioco il rifiuto della normalizzazione con un regime che pratica apartheid, colonialismo e violenze sistematiche contro una popolazione sotto occupazione. La Catalogna ha parlato. Ora tocca al resto d’Europa. Se non ora, quando? Giuseppe Salamone Redazione Italia
I 35 anni della Legge 185/90: preservare controllo e trasparenza su export di armi
Si celebra oggi, 9 luglio 2025, il trentacinquesimo anniversario dell’entrata in vigore della Legge 185 del 1990 che regola l’export di armamenti italiani: una data importante a ricordo di una pietra miliare dell’azione per la Pace e il Disarmo nel nostro Paese, oltre che un’occasione per riconoscere e fare memoria del ruolo cruciale delle campagne promosse su questi temi dall’associazionismo e dalle azioni collettive. La normativa italiana sulla esportazione di armi è infatti nata a seguito della pressione della società civile, sempre più consapevole dei problemi derivanti dal mantenere segreto e dominato solamente da valutazioni economiche un commercio dagli impatti così devastanti (sulle persone e sulla Pace). Grazie a questa visione innovativa e aperta la Legge 185/90 si è configurata come un passaggio avanzato e importante, riuscendo così ad ispirare ed  anticipare i meccanismi e i criteri delle norme internazionali che oggi regolano il commercio di armi, come la Posizione Comune dell’Unione Europea e il Trattato internazionale sui trasferimenti di armamenti ATT. La Legge 185/90 si basa infatti sul principio che la vendita di armi non possa essere considerata un semplice business, ma debba essere legata alla politica estera, al rispetto dei diritti umani e al ruolo di promotrice di Pace dell’Italia sancito dall’articolo 11 della Costituzione. Un altro elemento rilevante e fondamentale è quello della trasparenza, declinato in particolare attraverso la Relazione annuale che il governo deve inviare al Parlamento, trasmettendo tutti i dati sull’esportazione di armi. Proprio dall’analisi di tali dati la società civile – in particolare la nostra Rete Italiana Pace e Disarmo – nel corso degli anni ha potuto gettare luce su decisioni relative all’esportazione di armi prese dai vari governi non sempre in linea con i criteri della norma. Tanto è vero che sempre di più, con il passare del tempo, si è arrivati a una situazione per cui la maggior parte della vendita di armi italiane viene autorizzata verso Paesi non UE e non NATO. Senza dimenticare i casi evidenti di non allineamento con le norme previste dalla Legge, o quelli con palesi violazioni della stessa: le bombe e missili verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, che le utilizzavano per bombardare civili in Yemen, il caso dei bossoli italiani coinvolti nella repressione in Myanmar, le munizioni autorizzate verso la Repubblica Dominicana ma trovate in Senegal, le licenze di vendita di armamenti rilasciate verso un Paese come Israele… Tutti casi che evidenziano come l’esportazione di armi sia un aspetto troppo importante per essere gestito in maniera opaca, come successo nei decenni di scandali prima della Legge 185/90, e dunque l’importanza fondamentale di tale norma, che ci ha permesso di avere dati ed elementi chiari e ufficiali, riuscendo così a contrastare vendite problematiche o a esercitare pressione sul sistema di politico-economico che sostiene e favorisce il complesso militare-industriale (come ad esempio nel caso della “Campagna Banche Armate“). E ci ha permesso anche di ricostruire (anno per anno) il volume del commercio di armi italiane, inserendolo anche nel quadro globale. Anche oggi nel trentacinquesimo anniversario dell’entrata in vigore della Legge 185/90 (e così come sottolineato più volte nel passato recente) la Rete Italiana Pace Disarmo chiede al Parlamento di tornare a occuparsi in maniera seria di esportazione di armi (in un quadro di controllo complessivo su dinamiche e impatti di questo tema, non certo in termini di “aiuto” per l’industria militare), portando la positiva esperienza italiana anche in sede internazionale. In un mondo sempre più insicuro e sferzato da conflitti armati diventa cruciale rafforzare e implementare il Trattato internazionale sui trasferimenti di armi ATT e i suoi criteri, recuperare un effettivo allineamento con le prescrizioni della Posizione Comune UE, indagare tutti i casi in cui materiali d’armamento italiani (ed europei) sono stati autorizzati o spediti verso luoghi di conflitto, alimentando la violenza. Il primo passo su questo cammino è ovviamente quello di rigettare la proposta di modifica peggiorativa della Legge che è attualmente in discussione alla Camera dei Deputati (dopo una prima approvazione al Senato) a seguito di un DDL di iniziativa governativa. Una proposta davvero inaccettabile e deleteria, che non solo diminuirebbe il controllo sull’export di armi e l’allineamento con i criteri della Legge (e del Trattato ATT), ma porterebbe anche a un grave indebolimento dei meccanismi di trasparenza oggi comunque presenti. Ancora una volta è la società civile (fondamentale già quaranta anni fa per giungere alla Legge con la campagna “Contro i mercanti di morte”) a essersi messa in moto in prima persona per contrastare le spinte verso decisioni che favorirebbero solo gli interessi armati a discapito di Pace e sicurezza globali e del rispetto dei diritti umani e della vita di intere popolazioni. Nonostante il recente rinvio del voto in sede di Commissioni Esteri e Difesa della Camera la Campagna “Basta favori ai mercanti di armi” (sostenuta da oltre 200 organizzazioni della società civile) sta continuando la propria mobilitazione, monitorando l’iter parlamentare, per impedire che le idee innovative e importanti della Legge 185/90 vengano definitivamente messe in soffitta. E impedire che si ritorni a una completa assenza di controllo sul commercio di armamenti, situazione che sarebbe oggi ancora più pericolosa, vista la stagione di riarmo che stiamo vivendo. Rete Italiana Pace e Disarmo
Norvegia, storica vittoria: il sesso senza consenso è stupro. Quando in Italia?
Il Parlamento della Norvegia ha emendato, con 91 voti a favore e solo 12 contrari, l’articolo 291 del codice penale sul reato di stupro, integrandolo con un primo paragrafo che afferma che un rapporto sessuale con una persona che né con le parole né con i fatti ha espresso il consenso deve essere punito come stupro con una pena fino a sei anni. Un secondo nuovo paragrafo stabilisce che un rapporto sessuale mediante violenza o minacce, con una persona che non ha espresso consenso o con una persona che non è in grado di resistere all’azione altrui sarà considerato una circostanza aggravante e punito con una pena maggiore. Amnesty International ha espresso soddisfazione per un provvedimento che allinea finalmente il codice penale della Norvegia agli obblighi internazionali dello Stato. La legge ora chiarisce che il “freezing”, ossia l’assenza di reazione, non equivale mai a un consenso e che un comportamento passivo può essere interpretato come consenso solo se ve ne siano prove concrete. Ora, secondo l’organizzazione per i diritti umani, è necessario attuare bene la norma attraverso la formazione e il rafforzamento delle competenze e delle esperienze del sistema giudiziario. La Norvegia si è allineata agli altri Stati vicini del nord, portando così a 19 il numero degli Stati dell’Area Economica Europea che hanno una legge sullo stupro basata sul consenso. All’elenco degli Stati europei che hanno adeguato il proprio codice penale agli obblighi internazionali manca ancora l’Italia, dove Amnesty International ha avviato una campagna sin dal 2020. Per quanto tempo ancora?       Riccardo Noury