Tag - spagna

Quando la divisa uccide la musica: la morte di Dj Godzi
Michele Noschese, 35 anni, noto come DJ Godzi, era un artista partenopeo affermato nel panorama della musica elettronica e tech-house. Laureato in Economia e commercio, aveva anche un passato come sportivo e calciatore. Viveva a Ibiza, Michele, da dodici anni, dove aveva costruito una carriera di successo esibendosi in club […] L'articolo Quando la divisa uccide la musica: la morte di Dj Godzi su Contropiano.
Poliziotti infiltrati tra attivisti e partiti: il caso italiano ed europeo
Giovani, carini e appena arruolati. Praticamente infiltrati. Dopo la denuncia di Potere al Popolo abbiamo ripercorso due celebri cicli di infiltrazioni nello stato spagnolo e in Gran Bretagna di Checchino Antonini da Diogene Potere al Popolo ha denunciato il 27 maggio che per ben dieci mesi un giovane agente di polizia, fresco di corso, ha partecipato a riunioni, manifestazioni di piazza, assemblee nazionali, volantinaggi e alla vita quotidiana di partito a Napoli. Perché questa operazione? si chiede Pap, e ancora: chi l’ha decisa, pianificata, ordinata? La rivelazione arriva dopo il caso Paragon-Mediterranea emerso quando una comunicazione ufficiale di Meta, proprietaria di Whatsapp ha avvertito Luca Casarini, capomissione di Mediterranea, che il suo telefono era stato violato da una operazione di “spyware” ad alto livello, attraverso l’uso di un software definito “tra i più sofisticati al mondo”. Era il 31 gennaio scorso e Meta consigliava di cambiare subito il cellulare e, quasi contestualmente, testate internazionali davano notizia della violazione dei sistemi di sicurezza di Whatsapp, che coinvolgeva 90 “target” in tutto il mondo, in particolare attivisti della società civile e giornalisti. Il sospetto che il governo Meloni spii partiti di opposizione, ong e giornalisti è fortissimo (una pratica che non disdegnava nemmeno Conte e supponiamo sia bipartisan) e non sembrano convincenti le smentite di rito di Palazzo Chigi tanto su Paragon, sistema di fabbricazione israeliana, tanto su Pap, tanto sul razzismo così diffuso in polizia al punto da inorridire perfino il Consiglio d’Europa. Ma sono legali in Italia le infiltrazioni di poliziotti in organismi che operano alla luce del sole? In qualche modo deve essere autorizzata in un contesto di indagini su droga, armi, terrorismo ma quest’ultimo concetto è così dilatabile che una “funzione di monitoraggio” da parte dell’intelligence è attività nota negli ambiti parlamentari. Vista la smentita maldestra di un’infiltrazione altrettanto maldestra, resta la domanda: chi ha autorizzato quel poliziotto? Forse l’AISI? Forse una polizia parallela di fascisti? Certo i precedenti non mancano, soprattutto di quell’infiltrazione di piazza, ovvero finti manifestanti traditi da particolari del loro outfit oppure dal bozzo del calcio della pistola. Una delle più celebrate infiltrazioni è quella dell’agente immortalato, in borghese, mentre faceva oscillare un cellulare assieme a un gruppo di squadristi che presero d’assalto la sede della Cgil nell’ottobre del 2021. Riavvolgendo il nastro, un altro famoso è Giovanni Santone, fotografato da Tano D’Amico il 12 maggio del 1977, in tenuta settantasettina ma con la pistola d’ordinanza in pugno. Osservatorio Repressione, in un pezzo di qualche anno fa, ricorda che gli infiltrati a volte stanno lì per provocare, altre per uccidere, oltre che per spiare. Certo, l’evoluzione tecnologica, con ogni probabilità ha alleggerito l’esigenza di mimetizzarsi per captare segnali di movimento. Tana per Nieves Giovane e appena arruolato: la vicenda del poliziotto infiltrato ricorda da vicino quello che sta accadendo nello Stato Spagnolo dove già sono stati scoperti almeno tredici casi di infiltrazione di agenti da quando, nel 2022, due media alternativi – La Directa, catalano, e El Salto – hanno avviato un’inchiesta su questo tipo di pratiche di polizia tra gruppi anarchici, occupazioni di case, organizzazioni ambientaliste. La numero 12 è venuta fuori poche settimane fa, il 23 aprile: dietro la falsa identità di Nieves López Medina si nascondeva una funzionaria di polizia che rispondeva alle iniziali di N.M.C.F., diplomata alla 37° corso dell’Accademia di Avila e infiltrata a Madrid, all’interno di gruppi ambientalisti come Rebelión o Extinción e Fridays For Future per circa sei mesi. Il profilo di Nieves coincide con quello della maggior parte dei casi scoperti compreso quello venuto alla luce a Napoli: un’agente appena diplomata alla Scuola Nazionale di Polizia di Avila, che viene introdotta nei movimenti sociali poco dopo il suo giuramento. E’ da notare che l’infiltrazione sotto finta identità di Nieves è avvenuta quando molti di questi casi erano già venuti alla luce; infatti, uno degli agenti scoperti da El Salto, Mavi, è stato scoperto nel marzo 2023, mentre Nieves ha cercato di entrare in questi stessi ambienti nel dicembre dello stesso anno. Di Nieves sappiamo qualcosa di più di quanto si sa dell’infiltrato presunto in Pap: è entrata per la prima volta in contatto con l’ambiente militante quando ha compilato un modulo per partecipare a un’azione di disobbedienza civile contro l’industria dei combustibili fossili organizzata da Rebellion o Extinction (XR). È apparsa per la prima volta in una formazione che si è svolta il 10 dicembre 2023 per preparare questa azione. Il giorno seguente, una trentina di attivisti sono entrati nel recinto di Arganzuela per ancorarsi agli alberi e impedirne l’abbattimento. Sono stati tutti sgomberati con violenza e multati per disobbedienza. Nieves ha partecipato all’azione. Tuttavia, il suo atteggiamento ha presto generato diffidenza tra i suoi nuovi compagni. Da quando la sua collega Mavi si è infiltrata in XR nel 2022, gli attivisti spagnoli sanno che “nei movimenti per il clima ci sono agenti che fanno solo disobbedienza civile, quindi abbiamo imparato a tenerli d’occhio”. Oltre a XR, Nieves partecipava alle assemblee di Fridays For Future. Aveva trent’anni, era arrivata in moto e diceva di essere una magazziniera in un Carrefour. In FFF la maggior parte sono studenti, anche liceali, e nessuno gira in moto. Inoltre non aveva profili social. Fin dall’inizio, Nieves ha mostrato un grande interesse per la disobbedienza civile non violenta e ha chiesto con insistenza di far parte del comitato “relazioni esterne”, cosa insolita per un nuovo membro. Probabilmente il suo obiettivo era quello di avvicinarsi a gruppi più radicali come Futuro Vegetal. Quando è stata multata per “disobbedienza” non ha esitato a inviare la multa a XR affinché la aiutasse a fare ricorso e proprio questo ha permesso al gruppo ambientalista di ottenere una fotocopia della sua carta d’identità farlocca. Con quel documento XR ha richiesto un certificato di nascita all’anagrafe ma non c’era non traccia di lei all’Ufficio del Registro Civile nonostante quella carta d’identità dichiarasse che era nata a Murcia. Tana per Nieves. El Salto ha chiesto chiarimenti al Ministero dell’Interno ricevendo come unica risposta un appello all’articolo 104 della Costituzione spagnola, che stabilisce che “le Forze e i Corpi di Sicurezza dello Stato garantiscono la sicurezza e il libero esercizio dei diritti e delle libertà di tutti i cittadini, e che agiscono in questi termini, con una rigorosa sottomissione all’ordinamento giuridico”. Da parte sua, la Stazione Generale di Polizia di Madrid, dove sarebbe stata assegnata, si è rifiutata di fare qualsiasi tipo di valutazione. Vale la pena ricordare che, in base all’attuale quadro giuridico iberico, questo tipo di infiltrazione può essere effettuata solo su ordine del tribunale, nei casi di terrorismo, criminalità organizzata e traffico di droga. María, infiltrata con la sua vera madre A Girona, in Catalogna, a un anno e mezzo dalla denuncia, il tribunale ha rifiutato di incriminare una poliziotta infiltrata con un’ordinanza di sole quattro pagine, in cui si conclude che l’agente non avrebbe oltrepassato i suoi limiti. L’ordinanza di archiviazione riconosce che María Isern Torres, agente sotto copertura, stabilì la relazione con l’attivista indipendentista Òscar Campos per ordine dei suoi comandanti, ma non ammette che “fu iniziata e mantenuta in condizioni di disparità” né che l’intenzione fosse quella di “danneggiarlo psicologicamente”. La denuncia accredita, attraverso una perizia, i “postumi psicologici sotto forma di disturbo depressivo e sintomi di stress post-traumatico” causati da “una relazione sentimentale fallace, ingannevole e spuria” e dall’“invasione dei diritti fondamentali”. Durante l’infiltrazione, l’agente ha persino coinvolto la sua vera madre nell’operazione, fornendo una copertura per la missione che era stata assegnata alla figlia. L’attivista di Girona ha soggiornato nella casa di famiglia a Palma, dove madre e figlia hanno mentito sull’attività lavorativa dell’infiltrata. Da quel momento in poi, la madre stabilì una stretta relazione telefonica con la persona spiata e il suo entourage a Girona, con cui condivise momenti di intimità. La relazione è avvenuta tra il 2020 e il 2023. Maria Isern Torres, in realtà è un’agente del Cuerpo Nacional de Policía, operante sotto il falso nome di Maria Perelló Amengual. Nel luglio 2023, Campos scoprì la vera identità e denunciò pubblicamente la “torturadora a les ordres de l’Estat espanyol” (“torturatrice agli ordini dello Stato spagnolo”). La Procura di Girona ha giustificato l’operazione sostenendo che l’agente agiva nell’ambito delle sue funzioni per prevenire azioni secessioniste, ritenendo quindi legittima la sua infiltrazione nei movimenti sociali catalani. L’intera vicenda è stata documentata nel reportage “Infiltrats”, prodotto da 3Cat e La Directa, che ha portato all’attenzione pubblica le modalità e le implicazioni delle infiltrazioni della polizia spagnola nei movimenti sociali catalani. Queste infiltrazioni della polizia violano i diritti fondamentali e sono più tipiche di uno Stato di polizia che dello Stato di diritto ma la sentenza del tribunale, pur riconoscendo che la relazione sentimentale, ha facilitato l’accesso dell’agente alla sfera privata di Òscar Campos e ad attività riservate, afferma che non ci sono elementi nella denuncia per ritenere che non ci sia stato consenso. Anche la denuncia per tortura contro Ramon, infiltrato della polizia nei movimenti sociali di Valencia, è stato definitivamente archiviata lo scorso 5 maggio. Ora, ovviamente, di Nieves non si hanno più tracce e gli attivisti ritengono che probabilmente è stata fatta fuori perché non è riuscita a passare inosservata. Ci si interroga sulla relativa facilità con cui è stato possibile smascherare l’infiltrazione: o la Brigata d’Informazione l’ha messa lì apposta per far credere che XR fosse già in grado di individuare gli infiltrati, oppure era semplicemente stupida. Di sicuro i movimenti denunciano la crudeltà di un metodo che genera paranoia, sfiducia, indignazione e paura tra gli attivisti. L’infiltrazione come forma di tortura Pau Pérez-Sales, psichiatra e direttore del SIRA, un centro di assistenza alle vittime di tortura e maltrattamenti, ha spiegato a El Salto che l’infiltrazione è una tortura perché “per essere considerata tale, devono essere presenti quattro elementi: devono esserci gravi sofferenze, deve esserci intenzionalità, deve esserci uno scopo, come ottenere informazioni, punire, umiliare, reprimere o discriminare e, infine, deve essere eseguita da un funzionario statale”. L’eco di queste vicende nello stato spagnolo ha stimolato il progetto militante di pubblicazione, lo scorso febbraio, di un “Manual para destapar a un infiltrado”, operazione che ha infastidito sia la polizia sia i politici che la fiancheggiano. Sabato 24 maggio il Comune di Malaga ha cercato di impedire la presentazione del manuale comunicando agli organizzatori che era necessario avere un permesso speciale in base alla legge sugli spettacoli pubblici, una norma che non può essere applicata a proposte no-profit e a eventi pubblici come la presentazione di un libro, attività peraltro garantite dall’articolo 20 della Costituzione spagnola sulla libertà di espressione e di cultura, e dall’articolo 21 che tutela la libertà di riunione pacifica in spazi privati. A proposito di Nieves è stato detto che almeno, a differenza di Mavi (un altro finto ecologista, vero sbirro) non è andata a letto con nessuno. Non possono dire altrettanto le decine di donne britanniche vittime di altrettanti agenti infiltrati per decenni nelle organizzazioni della sinistra rivoluzionaria, ecologista del Regno Unito. Lo scandalo Spycops Per oltre quarant’anni, la polizia britannica ha condotto un’operazione segreta di spionaggio su migliaia di cittadini. L’opinione pubblica non aveva alcun sentore di questa operazione segreta e solo un ristretto numero di ufficiali di polizia ne era a conoscenza. La polizia ha inviato 140 agenti sotto copertura per spiare più di 1.000 gruppi politici e compilare file riservati sulle attività politiche degli attivisti. La storia, partita nel 1968, è venuta alla luce nell’autunno 2010 quando cominciarono a emergere notizie su Mark Kennedy, un agente di polizia sotto copertura, noto come Mark Stone, che si era infiltrato nei gruppi di protesta ambientalisti provocando molti arresti. Stone viveva tra gli attivisti ed era riuscito ad assumere un ruolo di primo piano in molte azioni, stringendo relazioni intime a lungo termine e relazioni sessuali più brevi con molte donne. In generale era visto come un membro fidato del movimento. E’ attiva una campagna – Police Spies Out of Lives – a sostegno delle donne colpite da relazioni intime con agenti di polizia sotto copertura della SDS, Special Demonstration Squad della Metropolitan Police Special Branch e della National Public Order Intelligence Unit (NPIOU) controllata dall’Association of Chief Police Officers (ACPO). Negli anni sono stati svelati sempre più dettagli, grazie soprattutto al lavoro investigativo degli attivisti e dei giornalisti. Rivelazioni che hanno costretto Theresa May, quando era ministro degli Interni, a commissionare un’inchiesta pubblica guidata da un giudice in pensione, Sir John Mitting partita nell’estate del 2020, con sei anni di ritardo. C’è da capire come gli agenti sotto copertura abbiano ingannato le donne in relazioni intime a lungo termine, alcune durate molti anni e “allietate” dalla nascita di figli. L’inchiesta ha recentemente ammesso per la prima volta che il monitoraggio dei sindacalisti da parte di agenti sotto copertura dell’SDS può essere stato utilizzato dai datori di lavoro a fini di blacklist. Nel 2009, si legge sul Guardian, i membri di un sindacato che erano stati presi di mira dai datori di lavoro per essere licenziati a causa delle loro attività sindacali sono stati riconosciuti come vittime di uno scandalo decennale di liste nere. Un’incursione nella Consulting Association, un’organizzazione segreta che gestiva la lista nera, ha portato alla luce migliaia di file sui lavoratori edili, utilizzati dalle principali imprese edili per “vagliare” l’appartenenza al sindacato dei candidati al momento dell’assunzione. Gli agenti sotto copertura hanno adottato misure elaborate per sviluppare i loro falsi personaggi. Rubavano l’identità di bambini morti, dopo aver setacciato pagine di certificati di morte per trovare una corrispondenza adeguata. Le spie ricevevano documenti ufficiali come patenti di guida e passaporti con nomi falsi, in modo che i loro travestimenti apparissero credibili alla cerchia di manifestanti in cui si infiltravano. Durante le missioni, che in genere duravano quattro anni, gli agenti sotto copertura fingevano di essere manifestanti impegnati. Ma per tutto questo tempo hanno fornito ai loro superiori informazioni sui piani e sui movimenti dei manifestanti. I loro rapporti includevano anche valutazioni delle figure chiave all’interno dei gruppi. L’elenco completo dei gruppi politici presi di mira dal 1968 non è stato pubblicato dall’inchiesta pubblica. Tuttavia, un’analisi dei gruppi pubblicati suggerisce che le spie della polizia hanno monitorato soprattutto gruppi di sinistra e progressisti che sfidavano lo status quo, mentre solo tre gruppi di estrema destra sono stati infiltrati: il British National Party, Combat 18 e la United British Alliance. Un gruppo trotzkista in particolare – il Socialist Workers Party (SWP) – è stato pesantemente infiltrato con più di 20 agenti, molto più di qualsiasi altro gruppo. Con cinismo e vigliaccheria Dopo che l’esistenza dell’operazione segreta è stata resa nota nel 2010, le donne si sono raggruppate e hanno intrapreso con successo un’azione legale contro la polizia ottenendo decine di risarcimenti. Quando le donne hanno iniziato a fornire i loro resoconti e a condividere le loro storie, è emerso chiaramente che il comportamento degli uomini nelle relazioni, i loro retroscena e i metodi per sparire discretamente presentavano notevoli somiglianze che suggerivano metodi sistematici di infiltrazione e minavano il mito dell’agente disonesto. Raccontano i legali che è stato evidente che tutte le donne hanno subito un notevole impatto emotivo e psicologico dalla scoperta dell’inganno e della violazione personale. In particolare, il loro senso di sicurezza nel mondo in cui vivevano e la capacità di fidarsi degli altri erano stati gravemente danneggiati. Tuttavia, poiché le loro esperienze erano insolite ma simili, e poiché provenivano tutte da ambienti politicamente impegnati, hanno rapidamente sviluppato un approccio di sostegno reciproco e collettivo per lavorare insieme al loro caso legale. Ci sono ancora troppi agenti, secondo Police Spies Out of Lives, la cui identità reale e fittizia rimane segreta. Sono stati scoperti altri comportamenti scorretti. In casi giudiziari che riguardavano l’incriminazione di attivisti, gli agenti sotto copertura e i loro supervisori hanno nascosto prove vitali che avrebbero potuto portare alla loro assoluzione. Finora si sa che almeno 50 manifestanti sono stati condannati o perseguiti ingiustamente perché le prove relative alle attività delle spie della polizia sono state ingiustamente insabbiate nei procedimenti giudiziari. Solo uno degli agenti sotto copertura è diventato un informatore. Peter Francis, che è stato inviato a spiare i manifestanti antirazzisti per quattro anni negli anni Novanta, ha rivelato come funzionava la sua ex unità, la Squadra speciale per le dimostrazioni. Ha anche rivelato che la squadra aveva raccolto informazioni sui genitori di Stephen Lawrence nel momento in cui stavano conducendo una campagna per convincere la polizia a condurre un’indagine adeguata sull’omicidio razzista del figlio. Lawrence, studente di origine giamaicana, fu ucciso il 22 aprile 1993 a Eltham, nel sud-est di Londra da un branco di ragazzi bianchi mentre aspettava l’autobus con un amico. Il rapporto Macpherson del 1999 concluse che la Metropolitan Police era “istituzionalmente razzista”. La polizia è stata costretta ad ammettere che i suoi agenti sotto copertura avevano spiato almeno 18 famiglie in lutto che si battevano per ottenere giustizia dalla polizia. Tra queste c’erano anche famiglie i cui parenti erano stati uccisi o erano morti sotto la custodia della polizia. L’inchiesta pubblica sull’uso di agenti sotto copertura nel Regno Unito, nota come Spycops Inquiry o Undercover Policing Inquiry, è attualmente in corso ma sta affrontando numerose difficoltà operative, ritardi e critiche da parte delle vittime e dei partecipanti. L’inchiesta, spiega Campaign Opposing Police Surveillance, è suddivisa in “tranche” tematiche. Le udienze della Tranche 2 (1983–1992) si sono svolte tra luglio 2024 e febbraio 2025. La Tranche 3 (1993–2007), inizialmente prevista per aprile 2025, è stata posticipata a ottobre 2025. È probabile che anche la Tranche 4, dedicata alla National Public Order Intelligence Unit (NPOIU), subisca ritardi. Più di 100 vittime e gruppi coinvolti hanno firmato una lettera aperta rifiutandosi di fornire prove entro le scadenze imposte, considerate irragionevoli. Il sito Freedom News riferisce che, nonostante il rinvio delle udienze, i termini per la presentazione delle testimonianze non sono stati estesi, suscitando accuse di trattamento iniquo. Inoltre l’inchiesta sta procedendo in modo squilibrato, favorendo le forze dell’ordine: mancanza di trasparenza, distruzione intenzionale di documenti da parte della polizia e pressione esercitata per rispettare una scadenza finale arbitraria fissata per dicembre 2026, che potrebbe compromettere la credibilità dell’intero processo che dovrebbe essere cruciale nel dibattito sul controllo democratico delle forze di polizia nel Regno Unito. Solo nel luglio 2024, la Metropolitan Police ha pubblicamente condannato le operazioni della Special Demonstration Squad (SDS), ammettendo gravi violazioni, tra cui relazioni sessuali ingannevoli con attiviste e infiltrazioni in gruppi per la giustizia razziale. Tre mesi più tardi, nuove prove hanno suggerito che Bob Lambert, ex agente sotto copertura e figura chiave dell’inchiesta, avrebbe partecipato a un incendio doloso in un negozio Debenhams nel 1987 mentre si fingeva attivista per i diritti degli animali. Della brutalità e della spregiudicatezza della polizia francese s’è letto molto anche in Italia in questi anni, segno che questa ondata di malapolizia è sintomo delle tendenze più ampie di regimi ormai post-democratici tuttavia oltralpe è stata registrata un’infiltrazione al contrario: nel settembre 2020, la pubblicazione del libro Flic di Valentin Gendrot ha fatto scalpore. Dopo aver trascorso due anni sotto copertura nella polizia di Parigi, dove era stato assunto come dipendente a contratto (tra gli “assistenti di sicurezza”, poi ribattezzati “assistenti di polizia”), il giornalista ha descritto una quotidianità mediocre, la miseria sociale e la mancanza di rispetto per gli utenti. Soprattutto, ha accusato diversi suoi colleghi, di stanza nel 19° arrondissement di Parigi, di aver commesso atti di violenza e di averli coperti con false denunce. Le sue rivelazioni hanno indotto la magistratura ad aprire un’inchiesta. Ma questa è un’altra storia. > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
Blackout in Spagna e Portogallo: oltre le strumentalizzazioni e le ricostruzioni fasulle
Il 28 aprile, alle ore 12:33, si è verificato un black-out dell’intero sistema elettrico della penisola Iberica, una “caduta a zero” della tensione elettrica. Questo evento storico ha lasciato Spagna e Portogallo (ad eccezione degli arcipelaghi e di quei territori fuori dalla penisola che hanno poca connessione con la parte continentale della rete) senza elettricità per oltre mezza giornata. Centinaia di persone sono rimaste bloccate in treno o in ascensore ed i soccorsi hanno tardato fino a 12 ore ad arrivare; fuori dai negozi si sono subito create lunghe code per procurarsi candele ed il necessario per affrontare un’emergenza che in principio non si sapeva quanto sarebbe durata; internet non funzionava così come i sistemi di pagamento con carta di credito, lasciando molte persone senza la possibilità di comprare beni di emergenza; Si è impiegato tra le 12 e le 24 ore per ripristinare le condizioni improvvisamente interrotte dall’emergenza. Il dibattito pubblico che in un primo momento sembrava destinato a schiacciarsi sull’ipotesi del cyber-attacco (con ovvie conseguenze sulle paranoie belliciste generali) si è poi spostato su questioni come la gestione privata dell’energia ed il ruolo di rinnovabili e nucleare. In particolare, sono emerse numerose notizie, molte delle quali sono mere speculazioni e affermazioni personali. Alla luce di questa situazione, pubblichiamo il comunicato di Ecologistas en Acción, una rete di movimenti ecologisti molto importante in Spagna, che offre una riflessione cauta e rigorosa, che contribuisce a chiarire la situazione e a mettere al riparo da disinformazione e bufale. COSA NON SAPPIAMO? * Le cause che hanno dato il via al guasto della catena sono finora solo speculazioni. Alcune sono state ufficialmente smentite, ma continuano a circolare sui social network. * Le decisioni operative prese da Red Eléctrica Española (REE), l’operatore di distribuzione del paese, durante, prima e dopo l’interruzione. In questa situazione, Ecologistas en Acción raccomanda cautela, calma e di non condividere informazioni di cui non si conosce l’origine e la veridicità. COSA SAPPIAMO? * Il funzionamento della rete elettrica richiede non solo la produzione di energia, ma anche che questa sia mantenuta entro specifici parametri di frequenza e tensione. Affinché questi parametri siano mantenuti, è necessario, tra l’altro, che la produzione e il consumo di energia elettrica rimangano più o meno bilanciati, cioè che venga prodotta la stessa quantità di energia che viene consumata. * Secondo REE e Moncloa, il blackout è iniziato dopo “un’oscillazione molto forte dei flussi di energia”. Poi, per cinque secondi, l’equivalente del 60% del consumo (circa 15 GW) è scomparso dalla produzione, causando un calo generalizzato della tensione elettrica che ha portato a un guasto totale del sistema. * I protocolli REE prevedono che la rete sia progettata per resistere al guasto di due grandi impianti di produzione contemporaneamente. Il calo di produzione sperimentato è stato molto più elevato di quello dimensionato. * Dalle interconnessioni francesi e marocchine, oltre alle centrali idroelettriche e a ciclo combinato, l’alimentazione elettrica del territorio è stata ripotenziata linea per linea. * Come per la pandemia e le inondazioni a Valencia, la risposta della società è stata di solidarietà. Molti volontari sono scesi in strada per aiutare i bisognosi. Invece del panico, le strade si sono riempite di persone che condividevano la loro vita e commentavano le informazioni che arrivavano via radio, senza dimenticare coloro che sono rimasti intrappolati dal black-out e non hanno potuto scambiare dubbi, preoccupazioni e incertezze con nessuno. * La continuità dei servizi pubblici è stata garantita. Ieri il settore pubblico si è rafforzato grazie alle persone che hanno sostenuto con professionalità, senso civico e solidarietà il caos causato dal blackout. Se c’è qualcosa su cui investire, sono le infrastrutture civili e pubbliche, risorse che sostengono le persone. Né un aumento delle spese militari né la privatizzazione. * Ecologistas en Acción ricorda che questa situazione è temporanea per la maggior parte della popolazione, ma ci sono quartieri come Cañada Real (Madrid), Padre Pío, Amate o Su Eminencia (Siviglia) che devono affrontare questi tagli in modo permanente o frequente. * Non bisogna dimenticare che in altri Paesi e territori queste situazioni si verificano regolarmente a causa della mancanza di stabilità della rete, della mancanza di forniture energetiche dovute a tensioni geopolitiche (Pakistan) o addirittura utilizzate come arma di guerra (Gaza o Ucraina). * Ieri si è diffusa più che mai la consapevolezza dell’importanza dell’energia nella nostra vita. L’accesso all’energia è un diritto fondamentale per vivere una vita dignitosa ed è sancito dalla Dichiarazione universale dei diritti umani emergenti. Dovrebbe quindi essere una realtà per tutte le persone ed essere considerato un servizio essenziale. COSA DOBBIAMO PRENDERE IN CONSIDERAZIONE? * Da mesi, il sistema elettrico iberico viene gestito attraverso una rete elettrica in cui la produzione di energia rinnovabile nelle ore centrali della giornata è molto importante. Il 16 aprile 2025 è stato raggiunto il 100% di energia rinnovabile per alcune ore, replicando il successo del 16 maggio 2023, quando è stato mantenuto per nove ore. Una grande quantità di energia rinnovabile nel sistema non è la causa del blackout; anzi, è una buona notizia perché tale penetrazione consente di evitare tonnellate di emissioni. * Le energie rinnovabili presentano ulteriori sfide nella gestione della rete, come la necessità di stoccaggio, una corretta pianificazione in termini di tecnologie da installare o la necessità di stabilire tecnologie e misure aggiuntive per mantenere la frequenza e la tensione o rimuovere la reattanza dalla rete. Ma ci sono soluzioni sufficienti per raggiungere una rete elettrica al 100% rinnovabile. * Le centrali nucleari sono state tra le prime a spegnersi e ci vuole molto tempo prima che le centrali possano aumentare o ridurre la loro produzione. Puntare sulla continuità del nucleare come misura per affrontare crisi di questo tipo è fallace, opportunistico e autoreferenziale. * Ecologistas en Acción chiede una pianificazione urgente della rete elettrica. La caduta a zero è un campanello d’allarme che dovrebbe portare a una corretta pianificazione del sistema. Attualmente, la liberalizzazione del settore e della Red Eléctrica Española ha lasciato la localizzazione e il dimensionamento della produzione rinnovabile nelle mani del profitto e del mercato. Invece di pianificare un mix energetico equilibrato di solare, eolico, idroelettrico e tecnologie di stoccaggio, la localizzazione di questi progetti è lasciata alla volontà delle grandi aziende. Ciò significa che in alcune regioni ci si concentra sull’energia solare o eolica, il che indebolisce la capacità di rispondere alle fluttuazioni della fornitura di elettricità. * Un sistema più decentrato, basato sulle microgrid, potrebbe rendere il sistema elettrico più resistente a questo tipo di eventi. È prioritario avvicinare la produzione ai punti di consumo e impegnarsi per un autoconsumo rinnovabile che non dipenda dalla connessione alla rete. Ciò non implica la rinuncia alla trasmissione dell’energia, in quanto potrebbe essere indispensabile un back-up esterno per queste reti. Immagini di copertina da WikiCommon Pubblicato su ecologistasenaccion.org, traduzione in italiano a cura di Aniello Lampo per DINAMOpress SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress abbiamo attivato una nuova raccolta fondi diretta. Vi chiediamo di donare tramite paypal direttamente sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo Blackout in Spagna e Portogallo: oltre le strumentalizzazioni e le ricostruzioni fasulle proviene da DINAMOpress.
STORICO BLACK-OUT IN SPAGNA: IL GIORNO DOPO LE SPECULAZIONI POLITICHE SULL’ENERGIA. LA TESTIMONIANZA DA MADRID
Black-out in Spagna. Alle 12.33 di lunedì 28 aprile 2025 nella penisola iberica, in una parte del Portogallo e nel sud della Francia la fornitura di rete elettrica si è interrotta. Si è bloccato tutto: ospedali, trasporti, ogni sistema di comunicazione. Non si poteva accedere a Internet, scoprire cosa accadeva in TV. La radio a batteria è divenuta per ore l’unico mezzo con cui le persone si sono potute informare. Quattro le vittime indirette: 3 persone decedute per intossicazione da monossido di carbonio, in Galizia, a causa dell’accensione difettosa di un generatore elettrico di emergenza e una quarta, una donna, a Madrid, bruciata nel rogo della propria abitazione dovuto all’accensione di alcune candele. Cosa è accaduto? Il premier spagnolo Pedro Sánchez, nella conferenza stampa di martedì 29 aprile, ha dichiarato di “non escludere nessuna ipotesi” sulle cause del blackout che ha coinvolto la Spagna, aprendo nel contempo una commissione d’inchiesta. A 24 ore dal black-out della rete sono state ripristinate la maggior parte delle infrastrutture elettriche. Sulle cause del black-out l’operatore della rete elettrica spagnola esclude l’attacco informatico, accodandosi all’Agenzia europea per la sicurezza informatica e parlando, senza fornire dettagli in più, di un “problema nella produzione di energia solare”. Si torna a parlare di ruolo strategico dell’energia, aprendo lo scontro politico sulle fonti rinnovabili. Il premier spagnolo Pedro Sanchez, che insieme al governo sta progressivamente portando avanti la dismissione delle centrali nucleari entro il 2035 e sostenendo la transizione attraverso fonti rinnovabili, ha risposto ai suoi detrattori e all’ultra-destra di Vox, che hanno puntato subito il dito sulle rinnovabili e sulla carenza di energia nucleare. “Chi difende il nucleare durante il blackout o è in malafede o è ignorante“. Durante una conferenza stampa, Sanchez ha affermato che le centrali nucleari al momento del black-out, oltre a essere spente, sono state un’ulteriore problema perchè “è stato necessario deviare grandi quantità di energia per mantenerei i loro nuclei stabili”. Il premier spagnolo ha inoltre sottolineato come siano state fondamentali le reti idroelettriche per il recupero dell’energia. Sul fronte dell’energia elettrica in Spagna il 20% delle azioni è in mano al governo iberico, ma l’80% è sotto il controllo del settore privato, in particolare di fondi di investimento, multinazionali finanziarie e miliardari globali, tra questi l’imprenditore galiziano Amancio Ortega, l’uomo più ricco di Spagna e il nono uomo più ricco del mondo, niente di meno che il patron di Zara. Cosa sta accadendo in Spagna? Ai microfoni di Radio Onda d’Urto un testimone diretto dell’interruzione su tutti i livelli dell’elettricità: da Madrid Simone Guglielmelli, ricercatore in Scienze Politiche presso l’Università della Calabria e dell’Università Autonoma di Madrid che si occupa di questioni in campo energetico. Ascolta o scarica.
La casa è un diritto, non un prodotto finanziario: intervista a Jaime Palomera
«Bisogna aumentare le tasse affinché l’accumulazione di alloggi diventi insostenibile» Gemma García L’8 aprile, mentre il governo catalano raggiungeva un accordo con ERC, Comuns e CUP per regolare gli affitti brevi, Jaime Palomera presentava El segrest de l’habitatge – Il sequestro della casa (Pòrtic, 2025). Il libro non si limita a tracciare le cause che hanno portato a una società di inquilinə sempre più poverə e chi vive di rendita degli affitti sempre più ricchi, ma propone anche una via d’uscita. Ricercatore e cofondatore dell’Istituto di Ricerca Urbana di Barcellona (IDRA), Palomera sottolinea che, di fronte all’attuale panorama, perfino il padre del liberalismo economico, Adam Smith, si rivolterebbe nella tomba. Parliamo con lui delle cause che hanno trasformato l’abitazione in un prodotto finanziario e delle proposte per renderla un vero diritto. Cosa ha permesso la costruzione di un quadro culturale che normalizza il business dell’abitare? La società dei proprietari si basava inizialmente sull’idea che tutti potessero avere una proprietà. Si attribuisce a Franco la frase: «Un proprietario in più, un comunista in meno», perché si immaginava questa società anche come forma di controllo sociale, per rendere le persone meno ribelli. Ma non ha funzionato fino in fondo: molti proprietari hanno organizzato il più grande movimento operaio d’Europa negli anni ’70. La dittatura non diceva solo che saresti diventato proprietario, ma che ti saresti arricchito: «Assicurati una plusvalenza per il futuro». Si promosse una cultura della proprietà e dell’arricchimento col suolo. Molte famiglie operaie divennero proprietarie di alloggi popolari. Ma il modello aveva un problema intrinseco: se tutti possiedono un bene il cui prezzo sale sempre, arriverà il momento in cui chi non ha nulla non potrà più accedervi. Cosa rappresentava la casa di proprietà per la classe lavoratrice? Ancora oggi, la maggior parte della società è proprietaria perché ereditiamo quel modello iniziato negli anni ’50. Per la gente lavoratrice, la casa è spesso l’unica fonte di ricchezza per generazioni. A Ciutat Meridiana, il quartiere più povero di Barcellona, un vicino mi raccontò che, dopo aver vissuto in baracche, il padre comprò un piccolo appartamento. Entrando, disse: «Ora, figli miei, se volete fare i bisogni in mezzo al soggiorno, potete farlo, perché non verrà nessun signorotto a dirmi nulla». Venivano da un cortijo [una fattoria, ndt] del sud della Spagna e avere una proprietà era sinonimo di libertà. La proprietà può anche generare disuguaglianza, ma per chi non ha mai avuto nulla, è la sola fonte di ricchezza. Il punto è che oggi la situazione è come una partita a Monopoly: chi ha case ne compra altre, chi non ne ha paga affitti e non può risparmiare per acquistare. Foto di Victor Serri La disuguaglianza in questo “Monopoly” è aumentata con la crisi del 2008? Lo Stato ha agito deliberatamente, indebitandoci, affinché il prezzo delle case non scendesse. I fondi d’investimento hanno avuto un ruolo cruciale, potendo indebitarsi per investire. Lo Stato ha steso loro il tappeto rosso con incentivi fiscali. La crisi è stata una catastrofe sociale ma anche l’inizio di un nuovo paradigma: la società dei proprietari si sta rompendo sia in alto che in basso. Chi possedeva, ora possiede di più; la terza generazione potrà esserlo solo per eredità. Il problema abitativo ha ricevuto più attenzione perché ha iniziato a colpire anche la classe media? Viviamo in una società sempre più neofeudale: non conta più il merito, ma dove sei nato e cosa erediti. Inizialmente la crisi colpì lavoratorə con redditi bassi e senza cuscinetti. Oggi, moltə giovani crescono passando da un affitto all’altro. E i loro genitori o nonnə erano proprietarə o avevano affitti stabili. È il risultato delle politiche neoliberali implementate anche in Spagna da ministri come Boyer e Solchaga. E anche chi crea opinione pubblica (giornalistə, politicə, opinionistə) si percepisce come classe media. Economisti, lobby immobiliari e media ripetono che è un problema di offerta. Perché questa logica non vale per l’abitazione? Dire che i prezzi salgono per la domanda è come dire che un aereo cade per la gravità. Non si capisce il funzionamento del mercato immobiliare. Storicamente, i periodi di maggiore costruzione hanno coinciso con le maggiori impennate di prezzo. Il suolo è scarso e dove c’è attività economica, i prezzi salgono più dei salari. I proprietari del suolo hanno posizioni monopolistiche, diversamente da un mercato competitivo. Inoltre, la domanda non viene solo da chi cerca casa, ma anche dagli investitori internazionali. È la tempesta perfetta. Nel libro rivendichi il termine “redditiere”. Perché? Parlo del rentismo come sistema che genera disuguaglianza e prosciuga l’economia produttiva. Adam Smith già lo denunciava: i proprietari del suolo si arricchiscono mentre dormono. Una famiglia che eredita un paio di appartamenti e integra le entrate non è un redditiere, non vive di reddito degli affitti. Redditiere è chi vive principalmente di rendite degli affitti. Non si può equiparare chi affitta un appartamento e chi compra decine di immobili per trarne profitto. Il conflitto è con i ricchi, non tra vicini. Foto di Victor Serri Eppure con due appartamenti in affitto si può vivere come moltə lavoratorə… Questi influencer vendono fumo. Promettono rendite con piccoli investimenti in quartieri popolari, ma spesso hanno dietro genitori garanti. I dati fiscali lo dimostrano: meno del 10% ha rendite da affitto e chi realmente vive di rendite è una minoranza potente. Per chi guadagna oltre 600.000 euro all’anno, il 35% del reddito proviene dagli affitti. È un sistema a somma zero: ogni casa acquistata da un redditiere è una casa in meno per te e per me. Quindi, dopo anni di lotte per regolare i prezzi degli affitti, ora bisogna abbassarli? Abbiamo lottato per la regolazione dal 2017 al 2021, per fermare l’emorragia. Ma il vero problema è strutturale. Il prezzo dell’affitto è solo un sintomo. Esistono molti modi per trarre rendite da un immobile: tenerlo vuoto, affittarlo come turistico o a stagione, coliving, microappartamenti. Se chiudi una porta, l’investitore ne trova un’altra. Bisogna disincentivare l’acquisto speculativo. La via è aumentare la pressione fiscale? Sì. Bisogna aumentare le tasse sull’accaparramento di case. Al tempo stesso, si dovrebbero offrire incentivi fiscali a famiglie lavoratrici che comprano casa, ma vincolandoli a rivendite a prezzo controllato (valore d’acquisto + inflazione). La Generalitat lo sta già facendo per i giovani. È importante, perché immette case in un sistema regolato, come a Singapore. Chi possiede molte case, invece, deve essere tassato di più affinché smetta di accumularle. Finora però si è fatto il contrario, si è incentivato l’accaparramento Esatto. È uno dei mercati più manipolati dallo Stato, malgrado ci raccontino la favola del “libero mercato”. Esistono molti aiuti per chi già possiede immobili. La classe lavoratrice paga più tasse per comprare casa di quanto paghi un fondo per investire in affitti. Il sistema fiscale è disegnato per favorire chi fa salire i prezzi. Foto di Victor Serri In generale, si premiano i redditieri invece di penalizzarne gli abusi? Sì. Lo Stato continua a ragionare in ottica neoliberale: si premiano i comportamenti “buoni” con incentivi, ma si evita di penalizzare. È falso che dare benefici fiscali ai grandi proprietari aumenti l’offerta o abbassi i prezzi. Lo dice la scienza. E le politiche di aiuto gl3 inquilin3? Alla fine, sono aiuti che finiscono nelle tasche dei redditieri. Anche se con le migliori intenzioni, si tratta di trasferimenti verso chi vive di rendita. Meglio penalizzare fiscalmente gli usi speculativi del suolo. Aumentare le tasse su chi accaparra e aiutare chi non ha casa a comprarne una. Se non fermiamo l’accaparramento, la ricchezza continuerà a concentrarsi verso l’alto. Alcuni Paesi, come Singapore, lo stanno già facendo. I redditieri si oppongono ai contratti di affitto a tempo indeterminato. Ma fino al 1985 esistevano. Sono una misura fondamentale? Sì, è fondamentale. Chi vivrà in affitto per tutta la vita ha bisogno di stabilità. Servono contratti a tempo indeterminato, come già avviene in sette Paesi europei. Ma da soli non bastano per fermare l’accaparramento. I governi vantano la costruzione di edilizia pubblica, ma in Catalunya un quarto della popolazione perderà la protezione entro sette anni. Dovremmo preoccuparci anche della gestione? L’edilizia pubblica è ancora marginale e in gran parte è stata privatizzata. Dopo Thatcher, il consenso era che l’alloggio pubblico dovesse essere residuale. Ora la Generalitat propone 50.000 alloggi protetti, ma è come gettare secchiate d’acqua su un incendio. La lobby dice che la soluzione è costruire più edilizia pubblica. È vero? I ricchi lo dicono perché sanno che non disturberà il loro potere. Per cambiare la situazione, serve sì costruire edilizia pubblica, ma soprattutto cambiare le regole del gioco. Bisogna aumentare le tasse sull’accaparramento di immobili. Vienna iniziò nel 1917, Singapore nel 1960. È vero che Vienna ha costruito per un secolo, ma il primo passo fu tassare pesantemente i grandi proprietari, riducendo così i profitti e facilitando gli acquisti pubblici di suolo. Immagini di copertina e nell’articolo di Victor Serri, manifestazione per il diritto all’abitare, 5 aprile 2025, Barcellona Pubblicato su directa.cat, traduzione in italiano a cura dell’autore per DINAMOpress SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress abbiamo attivato una nuova raccolta fondi diretta. Vi chiediamo di donare tramite paypal direttamente sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo La casa è un diritto, non un prodotto finanziario: intervista a Jaime Palomera proviene da DINAMOpress.