Le vie della Hasbara sono infiniteC’è stato un giro di vento sul Medio Oriente, ogni tanto capita. E dopo quasi 20
mesi di accondiscendenza mediatica e politica allo sterminio di vite palestinesi
e allo stritolamento del diritto da parte di Israele, i silenti e i benevolenti
si stanno facendo parlanti e dissenzienti dal progetto genocidario a marchio
Netanyahu, ma in realtà di ben più lontana origine.
L’esercito mediatico a servizio del governo israeliano, e suddito dei suoi
principali complici, finora ha svolto con fedeltà e senza vergogna il proprio
compito servile, al pari della quasi totalità di politici, politicanti,
intellettuali o sedicenti tali, uomini e donne di spettacolo e opportunisti
vari. Chi si opponeva allo sterminio, anche con la minima critica, come il
cantante Ghali che aveva “osato” invocare un innocente cessate il fuoco, veniva
bollato come antisemita. Come se per non essere antisemiti si dovesse essere a
favore dei più efferati crimini commessi da Israele!
Ma ora il vento sembra cambiato. Il primo soffio è venuto da un giornale USA che
probabilmente aveva colto segnali non ancora chiari ai nostri pusillanimi
opinion maker, i più veloci dei quali lo hanno intercettato appena lanciato dal
collega statunitense e, per effetto domino, sono cambiati uno ad uno i
comportamenti di molti fedeli megafoni della narrazione dominante.
All’unico quotidiano del mainstream, il Fatto Quotidiano, che insieme al
Manifesto si dissociava dalla schiera dei consenzienti mentre il resto del
panorama mediatico fungeva da scorta al genocidio (v. Raffaele Oriani in “La
scorta mediatica”) ora che il vento sembra aver cambiato direzione se ne sono
affiancati altri che rivendicano il loro spazio. Ora piovono dichiarazioni se
non di condanna almeno di critica verso il boia di Tel Aviv. I muti hanno
recuperato la favella. I pochi che osavano dissentire quando a farlo si
rischiava l’ostracismo, ora si trovano circondati da chi sgomita per non restare
indietro. Fantastici, ridicoli personaggi che rappresentano le miserie della
commedia umana e che nel dare solidarietà alle “vittime” si guardano bene dal
mettere in discussione l’essenza dell’entità sionista detta Stato di Israele.
Al contrario dei media funzionali al boia di Tel Aviv, la società civile che non
si è lasciata spaventare né ipnotizzare dalla narrazione dominante, in questi 20
mesi ha seguitato a battersi in mille modi per chiedere a politici e media di
dare voce alla giustizia o almeno all’umanità.
Il doppio standard con cui veniva raccontato il dramma ucraino con 5 morti
civili e la normalità di centinaia di assassinati palestinesi era ed è più che
disgustoso, era ed è la prova di un malcelato razzismo che si aggiungeva al
servile adattarsi alle veline imposte dall’alto.
Ora qualcosa è cambiato nel senso che diversi media mainstream si sono adeguati
alla direzione del vento. Non c’è da farsi grandi illusioni, ma questo
cambiamento, forse solo temporaneo, sta incrinando il blocco monolitico di
sostegno a Israele e allora ecco che entra in azione la più intelligente delle
organizzazioni di propaganda politica degli ultimi due secoli: la Hasbara, vale
a dire l’organizzazione israeliana che si occupa di promuovere l’immagine di
Israele tramite la comunicazione e le relazioni pubbliche influendo sulla
società civile con tecniche di persuasione e, nel contempo, frammentando o
oscurando la narrazione contraria all’immagine di Israele.
Dagli anni “50 ad oggi la Hasbara ha svolto un ruolo importantissimo e se
Israele può vantare la più efficace narrativa che ne occulta 77 anni di reati
oltre a quelli precedenti alla sua fondazione e ad essa finalizzati, è proprio
grazie all’intelligenza della Hasbara, alla capacità dei suoi agenti di creare
relazioni collaborazioniste e/o ricattatorie con singoli personaggi socialmente
rilevanti oltre che con le diverse istituzioni politiche e governative.
Questo spiega perché, anche davanti ai crimini più efferati Israele non ha mai
subito sanzioni né tantomeno interventi militari da parte dell’ONU ma, tutt’al
più, risoluzioni con inutili condanne morali.
Le vie della Hasbara sono infinite e non sempre quest’organismo ha bisogno di
intervenire direttamente, non quando riesce a sfruttare le contraddizioni
interne agli oppositori del sionismo, siano essi Stati o movimenti della società
civile. Così, in questi giorni, la vediamo agire indirettamente ma con grande
efficacia.
Se politici e opinion maker di varia natura, fino a ieri fedeli sostenitori del
genocidio sotto lo stendardo con su scritto “Israele ha diritto a difendersi” da
una parte e “tutto è cominciato il 7 ottobre” dall’altra, hanno abbassato lo
stendardo e ne hanno leggermente, solo leggermente modificato le scritte e tanto
è bastato per incrinare il muro monolitico di sostegno a Israele, cosa. c’è di
meglio se non ricorrere alle contraddizioni interne al movimento propal che da
20 mesi chiede di fermare Israele?
Il gioco è semplice. Prendiamo qualche esempio: una parte del movimento ha
deciso di aderire alla Global march su Gaza. Bene, la parte che non condivide
non deve limitarsi a non condividere, deve boicottare l’iniziativa. Sui social
si scatenerà una critica velenosa che indebolirà il movimento.
Oppure, un gruppo decide di dar corso a iniziative di sensibilizzazione a costo
zero tipo spegnere le luci o aderire a fiaccolate in silenzio o a flash mob che
simulano il genocidio. Niente di meglio che scatenare sui social critiche
esasperate contro chi limita la propria denuncia a iniziative non impegnative
invece di lottare. Lottare come? Beh, questo non è detto, ma la critica deve
essere efficace.
O ancora, un giornalista dalla penna fluente bolla l’iniziativa di un gruppo di
intellettuali che denunciano Israele da quasi 20 mesi e che ora chiedono alla
società civile di esporre lenzuola come sudari per condannare il genocidio e
chiedere di fermare Israele. Il giornalista in questione usa una buona
dialettica e si richiama a comportamenti presenti nelle anime belle
dell’occidente coloniale. In questo caso sbaglia obiettivo, ma la formula scelta
è eccellente “estetizzare il lutto, cancellare la Palestina”. Ottimo. Lo slogan
diventa virale e sui social si scatena il tifo. Qualche imbecille di poco più di
vent’anni che ha trovato la sua ribalta nella tragedia in corso dà del
filo-sionista a chi da decenni si batte a sostegno della resistenza palestinese.
Alla dialettica politica si sostituisce l’insulto che nel movimento propal è il
massimo degli insulti: sionista filoisraeliano. Ottimo per la Hasbara.
Invece di unire le forze rispettando le diverse modalità di denuncia, di
sensibilizzazione dell’opinione pubblica e di lotta contro le pratiche di
sostegno a Israele ecco che si sviluppa il tifo e si indebolisce il movimento.
Il divide et impera ha sempre funzionato e seguiterà a funzionare anche
stavolta.
La Hasbara lo sa e cammina a passo felpato lungo le vie percorse dagli attivisti
e s’insinua nelle loro contraddizioni. Non saperla riconoscere significa fare il
suo gioco. E mentre i propal disperdono energie in inutili diatribe il massacro
continua. Altri 33 assassinati inermi, bruciati vivi o schiacciati dalle macerie
solo oggi e il criminale di guerra comunica che domani sarà peggio.
Nessuno dei nuovi parlanti mediatici dice che è il delinquente della Striscia di
Gaza e di gran parte della Cisgiordania sta facendo il suo lebensraum, il suo
spazio vitale di hitleriana memoria. Dirlo sarebbe troppo. La Hasbara ha dato
indicazione di definire antisemita chi osi dichiararlo.
Intanto, mentre il movimento propal si scontra su chi ha più diritto a dirsi
filopalestinese, i delinquenti fuorilegge scesi dalle colonie illegali sciamano
per la parte antica di Gerusalemme est provocando, picchiando e violando strade
e luoghi di culto cristiani e musulmani. I giornalisti che riportano il fatto
forse non sanno e comunque non dicono che Israele sta festeggiando, in quella
che chiama “giornata di Gerusalemme”, un grave reato, uno dei tanti:
l’appropriazione di Gerusalemme est. Occupazione illegale ai sensi del Diritto
internazionale e non riconosciuta dall’ONU.
Ma dove regna la legge del più forte il diritto scompare.
Anche per questo andrebbe fermato non solo il macellaio di Tel Aviv ma anche e
soprattutto il progetto dell’entità sionista, assassino dei palestinesi e nemico
di ogni società che si riconosce nel diritto e non nella legge del più forte.
Patrizia Cecconi