Ancora troppe criticità nel sistema di offerta dei servizi educativi per l’infanzia
Nel 2024, in Italia, il 66,7% delle persone di 25-64 anni ha almeno una
qualifica o un diploma secondario superiore, quota di 13,8 punti percentuali
inferiore alla media europea (80,5%): si tratta di un gap particolarmente
significativo, poiché questo titolo di studio è considerato il livello di
formazione minimo indispensabile per una partecipazione al mercato del lavoro
con un potenziale di crescita professionale. Tra le donne la quota raggiunge il
69,4%, mentre si ferma al 64% tra gli uomini; i livelli più bassi si osservano
nel Mezzogiorno, in particolare in Campania (58,5%), Puglia (56,9%), Sardegna
(56,8%) e Sicilia (56,1%).
E’ quanto ha sottolineato Cristina Freguja, Direttrice del Dipartimento per le
statistiche sociali e demografiche dell’ISTAT in una recente audizione presso il
Senato. E l’Italia non va meglio anche per quanto riguarda l’istruzione
terziaria della popolazione più giovane: nel 2024, i 25-34enni in possesso di un
titolo di studio terziario sono il 44,1% nell’UE27, mentre in Italia si fermano
al 31,6%, con quote più elevate nel Nord (33,6% nel Nord-Ovest e 35,7% nel
Nord-Est) e con un Mezzogiorno fermo al 26,9%, nelle Isole non supera il 23,7%.
La “laurea è sempre più donna”: le donne laureate sono il 38,5%, contro il 25%
di uomini; inoltre, analizzando congiuntamente genere e territorio di residenza,
la quota dei laureati varia tra il 42,6% delle donne al Nord e il 21,1% degli
uomini nel Mezzogiorno.
La direttrice Freguja nella sua audizione ha posto maggiormente l’accento sui
servizi educativi per l’infanzia e sulla dispersione, l’abbandono scolastico e i
NEET. Nell’anno educativo 2022/2023 sono risultati attivi 14.031 servizi per la
prima infanzia, con oltre 366mila posti autorizzati (poco meno della metà dei
quali a titolarità pubblica). “Per effetto di un lieve incremento dell’offerta e
del calo delle nascite, ha sottolineato Freguja, continua la graduale riduzione
del gap tra numero dei potenziali utenti dei servizi educativi per la prima
infanzia e i posti disponibili, anche se tra i territori rimangono differenze
consistenti. Dal 2019/20 al 2022/23 il tasso di copertura dei posti rispetto ai
residenti sotto i 3 anni è passato dal 27,1% al 30%, risultando tuttavia ancora
molto al di sotto della media italiana nel Mezzogiorno (con l’unica eccezione
della Sardegna), soprattutto in Campania (13,2%), Sicilia (13,9%) e Calabria
(15,7%). Valori superiori al 40% si registrano in Umbria (46,5%), Emilia-Romagna
(43,1%), Valle d’Aosta (43%), Provincia Autonoma di Trento (41,2%) e Toscana
(40,7%). Di fatto, la partecipazione dei bambini (0 -2 anni) ai servizi
educativi per la prima infanzia ricalca la geografia delle disponibilità delle
strutture sul territorio italiano”.
Il ricorso al nido d’infanzia riguarda soprattutto i bambini con i genitori
occupati: nel biennio 2023-2024, quasi il 60% del totale dei bambini iscritti al
nido sono risultati essere figli di famiglie con entrambi i partner che
lavorano. Nel caso in cui entrambi i genitori (o l’unico genitore nel caso di
famiglie mono-genitoriali) risultino occupati, il tasso di iscrizione è quasi il
60%; se almeno uno dei genitori (o l’unico) non è occupato il valore quasi si
dimezza. Inoltre, nel 2023-2024, risultavano iscritti al nido il 49,3% dei
bambini con genitori almeno laureati, il 33,0% di quelli con genitori con un
diploma superiore e il 22,1% di figli di genitori con al massimo l’obbligo
scolastico: il rapporto tra i primi e gli ultimi è oltre il doppio. Occorre
considerare che tuttora l’iscrizione dei bambini al nido viene considerata come
uno strumento di conciliazione tra vita lavorativa e attività di cura delle
famiglie, piuttosto che un primo passo nel sistema educativo. E così, mentre tra
i bambini in famiglie con più alto reddito la frequenza raggiunge il 45%, tra
quelli in famiglie caratterizzate da condizioni di svantaggio economico, dalla
presenza di un genitore in condizione di inattività o con cittadinanza straniera
i tassi di frequenza del nido sono decisamente inferiori, diventando
particolarmente bassi quando il bambino vive in famiglie a rischio di povertà o
di esclusione sociale. E, a tal fine, occorre osservare, come annota la
direttrice Cristina Freguja, che “ i criteri utilizzati per la formulazione
delle graduatorie delle domande di iscrizione al nido fanno riferimento alla
condizione lavorativa dei genitori e la probabilità di accedere al servizio
aumenta se entrambi i genitori del bambino lavorano. Le altre condizioni (ad es.
lo svantaggio economico della famiglia) sono prese in considerazione per le
graduatorie solamente da una piccola minoranza di Comuni.”
Per quanto riguarda la dispersione scolastica, nell’anno scolastico 2024/2025,
il 12,3% degli studenti e delle studentesse del terzo anno della scuola
secondaria di primo grado è risultato a rischio di dispersione implicita; la
quota è diminuita rispetto al 16,6% dell’anno scolastico 2020/2021, a seguito
dei buoni risultati raggiunti nelle prove di inglese. Sicilia (23,6%), Calabria
(21,2%) e Sardegna (20,7%) presentano i valori più elevati. “Il rischio di
dispersione scolastica implicita, sottolinea Freguja, è superiore tra i maschi
rispetto alle femmine (13,8%, +3 punti percentuali rispetto alle femmine) ed è
più elevato tra gli studenti di prima generazione immigrata (22,5%) rispetto sia
agli studenti italiani (11,6%) sia a quelli di seconda generazione (10,4%). Se
si considera il background socio-economico della famiglia, il rischio di
dispersione scolastica implicita risulta più che doppio tra coloro che
provengono da una famiglia svantaggiata”.
Quanto al fenomeno dei NEET[1], il calo della quota di ragazzi in dispersione
esplicita osservato dal 2021, unito all’incremento del tasso di occupazione
giovanile, ha determinato la diminuzione della quota di giovani non più inseriti
in un percorso scolastico/formativo e non impegnati in un’attività lavorativa, i
cosiddetti NEET: nel 2024, sul totale dei 15-29enni, la quota di NEET è stata
del 15,2% (erano il 23,7% nel 2020), ma ha superato il 20% in Calabria (26,2%),
Sicilia (25,7%), Campania (24,9%) e Puglia (21,4%); tra le giovani donne
continua a essere più alta (16,6%) rispetto agli uomini (13,8%).
Qui l’Audizione:
https://www.istat.it/wp-content/uploads/2025/10/Istat-Audizione-poverta-educativa-7-ottobre-2025.pdf.
[1] NEET è l’acronimo di “Not in Education, Employment or Training”, che indica
i giovani che non studiano, non lavorano e non seguono corsi di formazione.
Giovanni Caprio