Sulle montagne del Piemonte la polizia insegna alle scuole dell’infanzia il controllo delle frontiere
A Robilante, località di tradizione occitana in provincia di Cuneo, quasi al
confine con la Francia, le maestre della scuola per l’infanzia hanno condotto i
bambini e le bambine a fare le/gli “agenti per un giorno” per imparare dalla
polizia di frontiera di Limone Piemonte e di Borgo San Dalmazzo come si
controllano i confini. La militarizzazione dell’infanzia incrocia dunque la
questione delle migrazioni e per questo abbiamo chiesto alla sociologa Maria
Perino, di OnBorders e ADL Zavidovici, di analizzare il comunicato della
Questura di Cuneo del 23 maggio 2025, “Agenti per un giorno”: avventura e
scoperta con la polizia di frontiera, ripreso da diversi quotidiani locali.
«Il comunicato in questione è esemplare e inquietante: le categorie
interpretative usate per descrivere i fenomeni migratori, la connessione tra
sicurezza e migrazioni, la presenza della polizia nelle scuole – già
dell’infanzia – presentata come forza rassicurante ed educativa, sono date per
scontate, pensiero dominante indiscutibile.
Si racconta dell’esperienza dei bambini che hanno partecipato alle giornate
organizzate dagli agenti del Settore della Polizia di Frontiera di Limone
Piemonte “all’insegna della scoperta e dell’entusiasmo”. Il quadro
interpretativo e le modalità comunicative (un “linguaggio semplice e
coinvolgente” adatto alla loro età) richiedono attenzione.
Il testo, che riporta le posizioni degli agenti di polizia e presumibilmente di
molti insegnanti, infatti:
* Sottolinea che si è trattato di un’esperienza tra “avventura e scoperta”,
enfatizzando il fascino degli strumenti della polizia presentati in forma di
gioco.
* Condivide l’immagine del “confine” come “soglia di casa” per accedere alla
quale “occorre chiedere permesso”. E la polizia, “proprio come mamma e papà”
fanno riguardo alla casa, controlla chi entra nel “nostro paese”. La
similitudine paternalistica e la funzione di maternage della polizia
forniscono una interpretazione delle società in cui il territorio è
“proprietà” dei cittadini – ed è implicito il fatto che si è tali per
origine, “sangue”, o per “concessione” – che possono “tollerare” ingressi di
“altri” a certe condizioni. Con l’ulteriore problema di collocarvi le persone
che nascono in Italia e sono “straniere”, come sicuramente alcuni dei bambini
presenti all’iniziativa
* Connette le migrazioni al tema della sicurezza. Lo spostarsi non appare come
normale, ma un movimento minaccioso per l’isomorfismo tra territorio, stato,
“popolo”. Il primo confine è quello tra “noi” e “loro”, di difficile
definizione, ma molto evocativo.
* Implicitamente richiama la dicotomia tra l’immigrato bisognoso che viene
“accolto” e l’immigrato minaccioso da respingere come categoria risolutiva
per descrivere le migrazioni.
* Sostiene che l’ascolto dei racconti degli agenti è stato occasione di
imparare “il rispetto delle regole e della collaborazione”. Infatti
“l’iniziativa si inserisce in un più ampio progetto volto a promuovere la
cultura della legalità e la conoscenza delle istituzioni tra le nuove
generazioni, sottolineando l’importanza della collaborazione tra la Polizia
di Stato e le scuole del territorio”.
Grande lavoro per gli insegnanti. Il breve comunicato può infatti essere letto
come esempio del “banale” nazionalismo, militarizzato e integrato continuamente
nel senso comune da meccanismi istituzionali, il che di fatto lo rende meno
messo in discussione e quindi molto più forte. Fornire “altre lenti” per
guardare e stare nella realtà è difficile e urgente».
Maria Perino, OnBorders e ADL Zavidovici