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Genocidio dei palestinesi: intervengono gli stati schierati con il Gruppo dell’Aja
LE DELEGAZIONI MINISTERIALI DI UNA 30INA DI NAZIONI RADUNATE A BOGOTÀ NELLE GIORNATE DEL 15 E DEL 16 LUGLIO PIANIFICANO LE AZIONI CON CUI ESIGERE IL RISPETTO DEL DIRITTO INTERNAZIONALE. All’iniziativa, promossa dal Gruppo dell’Aja che aggrega Bolivia, Colombia, Cuba, Honduras, Malesya, Namibia, Senegal e Sud Africa, hanno aderito una 30ina di stati: Algeria, Botswana, Brasile, Cile, Iraq, Irlanda, Libano, Norvegia, Oman, Portogallo, Slovenia, Spagna,… tra cui il Qatar, che con l’Egitto è impegnato anche come mediatore delle trattative per la tregua a Gaza. Nella convocazione è precisato che la riunione è stata indetta “in risposta alle continue e crescenti violazioni del diritto internazionale da parte di Israele nei territori palestinesi occupati, tra cui il crimine di genocidio”, che la discussione focalizzerà sugli > obblighi giuridici degli Stati, come definiti dal parere consultivo della > Corte internazionale di giustizia (CIG) del luglio 2024, di impedire tutte le > azioni “che contribuiscono al mantenimento della situazione illegale creata da > Israele nei Territori palestinesi occupati” e di sostenere la piena > realizzazione del diritto inalienabile del popolo palestinese > all’autodeterminazione e che verranno deliberate “misure concrete per far rispettare il diritto internazionale” e una serie di azioni con la cui realizzazione ogni stato contribuirà, singolarmente e coalizzato con gli altri, a “porre fine al genocidio e garantire giustizia e responsabilità”. Al meeting partecipano * il Commissario generale dell’UNRWA (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East – Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi), Philippe Lazzarini, che l’11 luglio ha denunciato “800 persone affamate uccise, colpite da colpi d’arma da fuoco mentre cercavano di procurarsi il poco cibo a Gaza” e che “Le accuse secondo cui gli aiuti sarebbero stati dirottati verso Hamas non sono mai state sollevate durante gli incontri ufficiali, non sono mai state provate né comprovate. Un sistema funzionante [per portare soccorsi ai palestinesi assediati monitorato e realizzato dall’ONU – NdR] è stato sostituito da una truffa mortale per costringere le persone a sfollare e aggravare la punizione collettiva dei palestinesi di Gaza”; * la Relatrice Speciale dell’ONU sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967, Francesca Albanese, che il 3 luglio scorso all’incontro sulla “Situazione dei diritti umani in Palestina e negli altri territori arabi occupati” svolto nel programma della 59ª Sessione del Consiglio per i Diritti Umani ha presentato il rapporto “Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio”. UNA COALIZIONE DI NAZIONI SCHIERATE CONTRO LE INGIUSTIZIE Il Gruppo dell’Aja è un blocco globale di stati impegnati in “misure legali e diplomatiche coordinate” per sostenere il diritto internazionale e la solidarietà con il popolo palestinese – https://thehaguegroup.org/home/ Lo schieramento aggrega le nazioni che il 31 gennaio 2025 nella città in cui hanno sede la Corte Internazionale di Giustizia e la Corte Penale Internazionale si sono aggregate per, ciascuna singolarmente e insieme congiuntamente, 1. Rispettare la risoluzione A/RES/Es-10/24 delle Nazioni Unite e, nel caso degli Stati Parte, sostenere le richieste della Corte penale internazionale e ottemperare ai nostri obblighi ai sensi dello Statuto di Roma, compresi i mandati emessi il 21 novembre 2024; e attuare le misure provvisorie della Corte internazionale di giustizia, emesse il 26 gennaio, il 28 marzo e il 24 maggio 2024. 2. Impedire la fornitura o il trasferimento di armi, munizioni e materiale correlato a Israele, in tutti i casi in cui vi sia un chiaro rischio che tali armi e articoli correlati possano essere utilizzati per commettere o facilitare violazioni del diritto umanitario, del diritto internazionale dei diritti umani e del divieto di genocidio, in conformità con i nostri obblighi internazionali e con il parere consultivo della Corte internazionale di giustizia del 19 luglio 2024 e con la risoluzione A/RES/Es-10/24 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. 3. In ogni porto sotto la nostra giurisdizione territoriale impedire l’attracco di imbarcazioni quando sia accertato e in tutti i casi in cui vi sia un chiaro rischio che siano utilizzate per trasportare in Israele carburante e armi militari che potrebbero essere utilizzate per commettere o facilitare violazioni del diritto umanitario, del diritto internazionale dei diritti umani e delle sanzioni contro il genocidio in Palestina, in conformità con l’obbligo giuridico inderogabile degli Stati di cooperare per prevenire il genocidio e altre violazioni di norme imperative con tutti i mezzi legali a loro disposizione. Inizialmente vi faceva parte anche il Belize, un paese dell’America centro-settentrionale indipendente dal 1981, una ex colonia dell’impero britannico e ora uno dei quindici reami del Commonwealth di cui è sovrano il re del Regno Unito. Per compiacere gli USA, il Belize si è distaccato dalla coalizione schierata in difesa del popolo palestinese e del diritto internazionale. Lo riferisce la redazione dell’emittente radiofonica francese RFI annotando che tra gli 8 stati attualmente membri del Gruppo dell’Aja spiccano alcuni che hanno già intrapreso azioni per contrastare le atrocità commesse da Israele a Gaza dall’ottobre 2023 in poi: > il Sudafrica ha deferito la questione alla Corte Internazionale di Giustizia > per presunta violazione della Convenzione sul Genocidio del 1948, a cui si > sono uniti altri Stati; navi cariche di armi dirette verso lo Stato ebraico > sono state bloccate da Namibia e Malesia. > > Nel maggio 2024, la Colombia ha interrotto le relazioni diplomatiche con Tel > Aviv. Una decisione presa “a causa del governo, del presidente genocida”, > dichiarò il presidente Gustavo Petro, che ha proclamato: «Non possiamo > accettare il ritorno di epoche di genocidio, dello sterminio di un intero > popolo sotto i nostri occhi, sotto la nostra passività. Se la Palestina muore, > muore l’umanità. Non lasceremo morire la Palestina, così come non lasceremo > morire l’umanità». «L’alternativa con cui ci dobbiamo confrontare è netta e > implacabile – ha affermato il presidente colombiano in un’intervista a The > Guardian – O difendiamo con fermezza i principi giuridici che mirano a > prevenire guerre e conflitti, o assistiamo impotenti al crollo del sistema > internazionale sotto il peso di una politica di potere incontrollata» > [Striscia di Gaza: oltre trenta Paesi riuniti a Bogotà per misure concrete > contro Israele / RFI – 13/07/2025]. Al Gruppo dell’Aja inoltre fanno parte Bolivia, Cuba, Honduras e Senegal e il Brasile, nel 2025 il ‘capo-fila’ dei paesi uniti nel BRICS che il 7 luglio scorso a Rio del Janeiro hanno condannato l’uso della fame come arma di guerra e la militarizzazione dell’assistenza umanitaria.   INTANTO, IN EUROPA E NEL MONDO… Contemporaneamente all’incontro svolto a Bogotà, a Bruxelles il Consiglio dei ministri degli esteri dell’Unione Europea riunito il 15 luglio discuteva “degli ultimi sviluppi in Medio Oriente, concentrandosi su Gaza, Israele e Iran”. Tra gli argomenti all’ordine del giorno c’era anche il “sostegno finanziario umanitario totale fornito come Team Europa al territorio palestinese occupato”, un contributo che nel periodo 2023-2024 è ammontato a oltre 1,56 miliardi di euro, di cui più di 1,35 miliardi dal 7 ottobre 2023. Forse i ministri europei hanno affrontato anche la questione dell’accordo di associazione con Israele e dei trasferimenti d’armi tra gli stati dell’unione e la nazione che all’interno dei propri confini assedia la popolazione di Gaza dall’ottobre 2023 e infierisce sui palestinesi in Cisgiordania e altri territori e, oltre che l’Iran nel giugno scorso, in questi giorni ha bersagliato anche il Libano e la Siria [Attacchi con droni e operazioni di terra, Libano senza pace / IL MANIFESTO – 10/7/2025 e Netanyahu, ordinato a Idf raid in Siria a difesa dei drusi / ANSA – 15/7/2025]. Successivamente, il 28 e 29 luglio prossimi, alla sede delle Nazioni Unite nel Palazzo di Vetro di New York si svolgerà la conferenza internazionale speciale indetta dall’ONU che, come spiega il presidente dell’Assemblea Generale, Philémon Yang, nel maggio scorso è stata indetta d’urgenza per deliberare in merito all’applicazione della soluzione detta ‘dei 2 stati’. Procrastinata a causa della guerra di Israele e USA contro l’Iran, questa conferenza affronterà la questione del conflitto arabo-palestinese riconoscendo il diritto del popolo palestinese alla propria indipendenza e potrebbe concludersi imponendo allo stato israeliano di ritirarsi dalla Striscia di Gaza e dai territori che i coloni israeliani hanno sottratto ai residenti palestinesi.   Maddalena Brunasti
I retroscena del tour di ‘Bibi’ a Washington
Lunedì 7 luglio i colloqui ‘a porte chiuse’ e la cena alla Casa Bianca con il presidente, il segretario di stato e l’inviato in Medio Oriente. Martedì 8 luglio gli incontri in Campidoglio con il vice-presidente, lo speaker della Camera dei deputati e il presidente e i capi-gruppo del Senato e un meeting fuori-programma con Trump. Intanto, nelle piazze di Washington centinaia di cittadini manifestavano sventolando striscioni con scritto “Stop alle armi di Israele” e “Dite no al genocidio” e chiedendo, in ottemperanza alla sentenza pronunciata dalla Corte Penale Internazionale, che si procedesse all’arresto di Benjamin Netanyahu. Infatti, il premier israeliano soggiornava nella capitale degli Stati Uniti, dove è arrivato a bordo di un aereo dell’aviazione nazionale israeliana atterrato alla base militare dove ‘parcheggia’ la flotta Air Force One e alloggiato nella Blair House, la residenza in cui vengono ospitate le delegazioni di altre nazioni in visita ufficiale in quella americana, sebbene il mandato emesso il 21 novembre 2024 dalla Corte Penale Internazionale (CPI) appurando le sue responsabilità per i crimini contro l’umanità e crimini di guerra commessi a Gaza tra l’8 ottobre 2023 e il 20 maggio 2024 ne ingiunga l’arresto precisando che > I mandati d’arresto sono classificati come “segreti” al fine di proteggere i > testimoni e salvaguardare lo svolgimento delle indagini. Tuttavia, poiché > condotte simili a quelle menzionate nel mandato d’arresto sembrano essere in > corso, la Camera ha deciso di divulgare le informazioni di seguito riportate. > Inoltre, la Camera ritiene che sia nell’interesse delle vittime e delle loro > famiglie essere informati dell’esistenza dei mandati [Situazione nello Stato > di Palestina: la Camera preliminare I della CPI respinge le contestazioni di > giurisdizione dello Stato di Israele ed emette mandati di arresto per Benjamin > Netanyahu e Yoav Gallant / CPI – 21/11/2024]. IL COLPO DI SCENA, COME A UNA “CENA CON DELITTO” Nella serata del 7 luglio alla Casa Bianca, Benjamin Netanyahu ha sorpreso i commensali annunciando di aver presentato la candidatura di Donald Trump all’assegnazione del Premio Nobel per la pace [Netanyahu a cena da Trump, ‘ho candidato il presidente Usa al Nobel per la pace’ / ANSA – 8/7/2025]. Con tale iniziativa, a cui non consegue automaticamente l’insignimento di Trump tra le figure meritevoli del prestigioso riconoscimento, probabilmente Netanyahu ha ricambiato Trump della stessa cortesia. Una decina di giorni fa infatti il leader americano si era rivolto ai giudici israeliani intercedendo per il loro premier che è accusato di 3 reati per corruzione al processo iniziato nel 2019 e di cui erano a calendario delle udienze negli stessi giorni in cui l’imputato si sarebbe dovuto recare negli Stati Uniti  [Il processo per corruzione di Benjamin Netanyahu è stato rinviato per motivi diplomatici e di sicurezza / THE GUARDIAN – 30/6/2025]. Pur riconoscendo le ragioni di stato che giustificano procrastinare il dibattimento, in merito alla richiesta di annullare il procedimento o concedere la grazia i magistrati israeliani hanno risposto negativamente, affermando che il presidente degli USA «non dovrebbe interferire nelle vicende giudiziarie di uno stato indipendente» [Israele, Trump chiede l’annullamento del processo contro il premier Netanyahu / INTERNAZIONALE – 26/6/2025]. E mentre su media e social-media ‘rimbalzavano’ la foto e i video che mostrano Netanyahu consegnare a Trump la copia della lettera inviata alla giuria che assegna il Premio Nobel per la pace, la CNN divulgava la registrazione di una riunione in cui ai finanziatori della sua corsa alla Casa Bianca il futuro presidente degli USA riferiva di aver avvisato il presidente russo Vladimir Putin e il presidente cinese Xi Jinping che alle loro azioni militari in Ucraina e Taiwan lui avrebbe risposto radendo al suolo Mosca e Pechino [Trump ha minacciato di bombardare Mosca se Putin avesse attaccato l’Ucraina, come mostrano i nastri della raccolta fondi del 2024 / CNN – 8/7/2025]. Comunque, le lettere di Trump ai giudici israeliani e di Netanyahu ai giurati del Premio Nobel non hanno distolto l’attenzione dei media dalle questioni importanti su cui vertevano gli incontri ‘a porte chiuse’ del 7 luglio tra il presidente USA e il premier israeliano e i rispettivi collaboratori. La conferenza stampa a cui sarebbero dovute essere date informazioni sulle loro conversazioni è stata disdetta all’ultimo momento. Molte fonti avevano reso noto che i colloqui ‘faccia a faccia’ tra i leader avevano lo scopo di coordinare le strategie israeliane e statunitensi in Medio Oriente alla luce dei recenti sviluppi, cioè a seguito della ‘guerra lampo’ contro l’Iran, i cui effetti nello scenario internazionale e anche nel panorama statunitense non sono ancora prevedibili, e nella prospettiva dell’imminente cessazione dell’assedio di Gaza, mentre le trattative per una tregua sono condotte a Doha dai mediatori qatarioti ed egiziani riuniti con le delegazioni palestinese e israeliana [Netanyahu incontra Trump alla Casa Bianca mentre Israele e Hamas discutono del cessate il fuoco/ REUTERS – 8/7/2025]. IRAN: IL COINVOLGIMENTO AMERICANO NELLA GUERRA ISRAELIANA Dopo l’incontro dell’8 luglio al Campidoglio con il presidente della camera Mike Johnson, che nel giugno scorso aveva rinviato un viaggio in Israele a causa dello scoppio della guerra con l’Iran, Netanyahu ha dichiarato: «La risoluta decisione del presidente Trump di agire al nostro fianco contro coloro che cercano di distruggere Israele e minacciano la pace nel mondo ha portato un cambiamento notevole in Medio Oriente» [Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu incontra i leader del Congresso / CBS NEWS – 8/7/2025]. Già nel 2020, durante il suo primo mandato alla Casa Bianca, Trump era stato criticato per aver coordinato l’operazione militare e dato il ‘via libera’ all’incursione in cui venne ucciso il generale iraniano Qassem Soleimani senza consultarsi con i vertici del Congresso. Durante la guerra-lampo condotta da Israele contro l’Iran nel giugno scorso, la questione se l’intervento dell’esercito USA in Iran sia conforme alla Costituzione americana è stata sottoposta alla valutazione di una commissione composta dai rappresentanti di entrambi i principali partiti americani  [I legislatori si muovono per limitare i poteri di guerra di Trump mentre la guerra tra Israele e Iran si intensifica / CBS NEWS – 17/6/2025]. L’iniziativa è stata promossa dal repubblicano Thomas Massie e, sebbene una mozione presentata dal democratico Tim Kaine sia stata respinta, il Congresso sta ancora decidendo se intraprendere azioni con cui sanzionare l’intervento ‘guidato’ dall’amministrazione Trump nella guerra che nel giugno scorso Israele ha condotto contro l’Iran e agire per bloccare o impedire il coinvolgimento degli USA in altri conflitti militari a cui l’impegno e l’impiego delle forze armate non sia stato autorizzato con le corrette procedure. L’8ª sezione della Costituzione statunitense infatti sancisce che dichiarare guerra e condurre azioni belliche all’estero, inoltre imporre tasse ai cittadini americani e dazi alle altre nazioni e stabilire criteri e decretare leggi che regolano l’acquisisione della cittadinanza statunitese, sono facoltà esclusive del Congresso, ovvero del parlamento federale, e non del governo e del presidente della nazione. TREGUA A GAZA: IL PIANO ISRAELIANO MADE IN USA Secondo alcune fonti, con l’inviato USA in Medio Oriente, Steve Witkoff, e il segretario di stato, Marco Rubio, Benjamin Netanyahu ha parlato del piano per la ricostruzione della Striscia di Gaza, o progetto Riviera del Medio Oriente, di cui il giorno prima veniva rivelato che è condotto da una compagine di imprenditori israeliani in collaborazione con il Boston Consulting Group (BCG), una società statunitense coinvolta nella gestione della distribuzione di soccorsi alla popolazione di Gaza e nell’organizzazione dello sfollamento del territorio assediato [Inchiesta Financial Times svela piano di trasferimento di massa di gazawi con la scusa degli aiuti umanitari / PRESSENZA – 7/7/2025], e che alla sua realizzazione coopera anche il Tony Blair Institute for Global Change(TBI) [Il think tank di Tony Blair coinvolto nel progetto “Trump Riviera” per Gaza postbellica con resort / THE GLOBALIST – 7/7/2025]. Al termine della serata alla Casa Bianca, alcuni giornalisti sono riusciti a raccogliere delle dichiarazioni di Netanyahu e Trump. Asserendo che «Se le persone vogliono restare, possono restare, ma se vogliono andarsene, devono poterlo fare», il premier israeliano ha annunciato che Israele e gli Stati Uniti e Israele stanno cooperando tra loro e con altre nazioni disponibili a offrire ai palestinesi un “futuro migliore”. Affermando «C’è cooperazione dai paesi circostanti, un’ottima collaborazione da ognuno di loro. Quindi qualcosa di buono accadrà», il presidente USA ha parzialmente, non completamente confermato la versione dei fatti data Netanyahu [Il premier israeliano: con Washington cerchiamo paesi che accolgano i palestinesi sfollati/ ANSA – 8/7/2025]. E, commentando le notizie trapelate sugli incontri tra Netanyahu e Trump e i rispettivi entourage alla Casa Bianca un ex diplomatico israeliano, Alon Pinkas, ha osservato che lo sfollamento dei palestinesi da Gaza è una “ricetta per la catastrofe”, tanto palesemente pernicioso da non poter venir preso seriamente in considerazione che “il ministro della difesa israeliano, o persino il primo ministro di Isreale, o addirittura il presidente degli Stati Uniti” ne parlino come se sia stato già pianificato [Netanyahu e Trump discutono del trasferimento forzato dei palestinesi da Gaza / AL JAZEERA – 8/7/2025]. Infatti il giorno prima dell’incontro di Netanyahu con Trump l’ambasciatore israeliano all’ONU, Danny Damon, aveva dichiarato: «Non abbiamo alcun interesse a rimanere a Gaza» [Netanyahu atterra a Washington e avverte: “L’accordo su Gaza sarà alle nostre condizioni” / TODAY – 7/7/2025]. Inoltre, che lo ‘sgombero’ di Gaza non sia contemplato tra le questioni in discussione alle trattative per la tregua emerge dalle informazioni divulgate il 3 luglio scorso dall’agenzia REUTERS anticipando quelle fornite da un funzionario americano sulle proposte presentate ad Hamas dai mediatori, i diplomatici di Qatar ed Egitto, per stabilire e convalidare accordi finalizzati all’interruzione e, in prospettiva, alla cessazione degli attacchi delle IDF / Israel Defense Forces agli ‘obiettivi’ nella Striscia di Gaza [Il cessate il fuoco di 60 giorni a Gaza, sostenuto dagli Stati Uniti, prevede il ritorno graduale degli ostaggi, afferma un funzionario / REUTERS –  3/7/2025]. La fonte di REUTERS spiegava che le proposte erano state formulate elaborando il ‘piano’ concepito nel marzo scorso dall’inviato speciale degli USA in Medio Oriente, Steven Witkoff – newyorkese, ebreo di origini russe e bielorusse, un avvocato che ha fatto fortuna nel settore immobiliare e collaboratore della presidenza USA già nel 2020, durante il primo mandato di Trump alla Casa Bianca. Inoltre, precisava che un loro presupposto fondamentale è che del loro rispetto da ambo le parti è garante, ovvero supervisore e arbitro, il presidente degli USA, Donald Trump, e riferiva che, prima di venir presentate ad Hamas, erano state approvate dal ministroper gli affari strategici israeliani, Ron Dermer – nato negli USA e cittadino americano fino al 2005, poi un israeliano residente negli USA, prima attaché dell’Ambasciata Israeliana a Washington e poi Ambasciatore israeliano negli USA, e dal 2008 uno stretto collaboratore di Benjamin Netanyahu. In specifico, come poi riportato da molte notizie, il ‘piano’ proposto ad Hamas prevede che durante la tregua di 60 giorni vengano rilasciati 10 dei 20 ostaggi israeliani e che siano consegnate 18 salme di israeliani deceduti nell’assedio di Gaza e che ad Hamas siano date informazioni sulle condizioni di oltre 10 MILA palestinesi detenuti nelle carceri israeliane [Commissione per gli affari dei detenuti e Società dei prigionieri palestinesi – 30/6/2025]. E, oltre a ‘regolare’ modalità e tempistiche di questo scambio, gli accordi tra le parti stabiliscono le procedure della fornitura di soccorsi alla popolazione nella Striscia di Gaza e del ritiro delle truppe israeliane dall’area, prima dalle zone settentrionali e poi dalla sua parte meridionale e confinante con l’Egitto. Hamas aveva risposto ai mediatori subito, il 4 luglio, comunicando di accettare le proposte, ovvero i termini sostanziali dell’accordo per la tregua, di alcuni dettagli attuativi e operativi chiedendo alcune modifiche e integrazioni, tra cui l’assicurazione che la consegna dei soccorsi alla popolazione di Gaza sia coordinata e svolta dall’ONU in collaborazione con il Comitato Internazionale Croce Rossa e Mezzaluna Rossa, ovvero escludendo il coinvolgimento dalla famigerata associazione israelo-statunitense Gaza Humanitarian Foundation [Hamas risponde con “spirito positivo” alla proposta di cessate il fuoco di Gaza sostenuta dagli Stati Uniti / AL JAZEERA – 4/7/2025]. Focalizzando l’attenzione sul dramma della scelta, cioè per quali ostaggi isrealiani chiedere la liberazione subito e quali invece successivamente, sabato 5 luglio la stampa israeliana aveva riferito le reazioni dei loro familiari, che insieme ai connazionali hanno manifestato in due opposte fazioni: una favorevole alla tregua, l’altra invece propensa a “finire il lavoro” fino alla “piena vittoria israeliana” [Migliaia di persone manifestano per liberare gli ostaggi mentre il governo discuterà la tregua che si profila a Gaza / THE TIMES OF ISRAEL – 5/7/2025]. Contemporaneamente si diffondeva la notizia di un diverbio tra Benjamin Netanyahu e il capo di stato maggiore delle IDF, Eyal Zamir [Gaza, Hamas: “Sì a negoziati immediati per tregua” – Tensioni in Israele / ADN KRONOS – 4/7/2025]: > Netanyahu avrebbe ordinato a Zamir di preparare un piano per trasferire la > stragrande maggioranza della popolazione palestinese nella parte meridionale > di Gaza. > > “Volete un governo militare? Chi governerà due milioni di persone?”, gli ha > risposto Zamir. “L’IDF e lo stato di Israele”, ha replicato Netanyahu alzando > la voce contro Zamir. > > Secondo Netanyahu l’alternativa al piano di evacuazione è quella di prendere > il controllo dell’intera Striscia di Gaza, comprese le aree in cui le IDF non > hanno operato fino ad ora per paura di mettere a rischio gli ostaggi. > > Zamir ha avvertito Netanyahu: “Gestire tante persone affamate e arrabbiate > potrebbe portare a una perdita di controllo e, di conseguenza, molti > potrebbero rivoltarsi contro le IDF”. > > Netanyahu ha respinto le sue preoccupazioni e tagliato corto: “Preparate un > piano di evacuazione: voglio trovarlo pronto al ritorno da Washington”. Nei giorni seguenti, in un’intervista alla BBC un ufficiale di Hamas ha confermato le analisi, e i timori, di Zamir: nella Striscia di Gaza le milizie palestinesi non hanno più il controllo dell’80% del territorio e si stanno imponendo dei clan armati. E sulle possibilità concrete che si giunga alla tregua e alla cessazione dell’assedio osservato “cosa impedisce a Israele di continuare questa guerra?” [Netanyahu a Washington, vedrà Trump. Wafa, 14 morti per i raid israeliani a Gaza all’alba. Fonte palestinese, nessuna svolta nei negoziati a Doha / ANSA – 7/7/2025]. Le notizie sulla riunione svolta a Doha il 6 luglio, la prima della serie per le trattative condotte dai mediatori qatarioti ed egiziani con le delegazioni israeliana e palestinese, riferivano che non era stato fatto nessun progresso perché la rappresentanza israeliana non era autorizzata a prendere decisioni e a formalizzare accordi. Infatti, oltre ad affermare di ritenere “inaccettabili” le richieste di Hamas, alla partenza per Washington il premier israeliano aveva dichiarato di aver dato ai delegati israeliani precise istruzioni: ottenere l’annientamento dell’organizzazione politica e militare palestinese. Mentre lui partiva per Washington il capo di stato di Israele, Yitzhak Herzog, si era rivolto pubblicamente a Netanyahu per esortarlo ad essere cauto, e conciliante, e persino ‘tra le righe’ del resoconto sugli incontri svolti in questi giorni a Washington e a Doha pubblicato da THE TIMES OF ISRAEL si legge che il principale ostacolo alla tregua è l’ostinazione del premier israeliano a rifiutare qualsiasi compromesso: > Sebbene si prevedesse che durante la sua visita a Washington  Netanyahu > avrebbe dovuto affrontare forti pressioni da parte di Trump e del suo inviato > in Medio Oriente Steve Witkoff per far avanzare i colloqui di Gaza, Israele ha > descritto il rapporto tra le due parti perfettamente coordinato. > > I mediatori impegnati nelle negoziazioni per un accordo sono stati informati > che Trump si aspetta che raggiungano un accordo questa settimana. > > “Potrebbe volerci più tempo, ma ci stiamo lavorando”, ha detto ai giornalisti > dopo la cena il ministro per gli affari strategici israeliani, Ron Dermer. Dopo i colloqui e la cena di lunedì 7 luglio Trump aveva detto, così ammesso, che la tregua a Gaza è possibile perché Hamas vuole raggiungere un’intesa e martedì sera Netanyahu veniva convocato alla Casa Bianca per un incontro fuori-programma, durante il cui svolgimento l’inviato speciale degli USA in Medio Oriente, Steven Witkoff, dichiarava che a Doha si stavano risolvendo le divergenze [Trump e Netanyahu si incontrano per la seconda volta per discutere di un cessate il fuoco a Gaza / AL JAZEERA – 9/7/2025] e il ministro degli esteri israeliano, Gideon Sa’ar, annunciava che “il cessate il fuoco a Gaza è realizzabile” [Sa’ar, il cessate il fuoco a Gaza è realizzabile. Lo riferiscono media israeliani citando Reuters / ANSA – 9/7/2025]. Mercoledì 9 luglio veniva reso noto che un funzionario palestinese aveva osservato che le trattative a Doha erano in stallo perché la delegazione israeliana continuava a procrastinare le decisioni sul ritiro delle proprie truppe dalla Striscia di Gaza e, insistendo a pretendere che se ne occupi la Gaza Humanitarian Foundation, non acconsentiva che la distribuzione di aiuti umanitari a Gaza sia affidata alle agenzie ONU e alla Croce / Mezzaluna Rossa [I colloqui sulla tregua a Gaza sarebbero in stallo nonostante il secondo incontro Netanyahu-Trump / BBC – 9/9/2025]. Rilevando che in questi giorni gli attacchi israeliani a Gaza si sono intensificati, molti osservatori hanno notato tante discrepanze tra i proclami di Netanyahu e Trump. Ma la ‘sintonia’ di intenti che il premier israeliano enfaticamente afferma essere alla base di una solida collaborazione perfettamente coordinata non è mai stata ufficialmente smentita dal leader americano… > Lungi dal fermare il flusso di armi verso Israele, l’amministrazione Trump si > è vantata di aver ripreso il trasferimento di bombe pesanti, le uniche armi > che Biden aveva temporaneamente sospeso di inviare durante la guerra a Gaza > [Se Trump vuole il cessate il fuoco a Gaza, deve fare pressione su Netanyahu, > affermano gli esperti/ AL JAZEERA – 10/7/2025]. … e sulle trattative a Doha incombono molte incognite e, soprattutto, tanti angoscianti timori. Maddalena Brunasti
Soldati israeliani, rifiutatevi di obbedire!
Da mesi, Gaza è sottoposta ad un fuoco costante. Bombe che cadono, edifici che crollano e corpi che si adunano. Non si tratta di “attacchi chirurgici”, ma di distruzione massiccia. Non sono “danni collaterali”, ma bambini, madri, anziani, intere famiglie, che rimangono schiacciati ed uccisi sotto tonnellate di cemento. Con freddezza. Quello che sta accadendo a Gaza ha tutte le caratteristiche di un crimine contro l’umanità di dimensioni tali da poter parlare di genocidio. Il governo israeliano di estrema destra giustifica i suoi attacchi in nome della lotta contro Hamas. Ma le cifre parlano un’altra lingua. Più di 50.000 morti, secondo le stime più recenti – la maggior parte dei quali civili – e più di 110.000 feriti. Ospedali bombardati. Giornalisti presi di mira. Quartieri interi cancellati dalla mappa. Come si può giustificare tutto questo? Possiamo ancora parlare di “difesa” o di lotta contro Hamas, quando non facciamo altro che distruggere, sfollare e uccidere in massa? Le ONG, le agenzie delle Nazioni Unite e gli osservatori sul campo denunciano un disastro umanitario senza precedenti. Parlano di carestia, blocchi e sfollamenti di massa. Parlano di un popolo soffocato e punito collettivamente. E nel frattempo, i soldati – alcuni giovani, altri più esperti – eseguono gli ordini senza discutere. Soldati israeliani, è ora di affrontare la realtà di questa guerra: non porta sicurezza, porta vergogna. Non protegge, distrugge. Non combatte un nemico, ma uccide persone innocenti. Dietro ogni bomba sganciata, ogni proiettile sparato, c’è il dito umano di un soldato. È il vostro. Ci piace dire che l’esercito semplicemente “esegue gli ordini”. Ma a partire da Norimberga in poi l’umanità ha stabilito chiaramente una legge morale: obbedire a un ordine ingiusto e illegittimo significa partecipare a un crimine. L’avete dimenticato? A Gaza, gli ordini impartiti spesso impongono di colpire senza vedere. Di sparare “per precauzione”. Di radere al suolo un edificio “sospetto”. Di non distinguere tra nemico e civile. Gli ordini che eseguite vi desensibilizzano, vi disumanizzano e vi trasformano in strumenti di omicidio e terrore. Ed è proprio qui che inizia il vostro dovere morale, quello di dire no. Soldati dell’esercito israeliano, svegliatevi! C’è un altro fronte, invisibile ma decisivo: quello della coscienza umana. Non siate macchine! Potete riflettere, pensare, dubitare. Potete rifiutarvi. Alcuni lo hanno già fatto nella storia di Israele, spesso pagando un prezzo: la prigione o l’ostracismo. Si sono rifiutati di prestare servizio nei territori occupati, di partecipare alla repressione di un popolo. Non sono stati dei codardi. Erano combattenti della resistenza dall’interno. Sono stati esseri umani che hanno capito che non c’è onore nella cecità. Quanti altri morti ci vorranno per farvi capire che solo voi siete responsabili della tragedia e della disgrazia del popolo palestinese? Obbedire ad ordini criminali vi rende criminali. È ora di rompere il cerchio dell’obbedienza incondizionata che vi disumanizza e vi distrugge. Perché a Gaza non state distruggendo solo case, non state uccidendo solo donne, bambini e uomini, ma state uccidendo voi stessi. E il vostro stesso Paese. Per quelli di voi in uniforme, rifiutarsi di obbedire non è tradimento. È un diritto. Meglio ancora: in certe circostanze è un dovere. Un ordine militare che viola il diritto internazionale umanitario è illegale, anche se impartito da un superiore. Ed eseguire quell’ordine non esime nessuno dalle proprie responsabilità. La Convenzione di Ginevra è chiara: i civili devono essere protetti. Gli attacchi devono distinguere tra combattenti e non combattenti. La forza usata deve essere proporzionata. A Gaza, tuttavia, questi principi vengono violati quotidianamente. Quando un intero edificio viene bombardato per colpire un singolo presunto combattente, non si tratta di un’operazione militare, ma di un massacro. Quando milioni di persone vengono private dell’acqua, del cibo e dell’elettricità, non si tratta di una tattica di guerra, ma di una punizione collettiva, un crimine contro l’umanità, un atto di genocidio. Non potete dire che non sapevate. Il mondo vi sta guardando. I rapporti si accumulano. I giornalisti testimoniano. Le immagini parlano da sole. L’impunità non è eterna. La storia si fa carico dei crimini. E verrà il giorno in cui ognuno di voi dovrà rispondere delle proprie azioni. Quindi tanto vale scegliere ora di fare la cosa giusta, prima che siano i tribunali a decidere. Disobbedire, in un simile contesto, non significa indebolire il proprio Paese, ma rifiutarsi di svergognarlo. Significa preservare ciò che può rimanere della vostra dignità! Prima di voi, altri nell’esercito hanno scelto questa strada. Per anni, soldati, ex ufficiali e giovani coscritti si sono rifiutati di prendere parte a questa guerra contro il popolo palestinese. Hanno osato parlare, hanno osato disobbedire. Sono l’onore del vostro Paese. Non sono traditori, ma sentinelle della verità. Soldati israeliani, se non volete essere accusati un giorno di codardia – mi riferisco nella fattispecie di sganciare bombe su civili disarmati – vi resta solo una cosa da fare: mostrare coraggio. Non il coraggio di andare al fronte, come vi hanno insegnato, ma il coraggio di dire “no, non in nostro nome, non con noi”. Nessun superiore vi ha insegnato questo coraggio. Viene dal cuore, dalla coscienza, da quella vocina dentro di voi che sa che la guerra è un crimine. Quindi, ora, agite! Non mettete a tacere i vostri dubbi, i vostri scrupoli, la vostra rabbia. Rifiutate di obbedire, disertate se necessario! La storia ricorderà solo coloro che hanno avuto il coraggio di disobbedire. Ma la storia giudicherà duramente coloro che hanno scelto di obbedire ciecamente. Scegliete da che parte stare! -------------------------------------------------------------------------------- Traduzione dal francese di Martina D’amico. Revisione di Thomas Schmid. Alain Refalo