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Vertice dei paesi arabi a Doha: tante parole, pochi fatti, mentre il tempo stringe
Si è svolto ieri, 15 settembre, il tanto atteso vertice dei paesi arabi a Doha, chiamato dopo il criminale attacco israeliano alla delegazione di Hamas presente in Qatar, paese che funge da mediatore tra il partito palestinese e le autorità statunitensi e di Tel Aviv. Ma quello che emerge dal […] L'articolo Vertice dei paesi arabi a Doha: tante parole, pochi fatti, mentre il tempo stringe su Contropiano.
Accordo Iran-AIEA, nonostante tutto. Teheran continua sulla via diplomatica
Dopo aver sospeso la discussione sul ritiro dal Trattato di Non Proliferazione in Parlamento, l’Iran arriva all’accordo con l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica per far ripartire la cooperazione e le ispezioni. L’intesa è stata siglata martedì nella capitale egiziana del Cairo, alla fine di un incontro tra il ministro degli […] L'articolo Accordo Iran-AIEA, nonostante tutto. Teheran continua sulla via diplomatica su Contropiano.
Condanna a morte per Pakhshan Azizi: presentato ricorso all’ONU
Condanna a morte per Pakhshan Azizi: su Mandato dell’UDIK, le avvocate Bitonti e Galletta presentano ricorso all’ONU per violazione del diritto ad un processo equo. L’Unione Donne Italiane e Kurde (UDIK) presieduta e rappresentata da Gulala SALIH ha conferito mandato alle avvocate Angela BITONTI e Lucia GALLETTA al fine di presentare ufficialmente Reclamo all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani a difesa della già nota posizione dell’operatrice umanitaria Pakhshan Azizi. I legali hanno domandato l’avvio di una Procedura Speciale al Consiglio dei Diritti Umani, ossia un’inchiesta internazionale per gravi violazioni del diritto ad un Processo Equo, principio previsto e garantito dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. È oramai manifesto che Azizi è stata condannata a morte in Iran al termine di un procedimento giudiziario opaco e privo di garanzie minime: le avvocate denunciano una sistematica violazione dei principi di imparzialità, pubblicità e contraddittorio. “Su mandato dell’UDIK, abbiamo chiesto agli organi competenti delle Nazioni Unite di intervenire con urgenza attraverso una formale e prevista procedura speciale di inchiesta. La vita di Pakhshan Azizi è appesa a un filo e il silenzio della comunità internazionale diverrebbe complice,” dichiarano Bitonti e Galletta. La Presidente Gulala Salih ricorda anche la posizione delle attiviste Warisha Moradi e Sharifa Mohamadi, per le quali l’UDIK sta lavorando con altre difese. Unione Donne Italiane e Kurde (UDIK)
Cosa sta costruendo Israele nel sito nucleare di Dimona? È ora di un’indagine internazionale
L’Associated Press (AP), agenzia di stampa con sede a New York, ha diffuso nuove immagini satellitari del sito nucleare israeliano di Dimona, nel deserto del Negev. Attraverso di esse è facile vedere la costruzione di nuove strutture che portano con sé nuovi interrogativi intorno a quello che dovrebbe essere il […] L'articolo Cosa sta costruendo Israele nel sito nucleare di Dimona? È ora di un’indagine internazionale su Contropiano.
La ferrovia per il mar Nero progettata dall’Iran dipenderà dall’Azerbaigian
Un popolare canale Telegram ha falsamente affermato che si tratta di uno “scacco matto ai piani statunitensi” e ha perfino condiviso una mappa che mostra un percorso diverso rispetto a quello già confermato, per sviare gli utenti. Il viceministro degli Esteri armeno Vahan Kostanyan, all’inizio del mese, durante il suo viaggio a Teheran, ha dichiarato in un’intervista all’Agenzia di stampa della Repubblica Islamica (IRNA) che il suo Paese prevede che i recenti accordi con l’Azerbaigian mediati dagli USA faciliteranno l’accesso dell’Iran al mar Nero. Secondo il viceministro, “Questo aprirà nuove porte alla cooperazione ferroviaria fra Armenia e Iran, anche attraverso la linea Naxçıvan-Jolfa, che significherà accesso dell’Iran all’Armenia e, in prospettiva, al mar Nero”. Poco dopo, la ministra iraniana delle Strade e dello Sviluppo Urbano Farzaneh Sadegh ha incontrato la sua controparte armena a Erevan, durante il viaggio del presidente Masoud Pezeshkian per discutere la riapertura del corridoio. Il popolare canale Telegram “Geopolitics Prime” ha poi attirato l’attenzione con un post, affermando che questo è uno “scacco matto ai piani statunitensi”, “che contrasta le ambizioni dell’Azerbaigian sul corridoio di Zangezur” e “blocca gli sforzi di USA e Azerbaigian di isolare Teheran”. Nessuna di queste affermazioni è vera. Come Kostanyan ha osservato nella sua intervista con IRNA, il corridoio Zangezur attraversa la Repubblica Autonoma azera di Naxçıvan, quindi la connettività della ferrovia iraniano-armena, dipenderà da Baku. Fra i due Paesi, esiste una strada che passa per la stretta provincia di Syunik, attraverso la quale transiterà la “Strada Trump per la pace e la prosperità internazionale” (Trump Road for International Peace and Prosperity” – TRIPP, precedentemente conosciuta come corridoio di Zangezur). Tuttavia, la geografia montuosa della regione rende la costruzione di una ferrovia da Nord a Sud molto costosa. Di conseguenza, il corridoio progettato dall’Iran verso il mar Nero non è uno “scacco matto ai piani statunitensi”, non “contrasta le ambizioni dell’Azerbaigian sul corridoio di Zangezur”, né “blocca gli sforzi di USA e Azerbaigian di isolare Teheran”, come ha affermato “Geopolitics Prime” nel suo post e come potrebbero fare presto anche altri. Certo, l’Iran può comunque esportare i propri prodotti sul mercato europeo utilizzando la strada nella provincia di Syunik, per poi continuare verso i porti georgiani sul mar Nero, ma tale soluzione non è conveniente e veloce come quella del trasporto ferroviario. Inoltre, l’EU potrebbe in ogni caso non avere mercato per i prodotti iraniani o gli USA potrebbero mettere pressione sul blocco affinché non li acquisti, (data l’influenza che gli USA esercitano sull’EU dopo il loro accordo commerciale completamente asimmetrico), quindi, qualunque corridoio sul mar Nero potrebbe avere poca importanza per l’Iran. Nonostante questo, sarebbe comunque rilevante se l’Azerbaigian e gli USA non interferissero con le esportazioni iraniane, rispettivamente attraverso Naxçıvan e Syunik, cosa che potrebbe attenuare parzialmente le tensioni riguardo la TRIPP. A tal proposito, questa analisi spiega come quel corridoio minacci di indebolire la posizione più ampia della Russia all’interno della regione, rilevante anche per l’Iran, dal momento che anche i suoi interessi nazionali sarebbero minacciati dalla TRIPP, la quale aumenterebbe in modo eccessivo in tutta la periferia settentrionale l’espansione dell’influenza turca appoggiata dagli USA. Mentre alti ufficiali iraniani hanno contestato la TRIPP per via del controllo statunitense su di essa con accordo di leasing di 99 anni che, ha dichiarato Kostanyan all’IRNA, “non comporta una presenza di sicurezza statunitense”, l’Iran ha scelto alla fine di accettarla. La decisione di cooperare con l’Azerbaigian per facilitare il commercio con l’Armenia e oltre rappresenta un compromesso fra lo scontro e la resa, ma entrambi gli estremi potrebbero comunque manifestarsi se quella di Kostanyan fosse stata soltanto una mezza verità e se la sicurezza della TRIPP venisse esternalizzata a compagnie militari private (PMC) statunitensi in Armenia, come alcuni temono. Per ora, e in assenza di uno schieramento permanente delle truppe USA o delle PMC in Armenia, l’Iran sta cercando di sfruttare al meglio una situazione strategicamente complicata, forse nella speranza che questo possa placare l’emergente blocco turco. Traduzione dall’inglese di Sara Cammarelle. Revisione di Thomas Schmid. Andrew Korybko
Iran, Amnesty International e Human Rights Watch denunciano la repressione dopo le ostilità con Israele
Amnesty International e Human Rights Watch hanno denunciato che, dopo le ostilità di giugno con Israele, le autorità iraniane stanno portando avanti una terrificante campagna di repressione con la scusa della sicurezza nazionale. Dal 13 giugno sono state arrestate oltre 20.000 persone tra le quali dissidenti, difensori dei diritti umani, giornalisti, utenti dei social media, familiari di persone uccise nel corso delle proteste e cittadini stranieri. Tra le comunità prese di mira ci sono gli afgani, i beluci e i curdi, così come minoranze religiose quali i ba’hai, i cristiani e gli ebrei. “Mentre le persone cercano di riprendersi dopo gli effetti devastanti del conflitto tra Iran e Israele, le autorità di Teheran stanno portando avanti una terrificante repressione, tra misure di sorveglianza di massa rafforzate, arresti di massa e incitamento alla discriminazione, all’odio e alla violenza contro le minoranze”, ha dichiarato Saha Hashash, vicedirettrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord. Le forze di sicurezza hanno ucciso persone, tra le quali una bambina di tre anni, ai posti di blocco. Funzionari dello stato e organi di stampa governativi hanno chiesto l’accelerazione delle esecuzioni di condanne a morte, in alcuni casi invocando la ripetizione dei massacri delle prigioni del 1988, quando alti dirigenti dello stato ordinarono le esecuzioni sommarie ed extragiudiziali di migliaia di detenuti politici. Almeno nove persone sono state messe a morte per reati di natura politica e/o accuse di spionaggio per Israele e una proposta di legge per ampliare l’applicazione della pena di morte è in attesa dell’approvazione da parte del parlamento. “Da giugno la situazione dei diritti umani in Iran è precipitata in una crisi ancora più profonda. Le autorità prendono di mira e usano come capri espiatori dissidenti e appartenenti alle minoranze etniche per un conflitto col quale non hanno avuto niente a che fare. Il pugno di ferro contro una popolazione che sta ancora facendo i conti con le conseguenze della guerra è il segnale che sta incombendo una catastrofe dei diritti umani, soprattutto contro i gruppi più marginalizzati e perseguitati del paese”, ha aggiunto Michael Page, vicedirettore di Human Rights Watch per il Medio Oriente e l’Africa del Nord. Le due organizzazioni per i diritti umani hanno sollecitato le autorità iraniane a istituire immediatamente una moratoria sulle esecuzioni in vista dell’abolizione della pena di morte, a scarcerare tutte le persone imprigionate arbitrariamente e ad assicurare che tutte le altre siano protette dalle sparizioni forzate, dai maltrattamenti e dalla tortura. Gli altri stati dovranno svolgere indagini e processi su crimini di diritto internazionale commessi dalle autorità iraniane, applicando il principio della giurisdizione universale. Arresti di massa e allarmanti richieste di accelerare processi ed esecuzioni Dopo l’escalation delle ostilità con Israele, i servizi d’intelligence e le forze di sicurezza dell’Iran hanno iniziato a eseguire arresti di massa con la scusa della sicurezza nazionale. Il 22 luglio Gholamhossein Mohseni Eje’i, il capo del potere giudiziario, ha annunciato che “coloro che avevano collaborato con Israele” sarebbero andati incontro a dure punizioni, tra cui la pena di morte. Il 12 agosto Saeed Montazer al-Mahdi, portavoce delle forze di polizia, ha annunciato che a quella data erano state arrestate circa 21.000 persone. Alti funzionari dello stato hanno chiesto l’accelerazione dei processi e delle esecuzioni per il “sostegno” o “la collaborazione” con stati nemici. I mezzi d’informazione statali hanno invocato la ripetizione dei massacri delle prigioni del 1988: ad esempio un articolo di “Fars News” ha scritto che “gli elementi mercenari meritano esecuzioni come quelle del 1988”. Il potere giudiziario ha anche annunciato la formazione di tribunali speciali incaricati di processare “traditori e mercenari”. Il parlamento ha assegnato una corsia preferenziale a una legislazione d’emergenza, in attesa dell’approvazione definitiva da parte del Consiglio dei guardiani, che amplierebbe l’applicazione della pena di morte a reati definiti in modo vago contro la sicurezza nazionale, come “spionaggio” e “cooperazione con governi ostili”. Le persone già in carcere corrono grandi rischi di subire sparizioni, maltrattamenti, torture, processi iniqui ed esecuzioni arbitrarie. L’intensificazione della repressione contro le minoranze etniche Le autorità iraniane stanno inoltre usando il clima post-conflitto come giustificazione per colpire ulteriormente le già oppresse minoranze etniche. Il 1° luglio, nella provincia del Sistan e Belucistan, le forze di sicurezza hanno ucciso illegalmente due donne beluce durante un’irruzione nel villaggio di Gounich. Una fonte ben informata ha riferito ad Amnesty International che gli agenti hanno esploso pallini metallici e proiettili veri contro un gruppo di donne, uccidendo all’istante Khan Bibi Bamri e ferendo Lali Bamri, poi deceduta in ospedale. Altre dieci donne sono rimaste ferite. Gli agenti hanno fornito giustificazioni contrastanti, parlando della presenza di “un gruppo terrorista”, poi di “afgani” e infine di “Israele”. Video verificati da Amnesty International mostrano guardie rivoluzionarie puntare le armi contro un gruppo di donne; poi si sentono ripetuti colpi d’arma da fuoco. Il 25 giugno gli organi d’informazione statali hanno annunciato l’arresto di oltre 700 persone per collaborazione con Israele, facendo riferimento alle province di Kermanshah e del Khuzestan, dove vivono minoranze etniche come i curdi e gli arabi ahwazi. Secondo la Rete per i diritti umani del Kurdistan, alla data del 24 luglio, erano state arrestate almeno 330 persone appartenenti alla minoranza curda. Le autorità hanno anche condotto una campagna di arresti di massa e di espulsioni contro persone provenienti dall’Afghanistan, soggette a stigmatizzazione da parte degli organi di stampa statali. La repressione contro baha’i, cristiani ed ebrei Le autorità hanno usato il contesto sicuritario per intensificare la repressione contro le minoranze religiose. Presi particolarmente di mira sono stati i fedeli baha’i, grazie a una campagna propagandistica coordinata di incitamento all’odio, alla violenza e alla discriminazione che li descriveva falsamente come spie e collaboratori di Israele. Il 18 giugno “Raja News”, organo d’informazione affiliato ai guardiani della rivoluzione, ha accusato i baha’i di “agire per conto di Israele ed esserne spie”. In una dichiarazione diffusa il 28 luglio il ministero dell’Intelligence ha parlato di una “setta sionista”. Dalle ricerche di Amnesty International e di Human Rights Watch è emerso che fedeli baha’i sono stati sottoposti ad arresti e imprigionamenti arbitrari, irruzioni nelle loro abitazioni, confische delle loro proprietà e chiusura dei loro esercizi commerciali. Il 28 giugno Mehran Dastoornejab, 66 anni, è stato arrestato nella sua abitazione di Marvdasht, nella provincia di Fars. L’hanno picchiato e hanno sequestrato i suoi averi. Le autorità hanno negato ogni informazione al suo avvocato fino a quando, il 6 agosto, l’uomo è uscito su cauzione dalla prigione di Shiraz. Rispettivamente il 25 giugno e il 7 luglio i coniugi Noyan Hejazi e Leva Samil sono stati arrestati nella provincia di Mazandaram e scarcerati su cauzione il 3 agosto. Nel frattempo, non avevano mai potuto vedere un avvocato. Secondo Human Rights in Iran, un’organizzazione della diaspora iraniana, alla fine di giugno almeno 35 esponenti delle comunità ebraiche di Shiraz e di Teheran sono stati interrogati circa i loro legami con parenti in Israele e avvisati di evitare ulteriori contatti. Nonostante le iniziali smentite attraverso i mezzi d’informazione statali, alla fine di luglio e all’inizio di agosto Homayoun Sameyeh Najafabadi, parlamentare della comunità ebraica, ha confermato sul suo canale Telegram che membri della comunità erano stati arrestati in tre province per accuse non rese note; diversi di loro erano stati processati da un tribunale rivoluzionario di Teheran per accuse di spionaggio, poi decadute. In un comunicato del 28 luglio il ministero dell’Intelligence ha accusato settori della comunità cristiana di essere “mercenari del Mossad”, i servizi segreti esteri israeliani. Il 17 agosto sono state trasmesse alla radio “confessioni” di cristiani precedentemente arrestati, presumibilmente ottenute con la tortura. Il 24 luglio un gruppo per i diritti umani della diaspora iraniana ha denunciato l’arresto, nel mese precedente, di almeno 54 cristiani. L’uso illegale della forza ai posti di blocco I posti di blocco istituiti a partire da giugno sono diventati un altro strumento di repressione. Sono state condotte massicce ispezioni di veicoli e verifiche sui telefoni cellulari. Persone sono state arrestate per “collaborazione” con Israele, spesso solo perché sui loro smartphone erano stati trovati dei post. I posti di blocco sono stati usati anche per arrestare “cittadini stranieri non autorizzati”, un termine discriminatorio col quale le autorità chiamano le persone originarie dell’Afghanistan. Il 1° luglio a Tarik Darreh, nella provincia di Hamedan, le forze di sicurezza hanno ucciso due persone e ferita una terza che, secondo i mezzi d’informazione, avevano forzato un posto di blocco. Il giorno dopo Hemat Mohammadi, capo della sezione giudiziaria delle forze armate di quella provincia, ha parlato di un’indagine in corso aggiungendo tuttavia che le forze di sicurezza avevano aperto il fuoco contro un veicolo che non si era fermato a un posto di blocco. Sui social media le due persone uccise sono state identificate come Alireza Karbasi e Mehdi Abaei. Il 17 luglio, secondo fonti giornalistiche e dichiarazioni ufficiali, a Khomein (nella provincia di Markazi) le forze di sicurezza hanno ucciso quattro familiari che viaggiavano su due automobili: Mohammad Hossein Sheikhi, Mahboubeh Sheikhi, Farzaneh Heydari e Raha Sheikhi, quest’ultima una bambina di tre anni. Il governatore della provincia di Khomein, Vahid Baratizadeh, ha reso noto che era stato aperto il fuoco contro due veicoli “sospetti”. Il 12 agosto un portavoce del governo ha annunciato, senza fornire ulteriori dettagli, l’arresto di alcuni agenti coinvolti nella sparatoria. In alcun modo, dall’esame delle dichiarazioni ufficiali, è emerso che le persone uccise avessero posto in essere un’immediata minaccia di morte o di grave ferimento, unica circostanza in cui, ai sensi del diritto internazionale, l’uso strettamente necessario della forza potenzialmente legale è legittimo. Amnesty International
Colloqui sul nucleare iraniano a Ginevra, ma si alzano già i toni…
Due giorni fa si è tenuto a Ginevra il secondo round dei colloqui tra il formato E3 (Regno Unito, Francia, Germania) e l’Iran riguardo il programma nucleare civile di quest’ultimo. Il clima però è tutt’altro che disteso, e persino l’ipotesi di un rinfocolarsi della guerra contro la Repubblica Islamica è […] L'articolo Colloqui sul nucleare iraniano a Ginevra, ma si alzano già i toni… su Contropiano.
179 persone giustiziate in un mese in Iran
Il regime iraniano ha giustiziato almeno 197 persone ad agosto. Ogni martedì nel Rojhilat (Kurdistan orientale) e in Iran, nell’ambito della campagna “No alle esecuzioni di martedì”, viene organizzata una manifestazione contro le esecuzioni nelle carceri. Giunta alla sua 83a settimana di iniziativa, la campagna in risposta alle esecuzioni ha dichiarato: “Questo mese 197 persone sono state giustiziate nel Rojhilat, nel Kurdistan, e in Iran”. Parliamo apertamente contro la pena di morte Nella dichiarazione, si afferma che 197 persone sono state giustiziate ad agosto e si sottolinea che le esecuzioni continuano a essere eseguite in tutte le città e regioni dell’Iran. Si afferma: “Il governo iraniano vuole mantenere la società nella paura attraverso esecuzioni e violenza. L’esecuzione non è una soluzione; è una chiara violazione dei diritti umani. Questo metodo è uno strumento per mettere a tacere le voci di dissenso e reprimere gli ambienti politici. Chiediamo alle istituzioni e alle organizzazioni internazionali, nonché agli attivisti e ai sostenitori della libertà, di esprimersi contro la pena di morte”. La campagna “No all’esecuzione di martedì” è stata fondata il 9 gennaio 2023 come movimento di reazione contro l’esecuzione di prigionieri nel Kurdistan di Rojhilat e in Iran. I membri della campagna organizzano scioperi della fame e dichiarazioni ogni martedì. L'articolo 179 persone giustiziate in un mese in Iran proviene da Retekurdistan.it.
Iran :Sharifeh Mohamadi deve vivere!
Nuova  condanna a morte di una attivista sindacale iraniana; continua la ferrea repressione del regime teocratico iraniano contro tutte le manifestazioni di dissenso popolare. Questo l’appello che è stato diffuso dal Comitato di coordinamento contro la condanna a morte di Sharifeh Mohamadi : Amanti della libertà del mondo! Unitevi e insorgete contro la condanna a morte di Sharifeh Mohammadi! {Vi chiediamo anche di intraprendere un’azione concreta in questo senso!} Il curriculum nero e le mani insanguinate del regime al potere in Iran non sono nascosti a nessun amante della libertà! Ora l’apparato giudiziario di questo regime ha emesso la sentenza criminale di morte contro una lavoratrice combattiva, un essere umano amante della libertà e una madre affettuosa, la cui infinita dolcezza e compassione non sono state riconosciute soltanto da familiari, amici e figli, ma anche da tutte le sue compagne e compagni di prigionia! Questa donna combattente, questa lavoratrice instancabile, Sharifeh Mohammadi, è stata imprigionata soltanto per aver difeso i diritti più elementari e calpestati delle sue compagne e compagni di classe! Questa madre colma d’affetto è stata gettata in carcere soltanto per aver difeso i diritti più semplici e negati al popolo iraniano, ossia la libertà e la giustizia sociale! Noi, tutti gli amanti della libertà e ogni coscienza vigile, invochiamo la lotta contro la legge disumana della pena di morte e contro questa sentenza criminale del regime, il cui obiettivo è terrorizzare il popolo iraniano e spegnere ogni protesta contro le ingiustizie dilaganti nella società. Uniti, solidali e coordinati dobbiamo insorgere, per costringere il regime a ritirare questa sentenza disumana! Senza dubbio questa condanna disumana non sarà odiata soltanto dagli amanti della libertà in tutto il mondo, ma la stessa origine dell’arresto di questa donna amante della libertà è stata già fin dall’inizio un’ingiustizia. Nel dicembre 2023 (Azar 1402) lei è stata arrestata con accuse false e ridicole, sostenendo che anni prima avesse collaborato con un’organizzazione sindacale pubblica e riconosciuta, che operava alla luce del sole all’interno delle stesse leggi del regime. Il processo iniziale, completamente contrario ai diritti umani più elementari, grazie agli sforzi degli amanti della libertà in Iran e in altri paesi, ha portato il tribunale superiore dello stesso regime a riconoscere gravi difetti nella sentenza di morte emessa dal primo giudice e a restituire il fascicolo! Ma poiché la persona incaricata di riesaminare il caso era il figlio dello stesso primo giudice, le macchinazioni contro Sharifeh sono continuate e ancora una volta è stata emessa contro di lei la sentenza disumana di morte, che il 15 agosto 2025 (25 Mordad 1404) è stata confermata! Sharifeh Mohammadi deve essere liberata immediatamente e senza alcuna condizione! Senza dubbio il vostro accompagnamento e il vostro intervento rapido per l’annullamento di questa condanna rappresentano una necessità umana, libertaria e urgente! Viva la solidarietà e l’unità globale degli amanti della libertà contro le condanne a morte! Viva le lotte giuste e coraggiose del popolo iraniano! Comitato di Coordinamento contro la condanna a morte di Sharifeh Mohammadi 27 Mordad 1404 – 18 agosto 2025 Redazione Italia