Tag - Potere al popolo

La risposta del Viminale sugli agenti infiltrati in Potere al Popolo non regge
Cinque agenti infiltrati nei collettivi e nelle assemblee del partito per mesi senza copertura giudiziaria. Mentre il governo minimizza, cresce la denuncia: sorveglianza politica e violazione delle libertà costituzionali. Dopo oltre un mese di assoluto silenzio, il Viminale ha accennato una risposta all’interpellanza urgente presentata dal Movimento 5 Stelle; il Sottosegretario all’Interno Emanuele Prisco ha negato che vi sia stata qualsiasi infiltrazione in partiti o movimenti politici. «I cinque giovani poliziotti che hanno attraversato le assemblee di Potere al Popolo», ha riportato, «erano semplicemente studenti regolarmente iscritti all’università, operanti con le loro vere generalità» e si limitavano a «partecipare a manifestazioni pubbliche di collettivi con connotazioni estremistiche che avevano mostrato crescente aggressività». Una puntualizzazione che tuttavia, lungi dal chiudere il caso, apre molte altre crepe e conferma la situazione gravissima nata a partire dall’inchiesta di Fanpage.it. Grazie ai documenti raccolti dal giornalista Antonio Musella, è venuto alla luce che i cinque agenti del 223° corso hanno agito per almeno otto mesi – da ottobre 2024 a maggio 2025 – fra Napoli, Milano, Bologna e Roma, inserendosi nei movimenti studenteschi Cambiare Rotta e CAU e, attraverso questi, nella vita interna di Potere al Popolo: chat organizzative, riunioni e perfino all’assemblea nazionale del partito. «Il governo ha ammesso l’operazione, ma sta minimizzando», spiega Giuliano Granato, portavoce nazionale di Potere al Popolo. «Hanno spiato un partito che si presenta alle elezioni: vogliamo sapere chi l’ha ordinata e perché. Cinque poliziotti, tutti trasferiti all’antiterrorismo nello stesso periodo, sono finiti solo nei due collettivi legati a noi. Nel Paese esistono centinaia di realtà studentesche: possibile che l’allerta ordine pubblico riguardasse soltanto le nostre?». La linea del Viminale Nel suo intervento in aula, Prisco ha dipinto un quadro di crescente conflittualità: «12 mila manifestazioni nel 2024, con turbative dell’ordine pubblico nel 2 % dei casi. In questo contesto sono maturati livelli crescenti di tensione», da cui la decisione «ordinaria, prevista dalla legge 121/1981» di potenziare l’attività informativa della Direzione centrale della Polizia di prevenzione. «Nessuna operazione sotto copertura, nessuna identità falsa. Ogni agente, anche libero dal servizio, ha l’obbligo di segnalare reati alle autorità. Si è trattato solo dell’adempimento dei propri compiti istituzionali, nel pieno rispetto della legge». La risposta di Potere al Popolo Per i soggetti coinvolti la ricostruzione non regge. «Ci eravamo quasi abituati alla favola dei poliziotti innamorati delle militanti; adesso ci dicono che erano studenti modello mossi da preoccupazioni di sicurezza nazionale», ironizza Granato. «Peccato che abbiano partecipato, abbiamo anche le prove, a momenti privati del partito, chat organizzative, riunioni e perfino all’assemblea nazionale, non a semplici iniziative pubbliche». Anche Matteo Giardiello, membro dell’esecutivo nazionale di Potere al Popolo, commenta duramente: «Ci dobbiamo aspettare che più aumenta il dissenso e più il governo porterà avanti pratiche antidemocratiche per fermarlo? Ci dobbiamo aspettare di essere sempre di più spiati solo e soltanto perché proviamo a opporci a quello che sta avvenendo? Vogliamo dire chiaramente che, se il dissenso è reato, noi siamo colpevoli». «Sorvegliare il dissenso non è compito dei servizi» Potere al Popolo ha lanciato un appello pubblico, firmato da oltre 2.000 persone nelle prime 24 ore, che denuncia l’operazione come una grave lesione delle libertà costituzionali: «L’assenza di una cornice giudiziaria e la natura prolungata e sistematica di queste attività disegna un profilo allarmante: non si tratterebbe di operazioni a scopo investigativo, ma di sorveglianza politica preventiva», si legge nel testo. Il documento ricorda che la libertà di associazione e partecipazione politica non è «un privilegio», ma un diritto inalienabile sancito dalla Costituzione. Il silenzio delle autorità, si denuncia, «è inaccettabile e pericoloso». Nell’appello si legge inoltre: «In una democrazia, il dissenso politico non è materia per i servizi di sicurezza. Nessuna forza dell’ordine dovrebbe infiltrarsi in un partito senza un preciso fondamento giuridico». Il timore, condiviso anche da altri intellettuali e sigle, è che l’approvazione del nuovo decreto sicurezza imponga agli atenei di consegnare dati su studenti e gruppi ritenuti “pericolosi” per la sicurezza nazionale, trasformando le università da luoghi di libertà intellettuale in snodi di controllo. Fra i primi firmatari figurano Carlo Rovelli, Zerocalcare, Mimmo Lucano, Andrea Segre, Fabrizio Barca, Luigi De Magistris, Vauro, Vera Gheno, Elena Granaglia, e decine di accademici, giuristi, attivisti, sindacalisti e parlamentari. Il movimento chiede che Meloni e Piantedosi riferiscano in Parlamento, chiariscano «chi ha autorizzato l’operazione» e pongano limiti chiari all’uso degli apparati di sicurezza contro chi esercita legittimamente il dissenso. Dalle aule ai telefoni: il filo che porta a Graphite Il caso degli agenti‑studenti si intreccia, anche temporalmente, con un’altra vicenda rimasta senza risposta: l’uso dello spyware Graphite (Paragon Solutions) sui telefoni del direttore di Fanpage Francesco Cancellato, di Ciro Pellegrino e di Roberto D’Agostino. Meta e Apple hanno certificato gli attacchi, ma nessuna autorità italiana ha chiarito chi li abbia commissionati. Degli episodi che, letti parallelamente, restituiscono l’immagine di una sorveglianza particolare dello Stato verso redazioni, attivisti e collettivi. Il Ministro Piantedosi si era detto “pronto a riferire” in aula già a fine giugno. Da allora nulla è cambiato, se non la versione ufficiale: da “agenti innamorati” a “studenti zelanti”. Nel frattempo, cinque poliziotti restano iscritti a corsi universitari, i collettivi continuano a protestare sotto i rettorati e un partito politico attende di sapere perché è finito, di fatto, in un dossier di pubblica sicurezza. Rimane ancora senza risposta la domanda: “Chi ha ordinato tutto questo e per quale motivo?”   Emiliano Palpacelli
Agenti infiltrati: Potere al Popolo e organizzazioni giovanili rispondono agli attacchi
Cinque agenti sotto copertura hanno preso parte alla vita politica di collettivi universitari e movimenti legati a Potere al Popolo. Tra assemblee, presìdi ed elezioni, il racconto di chi ha scoperto di essere stato spiato per mesi: la testimonianza del portavoce del partito e degli attivisti di tre città — Roma, Napoli e Bologna — che oggi hanno manifestato sotto i rettorati delle proprie università. Sono passate più di quattro settimane da quando Fanpage.it, con un’inchiesta firmata da Antonio Musella, ha rivelato la presenza di un agente della Polizia di Stato infiltrato nelle attività di Potere al Popolo a Napoli. A quell’inchiesta ne è seguita un’altra, ancora più dettagliata, che ha confermato un’operazione estesa, articolata e coordinata dalla Direzione centrale della Polizia di prevenzione, l’antiterrorismo, che ha coinvolto almeno cinque agenti sotto copertura, attivi tra ottobre 2024 e maggio 2025 in diverse città: Napoli, Roma, Bologna, Milano. Nonostante la gravità della vicenda, si sta infatti parlando di infiltrazioni all’interno di un partito politico legalmente costituito, presente alle elezioni, e di movimenti studenteschi come Cambiare Rotta e CAU, il governo continua a non rispondere e a non fornire nessun chiarimento alle tre interrogazioni parlamentari presentate da Alleanza Verdi-Sinistra, Movimento 5 Stelle e Partito Democratico. Dal Ministero arriva solamente una vaga disponibilità a “riferire in Aula”, annunciata dal Ministro Piantedosi, tuttavia rimasta finora lettera morta. Nel frattempo, Il Fatto Quotidiano ha raccontato le frizioni interne al Viminale: la gestione della comunicazione da parte della Polizia di Stato, che inizialmente, con “fonti qualificate”, ha smentito qualsiasi coinvolgimento, ha generato “irritazione” tra i vertici ministeriali, ma anche su questo il Ministero ha cercato di chiudere ogni spiraglio, diffondendo una nota ufficiale in cui nega che vi siano mai state tensioni. Lo scorso venerdì, in una conferenza stampa al Senato, il portavoce di Potere al Popolo Giuliano Granato, assieme ad attivisti di CAU e Cambiare Rotta, ha parlato di allarme democratico, e con lui anche Don Mattia Ferrari di Mediterranea e il giornalista Ciro Pellegrino, coinvolti nel caso Paragon contemporaneo all’infiltrazione in Potere al Popolo, hanno chiesto che il governo riferisca sull’accaduto. Il portavoce di Potere al Popolo Giuliano Granato durante la conferenza stampa in Senato Secondo Giuliano Granato, l’argomentazione secondo cui l’infiltrazione sarebbe stata diretta esclusivamente verso i movimenti giovanili e solo incidentalmente verso Potere al Popolo non regge alla prova dei fatti: «L’infiltrazione è avvenuta ai danni di Potere al Popolo, e il fatto che un partito politico venga infiltrato da agenti dell’antiterrorismo è gravissimo; tanto più che inizialmente le stesse “fonti qualificate” avevano detto che non c’era alcuna autorizzazione della magistratura, né si trattava di agenti sotto copertura: avevano parlato addirittura di un singolo agente che si era avvicinato al partito per simpatia politica o perché si era innamorato di una militante». Granato sottolinea la gravità del fatto che un partito politico venga infiltrato da agenti dell’antiterrorismo e ricorda che, inizialmente, le stesse fonti di polizia avevano smentito tutto, negando il coinvolgimento della magistratura e parlando di un singolo agente mosso da motivazioni personali. Ora, invece, si scopre che gli agenti erano cinque, formati insieme, operativi nelle stesse realtà nello stesso periodo. All’ipotesi che si tratti di una coincidenza risponde: «Ci vogliano far credere che si sono tutti innamorati contemporaneamente di militanti di Potere al Popolo…». La questione va a toccare anche i diritti e le libertà degli studenti. Per questo motivo, Cambiare Rotta e CAU, insieme al partito, hanno promosso presidi in dodici università italiane, chiedendo alle istituzioni accademiche di prendere posizione contro le infiltrazioni. Le attiviste del CAU, in presidio sotto il rettorato della Federico II di Napoli, spiegano come l’azione repressiva abbia colpito il cuore stesso della vita universitaria: gli agenti infiltrati erano presenti nelle sedi accademiche, frequentavano regolarmente assemblee e attività, interferendo di fatto con l’autonomia del corpo studentesco: «Questa operazione, oltre a colpire Potere al Popolo, è stata un’azione vile di controllo anche sugli organi e sulle cariche elettive delle università. Per dieci mesi —  dice Irene, attivista del CAU Napoli —  sono stati spiati collettivi che esprimono rappresentanti nei dipartimenti e che avevano, in alcuni casi, senatori accademici: figure che non solo sono riconosciute dallo statuto universitario, ma vengono persino retribuite dagli atenei. È proprio per questo – proseguono – che l’università, intesa come istituzione, dovrebbe sentirsi direttamente colpita». Le nuove disposizioni previste dal Decreto Sicurezza, sottolineano, potrebbero inoltre obbligare gli atenei a fornire informazioni sugli studenti ritenuti “pericolosi” per la sicurezza nazionale, minacciando così la libertà di organizzazione politica anche all’interno degli spazi universitari: «Se l’università vuole davvero continuare a essere un avamposto democratico — affermano — ha il dovere di esporsi». A Bologna gli attivisti di Cambiare Rotta, come in altre città d’Italia, hanno organizzato un presidio sotto il Rettorato dell’università, a cui hanno partecipato moltissime organizzazioni studentesche e sindacali: «Di fronte a questo attacco repressivo —  dice Leili Hizam, membro del Consiglio degli Studenti — abbiamo risposto lanciando questi presidi davanti ai rettorati, innanzitutto chiedendo delucidazioni e risposte alla Ministra dell’Università e della Ricerca Bernini e a tutto il Governo Meloni. Vogliamo sapere chi è stato il mandante di quest’operazione e a questo proposito lanceremo una petizione da portare poi al ministero. Oggi anche a Bologna abbiamo chiesto che i nostri rettori si esprimessero in solidarietà ai propri studenti che sono stati colpiti da questo attacco repressivo messo in campo dal governo. I rettori delle università si sono dimostrati disponibili e hanno detto che ci riceveranno.» Emiliano Palpacelli
Cinque agenti sotto copertura infiltrati in Potere al Popolo: “Operazione illegittima, il governo risponda”
Un’inchiesta di Fanpage rivela il piano di infiltrazione della polizia in quattro città. Gli agenti partecipavano a manifestazioni e campagne elettorali. Oggi il partito denuncia: “Violata la democrazia”. Screenshot preso dall’inchiesta video di Fanpage Si spacciavano per studenti universitari preoccupati dal carovita, dal tema della casa e dalla questione palestinese; in realtà erano cinque agenti della Polizia di Stato, tutti giovani reclute del 223° corso allievi, trasferiti poi all’Antiterrorismo, che per mesi hanno infiltrato il partito Potere al Popolo e le organizzazioni giovanili che frequentano il partito: Collettivi Autorganizzati Universitari e Cambiare Rotta. L’operazione, ricostruita da Fanpage attraverso documenti e testimonianze, sarebbe avvenuta tra l’autunno 2024 e la primavera 2025 in quattro città – Milano, Bologna, Roma e Napoli – con modalità quasi identiche: gli agenti si inserivano nei collettivi studenteschi presentandosi come studenti fuorisede arrivati in città e partecipavano a cortei e assemblee, in molti casi sostenendo attivamente le campagne elettorali del movimento. “Siamo tutti antifascisti”: gli agenti in prima linea Le immagini raccolte dall’inchiesta mostrano i poliziotti in azione: a Milano, due agenti hanno preso parte a manifestazioni, tra cui una contestazione a Carlo Calenda e una protesta all’Università Bicocca contro Tommaso Foti (FdI). Uno di loro, immortalato in video, si copre il volto con uno striscione dopo pochi secondi. A Bologna, un agente ha partecipato al corteo del 27 maggio contro Giorgia Meloni, lo stesso giorno in cui esplodeva il caso dell’infiltrato di Napoli. “Urlava slogan antifascisti, poi è sparito il giorno dopo”, racconta Giuliano Granato, portavoce nazionale di Potere al Popolo a Fanpage. A Roma, l’infiltrazione è fallita grazie alla diffidenza degli attivisti: “Faceva troppe domande, non l’aveva mai visto nessuno”, spiega Anita Palermo di Cambiare Rotta. Il silenzio del governo La scoperta dei primi infiltrati, a Napoli lo scorso maggio, aveva portato a tre interrogazioni parlamentari (Pd, AVS, M5S), ancora senza risposta. Fonti di polizia avevano inizialmente liquidato l’episodio come “iniziativa personale”, ma l’inchiesta dimostrerebbe un piano coordinato: tutti e cinque gli agenti sono stati trasferiti. La vicenda si intreccia, inoltre, con lo scandalo Paragon, lo spyware trovato sui telefoni di giornalisti e attivisti. “Siamo di fronte a metodi da regime”, accusano le vittime. Oggi alle 16, a Roma, Potere al Popolo ha tenuto una conferenza stampa per chiedere verità. Queste sono le reazioni: Giuliano Granato (Potere al Popolo) Perché infiltrare un partito politico? Le infiltrazioni di agenti in movimenti studenteschi e politici non sono casuali, ma un’operazione pianificata. Chiediamo alla Presidente Meloni di chiarire chi ha ordinato questa attività degna di uno Stato autoritario, che viola libertà costituzionali come associazione e dissenso. Se oggi si spiattella e si reprime chi critica il governo, domani sarà troppo tardi: la democrazia non è la possibilità di fare un post su Facebook o Instagram, ma il diritto di organizzarsi per cambiare le cose. È questo che fa paura a chi governa. Don Mattia Ferrari (Mediterranea Saving Humans) Perché spiare organizzazioni che salvano persone in mare e che esercitano liberamente il diritto di associazione? Spiare attivisti umanitari e un telefono usato per raccogliere le grida dai lager libici è un attacco alla democrazia. Chiediamo verità: perché Mediterranea Saving Humans e chi difende i diritti dei migranti sono considerati ‘minacce’? La democrazia non è un fatto compiuto, ma un cammino che oggi rischia di fermarsi se lo Stato invece di proteggere i vulnerabili, perseguita chi li aiuta. Le istituzioni rispondano: chi ha ordinato questo sbarramento dei diritti costituzionali? Gianluca Bruni (CAU) e Alice Natale (Cambiare Rotta) Perché spiare le articolazioni giovanili di Potere al Popolo? Un agente sotto copertura infiltrato in un collettivo studentesco non è ‘sicurezza’, è Stato di polizia. Il governo Meloni usa l’antiterrorismo contro studenti che si mobilitano per la casa, la Palestina e i diritti. Se essere eversivi significa difendere il diritto all’abitare, denunciare le morti sul lavoro e stare con la Palestina, allora sì: siamo tutti colpevoli. A loro la repressione, a noi la piazza e la verità. L’agente ha partecipato anche attivamente alle elezioni universitarie del CNSU e alla contestazione di Bologna il 27 maggio, quando noi eravamo in piazza a denunciare appunto il caso di Napoli che era appena uscito. Noi non nascondiamo nulla: lunedì saremo davanti ai rettorati per chiedere che l’università, luogo di sapere critico, non accetti questa repressione. Il governo risponda alle tre interrogazioni parlamentari: il silenzio su questi fatti è già una risposta inaccettabile. Sulla vicenda sono intervenuti anche i parlamentari che hanno presentato le interrogazioni, accomunati dalla richiesta di verità nonostante le differenze politiche. Ecco le loro dichiarazioni: Giuseppe De Cristofaro (AVS) Siamo dinanzi a un comportamento che va al di là della normale dialettica politica. Qualcuno sta mettendo la Costituzione italiana sotto ai piedi, immaginando una torsione antidemocratica e autoritaria che cambia i connotati stessi della nostra democrazia. Lo spionaggio contro Potere al Popolo e Mediterranea non è un problema solo di chi è stato spiato, ma un’emergenza che riguarda tutti i democratici e chiunque abbia a cuore i valori costituzionali – l’unica bussola per la politica in Italia. Esprimo piena solidarietà, mia e della mia forza politica, a chi ha subito queste operazioni. Il governo deve venire in Parlamento non per spiegare a noi, ma al Paese intero: deve dire se ancora crede nei principi fondanti della Repubblica. Perché oggi tocca a Potere al Popolo, domani potrebbe toccare a un sindacato o a un’altra forza politica. Questa vicenda non è isolata: si lega al premierato, all’autonomia differenziata, al pacchetto sicurezza. Sono troppi i puntini che disegnano un allarme democratico gravissimo. Su questo non ci fermeremo: continueremo a lottare perché la verità venga a galla. Gilda Sportiello (M5S) Il governo è tenuto – è un suo preciso dovere – a dare risposte precise alle domande poste attraverso gli atti parlamentari. Non deve neanche scomodarsi a venire in aula (visto che il rispetto per le istituzioni non è affare di questa maggioranza), ma pretendiamo una risposta formale. I fatti sono gravi: la vicenda Paragon, le infiltrazioni denunciate da Potere al Popolo a Napoli e in altre città, si collegano a un disegno politico allarmante, confermato anche dalle durissime parole della Cassazione sul decreto sicurezza. Un disegno che, sotto falsa retorica securitaria, opprime il dissenso e stravolge il nostro sistema legislativo con aggravanti propagandistiche. Siamo preoccupati perché la Presidente Meloni, che si era scandalizzata per un’inchiesta giornalistica legittima, tace di fronte a operazioni illegittime e violente, che hanno violato la vita privata e associativa di Potere al Popolo. A oggi, non una parola di spiegazione. Esprimiamo solidarietà a Potere al Popolo, Mediterranea Saving Humans e a tutte le realtà colpite da questa deriva autoritaria. Arturo Scotto (PD) Ci troviamo di fronte a un clima profondamente claustrofobico. Questa destra ha un rapporto malato con i corpi dello Stato: pensa di poterli controllare, utilizzarli per infiltrarsi in organizzazioni politiche e sindacali, per spiare giornalisti, attivisti e persino parroci. Questo ci dice che l’Italia sta trasformando la propria Costituzione materiale. Non è la prima volta che assistiamo a tentativi di sovversivismo delle classi dirigenti contro le organizzazioni democratiche e i contropoteri – come la stampa e i corpi intermedi – che sono essenziali in qualsiasi democrazia. Di fronte a questo, non possiamo né abbassare la testa né stare in silenzio. Occorre fare rumore e difendere anche chi è distante da noi. Personalmente sono molto distante dall’esperienza politica di Potere al Popolo, ma la mia cultura politica mi dice che occorre difenderli quando vengono attaccati con questi mezzi tipici del sovversivismo delle classi dirigenti. Esprimo piena solidarietà a Potere al Popolo e a tutte le realtà colpite da queste pratiche illiberali. Mi domando: dove sono finiti i liberali? Dove sono quelli che negli ultimi anni ci hanno dato lezioni di democrazia?   Emiliano Palpacelli
Il 21 giugno Piazza Vittorio dice no alla NATO: il coordinamento Disarmiamoli si prepara a scendere in piazza
A L’Aja si svolgerà il vertice NATO per discutere nuovi obiettivi di spesa militare, e dunque il coordinamento Disarmiamoli ha organizzato una mobilitazione nazionale a Roma. L’appuntamento è per il 21 giugno alle ore 14 in piazza Vittorio, dove si terrà una manifestazione contro quella che gli organizzatori definiscono una “corsa al riarmo”, sia sul piano nazionale che europeo. Nel mirino della protesta ci sono le attuali politiche di difesa sostenute dalla NATO, dall’Unione Europea e da una parte significativa del panorama politico italiano. I promotori contestano l’aumento della spesa militare, il ruolo delle grandi potenze economiche nella gestione dei conflitti armati e la progressiva militarizzazione di ambiti come l’economia, l’istruzione e la società civile. Secondo gli organizzatori, il vertice NATO in programma dal 24 al 26 giugno rappresenterebbe un passaggio chiave, con l’ipotesi di un ulteriore incremento della quota di PIL da destinare alla difesa: dal 2% attuale fino a un possibile 3,5%. Una scelta che, secondo il coordinamento Disarmiamoli, avrebbe un impatto diretto su sanità, scuola, welfare e transizione ecologica. Il governo italiano viene considerato pienamente allineato a questa linea strategica, con già ingenti stanziamenti per nuove spese militari. Alla mobilitazione hanno aderito oltre 80 realtà, tra cui collettivi studenteschi, sindacati di base, lavoratori portuali e movimenti territoriali attivi su temi ambientali e sociali. Le parole d’ordine della giornata saranno: “No alla NATO, sì alla diplomazia; no al riarmo europeo, sì alla spesa sociale”. Per capire le ragioni della mobilitazione e approfondire le dinamiche che l’hanno attraversata, abbiamo raccolto le voci di alcuni dei protagonisti: da Giuliano Granato, portavoce di Potere al Popolo, a Jose Nivoi del Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali, fino agli attivisti dei collettivi studenteschi Cambiare Rotta e Collettivo Autorganizzato Universitario, in prima linea nel denunciare i legami tra università e complesso militare-industriale. Giuliano Granato (Potere al Popolo) Qual è, secondo voi, la posta in gioco in questo vertice NATO e che impatto avrebbe un ulteriore aumento delle spese militari sull’Italia? Perché è importante esserci il 21 giugno, e contro chi si rivolge la vostra mobilitazione? «La NATO vuole portare la spesa militare dei Paesi membri al 5% del PIL. Per l’Italia significherebbe tra i 44 e i 77 miliardi di euro in più ogni anno: una cifra vicina a quella dell’intero bilancio della sanità pubblica; a noi intanto dicono che non ci sono soldi per il reddito di cittadinanza, per pagare infermieri e insegnanti, o anche solo per comprare la carta igienica nelle scuole. Nel frattempo, Israele porta avanti un genocidio con più di 50mila morti a Gaza, e i governi occidentali, Italia compresa, si limitano ad applaudire o fornire supporto militare diretto o indiretto. L’Italia è ormai ridotta a una provincia militare della NATO, dove la sovranità si sacrifica volentieri sugli altari di Washington. “Disarmiamoli” è la parola d’ordine perché vogliamo costruire un vero movimento popolare antimilitarista, che dica chiaramente: non un euro in più alle armi, non un passo indietro su diritti, reddito, scuola e sanità. Il 21 giugno saremo in piazza non solo contro Meloni, ma contro tutto l’arco politico — anche di centrosinistra — che legittima questa spirale di guerra e riarmo: non sarà l’alternanza tra ultradestra e centrosinistra – che per primo, con Renzi e Conte, ha firmato prima e confermato poi l’attuale impegno del 2% del PIL in armi con la NATO – ma un campo popolare organizzato a poter rompere la spirale di guerra e riarmo». Jose Nivoi (Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali – CALP) Il CALP partecipa da tempo a mobilitazioni contro il traffico d’armi. In che modo il riarmo globale impatta sulle condizioni del lavoro? E perché avete deciso di essere in piazza, anche in rottura con altre forze che dicono “no alla guerra”? «Come portuali partecipiamo alla manifestazione del 21 giugno perché da anni siamo impegnati, anche a livello internazionale, nell’organizzare blocchi contro il traffico di armi nei porti — da Genova a Marsiglia, fino a Le Havre. Il riarmo e la finanziarizzazione dell’industria bellica stanno andando di pari passo con un attacco sistematico al mondo del lavoro: precarizzazione, tagli, aumento delle disuguaglianze. A pagarne il prezzo siamo proprio noi lavoratori, sempre più impoveriti. Non possiamo accettare che si voglia portare la spesa militare al 5% del PIL, mentre tagliano ovunque su scuola, sanità e salari. Pochi giorni dopo la manifestazione ci sarà il vertice NATO che definirà le nuove quote di spesa da versare: è proprio questo modello di guerra permanente che vogliamo fermare. E lo diciamo chiaramente: non saremo in piazza con chi, a parole, si dice contro la guerra, ma poi nei fatti approva i fondi per le armi e i bilanci militari. Il 21 saremo in piazza con parole d’ordine nette, al fianco di chi lotta contro il riarmo e lo sfruttamento». Irene (Collettivo Autorganizzato Universitario) e Fabio (Cambiare Rotta) Come collettivi studenteschi universitari siete tra i promotori della manifestazione del 21 giugno. Quali responsabilità vedete in NATO, governi e multinazionali belliche rispetto alla crisi della formazione? E cosa significa oggi, per voi, la lotta contro la militarizzazione delle università? «Come CAU di Napoli, Torino e Padova abbiamo scelto di aderire convintamente all’appello lanciato dal coordinamento Disarmiamoli e Potere al Popolo per il corteo del 21 giugno da P.zza Vittorio. Dopo due anni di mobilitazione in solidarietà al popolo palestinese e per la fine del genocidio in corso, come corpo studentesco universitario non abbiamo potuto non riconoscere le gravi responsabilità che la NATO e le multinazionali della guerra hanno nel ridefinire le priorità politiche dei nostri governi. Lo vediamo tutti i giorni nelle nostre università: si preferisce portare avanti una politica di tagli alla formazione e alla ricerca, piuttosto che scegliere di disinvestire nelle armi e nel fossile. Come se non bastasse, lo smantellamento continuo dei laboratori e della ricerca viene poi sanato economicamente dalle stesse industrie belliche per cui, nel corso degli ultimi tempi, i governi hanno scelto di togliere alla formazione il suo ruolo prioritario. Ad oggi, Leonardo, Intesa San Paolo, Eni, complici del genocidio in Palestina, sono i maggiori finanziatori delle nostre università. Allora convintamente noi scenderemo in piazza contro la NATO, il riarmo e le multinazionali della guerra anche e soprattutto per ribadire la libertà della ricerca, l’utilità di una formazione libera e democratica e per chiedere la centralità dei servizi sociali nelle politiche governative che hanno l’obbligo reale di non rendersi complici del genocidio e della tendenza alla guerra in corso». «Anche come studenti delle scuole superiori dell’Opposizione Studentesca d’Alternativa e universitari di Cambiare Rotta il 21 giugno scenderemo a Roma nella manifestazione che partirà alle 14 da Piazza Vittorio per lanciare l’allarme rosso sull’incubo delle politiche di riarmo portate avanti da Governo Meloni ed Unione Europea e contro lo Stato Terrorista di Israele. Pace o guerra, spese sociali o militari, futuro o morte: raccogliamo il testimone di migliaia di giovani partigiani che come noi hanno lottato e sacrificato la vita per liberarci dal fascismo e dalla guerra!» Coordinamento Disarmiamoli Roma il 21 giugno vedrà due piazze distinte. Cosa ha portato a questa scelta e quali sono, secondo voi, le differenze politiche più rilevanti tra Piazza Vittorio e Piazza San Paolo? «La scelta di avere due piazze il 21 giugno nasce da una precisa decisione politica e il coordinamento Disarmiamoli ha scelto la via dell’autonomia: una mobilitazione chiara e senza mezze misure contro NATO, riarmo, guerra, governo Meloni ed élite occidentali. Il linguaggio generico sulla “difesa europea” e, soprattutto, sull’Alleanza Atlantica ha permesso alle principali forze di centrosinistra, PD e M5S, forze che hanno già sostenuto aumenti delle spese militari, esportazioni di armi e interventi bellici, contribuendo attivamente all’attuale scenario di guerra, di aderire alla manifestazione di Piazza San Paolo. Il risultato è stato lo spostamento del baricentro politico su un terreno che Disarmiamoli considera ambiguo e inefficace. E’ necessario rompere con i soliti equilibri: non basta un “no” generico alla guerra, serve una piattaforma radicale, di classe, senza compromessi. Per noi è del tutto evidente – lo ammette persino Crosetto! – il ruolo della NATO in questo passaggio, e che il 21 giugno bisogna scendere in piazza mettendo al centro questo tema. Di cortei “contro la guerra”, senza altri aggettivi, ce ne sono stati molti in questi anni. Ma oggi abbiamo un’occasione, fornita dalle stesse classi dirigenti con il loro riarmo esplicito, per far compiere un salto di qualità al movimento antimilitarista». Emiliano Palpacelli
Il 21 giugno una grande manifestazione a Roma contro il riarmo – anzi, forse due
Dal 24 al 26 giugno 2025 si terrà in Olanda il prossimo vertice NATO, che punta sul rafforzamento bellico dell’Alleanza, mentre il 21 giugno, alla vigilia, si terranno due contromanifestazioni, una a L’Aia, sede del vertice, l’altra in solidarietà a Roma. Anzi, nella capitale si rischia che ci siano due contromanifestazioni lo stesso giorno alla stessa ora sullo stesso tema: NO alla corsa al riarmo – la solita sinistra che si spacca, si direbbe. Anche se ora sembra che questa eventualità si possa scongiurare. Infatti, Potere al Popolo (PaP) ha annunciato una manifestazione No Riarmo a Roma per il 21/6 in una assemblea pubblica del 13 aprile e ha dato subito il preavviso in Questura.  La formazione Stop Rearm Europe in Italia, invece, ha annunciato il 5 maggio una propria manifestazione a Roma (che era già nell’aria da tempo, tuttavia) e ha lanciato una sua pagina web in questi giorni. Per scongiurare la sovrapposizione di due manifestazioni, all’assemblea PaP, aperta al pubblico, tenutasi sabato scorso (24/5) a Roma al Cinema Aquila, molti partecipanti hanno chiesto al partito di rinunciare alla propria iniziativa e di unire le forze in campo. (Il video dell’assemblea appare sulla pagina Facebook di Potere al Popolo). Michela  Arricale (Giuristi Democratici e PaP) ha esortato la sala stracolma a “fare uno sforzo [per ottenere] un tavolo di confronto sui nodi principali…  puntiamo su una piazza, ma ognuno con le proprie rivendicazioni.  Dividiamo il palco, ma non dividiamo le piazze.” Anche esponenti di altre formazioni della sinistra hanno perorato la causa dell’unità. Walter Tucci del PCI ha chiesto di “trovare due o tre punti di convergenza che consentano una mobilitazione unitaria.”  Franco Russo di Rifondazione Comunista ha poi aggiunto che “La nostra piattaforma non verrà capito dal popolo se noi andiamo da soli in un corteo separato”.  Ugo Mattei, di Generazioni Future, ha ricordato alla platea che nella guerra di liberazione, i partigiani comunisti hanno lottato insieme a forze politiche anche molto diverse da loro. Alla fine, Giorgio Cremaschi, capofila dello schieramento più intransigente, ha riconosciuto che sarebbe “meglio se ci fosse una sola manifestazione… ma,” ha aggiunto, “a patto che siamo tutti d’accordo per dire: 1. No ad ogni genocidio e sì alla rottura delle relazioni con Israele; 2. No ad ogni riarmo, sia nazionale, sia della NATO, sia dell’UE; 3. No alle politiche economiche liberiste.” Il rappresentante di ARCI (che fa parte della campagna Stop Rearm Europe) ha poi teso un ramoscello d’ulivo prospettando l’eventualità di un solo corteo con due piattaforme diverse. Ci sarà un’intesa tra le due formazioni anche per determinare chi sarà sul palco?  Lo sapremo nei prossimi giorni; già PaP parla, in un  editoriale su  Contropiano , di andare “nelle prossime settimane a verificare le varie possibilità.” Intanto il Coordinamento Nazionale No Nato ha diramato sul suo sito un appello a Potere al Popolo e ai promotori della campagna Stop Rearm Europe, che viene riportato di seguito: 21 giugno a Roma: serve un corteo unitario! La spirale della Terza Guerra Mondiale può e deve essere fermata solo attraverso una decisa e continua lotta contro la partecipazione del nostro Paese ai conflitti in corso, contro il sostegno allo Stato sionista d’Israele, deciso più che mai a continuare lo sterminio del popolo palestinese, contro le politiche di riarmo dell’UE e della NATO. Negli scorsi mesi c’è stata un’ampia e sana reazione popolare e di forze politiche, sociali, sindacali alle politiche guerrafondaie che il governo Meloni promuove al soldo degli USA e dei vertici UE. Una reazione che ha vissuto nelle centinaia di iniziative di base diffuse nel Paese in ogni città e provincia, nelle mobilitazioni di piazza e presidi, nella giornata del 5 aprile a Roma promossa dal M5S, che ha visto una partecipazione popolare ampia e variegata, il 12 aprile a Milano in solidarietà con il popolo palestinese, che ha visto 50.000 persone in piazza, il 25 aprile in cui in molte città si è animata e sviluppata la contestazione ai tentativi di delegittimare il 25 aprile legittimando lo sterminio a Gaza e l’invio di armi in Ucraina. Il prossimo 21 giugno a Roma sono state convocate due mobilitazioni nazionali: una, convocata da Potere al Popolo e altri organismi che hanno lanciato questa data a seguito dell’assemblea del 13 aprile scorso a Roma; l’altra, convocata dai promotori della campagna “Stop rearm Europe” che risponde ad un appello di numerosi organismi europei ed è stata lanciata pubblicamente in una riunione internazionale, partecipata da oltre 90 organismi, lo scorso 5 maggio. I firmatari di questo appello ritengono che due piazze per il prossimo 21 giugno a Roma siano inevitabilmente disgreganti e dispersive per l’ampio e diffuso fermento popolare che cerca un riferimento e momenti di lotta unitari per scendere in piazza contro la guerra: per questo una frammentazione sarebbe inaccettabile. Per questo motivo l’appello esplicito ai promotori delle due mobilitazioni è quello di dialogare e convergere per confluire in una piazza unica, che raccolga e valorizzi il malcontento e la volontà di protesta e riscossa di larga parte della popolazione del nostro Paese. Una piazza unica, plurale, in cui ogni organismo possa portare i propri contenuti, bandiere, simboli e slogan al fine di rilanciare ulteriormente la lotta per fermare la Terza Guerra Mondiale in tutte le forme in cui si manifesta! Per una mobilitazione popolare, unitaria e di riscossa! Chiediamo a ogni organismo e singolo che intende sottoscrivere tale appello di farlo circolare e comunicare la propria adesione scrivendo a coordinamentonazionalenonato@proton.me Firmatari: Coordinamento Nazionale No Nato Brigate Verdi Generazioni Future Resistenza Radicale – azione nonviolenta Tavolo Uniti contro la guerra – Napoli Patrizia Morciano – Lecce AsSUR – Associazione Scuola Università e Ricerca Roberto Villani – Direzione nazionale PRC, Comitato Politico Nazionale PRC Coordinamento della Marcia della Pace Tivoli Guidonia Coordinamento per la Pace Milano Peacelink Rete No War Collettivo Millepiani Arezzo ANVUI Elena Coccia, Avvocatessa, Napoli La Fucina per la Nonviolenza – Firenze Francesca Anna Perri, medico emergentista (Sanitari per Gaza Nazionale) Aldo Infantino , Angelo Giacomazzi, Antonella Pedrini, Giuseppe Lobascio, Maria Guido (Sanitari per Gaza Veneto) Matteo Rosellini, RSA USB Worsp di Pisa Marco Lenzoni RSU/RLS coordinamento regionale USB-Sanità Toscana Roberta Leoni, insegnante Fulvio Grimaldi, giornalista Sandra Paganini Sinistra Libertaria Movimento Login Rete Mobilitazione Globale Pace Giuseppe Felici Rosario Marra Patrick Boylan
Verso il 21 giugno, la piazza del disarmo di Potere al Popolo
Nel pubblicare il comunicato stampa di Potere al Popolo, per dovere di cronaca, corre l’obbligo dover precisare che lo stesso giorno di sabato 21 giugno (a Porta San Paolo, ore 14.00) è stata indetta la manifestazione nazionale contro Guerra, Riarmo, Genocidio, Autoritarismo, promossa dalle oltre 300 reti, organizzazioni sociali, sindacali, politiche nazionali e locali che hanno sottoscritto l’appello della Campagna europea #StopRearmEurope che ad oggi conta tra le proprie adesioni circa mille sigle in 18 paesi. La nostra Agenzia in questi giorni ha rilanciato l’APPELLO con il quale si invitano tutte e forze pacifiste a convergere massicciamente nella giornata di lotta  che rientra nella settimana di mobilitazione europea dal 21 al 29 giugno, in occasione del vertice della Nato a L’Aja, proprio nei giorni in cui si deciderà sui dettagli del gigantesco piano di riarmo deciso dall’UE e che vedrà la convergenza di tante identità, tutte impegnate contro la guerra, per la pace, per la giustizia sociale e climatica, i diritti e la democrazia nel nostro paese. Ci auguriamo di essere ancora in tempo a poter realizzare la necessaria massima convergenza. Di seguito il comunicato di PaP[accì]   ************************   Più di 500 persone per le due assemblee di sabato 24 maggio a Roma e Napoli per organizzare un movimento che abbia la capacità di opporsi ai piani di riarmo e al regime di guerra. La presenza di Clémence Guette, Vice-presidente del Parlamento francese per La France Insoumise, Marc Botenga, europarlamentare del PTB (Parti du Travail de Belgique), Ione Belarra, segretaria generale di Podemos (Stato spagnolo) sono state non solo la possibilità di approfondire l’analisi sul ReArm EU, ma soprattutto un passo verso un’alleanza internazionale che si mobiliti e lotti per il disarmo. Gli scioperi e i blocchi dei lavoratori portuali, che dal Belgio all’Italia, passando per la Catalogna, hanno scioperato per fermare l’import-export di armi verso Israele sono l’indicazione di come la classe lavoratrice possa operare per rompere le catene di complicità col regime di guerra che ci viene imposto. Già oggi esiste una maggioranza sociale che rifiuta i piani di riarmo, siano essi nazionali o europei. Le organizzazioni sindacali, studentesche, migranti, le associazioni e i collettivi che hanno partecipato alle due assemblee di Roma e Napoli costituiscono un tessuto chiave per costruire una mobilitazione ampia. Che indica un orizzonte di trasformazione e un futuro di pace e cooperazione internazionale. Un movimento che dovrà avere il coraggio di nominare i nemici dei nostri popoli: la NATO che si appresta a imporre un nuovo balzo della spesa bellica fino al 5% del PIL, e i nostri governi nazionali di ogni colore politico che sono già pronti a scattare sugli attenti e a obbedire; le grandi aziende del complesso militare-industriale, da Leonardo a Rheinmetall, che si riempiono le tasche grazie alle commesse statali; il potere mediatico che ci bombarda con una guerra psicologica: devono inocularci il seme della paura per convincerci della “necessità e urgenza” di spendere 800 miliardi di euro in armamenti anziché nella sicurezza sociale di cui abbiamo bisogno. A Roma e a Napoli ci siamo dati un compito ambizioso: DISARMIAMOLI! C’è un solo attore che può conseguirlo: la mobilitazione popolare. Il 21 giugno riempiamo Roma! Redazione Italia