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Le “ultime spiagge”: in Italia nel 2050 circa il 70% delle spiagge risulterà in erosione
Gli scenari previsionali sugli effetti della crisi climatica disegnano paesaggi devastanti che si stanno ormai materializzando sotto i nostri occhi. Interi tratti di costa rischiano di essere completamente ridisegnati e vaste zone costiere sono sottoposte alla minaccia di inondazioni temporanee o permanenti per via dell’innalzamento del livello del mare e dell’intensificarsi dei fenomeni meteorologici estremi. Su questi temi non sono più accettabili forme più o meno esplicite di negazionismo, ma è anche facile e poco proficuo cedere ad allarmismi o catastrofismi. L’Italia rischia di perdere circa il 20% e il 45% delle proprie spiagge al 2050 e al 2100 rispettivamente, con punte in Sardegna, Lazio, Friuli Venezia-Giulia e Campania.   E’ quanto si legge nel XVII Rapporto della Società Geografica Italiana “PAESAGGI SOMMERSI. Geografie della crisi climatica nei territori costieri italiani”. “In Italia, si legge nel Rapporto, già nel 2050, circa il 70% delle spiagge risulterà in erosione, e sarà probabilmente quasi completamente sommersa il 20% della loro superficie attuale. Spiccano in questo scenario le regioni Sardegna e Friuli-Venezia Giulia, le quali già al 2050 rischiano di perdere un terzo o più delle loro spiagge. Entro il 2100 la porzione di spiagge a rischio erosione rimane più o meno la stessa (circa il 70%), ma la quota di spiagge a rischio di una quasi completa sommersione sale al 45%. Pur continuando a mostrare notevoli differenze, il rischio al 2100 si intensifica considerevolmente in tutte le regioni italiane, con picchi in Sardegna (38% nel 2050, 70% nel 2100), Lazio (22%, 59%), Friuli-Venezia Giulia (31%, 57%), Campania (21%, 55%), Puglia (24%, 51%) e Sicilia (24%, 50%). Anche i contesti nei quali le dinamiche di erosione saranno più attenuate nei prossimi anni, quindi, subiranno impatti sostanziali nel lungo termine. Al 2100 lo scenario più probabile indica che quasi tutte le regioni perderanno almeno un terzo delle loro spiagge. Il peggioramento della situazione rispetto al 2050 è particolarmente evidente nelle regioni Lazio e Campania, seguite da Marche, Emilia-Romagna e Puglia”. Come si sa, chi governa –  a tutti i livelli – con lo sguardo non va quasi mai oltre l’oggi. E quindi anche queste previsioni (a 25 e 75 anni) sono destinate verosimilmente a non suscitare particolari reazioni, anche se la possibile scomparsa di molte spiagge italiane avrà notevoli ripercussioni. Sul piano economico è stato stimato che in Italia ogni metro quadro di spiaggia sabbiosa perduta corrisponda a una perdita economica media di circa 1.600 Euro. Applicando questa stima alle sole spiagge a rischio di essere quasi completamente sommerse, nello scenario più probabile e attualizzando la stima a oggi, ne risulterebbe rispettivamente una perdita attesa di circa 30 miliardi di Euro per il 2050 e 80 per il 2100. La possibile scomparsa di molte spiagge avrà notevoli ripercussioni non solo di tipo economico, ma relative più in generale alla fruizione e alla fruibilità dei litorali sabbiosi e al loro valore sociale, ricreativo, paesaggistico, oltre che ambientale ed ecologico. In particolare, le previsioni del Rapporto della Società Geografica Italiana prevedono che l’impatto sulle spiagge attrezzate in Campania nel 2100 sarà il più elevato tra tutte le regioni: il 75% degli stabilimenti balneari campani sono in spiagge a rischio, mentre la regione è al terzo posto in termini di arretramento complessivo delle spiagge. La crisi climatica che investe le coste e i mari italiani evidenzia come la governance costiera non può continuare ad affidarsi solo alle buone pratiche degli enti locali, rispetto alle quali sarebbe comunque utile un approfondito “repertorio nazionale”, allo scopo di capitalizzarne i risultati, in termini di processi ed esperienze, al fine di aumentare la building capacity alle diverse scale. Né è pensabile che le regioni possano continuare a procedere in “ordine sparso” nella definizione e attuazione delle politiche di gestione o adattamento. “In questa prospettiva, si sottolinea nel Rapporto, sembra mancare ancora un indirizzo strategico che possa orientare alla luce della crisi climatica le politiche costiere ai diversi livelli, dal punto di vista socio-economico e territoriale. (…) Temi quali il rapporto tra innalzamento del livello del mare, crisi dei litorali e politiche di sviluppo turistico, o quello tra governance portuale e politiche nazionali nel campo delle reti infrastrutturali, oppure la definizione e organizzazione degli strumenti economici necessari per avviare politiche e iniziative di «rinaturalizzazione» piuttosto che di riallocazione, o anche le misure per bloccare il consumo di suolo e l’artificializzazione, necessitano di un disegno di riferimento organico nazionale che indichi obiettivi strategici, azioni prioritarie, attori chiave, risorse finanziarie necessarie e modalità di reperimento, strumenti disponibili e innovazioni necessarie nelle politiche settoriali. Senza tale quadro di riferimento, anche le iniziative locali rischiano di rivelarsi insostenibili o inefficaci”. Qui per scaricare il Rapporto: https://societageografica.net/wp/2024/06/12/rapporto-annuale-della-sgi-new-estore/.   Giovanni Caprio
Le spiagge, fragili ecosistemi sconosciuti e violati
Siamo alla fine dell’estate e milioni di persone hanno reso visita a quelli che nell’immaginario comune sono luoghi in cui trascorrere le calde giornate assolate, sdraiati su lettini all’ombra di ombrelloni tra un tuffo nell’acqua e un drink rinfrescante. Purtroppo tra le distese di ombrelloni e di lettini non molti si accorgono che le spiagge sono delicati ecosistemi, in cui un enorme numero di piante e animali troverebbe il proprio habitat: si, scriviamo troverebbe, perché purtroppo oggi quell’habitat è stato completamente distrutto e sono pochissimi i lembi di costa in cui ancora se ne possono riscontrare alcune tracce. Lembi così rari e preziosi che in parte sono stati inclusi nella Rete Natura 2000 di aree protette dall’Unione Europea, purtroppo in Italia spesso solo sulla carta: tanto che se ne ignora in gran parte l’esistenza, mentre il loro degrado avanza nell’indifferenza delle istituzioni e in nome dello sfruttamento economico. Ecosistemi dunali che, in base al grado di sviluppo e alla distanza dalla battigia, si distinguono in embrionali, consolidati, retrodunali, anche rocciosi e, in base alla vegetazione che li caratterizza, in caliketo, agropireto, ammofileto, Crithmo-Limonietum e tanti altri, tutti protetti dalla Direttiva Habitat dell’UE. Habitat caratterizzati da piante molto particolari, che hanno dovuto adattarsi, attraverso affascinanti strategie a condizioni estreme di temperatura, povertà di nutrienti e acqua e ad elevata salinità, i cui nomi spesso ricordano quello di piante affini degli ambienti interni ai quali si aggiunge la specifica “marina” anche nel nome latino. Abbiamo così il Pancratium maritimum (il giglio di mare), l’Achillea maritima (l’achillea delle spiagge), il Polygonum maritimum (il poligono marittimo), Eryngium maritimum (la calcatreppola marina), la Medicago marina (l’erba medica marina), il Crithmum maritimum (finocchio marino) e molte altre. Alcune di queste sono specie vegetali minacciate di estinzione, protette dalle direttive europee, o ancora endemismi che si trovano in aree ristrettissime delle nostre coste, anche in un singolo promontorio, e da nessuna altra parte. Una delle tante sfortune di questi habitat è che la vegetazione che li caratterizza risulta in gran parte secca a luglio e agosto, mesi nei quali orde di bagnanti si recano sulle coste inconsapevoli che quelle “fastidiose erbacce secche” in mezzo alla sabbia offrono, da fine inverno a primavera, stupende fioriture che supportano un’enorme biodiversità di impollinatori e altri insetti e animali (se guardassimo con attenzione, potremmo notarli anche d’estate, insieme ad alcune fioriture tardive), spesso superiore a quella che magari possiamo trovare in un prato fiorito di campagna o, addirittura, di montagna. Sempre più stabilimenti balneari vendono la distesa di sabbia setacciata da grossi macchinari, come l’ultra-plus da offrire ai propri clienti; tuttavia tale setacciamento non rimuove solo i rifiuti e i mozziconi di sigaretta abbandonati da noi umani, ma anche l’habitat di uccelli, tartarughe marine, granchi fantasma, coleotteri tigre, imenotteri, ditteri e di altri insetti che vivono e/o nidificano nella o sulla sabbia, oltre a bulbi e radici delle piante dunali. E ogni anno il setacciamento e le ruspe si spingono un po’ più in là, a rimuovere “le erbacce” insieme ai rifiuti per far posto ad altri lettini, ombrelloni e altre amenità da spiaggia; per non parlare delle esibizioni sulle dune di veicoli 4WD dalle svariate forme, sempre più di moda su alcuni litoranei e, da qualche anno a questa parte, dei grandi eventi in spiaggia (ricorderemo tutti le discussioni sul Jova Beach Party degli anni scorsi). Pensate e immaginate se boschi e montagne venissero trattati come le spiagge (non che le montagne non abbiano i loro problemi, ma sulla costa gli impatti hanno un’estensione e un livello di annientamento nettamente superiore); eppure, a livello naturalistico ed ecologico, non vi è differenza. Auspichiamo un futuro nel quale “andare al mare” abbia lo stesso significato di “andare in montagna” ovvero dotarsi di abbigliamento adeguato, binocolo, taccuino e voglia di camminare ed esplorare le bellezze che questi ecosistemi hanno da offrire. Le distese di lettini e ombrelloni sono un’aberrazione moderna e consumistica del vivere questi spazi di natura. L’invito è dunque a infilarvi le infradito e avventurarvi nelle “retrovie” delle spiagge che frequentate e delle loro file di ombrelloni, per osservare se e cosa è sopravvissuto dell’ecosistema nel quale vi dovreste trovare (fate attenzione a non calpestare la vegetazione e a non alterare la struttura delle dune, se ancora presenti). Speriamo che questo articolo e queste foto vi facciano guardare a quelle erbacce secche con occhi nuovi. Forum Salviamo il Paesaggio