Leva militare e militarizzazione: l’Europa di fronte a nuove sfide
Sul finire degli anni Ottanta del secolo scorso, con il crollo del Muro di
Berlino e lo sgretolamento del Patto di Varsavia, NATO, USA ed Europa capirono
che si stavano aprendo enormi spazi per la loro egemonia economica e militare.
Nell’arco di pochi anni la NATO iniziò ad espandersi nell’Est e nel Nord Europa,
iniziava allora quella che venne stupidamente definitiva “una nuova era di
pace”, visto che un decennio dopo l’Occidente capitalista scatenò conflitti con
milioni di morti.
In quel contesto storico la leva era un ferro vecchio del secolo precedente,
serviva un esercito di professionisti, meno numeroso ma operativo per interventi
in varie parti del Globo. E fu così che tanti Paesi decisero di archiviare la
leva obbligatoria, congelandola in attesa degli eventi.
Il conflitto tra Russia ed Ucraina ci riporta indietro nel tempo ed è indubbio
che soffino venti di guerra visto che la Bundeswehr (forze armate tedesche) ha
redatto un corposo documento reso pubblico nei giorni scorsi ipotizzando nei
minimi particolari lo scontro con la Russia.
Il Wall Street Journal ha parlato di questo documento e c’è un passaggio,
riportato anche da Il Fatto Quotidiano in un articolo pubblicato nell’edizione
del 29 novembre, in cui si parla della necessità di spostare fino a 800 mila
soldati NATO verso il confine Russia.
Solo questo spostamento comporta una rete ferrovia, stradale, dei porti e degli
aeroporti funzionanti, una rete logistica e infrastrutturale da ammodernare per
scopi di guerra. Al posto della manutenzione dei territori abbiamo un piano di
logistica con investimenti straordinari, ecco un esempio pratico di come si sta
facendo strada (letteralmente) quella che definiamo economia di guerra.
Logiche e strategie da Guerra fredda, un intervento indispensabile perché
innumerevoli vie di comunicazioni non sono adeguate al trasporto di armi e la
rete ferroviaria da tempo necessita di investimenti e ammodernamenti.
Se qualcuno ironizzava sulle dichiarazioni di Crosetto riguardo al pericolo di
attacchi ibridi presto dovrà ricredersi visto che sta per arrivare in Parlamento
un disegno di legge per soldati volontari.
Non si parla ancora di leva obbligatoria, ma per trovare un numero congruo di
soldati le strade sono molteplici e al fine di invogliare i giovani a scegliere
la via militare i governanti interverranno sulle condizioni lavorative e
previdenziali. Ad esempio, i militari potrebbero beneficiare di scivoli e aiuti
per una uscita anticipata dal mondo del lavoro, facendo pesare più di ogni altra
categoria i contributi versati: per ipotesi, 30 anni di servizio militare
potrebbero essere equiparati a 43 anni di contributi, per arrivare alla pensione
con un elevato assegno, pur avendo dieci e oltre anni di contributi versati in
meno. E sempre nei mesi scorsi si era parlato di welfare e piano casa per i
militari, di buste paga maggiorate, tutte ipotesi ancora al vaglio del Governo.
La questione va quindi affrontata nella sua complessità, perché una lettura di
questi fatti non potrà essere parziale: non basta parlare di enorme flusso di
denaro dal civile al militare o genericamente di economia di guerra, dietro
all’aumento degli effettivi si celano innumerevoli scelte.
In Germania hanno già reintrodotto la leva, volontaria, pronta a trasformarsi in
obbligatoria, se non ci saranno i numeri previsti. In Francia hanno già pensato
al servizio nazionale volontario a partire dal 2026, con dieci mesi di naia, il
progetto prevede di arrivare entro 10 anni a 50 mila unità in aggiunta ai
militari di professione veri e propri.
Negli ultimi anni l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle
università ha denunciato la presenza dei militari nelle scuole, il reclutamento
ideologico, l’esaltazione della vita in divisa, le scuole militari, i campi
estivi organizzati dalle associazioni legate ai vari corpi armati, le Fondazioni
culturali e scientifiche emanazioni di aziende militari, un sistematico lavoro
di catalogazione che si è guadagnato il sarcasmo di chi non aveva contezza della
realtà.
La presenza di tanti militari aveva uno scopo ben preciso, perché lor signori
hanno una marcia in più rispetto ai creduloni da social: essi leggono, studiano,
hanno documenti strategici e si muovono in largo anticipo per preparare il
terreno sul quale muoversi. Storicamente la presenza di militari nelle scuole ha
sempre determinato la costruzione di un clima da guerra, di una cultura
militarista, un po’ di letture sarebbero alla portata di tutti.
Quanto accade in Francia funge da modello anche per il nostro Paese. Se in
Germania parlano esplicitamente di obbligatorietà della leva, in questi due
Paesi ci si ferma, al momento, alla volontarietà. Tra poche settimane leggeremo
quanto prevede il testo di legge, intanto la presenza di militari nelle scuole
per il reclutamento futuro dei giovani avrà un ulteriore impulso.
E se fino ad ora abbiamo parlato solo di Francia, Italia e Germania, sarà il
caso di sapere che in molti Paesi del Nord Europa sono ancora in piedi, dalla
guerra fredda, dei sistemi di coscrizione parzialmente obbligatori, in diverse
nazioni ci sono i volontari ma in caso di necessità le loro leggi nazionali
prevedono la leva obbligatoria.
In Polonia, il Paese che ad est è arrivato per primo al 5% del PIL per la spesa
militare, esiste oltre un mese di addestramento base volontario a cui seguono
periodi più lunghi di specializzazione. E per giustificare l’ennesimo processo
di militarizzazione, per spianare la strada all’avvento generalizzato
dell’economia di guerra, si torna a parlare dell’urgente necessità per la UE di
dotarsi di un esercito comune e ancor prima di un sistema militare che tenga
insieme le imprese belliche del vecchio continente evitando che siano inglobate
nel sistema statunitense.
Gli scenari sono molteplici, il nostro impegno sarà quello di farli conoscere a
chi sarà carne da macello per le prossime guerre, impresa ardua, specie in tempi
come i nostri.
Federico Giusti
Come Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università sin
dall’inizio del nostro impegno ci siamo dati un obiettivo: rompere la
normalizzazione del rapporto tra scuole e mondo militare, fare in modo cioè di
cambiare di segno alla narrazione che vedeva le scuole vantarsi di progetti
svolti con le forze dell’ordine o con i militari.
Oggi, con grande soddisfazione, registriamo che tre di questi appuntamenti sono
stati annullati a seguito delle pressioni della società civile.
Un primo caso si è avuto qualche giorno fa a La Spezia dove un generale della
Folgore avrebbe dovuto tenere una conferenza di geopolitica agli studenti e alle
studentesse delle scuole superiori dal titolo “La storia non è finita…”. Il
timore delle contestazioni annunciate e l’intervento puntuale presso le scuole e
i/le docenti affinché non accompagnassero le loro classi hanno ottenuto
l’annullamento dell’evento, “per problemi organizzativi”, come hanno voluto
dire.
Il secondo caso arriva invece da Udine dove in data 2 dicembre 2025 alcuni
docenti della Scuola Secondaria di primo Grado “G. Ellero” avrebbero dovuto
partecipare alla “simulazione di interazione tra contesto scolastico e coloro
che operano in difesa dei civili in teatro estero per condurre operazioni nel
settore della cooperazione civile-militare a supporto dei contingenti della
NATO”.
D’altra parte, questa è una precisa raccomandazione del Parlamento europeo del
26 marzo 2025, laddove si indica la necessità di formare i/le docenti sulle
questioni della sicurezza, e dunque si prevedeva un’esercitazione con tanto di
mezzi militari nel cortile della scuola. Sulla vicenda di Udine AVS ha
annunciato un’interrogazione parlamentare e l’iniziativa è stata annullata.
Il terzo caso riguarda, invece, l’università, in questo caso l’Università di
Bologna. Qui è accaduto che il generale Masiello abbia chiesto all’Alma Mater di
avviare un corso di filosofia per un gruppo di 10-15 militari al fine di
“sviluppare un pensiero laterale”, ma i docenti dell’Università di Bologna,
molto avanti nel processo di consapevolezza e di smilitarizzazione dei luoghi
della formazione, anche grazie alla lotta condotta dagli studenti e dalle
studentesse, hanno risposto picche e il corso non si fa!
Cosa ci dicono queste tre vicende? Ci parlano sicuramente di tre vittorie, per
niente scontate e che infatti finora non si erano verificate. Ma ci dicono anche
che la diffusione della “cultura della difesa” ha bisogno di muoversi con
lentezza e senza fare rumore; il danno che le contestazioni pubbliche possono
fare è enorme, i guerrafondai lo sanno benissimo e preferiscono ritirarsi quando
capiscono il detrimento che ne potrebbero ricevere.
Se la cultura della difesa per diffondersi ha bisogno di costruire un consenso
lento e silenzioso, cari signori della guerra, noi continueremo a fare rumore e
a gioire di ogni vostra ritirata strategica!
Serena Tusini
Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università