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Nel movimento dello sciopero: esperienze, possibilità, prospettive
L’assemblea di RESET a Bologna, che abbiamo lanciato prima dell’estate, si è tenuta dopo settimane di mobilitazione contro il genocidio in Palestina e a sostegno della Global Sumud Flotilla. Questa mobilitazione, che ha bloccato le città con manifestazioni che si sono ripetute quasi quotidianamente e che ha visto ben due scioperi generali in rapida sequenza, ha sorpreso tutte e tutti. La partecipazione di massa ha espresso un movimento nuovo e irriducibile alle singole componenti organizzate, sindacali e di movimento, che pure lo hanno alimentato. Tutto questo ha aperto una fase radicalmente differente rispetto a quella che ha segnato la nascita di RESET, il cui scopo era mettere la guerra al centro della discussione per affrontare il disorientamento e il campismo che, dall’invasione russa dell’Ucraina, bloccavano i movimenti. Oggi centinaia di migliaia, forse milioni, di persone sono scese in piazza e hanno scioperato, e noi crediamo che negli scioperi e nelle piazze, assieme all’opposizione al genocidio, sia emerso anche un rifiuto collettivo della guerra e del suo mondo. A partire da questa convinzione abbiamo ridefinito il programma dell’11 ottobre, per esprimere almeno in minima parte la ricchezza che abbiamo visto negli scioperi del 22 settembre e del 3 ottobre e nella grande manifestazione del 4 ottobre. UN CONTESTO NUOVO La fase attuale è diversa da un anno fa, ma la sfida di RESET per noi non si è esaurita. La guerra va avanti, cambia forme, macina vite, parole e significati, a partire da quello conferito dalla tregua trumpiana al termine ‘pace’. Di fronte all’insorgere del rifiuto collettivo del genocidio e della guerra non dobbiamo ricadere nell’opposizione tra azione e pensiero, mobilitazione e costruzione di discorso, spontaneismo e organizzazione. RESET è nata con la pretesa di aprire spazi di confronto in grado di dotarci di parole e immaginari che ci permettano di cogliere lo scarto imposto dalla guerra, per acquisire forza e durata scommettendo sullo sciopero come prospettiva di accumulo di potere. Questa scommessa per noi è rafforzata da quanto avvenuto nelle scorse settimane. L’assemblea dell’11 ottobre a Bologna è stata la prima occasione di confronto sulle possibilità del movimento dello sciopero che si è aperto dopo una fase in cui la rapidità degli eventi ha reso difficile costruire momenti di ragionamento comune. Questo confronto per noi non è l’opposto dell’iniziativa e dell’azione, ma ora più che mai una sua componente essenziale. DENTRO IL PROCESSO DELLO SCIOPERO La convergenza nelle piazze di migliaia di persone, figure del lavoro, soggettività organizzate e non organizzate, sindacati e associazioni, non risolve da sé il problema di come dare forza, gambe e tempo a una mobilitazione che è stata in grado di squarciare quel muro di inevitabilità e accettazione di un presente di morte, oppressione e sfruttamento che la logica di guerra vuole imporre. A partire da qui, l’11 ottobre abbiamo discusso collettivamente di quanto si è mosso nelle piazze e nei luoghi di lavoro, di che cosa le manifestazioni, gli scioperi e i blocchi abbiano effettivamente prodotto, quali possibilità ma anche quali limiti e contraddizioni abbiano mostrato, e come quella forza possa continuare a organizzarsi. L’assemblea, ampia e composita, ha messo in evidenza la novità del momento: erano presenti lavoratrici e lavoratori della scuola e dell’università, studentesse e studenti, operai delle fabbriche, delegate e delegati, sindacati di base e confederali, attiviste e attivisti migranti, transfemministe, antirazziste e Lgbtq+ che, singolarmente, nei propri collettivi, associazioni o sindacati, hanno preso parte negli ultimi mesi alle mobilitazioni contro il genocidio in Palestina, trovando nello sciopero una potente possibilità politica di andare oltre i percorsi già esistenti. Di questa possibilità parliamo quando parliamo di movimento dello sciopero. Questa novità ha fatto sì che tutte e tutti i presenti prendessero sul serio il confronto politico, senza cedere il passo a interventi di rappresentanza di gruppi o sindacati e senza timore di far emergere anche posizioni differenti: sul significato politico dello sciopero e sul ruolo dei diversi sindacati al suo interno, sulla necessità di andare oltre il campismo che ha caratterizzato il movimento pro-Pal negli ultimi due anni e su come continuare a organizzarsi contro la guerra e il genocidio. Sono emersi alcuni elementi comuni che ci pare importante rimarcare. Il primo è che la lotta contro il genocidio in Palestina, la spedizione della Flotilla e l’appello al “blocchiamo tutto” dei portuali genovesi hanno rappresentato l’innesco attraverso cui un movimento contro la guerra ha potuto farsi spazio costruendo una forza di massa oltre le bandiere identitarie. Queste rimangono, ma sono state travolte nelle giornate dello sciopero. La tregua trumpiana non chiude ma rilancia la necessità di guardare alla Palestina, di restare dalla parte di quei milioni di uomini, donne e bambini che continuano a lottare per costruire la pace contro la violenza e lo sfruttamento del governo israeliano e di chi sta progettando di fare della ricostruzione un’opportunità di profitto. Nelle piazze e nella discussione è emerso chiaramente come la forza che la Palestina ha rimesso in movimento parli però anche di noi, di un’Europa attraversata dalla guerra e dalla sua economia. di Stella Chirdo D’altra parte, anche per i sindacati, le loro delegate e i loro delegati, gli scioperi sono stati una novità. La chiamata per la Palestina e la Flotilla ha richiesto di sviluppare nuovi discorsi per promuovere la partecipazione, e l’astensione dal lavoro ha trovato una spinta nel carattere generale e diffuso del rifiuto della guerra. Questo processo ha incontrato anche delle difficoltà. Nella metalmeccanica, per esempio, si è registrata un’inedita adesione della parte impiegatizia, composta in maggioranza da donne. La risposta operaia è invece stata più differenziata quando lo sciopero è stato percepito come distante dalle rivendicazioni legate al lavoro, segnalando in questo modo l’urgenza di momenti di confronto su come la guerra incide sulle condizioni dello sfruttamento anche dove non viene prodotta immediatamente tecnologia militare o dual use. Gli interventi sull’università e sulla scuola non hanno sottolineato soltanto gli alti livelli di adesione allo sciopero da parte di docenti, personale tecnico-amministrativo e lavoratori precari – numeri mai raggiunti prima, soprattutto nell’università. Guardando in avanti, la difficoltà è proseguire nella mobilitazione in un contesto segnato da una ridefinizione autoritaria e militarista che impone di fare i conti con la governance universitaria, con esponenti di FdI alla guida della CRUI e una ricerca sempre più piegata al “dual use per default”, e con una formazione scolastica ormai sempre più oggetto di censura e direzione dei programmi scolastici in senso nazionalista e patriarcale. La presenza massiccia di donne, migranti e persone Lgbtq+ nella mobilitazione è inoltre il segno di un’istanza transfemminista e antirazzista di rifiuto del genocidio e della guerra che riguarda il modo in cui irreggimenta gerarchie sessuali e di genere, militarizza i confini, rafforza l’ordine della famiglia in funzione dello sfruttamento, condanna generazioni legate a un permesso di soggiorno al destino di razzismo che le bombe su Gaza hanno legittimato nel modo più insopportabile. Anche qui, la difficoltà è dare visibilità a queste istanze, talvolta messe in secondo piano da un discorso umanitario, pur comprensibile e necessario. Un punto condiviso è che, nello sciopero e attraverso lo sciopero, il rifiuto collettivo di guerra e genocidio ha espresso anche l’insoddisfazione generale per le condizioni di vita e lavoro che negli ultimi anni ha mosso rivendicazioni specifiche – nelle fabbriche, nella formazione, nella sanità, o piuttosto si è vista in esperienze come quelle dei movimenti ecologisti, dei precari universitari, o della lotta attorno a GKN. Tutto questo ci impone di interrogarci su come proseguire questo percorso di partecipazione e conflitto, senza pensare che la mobilitazione a cui abbiamo preso parte nelle scorse settimane sia immediatamente riproducibile, che possa ripetersi in modo permanente e nelle stesse forme, che la presenza di massa possa essere data per scontata. GUARDARE OLTRE UN CONTESTO IRRIPETIBILE Si apre così un problema politico e organizzativo, che pone la necessità di innovare rispetto ai modi consolidati di portare avanti la lotta sapendo che le condizioni che si sono verificate a fine settembre non potranno ripetersi. Questa consapevolezza pone domande su come continuare a costruire la nostra opposizione politica alla guerra e a ogni pace fatta di autoritarismo, militarismo e profitti che valorizzano ogni oppressione e soffocano ogni pretesa di libertà. Sono domande che riguardano il collegamento che c’è, anche nelle differenze, tra la Palestina e l’Ucraina, tra la corsa agli armamenti e i programmi di ricostruzione, tra il rifiuto di guerra e genocidio e i salari, la sicurezza sul lavoro, le politiche industriali e ambientali, la precarizzazione di scuola e università e il controllo politico sulla formazione, il razzismo istituzionale, la ridefinizione della riproduzione sociale patriarcale. Sono domande che riguardano la diversità di condizioni e posizioni soggettive che hanno trovato nel movimento dello sciopero una potente forma di espressione collettiva, ma che non sono omogenee, e la cui comunicazione deve essere il nostro problema politico. > RESET nasce dal riconoscimento di un dato di realtà: la guerra erode gli spazi > delle lotte, impone agende sociali, economiche e produttive che ridefiniscono > le priorità e restringono i margini di conflitto, ma rappresentano al tempo > stesso il terreno su cui aprire possibilità di lotta su basi nuove. Questo > abbiamo visto all’opera nelle scorse settimane. Per esserne all’altezza dobbiamo riconoscere che c’è uno scarto tra il movimento reale che ha travolto piazze, strade, porti, fabbriche, scuole e i discorsi e le pratiche organizzative di cui oggi disponiamo. Il nostro problema è farci carico di questo scarto, senza accontentarci di quello che abbiamo o che siamo. Chi pensa di avere già una chiave di lettura e una proposta chiara, chi pensa che quel che abbiamo visto non è che l’esito di quel che si era fatto prima, chi pensa che un’unica pratica esprima la radicalità delle piazze o di esserne l’unico interprete e rappresentante di sicuro non è interessato a RESET. Noi pensiamo che la produzione di spazi di discussione ed elaborazione politica rappresenti un momento inaggirabile della stessa iniziativa politica, per affrontare i nodi attraverso cui la guerra interviene nelle vite di donne, uomini e persone Lgbtq+, precarie, migranti, operai e lavoratrici. TERRENI DI LOTTA Dal confronto di Bologna sono emersi tre terreni prioritari su cui è urgente impegnarsi, anche considerando le scadenze più immediate: le politiche industriali ed economiche legate al riarmo, perché la guerra riorganizza la produzione e riproduzione sociale imponendo nuove gerarchie e intensità di sfruttamento, cancella alternative e riduce gli spazi di organizzazione su salari e orari; la scuola e l’università, dove programmi, circolari e provvedimenti come le linee guida di Valditara, il DDL Gasparri, la chiusura di ogni spazio di discussione e formazione sulla sessualità che non sia ipotecato da logiche patriarcali e familiste spingono autoritarismo e disciplinamento, limitano la libertà di insegnamento e promuovono una pedagogia patriottica e militarista; e la prospettiva femminista, transfemminista e migrante, poiché la guerra investe la riproduzione sociale, rafforza gerarchie patriarcali e razziste e governa la mobilità attraverso sfruttamento e frontiere. Su questi terreni noi pensiamo sia possibile connettere soggettività e prospettive differenti, mantenendo gli occhi sulla Palestina e dando voce alle diverse istanze che compongono il rifiuto della guerra. > Inoltre, al fine di praticare l’urgenza di un orizzonte transnazionale, > intendiamo impegnarci per la costruzione di un’assemblea europea contro guerra > e genocidio. La guerra agisce ovunque ma non è un fatto locale. Come ha sottolineato un’operaia migrante intervenuta a Bologna, 210 licenziamenti minacciati alla Yoox sono stati anche l’effetto del calo dei consumi seguito all’invasione russa dell’Ucraina. Ma non è locale nemmeno la lotta: le grandi manifestazioni di Berlino, Madrid e Barcellona, le piazze francesi che hanno unito la solidarietà con la Palestina alla protesta contro le politiche di guerra e austerità, le occupazioni studentesche nei Paesi Bassi, gli scioperi e le mobilitazioni in Grecia e Polonia, insieme alle iniziative in Serbia e nell’Europa orientale contro la complicità dei governi nel commercio di armi e nelle politiche di riarmo, e alle proteste in Marocco, dove migliaia di giovani, lavoratrici e lavoratori si sono mobilitati contro corruzione e repressione, segnalano una insorgenza transnazionale. Pur diverse, queste esperienze indicano una volta di più l’urgenza politica di stabilire connessioni, di trasformare la solidarietà in organizzazione e di sincronizzare differenti momenti di opposizione politica alla guerra e al suo mondo. La copertina è di Stella Chirdo SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress si può donare sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo Nel movimento dello sciopero: esperienze, possibilità, prospettive proviene da DINAMOpress.
“NEL MOVIMENTO DELLO SCIOPERO”: A BOLOGNA NUOVA ASSEMBLEA DI RESET AGAINST THE WAR
Reset Against the War – la Rete per lo sciopero sociale transfemminista contro la guerra – si è data appuntamento a Bologna per una nuova giornata di discussione alla luce degli eventi e delle mobilitazioni delle ultime settimane in Italia. Sabato 11 ottobre, a Porta Pratello, per tutta la giornata si sono confrontati collettivi, organizzazioni e realtà sociali, di movimento e sindacali. “Abbiamo lanciato prima dell’estate una giornata di discussione”, scrive la Rete per lo sciopero Sociale Transfemminista contro la guerra – Reset Against the War – “a partire dall’evocazione della parola d’ordine dello sciopero sociale europeo contro la guerra e il riarmo. A distanza di mesi, la giornata si colloca oggi in una fase molto diversa: il movimento dello sciopero contro la guerra si è manifestato in Italia trovando nel rifiuto del genocidio a Gaza il suo innesco. Questo movimento ha mostrato la sua forza con le grandi giornate di blocco del 22 settembre e 3 ottobre e le decine di manifestazioni di massa che hanno attraversato numerose città, non solo in Italia, fino all’immenso corteo del 4 ottobre a Roma. Di fronte a questi eventi e alle possibilità impreviste che aprono, abbiamo ritenuto necessario ripensare il programma dell’11 ottobre. Mettiamo a disposizione la giornata per un momento di discussione/assemblea pubblica e aperta, per ragionare insieme su composizione, impatto e prospettive del movimento contro il genocidio e la guerra”. La plenaria mattutina ha affrontato la questione dello sciopero come prospettiva politica e come processo, alla luce delle giornate del 22 settembre e del 3 ottobre. Dopo gli interventi introduttivi, da segnalare, tra gli altri interventi di movimento, la presa di parola delle realtà sindacali che hanno animato le recenti giornate di sciopero, Cgil, Usb, Cobas, Cub, Clap. Tutti hanno sottolineato il fatto che lo sciopero ha superato tutte le organizzazioni sindacali che lo hanno chiamato, ora si tratta di “dare gambe a questo movimento” e mantenere la sua forza di opposizione sociale al governo Meloni, soprattutto alla luce della “finanziaria di guerra” che l’esecutivo si appresta a varare. Nel pomeriggio, la discussione è ripresa con una nuova assemblea plenaria intitolata “Percorsi di lotta e sciopero sociale europeo contro la guerra”. Da Bologna Elia, della redazione di Radio Onda d’Urto. Ascolta o scarica
Nel movimento dello sciopero: un invito alla discussione
RESET Against the War – Rete per lo sciopero sociale ecotransfemminista contro la guerra ha lanciato prima dell’estate una giornata di discussione per l’11 ottobre, a partire dall’evocazione della parola d’ordine dello sciopero sociale europeo contro la guerra e il riarmo. A distanza di mesi, la giornata si colloca oggi in una fase molto diversa: il movimento dello sciopero contro la guerra si è manifestato in Italia trovando nel rifiuto del genocidio a Gaza il suo innesco. Questo movimento ha mostrato la sua forza con le grandi giornate di blocco del 22 settembre e 3 ottobre e le decine di manifestazioni di massa che hanno attraversato numerose città, non solo in Italia, fino all’immenso corteo del 4 ottobre a Roma. Di fronte a questi eventi e alle possibilità impreviste che aprono, abbiamo ritenuto necessario ripensare il programma dell’11 ottobre. Mettiamo a disposizione la giornata per un momento di discussione/assemblea pubblica e aperta, per ragionare insieme su composizione, impatto e prospettive del movimento contro il genocidio e la guerra. Per dare spazio a questa discussione abbiamo riorganizzato la giornata. NUOVO PROGRAMMA DELLA GIORNATA DI DISCUSSIONE Ore 11: Presentazione RESET e discussione introduttiva RESET… per stare dentro il movimento contro il genocidio e la guerra: temi, organizzazione, prospettive Il percorso RESET nasce a settembre 2024 con l’obiettivo di elaborare discorsi e prospettive per opporsi collettivamente alla guerra, partendo dalla consapevolezza che questa oggi ridefinisce strutturalmente le condizioni di vita e lavoro, di sfruttamento e oppressione, e il quadro in cui prendono corpo le lotte di donne, migranti, operai, precari, studenti e persone LGBTQ+. L’obiettivo era superare i blocchi che negli anni scorsi hanno impedito la comunicazione politica necessaria a creare le condizioni per organizzare l’opposizione alla guerra, imporre la sua fine, fermare il genocidio, individuando nel processo dello sciopero una sfida e una possibilità. Ora che questo movimento è esploso in modo dirompente e a tratti imprevisto, siamo convinti e convinte che sia ancora più urgente trovare prospettive e linguaggi comuni in grado di alimentare la forza che abbiamo visto esprimersi nelle scorse settimane. In questa prima plenaria introduttiva vogliamo allora chiederci come costruire collettivamente un metodo, individuare delle priorità in grado di mantenere aperto quel processo di convergenza reale che si è dato nelle piazze in queste settimane, senza richiuderci in identitarismi e frammentazioni tra strutture organizzate, rendendo il confronto politico una parte viva del processo di mobilitazione, senza separarlo dalle pratiche di lotta e iniziativa. Ore 13.00: pranzo Ore 15: assemblea pubblica Percorsi di lotta e sciopero sociale europeo contro la guerra Le grandi giornate di lotta per Gaza e la Flotilla, in Italia, in Europa e nel mondo, hanno mostrato la forza di un movimento reale di rifiuto del genocidio e della guerra. Lo sciopero ha dato consistenza al blocco reclamato solo poche settimane fa dai portuali di Genova, travolgendo le tradizionali modalità di azione dei sindacati. Questo emergente movimento dello sciopero ha, in modi diversi, articolato un’ampia opposizione politica che dal genocidio si estende a ciò che la guerra impone. Lo sciopero per Gaza ha creato le condizioni affinché lotte frammentate ma diffuse trovassero una convergenza reale: quelle delle insegnanti contro il patriarcato, l’autoritarismo e il militarismo che danno forma ai programmi scolastici; quelle dei precari contro il modo in cui la guerra trasforma le condizioni della ricerca e dei suoi finanziamenti; quelle di lavoratrici e lavoratori che dalle fabbriche alla sanità non accettano di doversi sacrificare per il riarmo; quelle transfemministe e antirazziste che quotidianamente sfidano la violenza che la guerra legittima apertamente. Questa convergenza deve essere consolidata, allargata e approfondita sul piano tanto nazionale quanto transnazionale. Farci carico di questa sfida è necessario, perché questi giorni hanno dimostrato che lo sciopero può essere non solo una pratica di interruzione e blocco, ma anche un processo di organizzazione collettiva: un metodo per tenere insieme il rifiuto del genocidio, della guerra e la costruzione di un’alternativa. Con questa assemblea, aperta a singoli/e, reti collettivi e realtà organizzate, sindacati e delegate/i intendiamo discutere delle prospettive in campo a partire da alcune domande: Come gli scioperi di questi giorni hanno investito i luoghi di lavoro – dalle fabbriche alle scuole, dagli ospedali alle università – e che impatto hanno avuto sui  sindacati e i movimenti organizzati? In che modo lo sciopero è riuscito a unire il rifiuto del genocidio e l’opposizione ai tagli alla spesa pubblica e all’impoverimento dei salari causati dal riarmo? Che cosa è necessario fare per rendere possibile questo collegamento? In che modo il riarmo europeo sta ridefinendo la produzione industriale, la ricerca scientifica e tecnologica, la transizione ecologica e digitale? Che forme di conflitto possiamo costruire nei luoghi dove queste politiche si concretizzano – università, centri di ricerca, fabbriche, istituzioni pubbliche – per smascherarne la logica bellica e produttivista? Come queste diverse forme di conflitto possono continuare ad alimentarsi a vicenda tramite il processo dello sciopero? In che modo lo sciopero contro guerra e genocidio può unire pratiche, soggetti e percorsi diversi facendo comunicare le molte forme di opposizione alle politiche patriarcali, razziste, militariste e autoritarie in tutti i luoghi della produzione e riproduzione sociale? Come possiamo immaginare forme di sciopero a partire dal superamento divisione tradizionale tra mondo del lavoro e movimenti sociali, innovando schemi organizzativi per produrre convergenze reali tra lotte diverse? Il movimento dello sciopero, in forme e tempi diversi nei vari paesi – da Parigi a Barcellona, da Berlino a Amsterdam, da Istanbul a Londra – sta costringendo sindacati e strutture organizzate ad ascoltare la stessa urgenza: dare forza a un rifiuto collettivo della guerra e del genocidio. Come possiamo, da dentro questo movimento dello sciopero, rendere il carattere transnazionale delle mobilitazioni una forza organizzativa reale, capace di durare nel tempo attraversando confini nazionali e strutture sindacali? E come possiamo costruire connessioni con i contesti dove, invece, l’opposizione alla guerra non ha ancora trovato forme esplicite di espressione? Per aiutarci ad organizzare al meglio la giornata, iscriversi tramite questo FORM. Leggi qui lo Statement finale della due giorni organizzata dalla rete Reset Against the War lo scorso marzo a Roma. 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Stop Rearm Europe, 21 giugno a Roma
Pubblichiamo il contributo della rete RESET against the war, in vista della manifestazione del 21 giugno a Roma, che vuole essere uno spazio europeo di contestazione delle politiche belliciste e di riarmo in tutto il continente. La guerra incombe sulle nostre vite ormai da vari anni. Nelle prossime settimane assisteremo a un suo “salto di qualità” per quanto riguarda il coinvolgimento europeo: dal 21 al 29 giugno a L’Aja si svolgerà il vertice della NATO che deciderà i dettagli del piano da 800 miliardi per il riarmo deciso dall’Unione Europea. Tale evento si colloca in un contesto bellico eterogeneo, che non corrisponde alla semplice sommatoria dei molteplici scenari di guerra – Ucraina, Palestina, India e Pakistan, Sud Sudan e Congo – ma rappresenta una risposta generale alla crisi irreversibile dei meccanismi di comando del capitale sul lavoro vivo e sulla riproduzione sociale, su scala transnazionale. La guerra è un tentativo di “mettere ordine”, senza mai riuscirci del tutto, rispetto alle varie crisi che agiscono simultaneamente su vari livelli: ecologico, economico-finanziario, geopolitico, istituzionale e sociale. La folle corsa agli armamenti, che il piano vuole accelerare e finanziare, non ha semplicemente la funzione di preparare l’Unione Europea all’allargamento di uno scontro militare. Nel suo complesso, il piano ReArm Europe rappresenta infatti anche, e soprattutto, uno degli strumenti con cui saranno intensificate, su scala europea, politiche di disciplinamento sociale – tramite misure autoritarie come il d.l. Sicurezza, l’attacco ai corpi e alla vita delle retoriche e delle pratiche razziste e sessiste – e dinamiche di inasprimento dello sfruttamento, sottraendo risorse economiche alla riproduzione sociale e imponendo una coazione al lavoro, sempre più povero. Non si tratta quindi di un mero “riarmo”. Questo scenario di guerra ha reso per l’ennesima volta evidente come i diritti umani rappresentino oggi un mero strumento retorico che l’Unione europea ha continuato a sbandierare mentre consentiva che l’Italia facesse dell’Albania un centro di detenzione per persone migranti, stabiliva liste dei Paesi “terzi” sicuri in cui deportarle, continuava a fare accordi con lo Stato genocidario di Israele. I governi sovranisti, d’altronde, non sono stati da meno, promuovendo politiche esplicitamente neoautoritarie che hanno colpito direttamente l’involucro formale democratico: stato di diritto, pluralismo, libertà di informazione, separazione dei poteri. La una torsione autoritaria, tuttavia, riguarda tutti i governi europei, in forme diverse, anche i più “democratici”, e si incarna in misure razziste, patriarcali e in un militarismo che punta a imporre un presente di povertà, sfruttamento e a chiudere ogni spazio di opposizione e lotta. Come situarsi in questo contesto eterogeneo di guerra? Per noi non si tratta di essere per o contro l’Unione europea; non si tratta soltanto di registrare e criticare la fine della democrazia liberale, del costituzionalismo liberale cosmopolita. Non si tratta neanche di opporci alle sole politiche di riarmo. > Per noi è invece urgente fare dell’Europa lo spazio minimo di una politica > transnazionale che si opponga alla guerra e agli effetti sociali che essa > continua a produrre e riprodurre, costruendo una politica di parte in grado di > intrecciare le lotte sul lavoro, sul terreno ecologico, femministe e > trasfemministe, la cui frammentazione è oggi intensificata dalla guerra, che > impone fronti e blocchi che occorre rompere. Nonostante tale drammatica situazione, in Italia e nel resto del mondo, migliaia di persone continuano a mobilitarsi contro la guerra in tutte le sue forme, contro la complicità delle istituzioni statali e sovranazionali, a partire dalle mobilitazioni femministe e transfemministe, che per prime hanno legato l’opposizione alla guerra alla lotta contro il patriarcato, contro il razzismo, contro lo sfruttamento e la devastazione ambientale. Queste mobilitazioni mostrano la presenza, all’interno della società, di un sentimento di repulsione e rifiuto della guerra. Tuttavia, più in generale il piano della mobilitazione rimane parziale e frammentato. Non riesce ad andare al di là di un intervento su una singola questione o su un singolo scenario di guerra, restando spesso bloccata su posizioni campiste. Manca un’ipotesi comune che sia in grado di legare e articolare un’opposizione generale alla guerra, intesa come meccanismo globale di comando sul lavoro e sulle vite, che superi i singoli scenari di guerra e le letture geopolitiche, e che sia invece capace di far convergere i differenti soggetti che pagano le sue conseguenze: operai, precarie, migranti, donne e soggetti LGBTQAI+. Insomma, è sempre più urgente aprire uno spazio di organizzazione in grado di connettere chi oggi lotta contro il razzismo, il sessismo, la devastazione ambientale, la precarietà. Uno spazio in grado di fare del piano transnazionale ed europeo un piano di contesa e di scontro che, al rifiuto dell’Europa del riarmo, non contrapponga la dimensione nazionale coi suoi confini, ma un piano di convergenza delle lotte tra chi si sta opponendo alla guerra a livello europeo e transnazionale. Foto di Andrea Tedone, Corteo Contro la Base a Coltano (Pisa) giugno 2022 Per questi motivi pensiamo che la mobilitazione di sabato 21 giugno, lanciata dalla rete STOP REARM EUROPE, possa essere un momento importante di mobilitazione e presa di parola per continuare a elaborare la nostra posizione di parte contro la guerra, e per continuare a elaborare e diffondere le parole, i concetti e le pratiche contro la guerra, che sono state al centro della prima residenza di RESET. Vogliamo stare dentro a quel percorso a partire dalla nostra posizione di parte, una posizione che mette al centro i soggetti sociali colpiti dalla guerra nelle loro condizioni eterogenee, da connettere in chiave transnazionale nella prospettiva di un nuovo internazionalismo non identitario e non bellicista: rifiutiamo la logica bellica e campista del nemico, secondo la quale il nemico del mio nemico è mio amico. Ancora, pensiamo che rivendicare il solo disarmo o invitare alla diserzione non siano opzioni sufficienti. Vogliamo portare queste e altre prospettive dentro a STOP REARM e dentro alla piazza del 21 giugno. Saremo in quella piazza perché pensiamo che il percorso che porta a quella giornata possa offrire un’occasione alla costruzione di un’opposizione sociale di cui abbiamo un impellente bisogno. È in questa prospettiva che invitiamo a un confronto tutte le realtà collettive, gli spazi sociali, le organizzazioni sindacali, le collettive transfemministe, i singoli e le singole interessate a costruire uno spazio di lotta e convergenza che possa animare la giornata del 21 giugno, giovedì 5 giugno presso l’AULA VI del Dipartimento di Lettere presso l’Università La Sapienza alle 18.00. Contro la guerra, verso e oltre il 21 giugno. Rearm? No, Reset! Immagine di copertina di Renato Ferrantini, corteo contro la guerra a Roma, novembre 2022 SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress abbiamo attivato una nuova raccolta fondi diretta. Vi chiediamo di donare tramite paypal direttamente sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo Stop Rearm Europe, 21 giugno a Roma proviene da DINAMOpress.