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Aumentano i chirurghi pediatrici in Uganda
Entebbe (Uganda), 17 set. – Chirurghi che fanno crescere l’Africa. Capaci di renderla più forte e più in salute, grazie a un impegno comune che permette la condivisione di esperienze e competenze. “Qui in Uganda nel 2012 c’era un solo chirurgo pediatrico, mentre adesso sono in 12” calcola Giacomo Menaldo, direttore nazionale di Emergency, già al lavoro in aree di crisi e conflitto come l’Afghanistan e l’Iraq. Alle spalle i mattoni di terra cruda del Centro pediatrico di Entebbe, disegnato dall’architetto Renzo Piano e aperto dall’ong italiana nel 2021, aggiunge: “Noi ovviamente speriamo che presto siano 20, 30 o 50 certificati, con un approccio panafricano che garantisca l’eccellenza della formazione insieme con un alto livello di competenze e la qualità delle cure”. I chirurghi, in arrivo non solo dall’Uganda ma anche dall’Etiopia o dal Sudan, li incontriamo nelle corsie e nei reparti del Centro pediatrico. “Questo ospedale è divenuto parte della rete del Cosecsa, il Collegio dei chirurghi dell’Africa centrale, orientale e meridionale” spiega Menaldo: “Un risultato raggiunto negli ultimi due anni, grazie alla collaborazione con il Mulago Hospital, che nella capitale Kampala è un fiore all’occhiello”. Istituto nel 1999, il Collegio ha stabilito la propria base ad Arusha, in Tanzania. Si propone di alzare lo standard professionale, garantendo livelli uniformi tra i Paesi del continente. Il training riguarda le diverse branche del settore, dalla chirurgia pediatrica a quella ortopedica, dalla cardiochirurgia alla neurochirurgia. La cura dei bambini, in particolare nei casi di malformazioni congenite, ha un valore particolare: secondo le statistiche internazionali, l’età media della popolazione supera di poco i 19 anni. “Qui da noi arrivano fellow e studenti che, in un percorso di specializzazione triennale, si fermano da noi per tre mesi” riprende Menaldo. “I nostri punti di forza sono la chirurgia addominale, quella urologica e quella plastica”. Di formazione parliamo anche al Mulago Hospital, all’ultimo piano di un grattacielo, mentre gli alberi nel cortile sono sferzati da un temporale tropicale. Ci accoglie il vice-direttore della struttura, John Sekabira, esperto e figura di riferimento: fino a poco più di dieci anni fa era proprio lui l’unico chirurgo pediatrico dell’Uganda. “Gli specializzandi devono poter imparare nei nostri Paesi e non essere costretti ad andare lontano, magari nel Regno Unito o in Sudafrica come è capitato a me” sottolinea il dottore. “Il rischio è che poi restino all’estero, mentre qui ci sono tanti bisogni e servono specialisti e professionalità: solo in questi padiglioni abbiamo 1.700 posti letto”. Buone notizie stanno arrivando anche grazie a una collaborazione tra Cosecsa e Kids Operating Room, un’organizzazione internazionale che si è impegnata per la chirurgia pediatrica a partire dal 2018, con un primo progetto proprio a Kampala, realizzato insieme a Sekabira. Programmi di tirocinio hanno coinvolto Paesi che non hanno mai avuto specialisti, come il Burundi: i suoi primi chirurghi generali che si stanno specializzando in pediatria si chiamano Alliance Niyukuri e Carlos Nsengiyumva.     Redazione Italia
Roma rompe con la compagnia idrica israeliana Mekorot. La bandiera palestinese sventola sul Campidoglio
Oggi l’Assemblea Capitolina ha approvato la sospensione degli accordi tra Acea e Mekorot, la compagnia idrica israeliana accusata da Amnesty International di violazioni sistematiche del diritto internazionale e delle risoluzioni ONU. Un risultato storico, frutto di una battaglia che Sinistra Civica Ecologista porta avanti sin dall’inizio, insieme ai comitati, alle associazioni e alle piazze che in tutta Italia si mobilitano per Gaza. Grazie al lavoro unitario della coalizione che governa Roma, grazie anche alle forze di minoranza che hanno votato a favore di questa mozione, oggi il Campidoglio ha scelto da che parte stare: quella della solidarietà con il popolo palestinese, della giustizia e della dignità umana. Non può esserci collaborazione con chi si rende complice di un genocidio. Roma ha deciso di rompere il silenzio e le complicità. La bandiera palestinese è stata esposta in Campidoglio e con essa, la scelta chiara di una città che vuole pace, giustizia e rispetto del diritto internazionale. Sinistra Civica Ecologista Roma   Redazione Roma
Una grande famiglia multietnica
Se ne parla ancora – troppo – poco, ma per accogliere i minori stranieri non accompagnati non ci sono solo le comunità. Esiste anche l’affido familiare, che, secondo l’ultimo rapporto del ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali sui minori stranieri non accompagnati presenti in Italia, riguardava al 30 giugno 2025 il 20,3% dei ragazzi migranti soli, per la maggior parte ucraini. Il report sui minori fuori famiglia, invece, al 31 dicembre 2023 contava 953 minori stranieri non accompagnati in affido familiare, pari a circa il 6% dei minori in affido, contro 7.706 Msna accolti in un servizio residenziale. Il calore di una famiglia, per un ragazzo, è sicuramente un’opportunità in più: permette una maggiore inclusione e un percorso più seguito verso l’autonomia. Ma si tratta di un’occasione di crescita anche per chi accoglie, come testimonia la storia di Federico Maria Savia e di sua moglie Alice, che hanno avviato una famiglia-comunità a Piobesi Torinese. Quanti minori stranieri non accompagnati avete avuto in affido? Ne ho avuti 14, insieme a mia moglie. Attualmente sono cinque, perché dal 2000 siamo una famiglia comunità. C’è anche un ragazzo di 22 anni che tecnicamente è un “ex affido” ma che continua a vivere con noi: è arrivato a 11 anni dall’Egitto, ha fatto un bel percorso, è diventato maggiorenne da noi e ha deciso di rimanere. Ora sta costruendo la sua autonomia: si è legato alla nostra famiglia ma anche al territorio. Di fatto ci aiuta: è diventato una specie di mediatore anche con i più piccoli. Tre dei cinque ragazzi che ora vivono con noi, infatti, sono egiziani. E gli altri due? Uno gambiano e uno albanese. Siamo otto in casa. In più, c’è una educatrice della cooperativa Terremondo, che è la proprietaria dell’immobile in cui viviamo. Ci dà una mano nelle commissioni quotidiane e nella gestione dei ragazzi. Come avete deciso di dedicarvi all’affido di minori stranieri non accompagnati? Siamo sposati dal 2004 – sono 21 anni – ma i figli non sono arrivati. Non ci siamo disperati, è andata così. Da sempre siamo stati attivi nel volontariato, nello scoutismo, i ragazzi in giro per casa non mancavano… siamo sempre stati sereni su questo. Nel 2015, siamo rimasti molto colpiti dalla storia di Alan Kurdi (il bimbo siriano il cui corpo senza vita è stato ritratto in un’iconica foto che è diventata simbolo delle stragi in mare, ndr). Abbiamo visto che c’erano tanti minori che mettevano a rischio la propria vita in questi viaggi. All’epoca abitavamo a Collegno, vicino a Torino, avevamo una camera in più per il figlio che non è arrivato e che mia moglie usava come laboratorio. Ci siamo detti: «Usiamo questo spazio per dare accoglienza». Siamo credenti, quindi abbiamo segnalato la nostra disponibilità a Sergio Durando, il direttore della Pastorale dei Migranti di Torino. Che ha rilanciato proponendoci l’affido. E voi? Siamo rimasti inizialmente un po’ spiazzati, ma poi abbiamo detto «ci siamo». Il primo affido è stato di un ragazzo di 16 anni, albanese, che era stato letteralmente sbattuto fuori da una comunità per minori di Torino perché aveva creato problemi. Viveva per strada. L’abbiamo accolto con qualche timore, perché avevamo un po’ di pregiudizi. Invece è andata bene: con noi il ragazzo è rifiorito, ha ripreso serenità. Così ci hanno chiesto di continuare con un secondo affido. In questo caso è arrivato Amir, il giovane egiziano che è ancora con noi: era il 2016. Poi la decisione di diventare famiglia-comunità. Con la cooperativa Terremondo e con Asai, un’associazione torinese che fa animazione interculturale, i servizi per i ragazzi stranieri e l’Ufficio migranti abbiamo cercato una casa più grande. L’abbiamo trovata a Piobesi Torinese. Alla casa abbiamo dato il nome di “Casa Aylan”, proprio perché siamo partiti toccati dalla vicenda di Alan Kurdi. La presenza dell’educatore è arrivata grazie al contributo della Fondazione de Agostini. Nel 2019 ci siamo trasferiti. Il primo ragazzo era diventato maggiorenne e ha deciso di rimanere a Torino, aveva già un lavoro. Continuate a sentire i ragazzi che sono stati con voi? Certo. Abbiamo incrociato tante storie diverse. Ci sono stati degli affidi di minori migranti che arrivavano dal viaggio in mare, oppure ragazzi albanesi che hanno fatto viaggi più sicuri. Per un breve periodo abbiamo avuto anche degli adolescenti afghani che arrivavano dalla rotta balcanica e che sono stati trovati su un camion in tangenziale mentre cercavano di passare in Francia. A casa con noi ci sono stati anche dei ragazzi sudanesi tramite il progetto “Pagella in tasca”, di Intersos e Caritas Italiana, dei corridoi umanitari che sono stati attivi per un po’, per portare in Italia dei ragazzi dai campi profughi in Niger. Quali emozioni vi guidano in questa esperienza? Per noi è una missione. Io sono medico, anche mia moglie lavora. Esprimiamo così la nostra genitorialità: non abbiamo avuto figli nostri e ci siamo ritrovati a essere mamma e papà di adolescenti maschi stranieri tra i 12 e i 20 anni. Lo facciamo anche come scelta politica, per dare testimonianza. Ci piace l’idea di sensibilizzare sull’affido, non solo degli stranieri, ma anche degli italiani. È un’esperienza bellissima e ci sono tante coppie che potrebbero “lanciarsi”. Qual è il vostro rapporto con le famiglie di origine dei ragazzi? Se le famiglie ci sono – alcuni sono orfani o i genitori non ci sono – è un rapporto molto sereno. Sono riconoscenti verso di noi; abbiamo avuto dei contatti, siamo andati in Albania e in Egitto a conoscere le famiglie di alcuni ragazzi, abbiamo ricevuto bellissime accoglienze da parte delle mamme e dei papà che ci manifestavano la loro gratitudine come potevano. In questo senso forse con i Msna è più facile rispetto all’affido di minori italiani che vengono da situazioni familiari complesse. Chiaro è però che bisogna avere la voglia di confrontarsi con una cultura diversa, avere la predisposizione all’accoglienza. Ci sono state situazioni in cui avete avuto delle difficoltà? Senz’altro. Ci sono difficoltà logistiche ma le abbiamo sempre affrontate bene, quindi non sono mai state un peso. Parlo dei documenti, delle iscrizioni a scuola, del rapporto con i tutori. Le complicazioni ci sono, ma sono tutte affrontabili grazie ai servizi che ci sostengono. Abbiamo fatto fatica con alcuni ragazzi, uno degli adolescenti sudanesi in particolare che era arrivato con dei traumi dalla Libia, manie di persecuzione che gli impedivano di stare sereno in comunità o con noi. Aveva paura di tutto, accusava gli altri, aveva creato un clima molto teso. Abbiamo cercato supporto psicologico e psichiatrico. Poi è diventato maggiorenne e ha chiesto l’autonomia. Ora ci sentiamo, ci scriviamo, ci vediamo, ci viene anche a trovare. Ma finché era in casa è stato complicato. Lei ritiene che l’affido sia il modo migliore di accogliere i minori stranieri soli. Come mai? Innanzitutto perché lo dice la Legge Zampa: la prima scelta dovrebbe essere l’affido familiare. Poi, perché l’abbiamo visto nella nostra esperienza: abbiamo conosciuto ottime comunità, ma anche realtà che fanno fatica a causa dei numeri elevati di ragazzi. La famiglia è un ambiente più piccolo, dove il ragazzo è tenuto maggiormente sotto controllo, in senso positivo. Non solo lo si gestisce meglio, ma si riesce a fare un percorso che lo porta ad avere un’autonomia maggiore; in più, spesso i ragazzi chiedono di restare fino ai 21 anni in famiglia riuscendo a prendere un diploma o una qualifica. Un ultimo elemento è che c’è un’inclusione maggiore: i minori in affido sono venuti con noi a delle funzioni religiose cristiane, noi siamo andati con loro ad altre funzioni musulmane. Vivono una vita più normale e vengono coinvolti nelle dinamiche di una famiglia, di una comunità, di un territorio. Redazione Italia
“Fornelli Resistenti” sulla Piazza del Mondo a Trieste
Sale forte il profumo delle spezie nella cucina dell’oratorio di Villa Fastiggi di Pesaro. Profumi forti, decisi, figli di un lungo confronto fra il nostro “chef” Giacomo e i ragazzi della piazza della stazione di Trieste, rinominata da chi la vive ogni giorno Piazza del Mondo. Masala Bombay, pasta di zanzero, fiocchi di peperoncino rosso, foglie di coriandolo tritate finemente, peperoncini verdi, cardamomo verde, piccoli bastoncini di cannella, anice stellato, sono alcune spezie utilizzate nella realizzazione del Chicken Biryani. Un piatto a base di riso che viene da lontano, come da lontano arrivano i tanti ragazzi, ragazze e famiglie che incontriamo in quella che ha come nome ufficiale piazza della Libertà. Siamo al terzo viaggio. Siamo i Fornelli Resistenti di Pesaro. Tutte le sere in questa piazza di Trieste associazioni, volontari, liberi cittadini distribuiscono pasti alle tante persone che arrivano in Europa dalla ormai tristemente nota Rotta balcanica. Non solo, distribuiscono pasti anche a chi non è ancora entrato nel circuito dell’accoglienza istituzionale e vive in alloggi fatiscenti situati in questa bellissima città. Il venerdì pomeriggio si cucina, il sabato mattina presto si parte caricando tutto l’occorrente nel pulmino noleggiato. Cinque ore di viaggio passando per Bologna, Padova e via fino a Trieste. Il viaggio è già di per sé un lungo momento di socialità. Una società civile che ha bisogno di trovare risposte di fronte a un mondo spesso distratto e autoreferenziale. Per noi Trieste è la porta di casa, della nostra Europa, ci sentiamo quindi responsabili e soprattutto vogliamo prenderci cura di chi affronta lunghi e spesso atroci viaggi sperando in una vita migliore. Non possiamo più voltarci dall’altra parte. Affianchiamo in piazza Linea d’ombra, l’associazione creata da Lorena Fornasir e Gian Andrea Franchi, che per primi, anni fa, cominciarono a curare le tante persone che arrivavano in città. La cura dei loro piedi stanchi, delle loro mani, un gesto che ci ha chiamato in causa perché estremamente concreto, diretto, umile. Prostrarsi ai piedi è anche un gesto spirituale. Arrivati a destinazione veniamo ospitati da un piccolo convento adiacente la piazza, ci offrono anche la possibilità di riscaldare le pietanze. Un pasto caldo equivale a una carezza, soprattutto nei mesi di bora invernale. Alle 19 ricarichiamo il pulmino e ci avviamo verso la distribuzione. Ad attenderci in piazza, sulla destra del monumento dedicato all’ex imperatrice Elisabetta d’Austria, ci attendono in piedi i nuovi arrivati, saranno i primi a ricevere conforto e cibo. A dirigere questa “orchestra” di umanità scandendo i tempi della distribuzione ci sono ragazzi che chiamiamo i figli della piazza. Arrivati dalla rotta tempo fa e che oggi vivono, lavorano a Trieste e si mettono a disposizione dei loro fratelli per aiutarli, rinfrancarli e suggerirgli i prossimi passi per vivere in questo pezzo di mondo. Un’orchestra di umanità dove i Fornelli Resistenti sono parte essenziale. Per due sere la nostra presenza si fa carne, distribuiamo quasi cento pasti a sera ma soprattutto incrociamo sguardi che ci interrogano ogni volta. Che mondo vogliamo? Se fossero figli nostri? Come è possibile nella nostra Europa opulenta sentirsi dire “ho fame”? Il viaggio si trasforma sempre in tanti punti interrogativi ai quali non sappiamo rispondere, convinti che ogni essere umano sia alla ricerca di un po’ di pane, di affetto e di sentirsi a casa da qualche parte. Lele, Claudia e tutti i Fornelli (dalla newsletter di Famiglie Accoglienti) Redazione Italia
La Scozia sospende i finanziamenti ai produttori di armi che riforniscono Israele
Mercoledì 3 settembre il Primo Ministro scozzese John Swinney ha annunciato che il suo governo ha sospeso i finanziamenti alle industrie belliche che vendono armi a Israele, ordinando che la bandiera palestinese fosse issata sugli edifici governativi scozzesi. Swinney ha fatto l’annuncio mentre i membri del Parlamento scozzese votavano 65 a 24 per riconoscere lo Stato di Palestina, esortando il governo britannico a seguire il loro esempio. “Di fronte al genocidio non si può continuare come se nulla fosse. Sospenderemo l’assegnazione di nuovi fondi pubblici alle aziende belliche che forniscono armi o servizi a Paesi in cui esistono prove plausibili che si stia commettendo un genocidio. E questo comprende Israele” ha dichiarato il Primo Ministro John Swinney. Democracy Now!
Formalizzato il gemellaggio tra Riace e Gaza
Riportiamo dalla pagina Facebook di Mimmo Lucano il suo intervento e i commenti di Pino Carella e Luigi De Magistris sull’emozionante cerimonia svoltasi ieri, 5 agosto, per siglare il gemellaggio tra Riace e Gaza. Mimmo Lucano, sindaco di Riace Le ragioni, umane e politiche, che mi hanno spinto a formalizzare il legame della comunità riacese con Gaza, non si limitano alle circostanze del momento attuale, alla sola necessità di esprimere con ogni mezzo, morale e materiale, sostegno e solidarietà al popolo di Palestina, stretto nella morsa dei due imperialismi congiunti di Stati Uniti e Israele. Il 5 agosto, a quasi due anni dall’inizio di quello che vigliaccamente si continua a chiamare conflitto israelo-palestinese, ma che è invero il proseguimento tragico di decenni di oppressione, di esodi forzati, di negazione sistematica dell’identità di un intero popolo, istituiamo un atto che non è e non vuole essere solo simbolico. Con il gemellaggio tra Riace e Gaza, intendo far risuonare ovunque il senso autentico della mia intenzione politica, cioè generare processi di liberazione, di riscatto e autodeterminazione, e riabilitare la giustizia, perché non sia ridotta e isterilita in ordinamenti e norme, ma strumento per una libertà riconquistata e riconosciuta. Riace, che ha avuto il coraggio d’incarnare l’utopia dell’uguaglianza, si dichiara testimone del massacro delle decine di migliaia di vittime palestinesi, prende parte al loro dolore, accoglie la sfida di restare umani, usando le parole, che facciamo nostre, di Vittorio Arrigoni. Nel 2010 fummo l’unico Comune ad accogliere l’appello della Farnesina ad ospitare i profughi palestinesi rimasti senza protezione dopo la caduta del regime di Saddam Hussein in Iraq.  Li accogliemmo con un applauso. Con noi c’era, quasi per una coincidenza, il regista tedesco Wim Wenders, che anche in quell’occasione usò, come sua consuetudine, la cinepresa come mezzo di espressione artistica, capace di cambiare la prospettiva sul mondo. Quel mondo spaccato nel mezzo di Berlino, da un Occidente che oggi guarda a Israele con complicità, che tenta in ogni modo di mistificare lo sterminio, qui ha dovuto arretrare. Qui vogliamo scrivere un’altra storia, come già è successo. Dall’arrivo dei nostri compagni curdi, questo luogo rimosso del meridione d’Italia, inghiottito da politiche discriminatorie, umiliato dallo strapotere mafioso, costretto ad accettare un destino di oblio, ha trovato accanto ai perseguitati della Terra il suo legame profondo, il filo rosso che ci ricongiunge nella lotta. Ieri sera, nell’ambito di un evento organizzato da riacesi, in collaborazione con l’antropologo calabrese Vito Teti, abbiamo ricordato il documentario “In Calabria” di Vittorio De Seta. Voglio concludere il mio intervento citando le sue parole, lucide e poetiche, a proposito dell’anima calabrese: “L’anima calabrese ha un’impronta orientale. Qui, cinque secoli fa, quando il loro Paese fu invaso dai Turchi, arrivarono anche gli Albanesi. Per quanto abbiano sempre dimostrato un forte attaccamento alle tradizioni, e abbiano mantenuto gelosamente la loro lingua, i costumi, il rito greco-ortodosso, hanno convissuto pacificamente con gli abitanti del posto.   Quando nessuno soffia sul fuoco delle differenze tra i popoli, la gente semplice è portata a vivere in pace“. Pino Carella: Gaza e Riace: un gemellaggio di cuori, mani e memoria Tra i vicoli antichi di Riace, dove il vento sa ancora raccontare storie di accoglienza e speranza, un abbraccio ha attraversato il Mediterraneo. È l’abbraccio tra un borgo che ha fatto dell’umanità una bandiera e una terra martoriata, Gaza, che continua a gridare al mondo la sua sete di pace e dignità. È qui, nel cuore della Calabria, che è stato siglato un patto che va oltre i confini della geografia: un gemellaggio dell’anima tra Riace e Gaza. Un legame scolpito nella pietra viva della solidarietà, e dipinto nel colore acceso di un murales che racconta una stretta di mano forte, intensa, eterna. A rappresentare Gaza, Lana Alhaddad, giovane donna che porta nel corpo e nello sguardo le ferite della sua terra. Una sopravvissuta, sì, ma anche un simbolo di resistenza, una voce limpida che parla per chi non può più parlare. Lana ha firmato quel patto al posto del sindaco di Gaza, presente solo con la voce in un collegamento video, perché a Gaza anche un semplice viaggio è un sogno infranto. Accanto a lei, il Sindaco di Riace, Mimmo Lucano, con la sua visione limpida, continua a difendere un’idea semplice e rivoluzionaria: che l’umanità viene prima dei confini, prima delle leggi fredde, prima del silenzio complice. Il murales che oggi colora il borgo è più di un’opera: è memoria e futuro intrecciati, è la narrazione visiva di due mondi lontani che si scoprono fratelli nel dolore e nella speranza. Le mani di Gaza e Riace si stringono sopra macerie, sopra onde di esilio, sopra lacrime che non chiedono vendetta, ma ascolto. Gaza, con le sue case distrutte e i suoi bambini dagli occhi profondi, ha trovato in Riace una finestra aperta, un luogo dove la tragedia non viene consumata nel silenzio, ma accolta e trasformata in gesto, in parola, in arte. Questo gemellaggio è un atto d’amore coraggioso, un richiamo al mondo distratto, un segnale che da un piccolo borgo può ancora nascere una luce. Perché dove c’è chi tende la mano, anche la sofferenza più grande trova riparo. E allora, che il nome di Lana diventi eco. Che la sua storia diventi canto. Che la sua firma resti incisa nel tempo come promessa: mai più soli, mai più dimenticati. Gaza e Riace, unite nel dolore, nella dignità, nella speranza. Luigi De Magistris Ieri sera ho assistito presso il consiglio comunale del Comune di Riace all’approvazione del gemellaggio Gaza-Riace. Potente e bellissima iniziativa voluta dal mio amico Mimmo Lucano, sindaco di Riace. Commovente, poi, il collegamento video con il sindaco di Gaza. L’umanità può ancora salvare il mondo. Viva la resistenza palestinese fino alla vittoria. Palestina libera, stop genocidio       Redazione Italia
Il Tribunale di Agrigento sospende il fermo amministrativo della nave Aurora
Ieri il Tribunale di Agrigento ha sospeso il fermo amministrativo che da 18 giorni teneva la nostra nave veloce Aurora bloccata in porto. Le motivazioni del giudice ribadiscono l’ovvio: 1) Il capitano ha rispettato il diritto internazionale, portando al sicuro 70 persone; 2) Bloccare Aurora in un periodo dagli intensi flussi migratori, come quello estivo, è un atto volto a ostacolarci nel salvare vite in mare. Un altro colpo per la folle Legge Piantedosi, che rimane una trovata populista e disumana le cui conseguenze ricadono solo e soltanto sulle migliaia di persone che ogni giorno rischiano la vita a sud delle nostre coste. Sea Watch
Genova, nuova vittoria dei portuali: nessuno sbarco per la nave carica di armamenti
Mobilitazione per la Palestina e contro la logistica delle armi. A Genova questa mattina i portuali del collettivo Calp, insieme al sindacato Usb, hanno annunciato che tre container contenenti materiale bellico, destinati a La Spezia e trasportati dalla nave Cosco Pisces, non verranno sbarcati né a Genova né a La Spezia. La compagnia Evergreen ha deciso di farli rientrare direttamente verso l’Estremo Oriente, dove erano stati inizialmente caricati. La decisione segue le ampie proteste portate avanti dai lavoratori portuali in questi mesi presso gli scali liguri: “Questa decisione rappresenta un risultato concreto dell’azione sindacale e della pressione esercitata da USB, che aveva proclamato 24 ore di astensione dal lavoro per il 5 agosto al terminal PSA Genova Prà”, scrivono i Calp che ribadiscono con forza: “Non lavoreremo per la guerra“. Redazione Italia
Gemellaggio tra Riace e Gaza: un patto di solidarietà e memoria
Martedì 5 agosto alle ore 19, a Riace si terrà una cerimonia dal profondo valore simbolico e umano: la firma del gemellaggio tra il Comune di Riace e la città di Gaza. A sottoscrivere il patto sarà il sindaco di Riace. Per Gaza, impossibilitata a partecipare ufficialmente a causa della situazione umanitaria e politica drammatica in corso, firmerà una cittadina palestinese la cui storia incarna il dolore, la resistenza e il coraggio del popolo palestinese. Questa donna ha perso tutta la sua famiglia durante una delle più violente aggressioni israeliane su Gaza. Il figlio maggiore è stato ucciso insieme ad altri familiari, il marito è rimasto gravemente ferito. Quel giorno, mentre la morte devastava la sua casa, lei dava alla luce una bambina: la figlia è nata nello stesso momento in cui il fratello veniva ucciso. Oggi è in Italia per curare proprio quella bambina, sopravvissuta come lei al massacro. La sua presenza a Riace, luogo simbolo di accoglienza e resistenza civile, è un atto che va oltre la rappresentanza formale: è un gesto potente di memoria e dignità, una testimonianza vivente della brutalità della guerra e della forza inarrestabile della vita. Il gemellaggio tra Riace e Gaza nasce come un legame tra comunità che condividono, seppur in forme diverse, la fatica e la bellezza di restare umani. È un grido che attraversa i confini e le macerie, un messaggio di pace che si oppone al silenzio e all’indifferenza. Con questa firma, Riace rinnova il suo impegno: essere terra di solidarietà attiva, di fraternità concreta, di speranza possibile. Fonte: https://www.facebook.com/domenico.lucano.1   Redazione Italia
La Colombia non sarà più partner globale della Nato
L’annuncio è stato dato direttamente dal presidente colombiano Gustavo Petro, durante il vertice internazionale su Gaza che si è tenuto al Ministero degli Esteri a Bogotà. “Dobbiamo uscire dalla Nato, non c’è altra via. E il rapporto con l’Europa non può continuare con governi che tradiscono il proprio popolo e stanno aiutando a sganciare bombe. Il carbone colombiano non può trasformarsi in morte a Gaza, non può diventare una bomba israeliana per uccidere bambini: potranno aumentare i dazi o fare quello che vogliono. Ci aiuteranno altri popoli”. Rivolgendosi poi al Vecchio Continente Petro ha continuato: “Dobbiamo creare un esercito della luce con tutti i popoli del mondo che lo desiderano e dobbiamo dire all’Europa che, se vuole stare con l’America Latina o con l’Africa, deve smettere di sostenere chi commette crimini contro l’umanità, deve smettere di aiutare i nazisti. Il popolo americano deve aprire gli occhi, deve smettere di sostenere chi massacra innocenti. Che cosa ci facciamo nella Nato? Non è venuta l’ora di uscire? Come possiamo stare con eserciti che tirano bombe sui bambini?”, ha aggiunto Petro accusando i “principali leader” dell’Alleanza Atlantica di “essere complici del genocidio”. Il legame fra la Colombia e la Nato risale al 2017, quando il Paese diventò “partner globale” dell’Alleanza atlantica: è l’unico Stato dell’America Latina ad aver ottenuto questo status. Fonti: https://www.semana.com/ https://ottolinatv.it/ https://www.facebook.com/sognidiunuomonostracivilta Redazione Italia