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La vicenda di Maha, architetta di Gaza: una vittoria della stampa e del diritto umanitario
Abbiamo parlato diverse volte di studentesse e studenti a Gaza sotto le bombe e oggi sotto tende che spesso galleggiano per le bombe d’acqua che in questa stagione imperversano anche da quelle parti. Questa volta dobbiamo registrare un granello di positività in tanta distruzione scellerata che è riuscito ad inceppare il cinismo della macchina burocratica che gestisce gli ingressi nella “Fortezza-Europa”: parliamo della vicenda di Maha, architetta a Gaza che grazie alla mobilitazione di giornalisti, avvocati e solidali ha avuto la conclusione che tutti speravano. Maha ora è in Italia per usufruire legittimamente della borsa di studio IUPALS presso Università degli Studi Roma TRE, in compagnia del figlio che in un primo momento, per le pastoie burocratiche che non hanno né occhi né cuore, sarebbe dovuto rimanere in Palestina col padre. La Conferenza dei rettori delle università italiane (CRUI) il 7 maggio 2025 dà notizia sul suo sito del progetto di borse di studio IUPALS destinate espressamente a studenti e studentesse palestinesi, elencando tutte le paradossali peripezie da seguire per ottenerle e il 27 ottobre, vista la situazione di 10 su 150  che esprimevano la volontà di non lasciare all’inferno i loro familiari, decide di ricorrere al burocratese per riaffermare che il cinismo non conosce eccezioni: (…) si ricorda che il Progetto IUPALS, per cui è attivata l’evacuazione da Gaza con l’assistenza del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, prevede esclusivamente borse di studio deliberate e gestite dagli atenei aderenti e non si occupa di ricongiungimenti familiari. Come segnalato dalle autorità competenti, gli interessati potranno attivare le richieste di ricongiungimento familiare una volta regolarizzata la propria posizione in Italia con permesso di soggiorno e presentando domanda presso le Prefetture del luogo di residenza (…). Per un governo che appoggia da sempre il governo sionista di Tel Aviv sia politicamente – anche attraverso “minacce di legge” come il DDL Gasparri che di fatto equipara l’antisionismo e la critica ad Israele all’antisemitismo o l’assenza assoluta di sanzioni – che sul piano commerciale, il via libera al visto congiunto madre-figlio appare il minimo sindacale. Trascriviamo qui l’ultima lettera da cui traspare, al tempo stesso, la gioia infinita di stare col proprio figlio al sicuro e l’angoscia per il marito che rimane in quella prigione a cielo aperto e ora rasa al suolo che è Gaza: Si può dire che dopo più di un mese dalla prima telefonata dell’ambasciata, in cui mi è stato comunicato che mi sarebbe stato permesso di viaggiare da sola, senza mio figlio, mi sono rifiutata di accettare questa situazione. Sapevo di avere pieno diritto alla borsa di studio che mi ero guadagnato con grande impegno, frutto di molti anni di studio, lavoro e risultati continui. Così ho contattato l’ambasciata, diversi avvocati e numerosi giornalisti che lavorano per diversi media. È stato solo un mese, ma mi è sembrato un anno: ogni giorno era una battaglia, una vera e propria guerra all’interno di Gaza e una seconda guerra con il mondo esterno per sostenermi. Diversi avvocati e giornalisti, e anche l’università, hanno gentilmente creduto nel mio caso e mi hanno sostenuta. Senza la loro fiducia, non sarei arrivata a questo punto. Mi hanno fornito consulenza legale, supporto tecnico e mi hanno aiutata a diffondere i miei articoli al più ampio pubblico possibile. Tutti questi sforzi hanno portato l’ambasciata italiana ad accettare la mia richiesta di viaggiare con mio figlio. Sono stata informata dell’approvazione solo pochi giorni prima del viaggio e il volo è stato confermato solo 36 ore prima. Gli ultimi giorni mi sono sembrati un sogno. Sono molto felice di questo risultato, ma la mia felicità è mista a preoccupazione, perché gran parte della mia famiglia è ancora a Gaza, in particolare il mio amato marito, che mi ha sostenuto in ogni momento. Ora sono qui e spero che anche lui arrivi presto, così potremo essere di nuovo insieme come una famiglia completa, senza paura né ansia.       Stefano Bertoldi
UNICEF Italia e ANCI: oltre 260 Comuni hanno aderito a “Go Blue”: sensibilizzare sul tema dei diritti dell’infanzia
L’UNICEF Italia e l’Associazione Nazionale Comuni Italiani – ANCI celebrano insieme la Giornata Mondiale dell’Infanzia e dell’Adolescenza (20 novembre) con l’iniziativa “Go Blue” per sensibilizzare la cittadinanza sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Ad oggi oltre 260 Comuni – piccoli e grandi – hanno aderito all’iniziativa, tra cui i capoluoghi: Arezzo, Bari, Benevento, Brescia, Carrara, Catania, Catanzaro, Como, Crotone, Fermo, Firenze, Iglesias, L’Aquila, La Spezia, Latina, Livorno, Lodi, Mantova, Messina, Napoli, Pesaro, Pescara, Pisa, Pistoia, Ravenna, Reggio Emilia, Taranto, Teramo, Terni, Torino, Treviso, Trieste   L’iniziativa Go Blue è rivolta in particolare alle amministrazioni comunali che sono invitate a illuminare di blu un monumento o un edificio significativo della propria città per richiamare l’attenzione dei cittadini e delle istituzioni sull’importanza di conoscere, diffondere e dare reale applicazione ai diritti sanciti dalla Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite 36 anni fa. “La luce blu vuol essere un potente richiamo visivo alla necessità di garantire la piena attuazione dei diritti di ogni bambino, bambina e adolescente, in Italia e nel mondo. Come amministrazioni comunali abbiamo un ruolo insostituibile nel promuovere questi diritti a livello locale e sensibilizzare l’intera cittadinanza, per ribadire la volontà delle istituzioni di tradurre in azioni concrete i principi sanciti dalla Convenzione ONU. Ogni monumento illuminato sarà un segno tangibile che la nostra comunità si impegna per un futuro in cui i diritti dei minorenni siano pienamente riconosciuti e rispettati”, ha dichiarato Gaetano Manfredi, Presidente dell’Anci e sindaco di Napoli. “Anche quest’anno celebriamo la Giornata Mondiale dell’Infanzia con l’iniziativa Go Blue insieme con l’ANCI, con cui recentemente abbiamo rinnovato un Protocollo d’intesa, rafforzando la decennale collaborazione sulle tematiche dell’infanzia e dell’adolescenza. Gli amministratori locali sono per noi interlocutori prioritari nella promozione di politiche a favore dei minorenni.”, ha dichiarato Nicola Graziano, Presidente dell’UNICEF Italia. “La proposta di illuminare di blu un monumento o un edificio è un invito a richiamare in maniera simbolica l’importanza di garantire l’attuazione dei diritti di tutti i bambini, le bambine e gli adolescenti e a ricordare l’indispensabile ruolo svolto dalle amministrazioni comunali nel promuovere la Convenzione ONU e i diritti in essa sanciti”. L’iniziativa “Go Blue” rientra tra le azioni di sensibilizzazione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza rivolte ai Comuni, previste dal Programma UNICEF Città amiche dei bambini e degli adolescenti. Per conoscere l’iniziativa e l’elenco aggiornato dei Comuni che aderiscono: www.unicef.it/goblue UNICEF
Referendum in Ecuador: un NO categorico al governo di Noboa
Con il 60% dei voti a favore del NO, secondo i dati più recenti del Consiglio Nazionale Elettorale, il popolo ecuadoriano ha respinto le proposte che il governo di Daniel Noboa aveva sottoposto a consultazione popolare e referendum. Nella scheda elettorale sono state poste quattro domande chiave con profonde implicazioni costituzionali: i cittadini dovevano pronunciarsi sull’installazione di basi militari straniere in Ecuador, l’eliminazione del finanziamento pubblico ai partiti politici, la riduzione del numero dei membri dell’Assemblea e la convocazione di un’Assemblea costituente per redigere una nuova Costituzione. Gli ultimi risultati ufficiali hanno indicato una chiara vittoria del “No” su tutte e quattro le domande. Con oltre il 60% delle schede scrutinate, il 60,21% ha rifiutato di consentire l’installazione di basi militari straniere, mentre la convocazione di un’Assemblea costituente ha ottenuto il 61% di voti contrari. Diversi settori sociali – movimenti indigeni, sindacali, ambientalisti e di sinistra – hanno accolto con sollievo e soddisfazione i risultati del 16 novembre. Organizzazioni come la CONAIE hanno guidato la campagna per il “No”, sostenendo che le riforme proposte da Noboa, in particolare la convocazione di un’Assemblea costituente e l’apertura alle basi militari straniere, mettevano a rischio la sovranità nazionale e i diritti delle comunità. Anche sindacati come il Fronte Unitario dei Lavoratori (FUT) e l’Unione Nazionale degli Educatori (UNE) si sono mobilitati nelle settimane precedenti, denunciando che le riforme costituzionali avrebbero potuto minare i diritti sociali e quelli del lavoro. I leader della sinistra, come quelli del Partito Socialista dell’Ecuador, interpretano la sconfitta delle proposte come un “richiamo all’ordine” per l’esecutivo, sottolineando che il governo è stato troppo autoritario e ha trascurato questioni cruciali come l’istruzione, la sanità e la sicurezza. La schiacciante vittoria del “No” evidenzia il lavoro organizzativo nei territori urbani e rurali, che hanno lavorato a una campagna di base che ha coinvolto i settori più diversi della popolazione. Si tratta, ovviamente, di una grave battuta d’arresto per il presidente Daniel Noboa, che perde la capacità di portare avanti il suo programma di riforme strutturali. Gli analisti ritengono che il suo impulso a riscrivere la Costituzione e a ridurre i meccanismi di controllo sia stato chiaramente respinto, il che indebolisce immediatamente la sua tabella di marcia. Inoltre, questo risultato potrebbe rafforzare l’opposizione politica e sociale, poiché dimostra che una parte importante dell’elettorato non appoggia la sua strategia di cooperazione militare internazionale né i suoi piani di concentrazione del potere. D’altra parte, Noboa ha affermato che rispetterà la volontà popolare e continuerà a lavorare “con gli strumenti a sua disposizione”, il che implica un possibile riorientamento politico verso riforme più moderate o negoziate. Il popolo ecuadoriano, duramente represso durante l’ultimo sciopero, ha espresso la sua volontà alle urne. Traduzione dallo spagnolo di Anna Polo   Redacción Ecuador
Mediterraneo centrale: MSF riprende le attività di ricerca e soccorso con una nuova nave
Medici Senza Frontiere (MSF) annuncia la ripresa delle attività di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale, quasi un anno dopo essere stata costretta a interrompere le operazioni con la Geo Barents, l’ultima nave dell’organizzazione medico-umanitaria attiva da maggio 2021 a dicembre 2024. Oggi MSF torna nel Mediterraneo con la nave Oyvon, che in norvegese significa “speranza per l’isola”. L’imbarcazione, in passato una nave ambulanza in Norvegia, è stata completamente ristrutturata e attrezzata per effettuare operazioni di ricerca e soccorso in mare su una delle rotte migratorie più pericolose al mondo. ”Come organizzazione medico-umanitaria, la nostra presenza nel Mediterraneo e l’impegno nel supporto alle persone in movimento sono imprescindibili” dichiara Juan Matias Gil, capomissione di MSF per la ricerca e soccorso in mare. “Riprendiamo le operazioni perché abbiamo il dovere di soccorrere chi si trova in difficoltà in mare. Persone spesso costrette a partire su imbarcazioni insicure dopo aver vissuto in condizioni deplorevoli e disumane e aver subito detenzioni, abusi ed estorsioni in Libia”. Politiche restrittive rendono quasi impossibili le operazioni SAR MSF è stata costretta a sospendere le attività di soccorso della Geo Barents nel dicembre 2024, dopo oltre 2 anni di operazioni ostacolate da leggi e politiche italiane restrittive, in particolare dal Decreto Piantedosi e dall’assegnazione di porti lontani. Queste misure hanno reso impossibile il normale svolgimento delle operazioni per la Geo Barents: nonostante avesse la capacità di ospitare fino a 700 persone a bordo, alla nave venivano regolarmente assegnati porti lontani anche quando aveva a bordo solo 50 sopravvissuti. “La decisione di MSF di impiegare una nave più piccola e veloce è una risposta strategica a leggi e misure sempre più restrittive del governo italiano, che mirano a ostacolare le attività di ricerca e soccorso delle navi umanitarie” continua Gil di MSF. MSF torna nel Mediterraneo centrale anche per diffondere le testimonianze di chi fugge dalla Libia, per raccontare le violente intercettazioni in mare da parte della Guardia Costiera libica e di altri attori coinvolti, così come i respingimenti forzati in Libia, riconosciuti dai tribunali italiani e da altri organismi delle Nazioni Unite come violazioni del diritto internazionale marittimo, dei diritti umani e del diritto d’asilo. Negli ultimi mesi si è registrato un aumento di attacchi violenti in acque internazionali da parte della Guardia Costiera libica e di altri gruppi armati, diretti contro le persone migranti e le navi umanitarie di soccorso. L’equipaggio di MSF a bordo della nave Oyvon prevede la presenza di un medico e un infermiere, pronti a fornire cure mediche in situazioni di emergenza e ad assistere i pazienti in caso di ipotermia, inalazione di carburante, ustioni da benzina e ferite causate da abusi e detenzioni in Libia. MSF nel Mediterraneo Centrale Il Mediterraneo centrale resta una delle rotte migratorie più letali al mondo. Secondo l’IOM, almeno 25.630 uomini, donne e bambini sono morti o dispersi in questo tratto di mare dal 2014, di cui 1.810 solo nel 2024. In media nel 2024 sono morte 5 persone al giorno, rendendo lo scorso anno il più mortale dal 2017, nonostante la diminuzione delle partenze. Dal 2015 MSF è attiva nelle operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale. MSF ha lavorato su 9 navi umanitarie (da sola o in partnership con altre organizzazioni) e ha soccorso più di 94.200 persone. Nel gennaio 2023, il Decreto Piantedosi (Decreto Legge 1/2023) ha introdotto in Italia un nuovo quadro normativo, applicabile esclusivamente alle navi civili adibite al soccorso, e una serie di sanzioni in caso di inadempienza, che prevedono da 10 a 20 giorni di fermo in porto fino alla confisca della nave. Dall’entrata in vigore del Decreto Piantedosi, la Geo Barents è stata sanzionata 4 volte, per un totale di 160 giorni di fermo forzato. Inoltre, tra dicembre 2022 e dicembre 2024, le misure ostruzionistiche imposte dal decreto hanno costretto la nave a percorrere 64.966 km in più dei previsti e a trascorrere 163 giorni in più in mare per raggiungere porti lontani nel nord Italia per lo sbarco delle persone sopravvissute, invece di approdare in porti più vicini nel Sud Italia. È fondamentale, avverte MSF, che l’Italia e gli Stati membri dell’Unione Europea garantiscano che gli attori civili impegnati nelle operazioni SAR possano operare liberamente per salvare vite in mare nel pieno rispetto delle leggi internazionali e marittime, ponendo la salvaguardia e la protezione della vita umana al centro delle politiche migratorie. Oyvon Oyvon batte bandiera tedesca. In passato ha operato come nave ambulanza in Norvegia prima di essere acquistata da MSF e adeguata alle attività di ricerca e soccorso. La sua lunghezza totale è di 20 metri, ha 2 ponti per accogliere le persone soccorse ed è dotata di 1 gommone veloce (rhib), che verrà utilizzato durante le operazioni di soccorso. Il team a bordo è composto da 10 persone, tutti operatori di MSF. Oyvon, in norvegese, significa “speranza per l’isola”.   Medecins sans Frontieres
Zohran la tigre
Che cos’è un “watch party”? Così mi chiedono su WhatsApp le amiche dall’Italia. Che gli dico? Che sono in una mega discoteca di Brooklyn e che mentre ballo, facendo finta di avere anch’io venticinque anni, su uno schermo gigante due conduttori parlano, fanno smorfie e mostrano sketch comici che hanno animato l’ultima campagna elettorale per il sindaco di New York City. È la diretta di Hell Gate, un network locale indipendente, di proprietà dei lavoratori che prende il nome dal primo ponte ferroviario tra Queens e il Bronx. Che a sua volta deriva dal titolo affibbiato dai primi esploratori olandesi al tratto dell’East River che ci passa sotto, per via delle infide correnti che lo attraversano, dei pericolosi mulinelli e delle rocce aguzze. Un luoco iconico della città che deve aver ispirato la giovane redazione nel definirsi così: “Tagliente, giocosa, indignata, irriverente e utile ai nostri lettori; profondamente scettica nei confronti del potere ma ostinatamente idealista e mai pesante da leggere”. Assolutamente perfetti per essere gli ambasciatori di Zohran Mamdani, il nuovo sindaco della città. Alle 23.30 circa Zohran appare in diretta dal teatro Paramount di Downtown Brooklyn. La musica si ferma e dopo scroscianti applausi cala il silenzio. Nella mia vita non ricordo di aver assistito in tempo reale a un discorso di tale potenza. Dallo scorso settembre seguo Zohran Mamdani attraverso la stampa e sui social; per capire meglio ho partecipato a tre gruppi di canvassing (la campagna porta porta) e mi sono mezza congelata sugli spalti del Forest Hills Stadium per ascoltare dal vivo un suo discorso. Zohran è diventato una figura cara. Di lui pensavo: un uomo buono, rassicurante e progressista, ma anche con i piedi per terra. Zohran da stanotte è tutto questo e molto di più. Come ha detto Bernie Sanders al rally New York is not for sale: “Quest’uomo farà la storia”. In cielo brilla la luna piena, mentre sulla terra, tra gli audaci grattacieli di Manhattan e le compassate case di arenaria di Brooklyn, un gatto si è trasformato in tigre. E’ così che mi è apparso stanotte Zohran, come la mamma tigre vittoriosa e ancora furente perché ha appena sbaragliato un bracconiere che voleva rubarle i cuccioli. Stanotte Zohran non è più il politico accorto e coscienzioso che incassa sorridendo stolte minacce e sceglie di rispondere con benevolenza a volgari offese personali; stanotte è forte e deciso. È autorevole quando cita Eugene Debs, un socialista nato il 5 novembre del 1855, che denunciò la decisione del Paese di partecipare alla Prima Guerra Mondiale e che per questo fu incarcerato. Detto per inciso New York City ha un’importante e radicata tradizione di politica socialista, che a metà dello scorso secolo ne aveva fatto una tra le città più avanzate e progressiste del pianeta. Cito una delle tante buone cose dell’epoca: l’università era gratuita. Quarant’anni di neo-liberismo sfrenato non sono riusciti a distruggerne l’anima. Come dirà Zohran nel suo discorso, questa città è stata fatta dal lavoro degli immigrati e oggi ha un sindaco immigrato. Diventa affabile nel riconoscere la vittoria del popolo, dei cittadini che, stanchi di soffrire, con il potere del voto hanno rovesciato una dinastia politica avvezza alle menzogne. Non è vero che chi ha le mani rovinate dai calli e screpolate dal duro lavoro non può in quelle stesse mani tenere il potere politico. Certo che può, se tra le parti si è instaurata una relazione egualitaria e di fiducia. È ciò che Zohran dice ai suoi elettori: ai giovani che saggiamente hanno rifiutato di mettere il loro futuro nelle mani di un relitto della vecchia politica come Andrew Cuomo, ai lavoratori, in particolare immigrati, che invece di cedere alle minacce di chi è abituato a governare con arroganza hanno risposto con coraggio scegliendo lui come paladino contro l’ingiustizia e il pregiudizio. Si mostra riconoscente anche verso coloro che non lo hanno votato e che ancora lo temono e il suo discorso si fa amichevole. A tutti dice: “Ogni giorno il mio impegno sarà far sì che questa città sia migliore del precedente e che lo sia per tutti”. Nella nuova NYC non ci sarà spazio per manifestazioni d’odio e di esclusione. Ciò deve valere per ebrei, mussulmani, cristiani ecc, ma anche per gay, lesbiche e transgender, madri single e zie. Sì, anche le zie. E qui mi sento toccata personalmente essendo zia di quattro bellissime nipoti. Il riferimento in verità è alla zia del novello sindaco, che è diventata un simpatico aneddoto della campagna elettorale. Zohran la tirò fuori per spiegare quanto può ferire l’islamofobia. Da adolescente era molto affezionato a questa zia, una donna piuttosto indipendente, ma un giorno la vide tornare a casa turbata. Era stata insultata sulla metropolitana semplicemente perché indossava l’hijab. Da quel giorno si rifiutò categoricamente di prendere la metropolitana. Ma Zohran sa anche essere ferino e sa quando è il momento di esserlo: questa vittoria rappresenta il primo giorno di una nuova era. E allora si ferma, guarda calmo il pubblico, gli occhi si spalancano e avvampano: “Presidente Trump, lo so che mi stai guardando. Dunque, alza il volume. Queste prossime parole sono dirette a te e ai tuoi amici milionari. Non vi permetteremo più di giocare alla politica con le vostre regole truccate; dovrete giocare con le regole di tutti. Qui a NYC è finito il tempo in cui potevate evadere le tasse sfruttando le falle del sistema”. E dopo poco aggiunge: “Per arrivare a uno qualsiasi di noi, dovrai passare su tutti noi”. L’ironia è forse la sua arma preferita. Se la ride sotto i baffi ammettendo: “Sono giovane, nonostante i miei sforzi per invecchiare. Sono musulmano. Sono un democratico socialista. E, cosa più grave di tutte, mi rifiuto di scusarmi per tutto questo.” La lezione è importante: mai vergognarci di chi siamo. Voglio chiudere questo pezzo con una nota leggera. Non un pettegolezzo, ma qualcosa che da sotto tiene su tutto. Da stasera sulla scena politica non ci sarà solo un giovane uomo appassionato e vincente; al suo fianco c’è Rama, non il dio indiano, ma una bellissima giovane siriana, sua moglie.       Marina Serina
Zohran Mamdani è il nuovo sindaco di New York. Il discorso della vittoria
Riportiamo il discorso pronunciato da Zohran Mamdani nel quartier generale della sua campagna elettorale a Brooklyn, dopo aver ottenuto il 50,4% dei voti contro il 41,6% dell’ex governatore Andrew Cuomo, che sconfitto alle primarie democratiche si era presentato come indipendente e il 7,1% del repubblicano Curtis Sliwa. Hanno votato oltre due milioni di persone, un record che non si vedeva dal 1969. “Grazie, amici miei. Il sole potrebbe essere tramontato sulla nostra città questa sera, ma come disse una volta Eugene Debs, “Posso vedere l’alba di un giorno migliore per l’umanità.” Fin da quando abbiamo memoria, i ricchi e i benestanti hanno sempre detto ai lavoratori e alle lavoratrici di New York che il potere non appartiene a loro. Dita livide dal sollevare scatole sul pavimento di un magazzino, palmi callosi dai manubri delle bici da consegna, nocche segnate da ustioni di cucina: queste non sono mani a cui è stato permesso di detenere il potere. Eppure, negli ultimi 12 mesi, avete osato raggiungere qualcosa di più grande. Stasera, contro ogni previsione, l’abbiamo afferrato. Il futuro è nelle nostre mani. Amici miei, abbiamo rovesciato una dinastia politica. Auguro ad Andrew Cuomo solo il meglio nella vita privata. Ma che stasera sia l’ultima volta che pronuncio il suo nome, mentre voltiamo pagina su una politica che abbandona i molti e risponde solo a pochi. New York, stasera mi hai affidato un mandato per il cambiamento. Un mandato per un nuovo tipo di politica. Un mandato per una città che possiamo permetterci. E un mandato per un governo che realizzi esattamente questo. Il 1° gennaio presterò giuramento come sindaco di New York City. E questo grazie a voi. Quindi prima di dire qualsiasi altra cosa, devo dire questo: Grazie. Grazie alla prossima generazione di newyorkesi che si rifiutano di accettare che la promessa di un futuro migliore sia una reliquia del passato. Avete dimostrato che quando la politica vi parla senza condiscendenza, possiamo inaugurare una nuova era di leadership. Combatteremo per voi, perché siamo voi. O, come diciamo su Steinway, ana minkum wa alaikum. Grazie a coloro che così spesso sono dimenticati dalla politica della nostra città, che hanno fatto proprio questo movimento. Parlo di proprietari di bodega yemeniti e abuelas messicane. Di tassisti senegalesi e di infermiere uzbeke. Di cuochi di Trinidad e Tobago e di ie etiopi. Sì, zie. A ogni newyorkese di Kensington e Midwood e Hunts Point, sappiate questo: questa città è la vostra città, e questa democrazia è anche vostra. Questa campagna riguarda persone come Wesley, un organizzatore della sezione sindacale Seiu 1199 che ho incontrato fuori dall’Elmhurst Hospital giovedì sera. Un newyorkese che vive altrove, che fa il pendolare per due ore avanti e indietro dalla Pennsylvania perché l’affitto è troppo caro in questa città. Riguarda persone come la donna che ho incontrato sul Bx33 anni fa, che mi disse: “Una volta amavo New York, ma ora è solo il posto dove vivo.” E riguarda persone come Richard, il tassista con cui ho fatto uno sciopero della fame di 15 giorni fuori dal municipio, che deve ancora guidare il suo taxi sette giorni alla settimana. Fratello mio, ora siamo nel municipio. Questa vittoria è per tutti loro. Ed è per tutti voi, gli oltre 100.000 volontari che hanno reso questa campagna una forza inarrestabile. Grazie a voi, renderemo questa città un luogo in cui i lavoratori possono amare e vivere di nuovo. Con ogni porta bussata, ogni firma di petizione ottenuta, e ogni conversazione faticosamente conquistata, avete eroso il cinismo che è arrivato a definire la nostra politica. Ora, so di avervi chiesto molto nell’ultimo anno. Ancora e ancora, avete risposto alle mie chiamate — ma ho un’ultima richiesta. New York City, respira questo momento. Abbiamo trattenuto il respiro più a lungo di quanto immaginiamo. L’abbiamo trattenuto in attesa della sconfitta, l’abbiamo trattenuto perché ci hanno tolto il fiato troppe volte per contarle, l’abbiamo trattenuto perché non possiamo permetterci di espirare. Grazie a tutti coloro che hanno sacrificato così tanto. Stiamo respirando l’aria di una città che è rinata. Al team della mia campagna elettorale, che ha creduto quando nessun altro lo faceva e che ha preso un progetto elettorale e lo ha trasformato in molto di più: non sarò mai in grado di esprimere la profondità della mia gratitudine. Ora potete dormire. Ai miei genitori, mamma e papà: avete fatto di me l’uomo che sono oggi. Sono così orgoglioso di essere vostro figlio. E alla mia incredibile moglie, Rama, hayati: non c’è nessuno che vorrei avere al mio fianco in questo momento, e in ogni momento. A ogni newyorkese — che abbiate votato per me, per uno dei miei avversari, o vi siate sentiti troppo delusi dalla politica per votare — grazie per l’opportunità di dimostrarmi degno della vostra fiducia. Mi sveglierò ogni mattina con un unico scopo: rendere questa città migliore per voi rispetto al giorno prima. Molti pensavano che questo giorno non sarebbe mai arrivato, temevano che saremmo stati condannati solo a un futuro di mancanze, in cui ogni elezione ci avrebbe consegnato semplicemente un po’ di più della stessa cosa. E ci sono altri che considerano la politica oggi troppo crudele perché la fiamma della speranza possa ancora ardere. New York, abbiamo risposto a quelle paure. Stasera abbiamo parlato con voce chiara. La speranza è viva. La speranza è una decisione che decine di migliaia di newyorkesi hanno preso giorno dopo giorno, turno di volontariato dopo turno di volontariato, nonostante gli spot pubblicitari negativi. Più di un milione di noi si è presentato nelle nostre chiese, nelle palestre, nei centri comunitari, mentre compilavamo il libro mastro della democrazia. E mentre andavamo a votare da soli, abbiamo scelto la speranza insieme. Speranza contro la tirannia. Speranza contro i grandi soldi e le piccole idee. Speranza contro la disperazione. Abbiamo vinto perché i newyorkesi si sono permessi di sperare che l’impossibile potesse diventare possibile. E abbiamo vinto perché abbiamo insistito che la politica non sarebbe più stata qualcosa che ci veniva fatto. Ora, è qualcosa che facciamo noi. Stando davanti a voi, penso alle parole di Jawaharlal Nehru: “Arriva un momento, ma raramente nella storia, in cui passiamo dal vecchio al nuovo, quando un’epoca finisce e quando l’anima di una nazione, a lungo soppressa, trova espressione.” Stasera siamo passati dal vecchio al nuovo. Quindi parliamo ora, con chiarezza e convinzione che non può essere fraintesa, di ciò che questa nuova era porterà, e per chi. Questa sarà un’era in cui i newyorkesi si aspettano dai loro leader una visione audace di ciò che realizzeremo, piuttosto che una lista di scuse per ciò che siamo troppo timidi per tentare. Al centro di questa visione ci sarà il programma più ambizioso che questa città abbia mai visto dai tempi di Fiorello La Guardia per affrontare il costo della vita: un programma che congelerà gli affitti per oltre due milioni di inquilini con affitti calmierati, renderà gli autobus veloci e gratuiti e fornirà un’assistenza all’infanzia universale in tutta la nostra città. Tra qualche anno, il nostro unico rammarico sarà che questo giorno ci ha messo troppo tempo ad arrivare. Questa nuova era sarà di implacabile miglioramento. Assumeremo migliaia di nuovi insegnanti. Taglieremo gli sprechi da una burocrazia gonfiata. Lavoreremo instancabilmente per far brillare di nuovo le luci nei corridoi dei complessi residenziali della Nycha [l’Authority sulle abitazioni di Nyc] dove a lungo sono rimaste spente. Sicurezza e giustizia andranno di pari passo mentre lavoreremo con gli agenti di polizia per ridurre la criminalità e creare un Dipartimento di Sicurezza Comunitaria che affronti la crisi della salute mentale e le crisi dei senzatetto. L’eccellenza diventerà l’aspettativa in tutto il governo, non l’eccezione. In questa nuova era che creiamo per noi stessi, ci rifiuteremo di permettere a coloro che trafficano in divisione e odio di metterci l’uno contro l’altro. In questo momento di oscurità politica, New York sarà la luce. Qui crediamo nel difendere coloro che amiamo, che tu sia un immigrato, un membro della comunità trans, una delle tante donne nere che Donald Trump ha licenziato da un lavoro federale, una mamma single che ancora aspetta che il costo della spesa scenda, o chiunque altro con le spalle al muro. La tua lotta è anche la nostra. E costruiremo un municipio che stia saldamente al fianco dei newyorkesi ebrei e non vacilli nella lotta contro il flagello dell’antisemitismo. Dove il milione e più di musulmani sappia che appartiene non solo ai cinque distretti di questa città, ma anche alle stanze del potere. New York non sarà mai più una città dove si può trafficare con l’islamofobia e vincere le elezioni. Questa nuova era sarà caratterizzata da una competenza e una compassione che per troppo tempo sono state in conflitto tra loro. Dimostreremo che non esiste problema troppo grande per essere risolto dal governo, né preoccupazione troppo piccola per non meritare la sua attenzione. Per anni i consiglieri comunali hanno aiutato solo chi poteva aiutarli, ma il 1° gennaio inaugureremo un’amministrazione cittadina che aiuterà tutti e tutte. Ora, so che molti hanno sentito il nostro messaggio solo attraverso il prisma della disinformazione. Decine di milioni di dollari sono stati spesi per ridefinire la realtà e per convincere i nostri vicini che questa nuova era dovrebbe spaventarli. Come è accaduto così spesso, la classe dei miliardari ha cercato di convincere coloro che guadagnano 30 dollari all’ora che i loro nemici sono quelli che guadagnano 20 dollari all’ora. Vogliono che la gente si scontri al proprio interno, in modo da distrarci dal lavoro di ricostruzione di un sistema ormai in rovina. Ci rifiutiamo di lasciare che siano loro a dettare le regole del gioco.  Possono giocare secondo le stesse regole di tutti noi. Insieme, inaugureremo una generazione di cambiamento. E se abbracciamo questo coraggioso nuovo corso, piuttosto che rifuggirlo, possiamo rispondere all’oligarchia e all’autoritarismo con la forza che teme, non con l’acquiescenza che brama. Dopotutto, se qualcuno può mostrare a una nazione tradita da Donald Trump come sconfiggerlo, è la città che gli ha dato i natali. E se c’è un modo per terrorizzare un despota, è smantellando le condizioni che gli hanno permesso di accumulare potere. In questo modo non fermeremo solo Trump, ma anche il prossimo. Quindi, Donald Trump, dato che so che stai guardando, ho quattro parole per te: Turn up the volume (Alza il volume). Chiameremo a rispondere i cattivi proprietari di case perché i Donald Trump della nostra città si sono abituati fin troppo bene ad approfittare dei loro inquilini. Metteremo fine alla cultura della corruzione che ha permesso ai miliardari come Trump di evadere le tasse e sfruttare le agevolazioni fiscali. Staremo al fianco dei sindacati e amplieremo le tutele del lavoro perché sappiamo, proprio come Donald Trump, che quando i lavoratori hanno diritti ferrei, i datori di lavoro che cercano di estorcerli diventano davvero molto piccoli. New York rimarrà una città di immigrati: una città costruita da immigrati e da stasera guidata da un immigrato. Quindi ascoltami, Presidente Trump, quando dico questo: Per arrivare a uno qualsiasi di noi, dovrai passare su tutti noi. Quando entreremo nel municipio, tra 58 giorni, le aspettative saranno alte. Le soddisferemo. Un grande newyorkese disse una volta che mentre fai campagna elettorale in poesia, governi in prosa. Se questo deve essere vero, che la prosa che scriviamo faccia ancora rima, e costruiamo una città splendente per tutti. Dobbiamo tracciare un nuovo cammino, audace come quello che abbiamo già percorso. Dopotutto, la saggezza popolare vi direbbe che sono ben lungi dall’essere il candidato perfetto. Sono giovane, nonostante i miei sforzi per invecchiare. Sono musulmano. Sono un democratico socialista. E, cosa più grave di tutte, mi rifiuto di scusarmi per tutto questo. Eppure, se stasera ci insegna qualcosa, è che le convenzioni ci hanno frenato. Ci siamo inchinati all’altare della cautela e abbiamo pagato un prezzo altissimo. Troppi lavoratori non possono riconoscersi nel nostro partito e troppi tra noi si sono rivolti alla destra per avere risposte sul perché sono stati lasciati indietro. Lasceremo la mediocrità nel nostro passato. Non dovremo più aprire un libro di storia per avere la prova che i Democratici possono osare essere grandi. La nostra grandezza sarà tutt’altro che astratta. Sarà sentita da ogni inquilino con affitto calmierato che si sveglierà il primo di ogni mese sapendo che l’importo che pagherà non è salito alle stelle rispetto al mese precedente. Sarà sentita da ogni nonno che potrà permettersi di rimanere nella casa per cui ha lavorato, e i cui nipoti vivono nelle vicinanze perché il costo dell’asilo nido non li ha mandati a Long Island. La percepirà la madre single che si sentirà al sicuro durante il tragitto casa-lavoro e il cui autobus è abbastanza veloce da non dover correre a prendere i bambini a scuola per arrivare in orario al lavoro. E la percepiranno i newyorkesi quando apriranno i giornali al mattino e leggeranno titoli di successo, non di scandali. Ciò che più conta sarà la sensazione che proverà ogni newyorkese quando la città che ama finalmente ricambierà il suo amore. Insieme, New York, congeleremo… [ la folla urla: «gli affitti!» ] Insieme, New York, renderemo gli autobus veloci e… [ la folla urla: «gratuiti!» ] Insieme, New York, garantiremo universalmente… [ la folla urla: «l’assistenza all’infanzia!»] Lasciamo che le parole che abbiamo pronunciato insieme, i sogni che abbiamo sognato insieme, diventino il programma che realizzeremo insieme. New York, questo potere è tuo. Questa città ti appartiene. Grazie.       Redazione Italia
Sentenza definitiva della Corte d’Appello di Catanzaro: il fermo della nave di soccorso Humanity 1 era illegale e la Libia non è un Paese sicuro
SOS Humanity ha vinto la sua prima causa contro il governo italiano nel contesto di decine di fermi illegali e arbitrari di navi di ricerca e soccorso non governative. Una corte d’appello ha ribadito la storica sentenza del Tribunale di Crotone del giugno 2024, chiarendo che la cosiddetta Guardia Costiera libica, finanziata dall’UE, non può essere considerata un soggetto legittimo di ricerca e soccorso nel Mediterraneo. Inoltre, la sentenza ha confermato che SOS Humanity ha agito in conformità con il diritto internazionale nello svolgimento delle sue operazioni di ricerca e soccorso e che il fermo della sua nave di soccorso è stato illegale. SOS Humanity sta ora chiedendo un risarcimento al governo italiano. Nel giugno 2025, la Corte d’Appello di Catanzaro ha respinto un ricorso presentato dal governo italiano contro una sentenza del 2024 del Tribunale di Crotone, che aveva dichiarato illegittimo il fermo della nave di soccorso Humanity 1 nel marzo 2024 e stabilito che la cosiddetta Guardia Costiera libica non può essere considerata un soggetto legittimo di ricerca e soccorso (SAR).  Inoltre, ha confermato che la Libia non può essere considerata un luogo sicuro per i rifugiati e che SOS Humanity ha agito in conformità con il diritto marittimo internazionale in ogni momento. I ricorrenti – i Ministeri italiani dell’Interno, dei Trasporti e delle Finanze – hanno deciso di non impugnare questa sentenza, mentre SOS Humanity chiede un risarcimento per i danni finanziari causati dal sequestro illegale della sua nave di soccorso. Contesto: fermo della Humanity 1 nel 2024 e conseguente azione legale Nel marzo 2024, dopo aver soccorso 77 persone in pericolo in mare, la nave di soccorso Humanity 1 di SOS Humanity era stata fermata dal governo italiano con l’accusa di aver ignorato le istruzioni delle autorità libiche e di aver messo in pericolo vite umane. L’organizzazione di ricerca e soccorso (SAR) ha presentato con successo ricorso contro la decisione in un procedimento accelerato presso il Tribunale civile di Crotone, che ha dichiarato illegale il fermo della nave di soccorso Humanity 1 e ne ha ordinato l’immediato rilascio. Nel giugno 2024, il tribunale civile ha confermato e motivato la sua sentenza sottolineando che la cosiddetta Guardia Costiera libica non può essere considerata un attore SAR legittimo nel Mediterraneo. Ha inoltre chiarito che le istruzioni illegali della cosiddetta Guardia Costiera libica non devono essere seguite. Nel giugno 2025, il ricorso del governo italiano contro questa decisione è stato respinto dalla Corte d’Appello di Catanzaro, confermando la posizione di SOS Humanity circa l’illegittimità della cosiddetta Guardia Costiera libica e la pratica illegale di trattenere le navi di soccorso. Da anni la cosiddetta Guardia Costiera Libica è finanziata e equipaggiata dall’Unione Europea e dai suoi Stati membri per intercettare i migranti nel Mediterraneo centrale e riportarli in Libia, nonostante gli abusi ampiamente documentati contro migranti e rifugiati che, secondo le Nazioni Unite, costituiscono crimini contro l’umanità. Pertanto, secondo il diritto internazionale, la Libia non può essere considerata un luogo sicuro per le persone salvate dal pericolo in mare. La sentenza definitiva della Corte d’Appello di Catanzaro è disponibile qui.   Redazione Italia
Parco urbano a Monte Po (Catania), finalmente una buona notizia
Che fine ha fatto il parco territoriale Monte Po – Vallone Acquicella, proposto da un comitato di cittadini e associazioni, presieduto da Pippo Rannisi, delegato Lipu e protagonista indiscusso della difesa del verde a Catania? E che fine ha fatto la sua versione ridotta, di soli 26 ettari di proprietà comunale, inserita nel PUI della Città Metropolitana e finanziata con 15 milioni di euro? Lasciando il grande Parco di 220 ettari come obiettivo a lungo termine, a cui le associazioni proponenti non hanno rinunciato, occupiamoci oggi dell’intervento denominato “Cda Monte Po, Via Palermo – Parco urbano – Cerniera verde – Attrezzature per lo sport – Inclusione sociale – Recupero e ripristino delle aree del fiume Acquicella”. Vale a dire del parco che deve sorgere sulla collina di Monte Po e che, sebbene ormai progettato, ha rischiato di finire nel nulla. La progettazione, a seguito di un appalto di Invitalia, era stata assegnata ad una associazione temporanea di studi di progettazione, con capofila la SAB srl, che ha redatto un progetto molto diverso da quello, di stampo naturalistico, voluto dal Comitato dei proponenti. Erano state previste strutture estranee al contesto e abbastanza incongrue, con una notevole presenza di cemento e interventi idraulici invasivi che avrebbe creato problemi di manutenzione e rischi di danneggiamento. Anche la scelta delle essenze da piantumare era poco rispettosa delle caratteristiche del territorio, essendo in gran parte incentrata su giardini di agrumi che, vista la necessità di acqua abbondante e di cura, sarebbero andati incontro a consistenti spese di manutenzione e a difficoltà organizzative determinate dalla carenza di personale. Scelte poco convincenti e in parte inspiegabili, visto che il Comitato dei proponenti aveva avuto con i progettisti alcune interlocuzioni e aveva messo a loro disposizione un intero dossier di analisi dei luoghi e di indicazioni e proposte molto articolate. Proposte basate essenzialmente sul rispetto delle caratteristiche naturali dell’area, già bella di per sé e in grado di consentire quella full immersion nella natura che manca alla nostra città. Ma il rischio di condanna a morte per questo progetto non era legato solo alla sua incongruenza. Quando, nel passaggio alla fase esecutiva, il progetto è transitato dall’Urbanistica ai Lavori Pubblici, il nuovo ufficio si è trovato davanti ad una situazione molto ingarbugliata e ha dovuto, innanzi tutto, sbloccare una serie di ostacoli che impedivano di passare alla fase esecutiva. L’area destinata a Parco era sottoposta ad un provvedimento di sequestro da parte della magistratura che indagava sullo scarico abusivo di grandi quantità di materiali, anche pericolosi. Il primo passo necessario era, quindi, quello di ottenere il dissequestro. Successivamente l’ufficio ha dovuto risolvere altre pratiche rimaste in sospeso, come la mancata registrazione della proprietà dei terreni, che – all’Agenzia delle Entrate – non risultavano ancora appartenenti al Comune. A ritrovarsi tra le mani questo inghippo e a gestire la prosecuzione dell’iter, con professionalità e metodo, è stato l’ingegnere Giuseppe Marletta insieme ai suoi collaboratori, tra cui la giovane ingegnera Deborah Bontorno. L’ufficio non ha agito da solo, si è tenuto in costante contatto con il Comitato proponente e con il suo presidente Rannisi, tenendo lo sguardo sempre rivolto al calendario vista la necessità di concludere i lavori entro il 2026, per non perdere il finanziamento. Il vecchio progetto non è stato validato e, con una nuova gara, l’appalto integrato (progettazione ed esecuzione) è stato affidato ad una nuova società che ha messo in gioco personale esperto di vegetazione. I cambiamenti apportati rispetto al progetto precedente sono sostanziali, anche su aspetti apparentemente secondari. I giochi per i bambini sono stati spostati nella parte bassa dell’area, più accessibile e fruibile rispetto a quella alta e impervia in cui erano stati precedentemente collocati. Gli agrumeti, che necessitano di acqua, manutenzione e spese non indifferenti, sono stati sostituiti con essenze vegetali più adatte al clima e al terreno. Via gli orpelli inutili e quell’aggiunta di cemento di cui non si sentiva il bisogno, ok alla messa in sicurezza dei vecchi caseggiati sebbene le attuali risorse non permettano di rimetterli in uso. Sì alla recinzione, per evitare che l’area continui ad essere invasa da rifiuti o “colonizzata” da qualche pastore. Sì alla progettazione di percorsi ciclo-pedonali che tocchino i vari punti di interesse, dai resti archeologici alle strutture militari, ai punti di osservazione paesaggistica. E, per guadagnare tempo, è stata sfruttata la possibilità, offerta dalla normativa, di avviare le opere propedeutiche di bonifica degli ordigni bellici, di pulizia, etc, nelle more della consegna del progetto esecutivo. E già Marletta comincia a ragionare sul problema della gestione, complicato dalla cronica carenza di personale comunale, ma che è necessario definire per non rischiare di abbandonare nuovamente l’area all’incuria e al degrado. Prima della fine dei lavori si propone di presentare una manifestazione di interesse allo scopo di individuare eventuali associazioni disponibili a farsi carico, con una procedura negoziata, della accoglienza e della custodia del Parco. Redazione Sicilia
Irlanda, alle presidenziali vince la candidata pro Palestina e contro la Nato
Ha criticato duramente la NATO, ha votato contro i trattati dell’UE, ha condannato Israele per la guerra a Gaza parlando apertamente di genocidio, ha promesso di difendere la neutralità militare del suo Paese. Con questi punti del suo programma, Catherine Connolly, 68 anni, ex sindaco della città occidentale di Galway, è stata eletta presidente dell’Irlanda. Nel silenzio pesante della bassa affluenza elettorale, Connolly, ha conseguito una vittoria netta nelle presidenziali irlandesi, imponendosi con circa il 63% dei voti, contro il 29,5% della sfidante Heather Humphreys. La candidata indipendente di sinistra, che negli ultimi nove anni ha ricoperto il ruolo di deputata socialista dell’opposizione nel Parlamento irlandese, ha raccolto il sostegno compatto delle forze progressiste e dei partiti a sinistra del Labour, grazie a una campagna che ha avuto come temi centrali la denuncia delle politiche militari occidentali e un forte impegno a sostegno del popolo palestinese. Il risultato segna una rottura rispetto alle precedenti candidature dell’establishment e invia un segnale nitido al governo di Dublino: l’elettorato guarda altrove, premia il coraggio e la divergenza su tematiche calde e chiede una voce che non si limiti all’ordinaria rappresentanza. Proveniente da un quartiere popolare di Galway e con un passato da avvocata e psicologa clinica, Connolly ha costruito la sua carriera prima nel Partito Laburista, poi come indipendente, fino a diventare deputata dal 2016 e nel 2020 è stata eletta vicepresidente della Dáil Éireann, la camera bassa dell’Oireachtas (Parlamento) della Repubblica d’Irlanda. Il suo successo elettorale è stato favorito da un’inedita alleanza trasversale delle forze di sinistra, tra cui Sinn Féin, che hanno deciso di concentrare il sostegno su di lei. Contestualmente, la campagna della candidata ha puntato con forza sui temi critici della crisi abitativa, del costo della vita e della disillusione verso i grandi partiti governativi. Sul piano delle idee, Connolly ha fatto della difesa della neutralità nazionale e della critica delle politiche militari occidentali il cuore della sua proposta. Ha ripetutamente denunciato l’espansione della NATO a est e la militarizzazione europea in seguito dell’Operazione Speciale, sostenendo che l’Irlanda non debba allinearsi automaticamente alle logiche dei blocchi. Le sue posizioni hanno sollevato polemiche per il rischio di alienarsi gli alleati dell’Irlanda e, in particolare, ha dovuto affrontare le domande dei suoi sostenitori durante un evento elettorale in un pub di Dublino, dopo aver paragonato gli attuali piani della Germania per aumentare la spesa per la difesa alla militarizzazione nazista degli anni Trenta. Nonostante le critiche, è rimasta ferma nella sua opposizione ai piani dell’UE per il programma ReArm Europe, che prevede un aumento della spesa per il riarmo di 800 miliardi di euro e ha precisato di voler tutelare la tradizione irlandese di neutralità militare, di fronte alle richieste di un maggiore contributo del Paese alla difesa europea. Durante la sua campagna elettorale, ha affermato che dovrebbe essere indetto un referendum sul piano governativo per rimuovere il “triple lock“, un sistema a tre componenti che regola le condizioni per l’impiego di soldati irlandesi in missioni internazionali. La procedura richiede l’approvazione delle Nazioni Unite, la decisione del governo e un voto del Dáil. Sul fronte geopolitico, Connolly ha assunto una posizione decisa sulla questione palestinese, condannando le operazioni israeliane nella Striscia di Gaza e parlando apertamente di «genocidio». A settembre è stata criticata per aver definito Hamas «parte integrante del tessuto del popolo palestinese» e per aver difeso il diritto dell’organizzazione politica e militare a svolgere un ruolo futuro in uno Stato palestinese. Questa posizione ha suscitato la disapprovazione del Primo Ministro Micheál Martin, leader del Fianna Fáil, e del Ministro degli Esteri Simon Harris, leader del Fine Gael, l’altro partito del governo di centro-destra irlandese. Martin l’ha criticata per essere apparsa riluttante a condannare le azioni del gruppo militante nell’attacco del 7 ottobre 2023 contro Israele. In seguito, Connolly ha aggiustato il tiro, dichiarando di aver «condannato totalmente» le azioni di Hamas, ma non si è tirata indietro nel continuare a criticare i crimini di Israele nella Striscia di Gaza. Nel dibattito presidenziale finale trasmesso in televisione martedì scorso, è stato chiesto a Connolly come avrebbe trattato il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump – che possiede un resort di golf in Irlanda e ha intenzione di visitarlo quando ospiterà l’Irish Open l’anno prossimo – in una eventuale visita del tycoon nel Paese e se fosse pronta a sfidarlo in prima persona in merito al sostegno degli Stati Uniti a Israele nella guerra a Gaza. «Il genocidio è stato reso possibile e finanziato dal denaro americano», ha esordito Connolly, che si è detta disponibile a incontrare il presidente USA e a confrontarsi con lui su questi temi. Lo stile schietto di Connolly e il suo messaggio di uguaglianza sociale e inclusività hanno conquistato molti, soprattutto i giovani elettori. Nei dibattiti presidenziali trasmessi in televisione, ha affermato che rispetterà i limiti del suo incarico, sebbene nel suo discorso di accettazione abbia anche affermato che avrebbe parlato “quando necessario” come presidente. La carica presidenziale in Irlanda, sebbene prevalentemente simbolica, ricopre un ruolo di rappresentanza nazionale e internazionale e può incidere nei contenuti del dibattito pubblico. In questo caso, la scelta popolare rivela una Repubblica che vuole affermare un’identità autonoma, che valorizzi pluralismo, diversità e impegno di pace, in direzione opposta a un’Europa che sembra aver intrapreso la strada della guerra permanente. Le sfide immediate per la nuova presidente comprendono la gestione della coesione sociale in un Paese attraversato da tensioni su immigrazione, casa e riconciliazione nord-sud, oltre all’ipotesi di tenere un referendum sul sistema del triple lock. Con la vittoria di Connolly, l’Irlanda recupera la propria vocazione storica alla neutralità, proiettandosi sulla scena internazionale come voce autonoma e critica nei confronti dell’ordine globale, decisa a rivendicare un modello politico fondato sulla sovranità, la pace e la solidarietà tra i popoli.   L'Indipendente
La necessità di una scuola di nonviolenza
La pace si impara. E non si può mai dire che l’apprendimento sia terminato. È con questa consapevolezza che – dopo la prima sperimentazione nella primavera scorsa (www.laportabergamo.it/scuola-popolare-di-nonviolenza/) – a Bergamo parte la seconda edizione di “Imparare la pace. Scuola popolare di nonviolenza”. La Scuola è uno spazio aperto di ricerca, dialogo e formazione, promosso insieme da oltre una ventina di realtà variegate del territorio bergamasco per conoscere, approfondire, discutere e delegittimare la violenza e la guerra, promuovere una pedagogia della nonviolenza e sostenere, attrezzare, qualificare l’azione per la pace. Gli strumenti proposti sono conferenze, presentazioni di libri, laboratori, seminari tematici, film, teatro e ogni altra modalità di comunicazione e di relazione che si riveli utile. È sufficiente dare uno sguardo all’elenco dei promotori per dedurre quanto sia urgente e radicato il bisogno di organizzare, promuovere e frequentare una Scuola popolare di nonviolenza, che si rivolge a tutti con particolare attenzione a chi riveste un ruolo formativo: insegnanti, genitori, educatori di oratori e associazioni giovanili, operatori sindacali, del lavoro, delle cooperative, animatori di quartiere, comuni, territori, amministratori locali, giornalisti e comunicatori. Come ha scritto Vandana Shiva: “La violenza è diventata un lusso che la specie umana non può più permettersi, se vuole sopravvivere. La nonviolenza è diventata un imperativo per la sopravvivenza”. Il primo incontro si terrà giovedì 9 ottobre alle 17.30 presso la sede della Fondazione Serughetti La Porta in viale Papa Giovanni XXIII 30 a Bergamo con la presentazione del libro “Scudi umani”. Sarà presente Nicola Perugini, autore del libro insieme a Neve Gordon. Dall’Ucraina alla Palestina, oggi non c’è guerra in cui non si parli di scudi umani. Chi usa i civili per proteggere obiettivi militari compie un crimine di guerra, ma accusare il nemico di nascondersi dietro gli indifesi è diventato il pretesto per esercitare una violenza disumana. L’iscrizione alla Scuola è obbligatoria e gratuita: docs.google.com/forms/d/e/1FAIpQLSdeOW_-Uz6ffOgrI25Bdo_JJmtH6cPx9GJtQbXckfo3-km6WA/viewform Per informazioni ci si può rivolgere alla Segreteria della Scuola: www.laportabergamo.it Il programma dettagliato della seconda edizione della Scuola si può trovare qui: www.laportabergamo.it/wp-content/uploads/SCUOLA-DI-PACE_brochure-sfogliabile-bassa-ris.pdf     Rocco Artifoni