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Quando l’arte genera la pace. Un concorso artistico culturale
Riceviamo e pubblichiamo dall’associazione Papa Giovanni XXIII INNESCHI – QUANDO L’ARTE GENERA LA PACE. Concorso artistico culturale L’innesco avvia un processo, una reazione che a catena può generare cambiamento. E’ con questo spirito che promuoviamo il Concorso Artistico Culturale “INNESCHI – Quando l’arte genera la pace” in occasione del 50esimo anniversario dell’Obiezione di Coscienza nella Comunità Papa Giovanni XXIII. Per molti e molte, la scelta di obiettare al servizio militare e quella di partecipare al servizio civile, è stata una svolta nella propria vita, un’esperienza che ha innescato processi di scelta e di cambiamento, volti a dedicare la propria vita alla costruzione della pace e alla difesa dei diritti dei più fragili. Ci rivolgiamo ad artisti ed artiste, fotografi e fotografe, illustratori ed illustratrici, videomaker, per professione o per passione, con l’obiettivo di stimolare, valorizzare e diffondere espressioni artistiche che raccontino il rifiuto della violenza e della guerra come strumento di risoluzione dei conflitti, la promozione di forme di difesa civile non armata e nonviolenta e la partecipazione attiva dei civili in azioni di costruzione della pace. Il concorso vuole dare voce, attraverso diversi linguaggi, a vissuti, riflessioni e proposte di cittadine e cittadini, attivisti/e, giovani, obiettori di coscienza, operatori ed operatrici in Servizio Civile, volontari/e, favorendo la contaminazione di idee e l’attivazione dal basso. La partecipazione è gratuita e la scadenza per inviare le proprie opere è GIOVEDì 30 OTTOBRE 2025 3 CATEGORIE: FOTOGRAFIA, VISUAL COMMUNICATION E VIDEOMAKING Il concorso “INNESCHI – Quando l’arte genera la pace” prevede tre categorie espressive. Si può partecipare come singoli o in gruppo Le fotografie dovranno rappresentare, con linguaggio visivo, forme, colori, episodi, luoghi, soggetti, situazioni, esperienze, testimonianze o simboli legati a: • gesti di impegno per la costruzione di una pace attiva • obiezione di coscienza al servizio militare • forme di disarmo e nonviolenza attiva • esperienze di incontro con la diversità • solidarietà e prossimità con le vittime dei conflitti Le illustrazioni dovranno comunicare visivamente valori, concetti e azioni legati alla scelta della nonviolenza attiva come strumento di intervento e trasformazione dei conflitti, al servizio civile, all’obiezione di coscienza, al disarmo e all’impegno civico, al rifiuto della guerra e della violenza, attraverso un linguaggio creativo, accessibile e immediato, anche simbolico. Il video dovrà promuovere il Servizio Civile Universale come scelta concreta di impegno per la pace, la nonviolenza e la solidarietà, ispirando e informando giovani e cittadine/i sul valore del Servizio Civile come forma di difesa civile non armata e nonviolenta e sulle sue caratteristiche, mettendo in luce esperienze significative, storie personali, scenari di impegno sociale e i valori che lo animano. Finalità principali dello spot: • Fare conoscere l’esperienza di Servizio Civile Universale e sensibilizzare giovani e cittadinanza sui relativi valori; • Promuovere l’adesione al prossimo bando di Servizio Civile Universale GIURIA, CRITERI DI VALUTAZIONE E RICONOSCIMENTI Il soggetto promotore istituirà una Giuria composta da esperti sul tema della Difesa Civile Non Armata e Nonviolenta, rappresentanti Istituzionali, un/a fotografo/a professionista, un/a videomaker professionista ed un/a grafico/a professionista. Verranno valutati l’originalità dell’opera, la coerenza con i temi proposti, la qualità tecnica del prodotto realizzato, l’impatto ed efficacia di titolo e descrizione, la capacità comunicativa e la completezza ed adeguatezza del materiale richiesto. I primi e le prime classificati/e in ciascuna categoria riceveranno un riconoscimento del valore di 350 € , mentre i secondi e le seconde classificati/e riceveranno un abbonamento di un anno alla rivista Internazionale. Ma non è finita qui! Per info: ufficiostampa@apg23.org Redazione Italia
Il lavoro ripudia la guerra: manifesto sottoscritto da associazioni, costituzionalisti, giuristi, avvocati del lavoro, sindacalisti ed esponenti di movimenti
USB e CEING (CENTRO STUDI INIZIATIVA GIURIDICA) lanciano il “Manifesto per un diritto del lavoro della pace” sottoscritto da associazioni, costituzionalisti, giuristi, avvocati del lavoro, sindacalisti ed esponenti di movimenti. Oggi l’uso della forza armata sembra costituire l’unico mezzo per la risoluzione dei conflitti; il piano di riarmo deciso dall’UE e l’aumento delle spese militari della NATO sono destinati a sottrarre risorse ai beni pubblici essenziali e costituiscono una condanna al precariato e allo sfruttamento per lavoratrici e lavoratori. Sta crescendo nel nostro Paese la volontà di tanti lavoratori e lavoratrici di non collaborare con il piano di riarmo e con l’economia di guerra. Questa non collaborazione si manifesta con l’esercizio del diritto di sciopero o con la volontà di dichiararsi obiettori di coscienza rifiutando di effettuare la propria prestazione lavorativa in ambiti coinvolti con la guerra e gli armamenti. Il Manifesto pertanto non è uno dei tanti appelli contro la guerra, ma costituisce un supporto giuridico fondato su principi costituzionali e sul diritto internazionale a chi concretamente rifiuta di collaborare con l’economia e la cultura della guerra. Il movimento sindacale, con il sostegno delle forze della società civile che hanno a cuore la pace e il disarmo, ha il dovere di dare una risposta all’altezza dei tempi: con il libero esercizio del diritto di sciopero e di ogni azione collettiva di lotta svincolate dai limiti imposti dalla legge 46/90, perché il trasporto e la movimentazione di armi non possono certo essere definiti “servizi pubblici essenziali”. Deve essere garantito il diritto di lavoratori e lavoratrici a dichiararsi obiettori di coscienza per convincimenti morali, filosofici o religiosi, rifiutando di effettuare la propria prestazione lavorativa se questa è connessa direttamente o indirettamente con le armi e la guerra. Lo sciopero, la disobbedienza, l’azione collettiva e il rifiuto individuale da parte dei lavoratori e delle lavoratrici sono la più efficace forma di lotta nonviolenta e possono fermare guerra e riarmo, consentendo alla Repubblica fondata sul lavoro di ripudiare la guerra e bandirla dalla storia. Il Manifesto è pubblico su www.usb.it con la lista dei sottoscrittori completa. Per aderire: illavororipudialaguerra@gmail.com Firmatari: Alessandra Algostino (costituzionalista – Università Torino)- Michela Arricale (avv. Co-Presidente CRED) – Olivia Bonardi ( giuslavorista, Università di Milano) – Silvia Borelli (giuslavorista Università di Ferrara) -Marina Boscaino (Portavoce dei Comitati contro ogni Autonomia differenziata) – Piera Campanella (giuslavorista, Università di Urbino) – Giulio Centamore (giuslavorista Università di Bologna) – Chiara Colasurdo (avv. CEING) – Andrea Danilo Conte (avv. CEING) – Antonello Ciervo (costituzionalista) – Giorgio Cremaschi (sindacalista) – Claudio De Fiores (Presidente Centro Riforma dello Stato, costituzionalista) – Aurora D’Agostino (copresidente Associazione Giuristi Democratici) – Beniamino Deidda (magistrato, ex Procuratore generale Firenze) – Antonio Di Stasi (giuslavorista Università Politecnica delle Marche) – Riccardo Faranda (avv. CEING) – Cristiano Fiorentini (Es. Naz. USB) – Domenico Gallo (magistrato, già Consigliere Corte di Cassazione) – Andrea Guazzarotti (costituzionalista Università Ferrara) -Carlo Guglielmi (avv. CEING) – Roberto Lamacchia (copresidente Associazione Giuristi Democratici) – Antonio Loffredo (giuslavorista Università di Siena) – Guido Lutrario (Es. Naz. USB) – ⁹Fabio Marcelli (giurista internazionalista Co-Presidente CRED) – Federico Martelloni (giuslavorista Università Bologna) – Roberto Musacchio (già parlamentare europeo) – Valeria Nuzzo (giuslavorista Università Campania) – Giovanni Orlandini (giuslavorista Università Siena) – Francesco Pallante (costituzionalista Università Torino) – Paola Palmieri (Cons. Cnel per USB) – Alberto Piccinini (Presidente Comma 2) – Giancarlo Piccinni (Presidente Fondazione Don Tonino Bello) – Franco Russo (già parlamentare, CEING) – Giovanni Russo Spena (già parlamentare) – Arturo Salerni (avv. CEING) – Jacobo Sanchez (avv. CEING), Simone Siliani (Direttore Fondazione Finanza Etica) – Carlo Sorgi (magistrato, già Presidente Tribunale Lavoro Bologna) – Francesco Staccioli (Es. Naz. USB) – Anna Luisa Terzi (magistrato, già Consigliere Corte appello Trento) – Anna Fasano (presidente Banca Etica) – Tano D’amico (Fotografo) – Associazione Comma 2 – Associazione Giuristi Democratici – Pax Christi Italia Link al comunicato per condivisione: Il lavoro ripudia la guerra: il manifesto per un diritto del lavoro della pace lanciato da USB e Ceing Unione Sindacale di Base
Disobbedienza civile contro il riarmo
Un demone si aggira per l’Europa e per il mondo: il demone del riarmo. Per volontà della Commissione europea (senza passare per l’Europarlamento), la Ue ha deciso di investire 800 miliardi di euro in armi. Non solo, al vertice Nato dell’Aja a fine giugno, il segretario generale Rutte ha chiesto ai 27 paesi membri di passare dal 2% del pil al 5% per la difesa, entro il 2035. La Spagna di Sanchez ha subito annunciato che non poteva accettare quell’imposizione, mentre l’Italia di Meloni ha subito chinato il capo, come china il capo alle decisioni di Trump di inviare milioni in armi all’Ucraina che «pagheranno loro» (vale a dire noi) e il guadagno sarà un maxi dividendo in primis per gli Usa e poi per l’Europa. Intanto sborseremo col 5% del Pil ben 113 miliardi di euro all’anno in difesa. Siamo alla follia! Ha vinto il demone della guerra. Non solo, i ministri dell’economia Ue che compongono il Consiglio dei governatori della Banca europea, hanno deciso di stanziare per le armi una somma record, fino a 100 miliardi di euro per il 2025. A peggiorare il quadro, il Segretario della Nato Rutte ha anche chiesto di rafforzare del 400% la difesa aerea e missilistica contro la Russia, perché secondo lui ci sarà un attacco di Putin contro la Ue entro cinque anni. Infatti una Germania sempre più bellicosa sta già arruolando 60.000 nuovi soldati e costruendo l’Eurodrome (pesa tonnellate), prodotto da Airbus. Per questi progetti la Germania ha già investito 7 miliardi di euro. Gli Usa stanno già costruendo il loro Goldendome, che prevede uno scudo missilistico orbitale. Il costo previsto si aggira attorno ai 175 miliardi di dollari. Questo potrebbe portare Cina e Russia a costruire arsenali ancora più sofisticati. È l’escalation mondiale al riarmo. Secondo i dati ufficiali del Consiglio Europeo, dal 2014 al 2024, le spese militari e quelle specifiche in armamenti nei paesi Ue sono aumentate rispettivamente dal 121% al 325%. È sempre più evidente che il complesso militar-industriale Ue sta determinando l’agenda e i contenuti della politica estera dell’Unione europea. Ma quello che impressiona di più sono gli enormi investimenti nel nucleare. È la bomba atomica la più grave minaccia che pesa sulle nostre teste e sullo stesso pianeta Terra. Si tratta di circa 100.000 nuove bombe atomiche teleguidate presenti in cinque paesi della Nato: Belgio, Olanda, Germania, Italia e Turchia. Con grande coraggio negli anni Ottanta il noto arcivescovo di Seattle, Raymond Hunthousen, affermava: «Penso che l’insegnamento di Gesù ci chieda di rendere a Cesare, munito di armi nucleari, quello che si merita: il rifiuto delle imposte e di cominciare a dare solo a Dio quella fiducia completa che adesso riponiamo, tramite i dollari delle nostre imposte, in una forma demoniaca di potere. Alcuni chiamerebbero questa “disobbedienza civile”, io preferisco chiamarla “obbedienza a Dio’». È quanto sosteneva anche un altro profeta di pace, il gesuita Daniel Berrigan, che ha animato il grande movimento Usa contro la guerra in Vietnam: «Gridiamo pace, urliamo pace, ma non c’è pace: Non c’è pace perché non ci sono costruttori di pace, perché fare pace costa altrettanto come fare guerra – almeno è altrettanto esigente, altrettanto dirompente ed altrettanto capace di produrre disonore, prigione e morte». Berrigan si è fatto almeno quattro anni nelle prigioni statunitensi. Anche il vescovo emerito di Caserta, Raffaele Nogaro, che tanto si è impegnato per la pace, ha recentemente scritto un appello in cui afferma che «oggi è improrogabile manifestare per la pace a ogni costo, fino alla pratica inevitabile della disobbedienza civile». Non lasciamo nel dimenticatoio le parole di papa Leone che denuncia il riarmo come «propaganda di guerra» e che ricorda come le popolazioni «non sanno» quanto quest’immenso investimento potrebbe essere utile ai servizi sociali. Il mio è un appello a tutto il vasto movimento italiano per la pace, perché possa ritrovarsi in assemblea e decidere insieme quale via e quali mezzi non violenti scegliere per ottenere pace in un momento così grave della storia umana. Non bastano più gli appelli e le manifestazioni, dobbiamo rispolverare tutte le obiezioni di coscienza per mettere in crisi questo sistema di morte che ci sta portando alla rovina. Tutti i costruttori di pace  ascoltino questi profeti di pace, in un momento così grave della storia umana. La palla è nelle nostre mani. Alex Zanotelli
L’aereo carico di armi non è decollato da Montichiari
I LAVORATORI DELL’AEROPORTO CIVILE-COMMERCIALE BRESCIANO INDICONO UNO SCIOPERO, IL VOLO IN PARTENZA DALL’AEROPORTO VIENE CANCELLATO E LA PARTITA DI MISSILI DESTINATA IN MEDIO ORIENTE RIMANE A TERRA. Inizia con questo successo la campagna nazionale di USB contro il carico, scarico e trasporto di armamenti e materiale bellico, decisa e studiata insieme al Centro d’Iniziativa Giuridica Abd El Salam. Una campagna che vede in via di lancio anche la questione dell’obiezione di coscienza a sostegno dei lavoratori in sciopero nonché del mondo di ricerca, scuola e università interessate da rapporti con il sistema militare-industriale. Un presidio di un centinaio di persone, venute da varie parti della Lombardia, ha animato la conferenza stampa convocata da USB di fronte all’aeroporto bresciano, nella quale si è comunicata anche la revoca dello sciopero indetto la sera prima a fronte della notizia della cancellazione delle operazioni. Un successo che premia lo sforzo dei lavoratori e delle lavoratrici dell’aeroporto civile di Brescia che erano pronti ad entrare in sciopero, con i delegati che da mesi denunciavano quanto accade nel carico e scarico di materiale bellico. Di ancor maggiore importanza il fatto che questo è accadeva mentre al vertice della NATO i capi di stato davano il via libera all’aumento inaudito delle spese militari, fino alla cifra incredibile del 5% del PIL. L’assunzione di responsabilità collettiva da parte di USB e del corpo dei lavoratori e lavoratrici in questo senso rappresenterà uno dei fronti più caldi di scontro dei prossimi mesi, nei quali non è certo difficile prevedere l’aumento del traffico di armamenti e materiale bellico, della sua progettazione e produzione in Italia e in tutta l’area del mediterraneo. A questo proposito: riteniamo non sia un caso che la Commissione di Garanzia abbia inviato di prima mattina una nota d’urgenza alla nostra O/S, nella quale non si è azzardata a comunicare che le operazioni di carico, scarico o trasporto di armi siano un servizio pubblico essenziale, ma che la sua esclusione dai vincoli previsti dalla legge anti-sciopero debbano essere concordati con tutte le parti sociali e la stessa Commissione. Ovviamente, USB si riserva di rispondere dopo un confronto con il Centro di Iniziativa Giuridica nel merito di una contestazione pretestuosa e fuori luogo; ma fin d’ora vogliamo ricordare alla Commissione che l’articolo 1 della  legge 146/90 (Norme sull’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati) individui con chiarezza quali siano i diritti della persona costituzionalmente tutelati, verso i quali occorre contemperare il diritto di sciopero. Tra questi, non c’è e non ci può essere il diritto di trasportare armi e morte. In ogni caso, sarà nostra cura chiedere alle maggiori sigle sindacali del nostro Paese se ritengano che le armi, invece, possano essere considerati un servizio pubblico essenziale da garantire con preavviso, durata e procedure di raffreddamento La campagna dello sciopero e dell’obiezione di coscienza si è appena avviata. Sappiamo che sarà lunga e niente affatto semplice, che la mobilitazione all’Aeroporto di Brescia è stato solo un primo passo, per quanto incoraggiante. Ma sappiamo che questa è la strada giusta da percorrere: dà la dignità al mondo del lavoro di non essere spettatore inerme di fronte allo scenario di guerra in cui ci stanno trascinando i “grandi” del nostro pianeta. IN ITALIA, IL LAVORO RIPUDIA LA GUERRA! All’aeroporto di Brescia è iniziata con grande successo del primo sciopero la campagna di USB contro il carico e scarico di armi  – Unione Sindacale di Base Maddalena Brunasti
Mirare alla coscienza
Sarà presentato a Palermo il prossimo 16 giugno presso il No Mafia Memorial, il bel libro edito dal Centro Gandhi nella collana Quaderni di Satyagraha “La coscienza dice no alla guerra. Per un rilancio dell’obiezione di coscienza a tutti gli eserciti e per una nuova idea di difesa”, curato da Enzo Sanfilippo e Annibale Raineri e prefato da Alex Zanotelli. Ne parliamo con i due curatori, che appartengono entrambi alla Comunità dell’Arca fondata da Lanza Del Vasto. D. Caro Enzo, com’è nata l’idea di realizzare questo volume e in che relazione si trova con la campagna di obiezione alla guerra? R. Tutto nasce con l’inizio del conflitto in Ucraina che ha riportato tutti noi all’evidenza della guerra come dato epocale e drammatico. Abbiamo sentito nel nostro piccolo gruppo un senso di impotenza aggravato dal fatto che esso è legato alla tradizione nonviolenta che tramite Lanza del Vasto arriva direttamente a Gandhi. Perché – ci siamo chiesti – questa nostra cultura e le pratiche che ad essa si ispirano non dicono più niente al mondo? Sono anzi spesso derise e ritenute non credibili… Due persone impegnate nell’Arca hanno deciso di recarsi in Ucraina con una Carovana organizzata da Stop the War Now per un’esigenza di condivisione e di comprensione. Al loro rientro è iniziata una riflessione collettiva che ci ha portati a conoscere le azioni che altri movimenti dell’area pacifista e nonviolenta avevano già messo in campo, ad incontrarli e dialogare con loro.  Abbiamo così aderito alla “Campagna Obiezione alla Guerra” lanciata dal Movimento Nonviolento e abbiamo fatto sì che tante persone potessero tradurre in questo primo gesto individuale ciò che ciascuno di noi sente nel profondo: un rifiuto ad uccidere e un desiderio di trovare e sperimentare vie concrete alla gestione nonviolenta dei conflitti. Quel Sì che in più parti del libro tutti gli autori propongono di accompagnare al semplice rifiuto della guerra e degli eserciti. In questo percorso di approfondimento abbiamo preso consapevolezza che il diritto all’obiezione di coscienza e la necessità di forme istituzionali di difesa non armata e nonviolenta sono scomparse dal dibattito pubblico già da vent’anni, da quando cioè la leva non è più obbligatoria. Questo è un dato paradossale: il fatto che i giovani non vengano più chiamati a svolgere il servizio militare o quello civile in forma sostitutiva, ha fatto sì che il tema della difesa, che la costituzione aveva collocato tra i “doveri” di ogni cittadino (art.52), non venga più preso in considerazione dai più e affidato ai militari di professione.  Quella che ai più era sembrata una vittoria (la cancellazione della naja) si è rivelata un boomerang. La ripresa di questo tema è in linea con due pronunciamenti della Corte Costituzionale che ha sancito che si può assolvere al dovere di difesa della patria sia in forma armata sia in forma non armata. Bisogna pertanto istituire formalmente l’istituto della Difesa nonviolenta a cui potranno partecipare i cittadini obiettori di coscienza. D. Il libro è un corale a molte voci, che muove dagli interrogatori e dalle testimonianze degli obiettori durante la guerra d’Algeria, narrati da Lanza del Vasto, per giungere alle esperienze di diserzione attuali in Russia e Ucraina, Israele e Palestina. R. Sì, abbiamo voluto inserire, ad inizio del volume, questo diario che racconta dell’incontro tra giovani francesi chiamati alla leva nei primi anni sessanta con alcuni compagni della Comunità dell’Arca del tempo. Questi giovani sentivano forte nel proprio intimo la volontà di non partecipare alla guerra d’Algeria in cui la Francia era impegnata in quegli anni e nella quale manifestava in pieno l’idea di dominio coloniale, con l’uso di tutti i mezzi, compresa la tortura contro i dissidenti. Atti di questo genere sono stati ripetuti oggi da giovani russi, bielorussi, ucraini e israeliani, come è detto in un’altra parte del libro. Far conoscere direttamente queste testimonianze ci è sembrato molto significativo per due motivi. In primo luogo perché nel caso della Francia degli anni ‘60 si realizzò l’incontro tra persone di generazioni diverse che oggi molti di noi pensano assente o in forte sofferenza: non sarà forse perché si cerca il confronto su idee e opinioni e non su atti di vita?   L’altro motivo risiede nel fatto che l’obiezione di coscienza, testimoniata con atti di disobbedienza ad una legge dello Stato, ha storicamente introdotto istituti assolutamente innovativi nella concezione stessa dello Stato. Specialmente in Italia l’istituto della Difesa non armata e nonviolenta è contenuto nel nostro ordinamento giuridico, come in pochi altri paesi al mondo (cosa ignorata dall’opinione pubblica).   Quindi le scelte politiche in tema di difesa, compresa la sospensione della leva obbligatoria e la costituzione dell’esercito professionale e la trasformazione del servizio civile in forme di semplice tirocinio pre-lavorativo (nonostante esso sia ancora formalmente finalizzato alla difesa nonviolenta), hanno di fatto interrotto un interessante percorso di riforma dello Stato che può e deve essere ripreso e sostenuto. D. Caro Annibale, tu e gli altri autori e autrici siete fermamente convinti che le pratiche di ripudio nonviolento della guerra – espresse per esempio negli Interventi Civili di Pace in contesti bellici internazionali o nelle attività dell’Osservatorio contro la Militarizzazione delle Scuole e delle Università o nei numerosi Presidi di Donne per la Pace, che proprio in questi giorni stanno coordinandosi per dare vita ad una manifestazione diffusa e unitaria il 26 giugno in molte città – possano costituire esempi concreti di una “politica dal basso”, alternativa alle passerelle istituzionali, ormai estranee alla società civile, e molto più coinvolgente. R. Sì, ma la questione ha contorni più radicali. Non si tratta di “rivitalizzare” la politica con un incremento dell’attivismo “dal basso”. Si tratta piuttosto di mettere in campo forme di agire e di pensare diverse dall’agire politico che ha strutturato la modernità, l’ordine simbolico dentro cui si è mosso tanto il potere di governo che chi a quel potere si è contrapposto (anche quando, come per me, si sente la storia di quelle lotte come la propria storia). Ogni agire politico è un agire che definisce mezzi e strategie per conseguire obiettivi sulla base di una “mappa” della “congiuntura”, cioè di un tempo non lungo. Nell’agire politico, cioè, i mezzi e le strategie non valgono per se stessi, ma solo per la loro (presunta) efficacia. Ma qual è la congiuntura attuale? Viviamo in un tempo di crisi radicale di una storia millenaria in cui le società sono state strutturate in base al principio della forza, al potere di dare la morte (principio figlio della sovversione patriarcale). Questo modello sociale attraversa una crisi radicale perché, grazie allo straordinario sviluppo della scienza-tecnica, ha condotto l’umanità sull’orlo del baratro.  Se si ha questa coscienza storica, allora non si tratta di mettere in campo altre forme di agire strategico, ma anzitutto di mirare alla coscienza, come scriviamo nel libro, in forza unicamente della verità. Il resto verrà di conseguenza, e con esso la costruzione di un “campo comune” e di percorsi parziali, passo dopo passo. Ripeto: il primo ed essenziale passo è un duplice atto di coscienza, individuale, responsabile, pubblico: un No che sia anche un Sì, come diceva prima Enzo. D.Infine un interrogativo che ci angoscia da sempre e per il quale forse non esiste una risposta univoca: ci sono momenti storici, dolorosissimi e conflittuali, in cui anche i nonviolenti sono coinvolti in conflitti ineludibili, se vogliono stare, come oggi si usa dire, “dalla parte giusta della Storia”.  Penso a Lidia Menapace, staffetta partigiana disarmata, allo stesso Gandhi che invitò gli indiani a combattere a fianco degli inglesi nelle due guerre mondiali suscitando enorme scandalo, alle donne curde del Rojava costrette fino a poco fa a imbracciare il fucile nonostante Ocalan oggi raccomandi il disarmo.  Il sangue versato – che sia in una guerra o in una rivoluzione – è pur sempre preziosissimo sangue… R. La questione che poni è un dilemma impossibile da sciogliere. Eppure qualcosa mi sento di dirti, provando a distinguere due livelli. Anzitutto il piano morale, quello che esplicitamente indichi. Su questo piano non si può far altro che appellarsi alla coscienza individuale, evitando scorciatoie: chi non si sente di portare le armi ma nondimeno partecipa ad una lotta partigiana ne condivide il peso morale. Nei drammi morali non è mai questione della “salvezza della mia anima”. Nessuno dei maestri della nonviolenza condannerebbe chi usasse la violenza (anche a costo del “proprio inferno”) di fronte ad una impossibilità a non “usare il male” di fronte ad un male infinitamente maggiore. Ma chi decide? Sul piano della moralità non c’è altro che la coscienza individuale di fronte ai drammi della storia.  Ma, oltre al piano della moralità, c’è il piano della eticità, cioè dell’orientamento di valore oggettivato nella concretezza storica in cui sono immerse le vite delle comunità, con le loro istituzioni e gli universi simbolici dentro cui si rappresentano. Se il nostro tempo è il tempo storico in cui l’uccidibilità come millenario principio ordinatore delle comunità umane è “oggettivamente” posto in questione perché sta precipitando l’umanità in una catastrofe mortale irreversibile, allora è chiaro che di fronte a questa “situazione del tempo” del tutto nuova è necessario uscire da quel paradigma (e dalle forme simboliche corrispondenti).  Uscire dal paradigma della guerra (che non è un conflitto fra stati, ma qualcosa che struttura tutti gli ambiti della nostra esistenza) con un pensiero ed una pratica nonviolenta è l’unico modo di stare all’altezza del presente. Al contrario continuare a pensare in termini di conflitto fra poteri e contropoteri ci ricaccia dentro quell’agire strategico subalterno, nei presupposti impliciti, all’ordine dominante. Non si tratta di sfuggire ai conflitti, ma di stare dentro essi con un’altra logica, la logica della vita e non della morte. Come dici tu, si tratta di stare dalla parte giusta della storia: nonviolenza non è, come molti credono, essere equidistanti, è stare nell’unico posto in cui è possibile guardare il mondo con giustizia creativa: la parte delle vittime, tutte. le modalità per ricevere una copia del libro si trovano alla pagina https://www.trefinestre.com/come-ricevere-il-libro Daniela Musumeci
La leva in Italia non è stata cancellata, ma solo sospesa
Sul finire del secolo scorso, l’esigenza dei paesi NATO era quella di costruire un nuovo modello di difesa con militari di professione, giudicando la leva un antico, e ormai inutile, retaggio del passato. Serviva, insomma, un esercito addestrato, con numeri decisamente inferiori al passato, ma capace di intervenire con efficacia e tempestività. La scarsa motivazione dell’esercito di leva, venuto meno quel clima da opposti schieramenti, anche ideologici, sancito dal lungo secondo dopo guerra, l’evoluzione della tecnologia militare e duale, a partire dalle guerre spaziali degli anni Ottanta, andavano mutando scenari e priorità. Già 30 anni fa giravano vari studi atti a dimostrare che la leva obbligatoria era fonte di inutile spesa pubblica, non servivano soldati poco motivati e obbligati a mesi nelle caserme, ma forze di pronto intervento rapido da utilizzare negli scenari di guerra e dopo alcuni anni da ricollocare, con corsie preferenziali, negli uffici pubblici. E a quel punto qualche anno da militare di professione spianava la strada anche ad un successivo impiego sicuro, questi erano i presupposti con i quali partiva la campagna per l’esercito professionale 25 anni or sono. Con la fine della Guerra Fredda, nell’arco di pochi anni, quasi tutti i paesi eliminano la leva obbligatoria scegliendo la strada (suggerita dagli USA) delle forze di difesa professionali, iniziano Belgio (1995) e Paesi Bassi (1997) seguiti da innumerevoli paesi per arrivare poi, nel nuovo secolo, ad altre nazioni ossia Germania (2012), Ucraina (2014), Lituania (2015), Lettonia (2023). La leva in realtà nel nostro paese non è stata cancellata, ma solo sospesa e di questo l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università ha ampiamente parlato e scritto negli ultimi mesi, nel frattempo registriamo spinte importanti che vanno nella direzione di ripristinare la obbligatorietà della leva, prevedendo in alcuni casi una scelta tra addestramento militare e un servizio civile. E nazioni come Germania e Polonia da due anni parlano di pianificare l’addestramento militare per i civili per far fronte alla minaccia russa. E questi due paesi sono quelli che maggiormente nel vecchio continente hanno accresciuto le spese belliche in rapporto al loro stesso PIL e nel caso renano sta partendo la riconversione di interi settori dell’economia civile a fini militari, un progetto di economia di guerra sul quale stanno lavorando da un anno. Meno di un anno fa la Polonia annunciava un piano straordinario di addestramento militare a “tutti gli uomini adulti” nell’ottica di costruire un esercito di 500 mila uomini inclusi i riservisti che, sul modello israeliano, diventano sempre più importanti nei futuri scenari militaristi. Se la guerra in Palestina è condotta con ampio utilizzo di tecnologie di ultima generazione e con sistemi all’avanguardia, il conflitto ucraino, per quanto presenti ampio utilizzo di droni e missili, di aerei a guida senza pilota, ha richiesto quantitativi di soldati decisamente maggiori a quelli disponibili, la Russia ha inviato al fronte ex detenuti in cambio della promessa, una volta tornati dalla guerra, di non espiare la pena, in Ucraina i reclutatori dell’esercito costringono giovani ad andare al fronte battendo villaggio per villaggio. In Germania, nel frattempo, si parla di reintroduzione del servizio militare obbligatorio entro la fine dell’anno, in Spagna invece, dove le posizioni sono diametralmente opposte, è iniziata una aspra discussione sulla cultura della sicurezza e della difesa che in soldoni potrebbe portare a rivalutare la leva obbligatoria (con qualche modifica rispetto al passato) da qui a pochissimi anni. Federico Giusti, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università