Tag - Normativa

Precariato: ecco la cassettina degli attrezzi by Occhiuto-Cattaneo-Galliani
Alla telenovela della riforma del preruolo si aggiunge un nuovo episodio. Se la cassetta degli attrezzi (il controverso DDL Valorizzazione e promozione della ricerca), con cacciaviti di ogni tipo e misura, non ha funzionato, perché non provare con una mini-cassettina, giusto una coppia di cacciaviti, uno a stella e l’altro a taglio? L’emendamento Occhiuto, Cattaneo, Galliani, Bucalo, Paganella, Fallucchi, approvato il 20 maggio dal Senato, è un copia-incolla parziale del DDL, di cui ripropone due profili precari e poco garantiti: i “contratti post-doc” ribattezzati “incarichi post-doc” e le “borse di assistente alla ricerca junior” ribattezzate “incarichi di ricerca”.  Gli incarichi post-doc, finanziati con fondi interni o da soggetti terzi, durano da uno a tre anni. Gli incarichi di ricerca sono ancora più discrezionali, in virtù del possibile conferimento diretto su indicazione del responsabile scientifico del progetto di ricerca. Sull’operazione incombe il possibile cartellino rosso europeo. In relazione alle riforme promesse dal PNRR è proibito fare marcia indietro (il cosiddetto reversal). È questa incognita che aveva frenato la cassetta degli attrezzi della Ministra Bernini. Introdurre figure precarie per tutti i gusti avrebbe vanificato una milestone del PNRR contenuta nella legge 79/2022: l’abolizione dell’assegno di ricerca e l’introduzione di un’unica figura post-doc, il Contratto di ricerca. La cassetta mille-pezzi era troppo ingombrante. Due cacciaviti stanno in tasca e l’UE potrebbe non accorgersene. Sempre che non ci mandino in serie B come il Monza. Em.to 1.0.1 Occhiuto_Cattaneo_testo 2-1
Decreto sicurezza: “gravissimi profili di incostituzionalità”. L’appello promosso dai giuristi supera le 5.000 firme
Il Decreto Sicurezza “presenta una serie di gravissimi profili di incostituzionalità“. In primo luogo, la decretazione d’urgenza, “senza che vi fosse alcuna straordinarietà, né alcun reale presupposto di necessità e di urgenza” costituisce una “violazione è del tutto ingiustificata e senza precedenti” delle prerogative del Parlamento. Nel merito, poi, è un decreto che punta a reprimere il dissenso e comprime alcuni diritti fondamentali, tassello fondamentale in qualunque democrazia. Non usa mezzi termini l’appello pubblico promosso da 237 i giuristi italiani, tra cui tre presidenti emeriti della Corte Costituzionale. Le firme sono raccolte sul sito di Articolo21. -------------------------------------------------------------------------------- Riceviamo e volentieri pubblichiamo il testo dell’appello: È compito dei giuspubblicisti nei periodi normali della vita del paese interpretare ed insegnare la nostra Costituzione. È anche compito dei singoli giuspubblicisti assumere delle posizioni individuali all’esterno dell’Università. Ci sono momenti però nei quali accadono forzature istituzionali di particolare gravità, di fronte alle quali non è più possibile tacere ed è anzi doveroso assumere insieme delle pubbliche posizioni. È questo il caso che si è verificato nei giorni scorsi quando il disegno di legge sulla sicurezza, che stava concludendo il suo iter dopo lunghi mesi di acceso dibattito parlamentare dati i discutibilissimi contenuti, è stato trasformato dal Governo in un ennesimo decreto-legge, senza che vi fosse alcuna straordinarietà, né alcun reale presupposto di necessità e di urgenza, come la Costituzione impone. Tale decreto – ultimo anello di un’ormai lunga catena di attacchi volti a comprimere i diritti e accentrare il potere – presenta una serie di gravissimi profili di incostituzionalità, il primo dei quali consiste nel vero e proprio vulnus causato alla funzione legislativa delle Camere. È accaduto spesso in passato ed anche in tempi recenti che la dottrina si trovasse a denunciare l’uso abnorme dello strumento della decretazione d’urgenza. Presidenza della Repubblica, Corte costituzionale, Presidenti delle Camere hanno più volte preso posizione in difesa del Parlamento e delle sue prerogative gravemente calpestate nell’esercizio della potestà legislativa, rimanendo inascoltati. In quest’occasione la violazione è del tutto ingiustificata e senza precedenti, dato che l’iter legislativo, ai sensi dell’art. 72 della Costituzione era ormai prossimo alla conclusione, quando è intervenuto il plateale colpo di mano con cui il Governo si è appropriato del testo e di un compito, che, secondo l’art. 77 Costituzione può svolgere solo in casi straordinari di necessità e di urgenza, al solo scopo, sembra, di umiliare il Parlamento e i cittadini da esso rappresentati. Quanto al merito, si tratta di un disegno estremamente pericoloso di repressione di quelle forme di dissenso che è fondamentale riconoscere in una società democratica. Ed è motivo di ulteriore preoccupazione il fatto che questo disegno si realizzi attraverso un irragionevole aumento qualitativo e quantitativo delle sanzioni penali che – in quanto tali – sconsiglierebbero il ricorso alla decretazione d’urgenza, dal momento che il principio di colpevolezza richiede che chi compie un atto debba poter sapere in anticipo se esso è punibile come reato mentre, al contrario, l’immediata entrata in vigore di un decreto-legge ne impedisce la preventiva conoscibilità. Numerosi sono i principi costituzionali che appaiono compromessi. Solo a scopo esemplificativo vogliamo ricordarne alcuni: il principio di uguaglianza non consente in alcun modo di equiparare i centri di trattenimento per stranieri extracomunitari al carcere o la resistenza passiva a condotte attive di rivolta; in contrasto con l’art. 13 Cost. e la tutela della libertà personale è il c.d. daspo urbano disposto dal questore che equipara condannati e denunciati; non meno preoccupante è la previsione con cui si autorizza la polizia a portare armi, anche diverse da quelle di ordinanza e fuori dal servizio. Una serie di disposizioni del decreto-legge aggravano gli elementi di repressione penale degli illeciti addebitati alla responsabilità di singoli o di gruppi solo per il fatto che l’illecito avvenga “in occasione” di pubbliche manifestazioni, disposizione che per la sua vaghezza contrasta con il principio di tipicità delle condotte penalmente rilevanti, violando per giunta la specifica protezione costituzionale accordata alla libertà di riunione in luogo pubblico o aperto al pubblico (art. 17 Cost.) mentre altre disposizioni violano palesemente il principio di determinatezza e di tassatività tutelato dall’art. 25 Cost.: si punisce con la reclusione chi occupa o detiene senza titolo “un immobile destinato a domicilio altrui o sue pertinenze”; si rischiano pene fino a sette anni per l’occupazione di luoghi che presentano un’estensione del tutto imprecisata e rimessa a valutazioni e preferenze del tutto soggettive dell’interprete. Torsione securitaria, ordine pubblico, limitazione del dissenso, accento posto prevalentemente sull’autorità e sulla repressione piuttosto che sulla libertà e sui diritti rappresentano le costanti di questi interventi Insegniamo che la missione di chi governa dovrebbe essere quella di cercare un equilibrio nel rapporto tra individuo e autorità. Invece, il filo che lega il metodo e il merito di questo nuovo intervento normativo rende esplicito un disegno complessivo, che tradisce un’impostazione autoritaria, illiberale e antidemocratica, non episodica od occasionale ma mirante a farsi sistema, a governare con la paura invece di governare la paura. Confidiamo che tutti gli organi di garanzia costituzionale mantengano alta l’attenzione e censurino questo allontanamento dallo spirito della nostra Costituzione, che fonda la convivenza della comunità nazionale su democrazia, pluralismo, diritti di libertà ed uguaglianza di fronte alla legge, affinché nessuno debba temere lo Stato e tutti possano riconoscerne, con fiducia, il ruolo di garante della legalità e dei diritti.
Nuove Indicazioni 2025: un modello di scuola inaccettabile, secondo i COBAS
Dalla Premessa culturale alle “Nuove Indicazioni 2025 per la scuola dell’infanzia e il primo ciclo di istruzione” si comprende il modello di scuola che vorrebbe Valditara. Rispecchiano le Linee guida per l’insegnamento dell’Educazione civica del 2024, lo “sviluppo dei talenti”, il concetto di persona e la centralità data nella Storia a Italia, Europa e Occidente. Il ricorso alla “personalizzazione” riecheggia invece le Indicazioni Nazionali per i Piani di Studio Personalizzato (2004) dell’allora ministra Moratti. Nelle Nuove Indicazioni, lo sviluppo dei talenti rappresenta un’ottica didattica finalizzata alla “realizzazione personale“, e fa ricordare la teoria delle “attitudini” della “Carta della Scuola” approvata dal Gran Consiglio del Fascismo (1939), mirante a selezionare i migliori: teoria stigmatizzata circa 30 anni dopo da Don Milani (Lettera a una professoressa) come classista e foriera di disuguaglianze. Poi, le radici storico-culturali occidentali del termine ‘persona’ trasmettono un’idea riduttiva dell’identità umana che ignora le concezioni sviluppatesi in altre tradizioni culturali e filosofiche. L’attenzione alla persona è orientata all’aspetto individuale piuttosto che alla dimensione collettiva, interpretandola come “una realtà che si costituisce attraverso la possibilità di dire ‘io’” dove “ogni identità si oppone necessariamente ad una alterità…e il privilegio della nostra civiltà è nel confronto”. Insomma, un’identità che si scontra con l’altro, definita attraverso la negazione o la competizione con chi è diverso/a, e non attraverso il riconoscimento reciproco, la ricerca dei punti di contatto, riducendo la relazione con l’altro ad una necessità strumentale per la definizione del sé. Per le Nuove Indicazioni, il dialogo con l’altro è una prerogativa dell’Occidente, minimizzando le relazioni con altre culture, negando cooperazione, inclusione e interdipendenza. Il rispetto verso l’altro/a avverrebbe attraverso un “lungo allenamento all’autogoverno”, riducendolo a “competenze” da allenare o a adesioni formali a regole, e non alla capacità di riconoscere l’altro come portatore di dignità, riducendo l’educazione a un controllo disciplinare contro “la hybris e la tracotanza, spesso diffuse in bambini e adolescenti di famiglie con gravi povertà educative e dinamiche affettive iper/ipoprotettive che li rendono ‘piccoli tiranni’ o fragili prede di dinamismi bullistici”, stigmatizzando le famiglie e categorizzando i bambini/e in “tiranni” o “prede”. Stupisce, poi, leggere che il “rispetto è oggi l’obiettivo di un’educazione alle differenze di genere rafforzata con le nuove Linee guida dell’educazione civica”, non solo perché nelle Linee guida non c’è traccia di educazione di genere, ma anche perchè le Nuove Indicazioni vorrebbero contrastare la violenza di genere con un’educazione definita “del cuore” (?), in cui basterebbe “l’amore” per decostruire gli stereotipi, con un ritorno alla letteratura moraleggiante di De Amicis e alla pedagogia ottocentesca. In merito alla libertà, presentata come “il valore più importante dell’Occidente sin dalla sua nascita fra Atene, Roma e Gerusalemme”, si cancella quanto la storia occidentale abbia attraversato secoli di monarchie assolute, teocrazie e sistemi oligarchici. La democrazia ateniese, citata come culla della libertà politica, era profondamente escludente; Roma si fondava su una rigida gerarchia sociale e sull’oppressione di popoli conquistati; la tradizione giudaico-cristiana ha spesso prodotto strutture autoritarie e dogmatiche. Al di fuori dell’Occidente, la libertà non è assente, bisogna però riconoscerne la pluralità di interpretazioni, legate più alla responsabilità verso la comunità che all’autonomia individuale. Nelle Nuove Indicazioni, si considera la comprensione del principio di autorità una conquista dell’uomo libero: ma se un’asserzione è valida solo perché proviene da un’autorità riconosciuta, come si  sviluppa il pensiero critico? In ambito scientifico, un’affermazione deve essere verificabile indipendentemente da chi la enuncia. Tra le sfide sociali del nostro tempo, il testo elenca le migrazioni, l’urbanizzazione e i conflitti in Europa. Ma le migrazioni non sono solo una “sfida sociale“, ma per la scuola soprattutto una sfida educativa. L’11%, a livello nazionale, di alunne/i con background migratorio pone alla scuola necessità specifiche, da affrontare con laboratori, tutoraggio tra studenti, mediatori culturali e un maggiore coinvolgimento dei genitori. Si riconosce l’importanza dei conflitti, ma solo quelli interni all’Europa, trascurando il resto del mondo e le più generali dinamiche geopolitiche e sociali, fondamentali per una cultura di pace e dialogo. Le Nuove Indicazioni sottolineano il valore profondamente umanistico, e di supporto all’apprendimento disciplinare, della scrittura, l’importanza del corsivo e della calligrafia per migliorare la coordinazione oculo-manuale, limitare l’uso degli schermi e preservare l’esperienza concreta, essenziale per lo sviluppo del pensiero e del ragionamento. Però, sottolineando l’enfasi su corsivo e calligrafia, non ci sono pareri univoci sul fatto che la scrittura in corsivo migliori fluidità e sviluppo cognitivo, fermo restando che, secondo la maggior parte degli studi, è la scrittura a mano, in corsivo o in stampatello, ad offrire maggiori benefici cognitivi e motori rispetto alla digitazione: e perciò le insegnanti lasciano che venga utilizzata la grafia più adatta alle esigenze degli alunni/e. Il ritorno alla calligrafia (bella scrittura), di gentiliana memoria, rischia di penalizzare chi ha difficoltà nella motricità fine o una grafia meno curata, portandolo persino ad un rifiuto verso la scrittura e lo studio. L’abilità grafica è solo uno dei tanti modi in cui l’intelligenza e la creatività possono manifestarsi. Bruna Sferra Esecutivo di Roma e Provincia dei COBAS Scuola
I COBAS Scuola contro le prove INVALSI: un excursus storico (1)
Le prove INVALSI sono ormai parte integrante del sistema di istruzione e si sono così radicate da essere spesso accettate passivamente, considerate innocue e ridotte a una semplice routine, senza che se ne comprenda pienamente la reale utilità poiché di fatto non è osservabile come i risultati vengano effettivamente utilizzati per apportare miglioramenti al sistema educativo italiano, a fronte però di un costo per lo Stato di circa 400 milioni di euro dal 2004 a oggi, di tagli e mancati finanziamenti alla scuola. L’avvicinarsi delle prove genera sempre una certa ansia: Come si comporteranno i miei alunni? Come andrà mio figlio? Sarò in grado di affrontarle? Nonostante ciò, vengono somministrate, corrette e tabulate perché “si deve fare” e un altro anno scolastico procede secondo rito.Una maggiore consapevolezza sarebbe utile per comprendere le ragioni per cui i COBAS, insieme a molte docenti e genitori, si oppongono alle prove, rifiutandosi di somministrarle, scioperando o scegliendo di non mandare i propri figli a scuola nei giorni stabiliti. Per interpretare il presente, è essenziale conoscere il passato, e quindi è utile ripercorrere le principali tappe che hanno portato all’istituzione e allo sviluppo dell’INVALSI. Nel 1999, sotto la guida del ministro Berlinguer, la scuola italiana subisce una trasformazione importante. Con il DPR 275 viene disciplinata l’autonomia scolastica, avviando una riforma che cambia profondamente il sistema educativo. I direttori didattici e i presidi acquisiscono il ruolo di dirigenti scolastici acquisendo competenze che in precedenza erano principalmente collegiali.  La scuola inizia ad adottare una logica gestionale più aziendale, con il dirigente che diventa un manager, chiamato a rendicontare il proprio operato in base a parametri di efficienza ed efficacia. Entra nel sistema educativo italiano il principio dell’accountability, che implica l’obbligo di rendere conto dei risultati. Sempre nel 1999, il Centro europeo dell’educazione (CEDE) viene trasformato nell’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo. Nel 2003, con la ministra Moratti, la riforma continua con la legge 53 che introduce le prime rilevazioni obbligatorie. Nel 2004, l’Istituto viene riorganizzato e rinominato “Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione” (INVALSI), con il compito di effettuare prove periodiche di apprendimento. Entra a far parte del Sistema nazionale di valutazione, definendo le modalità tecnico-scientifiche della valutazione. Si afferma la cultura della valutazione in termini di accountability e le prove INVALSI iniziano a influenzare le pratiche didattiche. Alle prove ci si prepara e prende avvio il fenomeno del teaching to the test. Parallelamente, tra i docenti e i genitori si analizzano criticamente gli effetti delle prove che vengono contestate. Le principali obiezioni riguardano la loro natura standardizzata e decontestualizzata che le rende discriminatorie e inadatte a cogliere le specificità di scuole e di studenti, soprattutto quelli provenienti da contesti svantaggiati. Si critica il modello anglosassone, che rischia di ridurre l’apprendimento alla sola preparazione ai test, trascurando competenze critiche e laboratoriali. Nel 2008, la ministra Gelmini introduce la Direttiva 74 che stabilisce che la rilevazione degli apprendimenti debba essere effettuata in ingresso e in uscita dei diversi livelli scolastici per valutare il valore aggiunto delle scuole. Questo “effetto scuola” misura quanto una scuola sia riuscita a far apprendere ai propri alunni più di quanto avrebbero appreso mediamente altri studenti con caratteristiche simili all’inizio del percorso. Sebbene le prove non siano obbligatorie, molti docenti le percepiscono come uno strumento di valutazione del loro operato e si diffonde la pratica del teaching to the test. Le case editrici si adeguano, pubblicando fascicoli specifici per la preparazione, a carico delle famiglie. Questo allarma molte scuole, che vedono questi meccanismi di valutazione come estranei alle loro pratiche didattiche. Molti istituti scelgono di non somministrare i test, rifiutandosi per motivi pedagogici, didattici contrattuali. Numerosi insegnanti si rifiutano di sottoporre i propri studenti alle prove e molti genitori decidono di tenere i figli a casa o inviano diffide al dirigente scolastico. Nel 2011, i COBAS SCUOLA indicono il primo sciopero contro le prove INVALSI. Nel 2015, con la legge 107, la cosiddetta “buona scuola” del ministro Renzi, l’INVALSI viene potenziato. Cambia il quadro di riferimento per l’impiego dei dati presenti nel Rapporto di Autovalutazione (RAV), il format è predisposto dall’INVALSI e le priorità relative agli esiti degli studenti sono dedotte dai risultati delle prove. La “buona scuola” provoca una grande contestazione contro la realizzazione di un ciclo premiale che va dall’INVALSI ai dirigenti scolastici, dai dirigenti ai docenti e infine agli alunni. Nel 2022, il ministro Valditara cambia il nome del Ministero dell’Istruzione in Ministero dell’Istruzione e del Merito, ma l’idea di una scuola meritocratica ha radici nelle politiche dei ministri precedenti. I COBAS invitano a una prima riflessione rispetto a test standardizzati che possono misurare conoscenze nozionistiche o abilità di ragionamento, ma non sono in grado di valutare aspetti fondamentali come la riflessione critica, l’espressione del pensiero, la partecipazione, la creatività e il pensiero divergente. Questi strumenti non riescono a cogliere le dinamiche quotidiane dell’insegnamento, che vanno ben oltre la mera preparazione ai test. Eppure, costano molto…  Bruna Sferra    Esecutivo di Roma e provincia dei COBAS Scuola
Costi e benefici, l’inefficacia dei test INVALSI secondo i COBAS (2)
Quest’anno la somministrazione delle prove INVALSI nella scuola primaria è prevista per il 6, 7 e 9 maggio, mentre nella scuola secondaria di secondo grado le prove si svolgeranno nel corso del mese di aprile. Il MIM e l’intero mondo della scuola italiana attenderanno il consueto Rapporto annuale dell’INVALSI per conoscere gli esiti delle prove e i punti di forza e di debolezza delle scuole. Si tratta di dati che dovrebbero attivare strategie di miglioramento per una scuola più equa che risponda alle esigenze formative di ogni alunna e alunno. Senza entrare, per ora, nel merito della validità delle prove, il loro consolidarsi dal 2004 a oggi dovrebbe far supporre un rapporto positivo tra costi e benefici.Cosa leggeremo nel Rapporto INVALSI 2025? Purtroppo, dovremo fingere stupore, poiché sarà l’ennesima riproposizione di quanto già noto, forse con una veste leggermente diversa, esattamente come accaduto in passato. Da oltre vent’anni le prove INVALSI fotografano una scuola incapace di garantire un’istruzione equa per tutte e tutti, in cui permangono divari e disuguaglianze territoriali, socio-culturali, di genere e di origine. Chiunque voglia verificarlo può consultare i Rapporti pubblicati sul sito dell’INVALSI, come abbiamo fatto noi COBAS. Nel 2005, in un PowerPoint dell’INVALSI si leggeva: “In IV si ha uniformità di prestazioni per area geografica in tutte le discipline e in entrambi i livelli non vi sono differenze significative fra maschi e femmine.” Ma che cosa è accaduto poi alla scuola? Scorrendo un po’ a salti i diversi Rapporti fino all’ultimo disponibile, si constata come l’iniquità del sistema scolastico si sia progressivamente consolidata. ·        2009 (scuola primaria): “In quinta sembra profilarsi un progressivo distacco negli apprendimenti tra gli studenti delle scuole del Centro e quelli del Nord, mentre si conferma il più basso livello degli apprendimenti tra gli studenti delle scuole del Sud. Le differenze di punteggio legate al genere e all’età dei bambini sono minime. Gli alunni di cittadinanza non italiana, nella quinta classe della scuola primaria, ottengono risultati molto inferiori rispetto ai loro compagni italiani, soprattutto in Italiano.” ·        2013: “Il ritardo del Mezzogiorno, già presente ai gradi iniziali, tende in generale ad ampliarsi lungo il percorso degli studi.” ·        2015: “Lo scarto rispetto alla media nazionale tra le macro-aree meridionali e insulari aumenta progressivamente lungo l’itinerario scolastico. I maschi ottengono punteggi più bassi delle femmine nella prova di Italiano e più alti in Matematica. Gli alunni stranieri registrano risultati sistematicamente più bassi rispetto ai loro compagni italiani, con differenze statisticamente significative in quasi tutte le prove, eccetto la Matematica di terza secondaria di primo grado. […] La qualità dell’ambiente familiare incide sui livelli di apprendimento.” ·        2017: “Il quadro delineato dai dati, non dissimile da quello degli anni precedenti, evidenzia una crescente disparità interna al Paese, in particolare tra Nord e Mezzogiorno”. Le differenze di genere, quelle tra alunni italiani e stranieri e quelle legate allo status socio-economico-culturale ricalcano i dati del 2015. ·        Ultimo Rapporto 2024: “Si confermano le forti disparità territoriali, non solo tra Nord e Sud (e talvolta tra Nord, Centro e Sud), ma anche tra regioni e province. Persistono significative disuguaglianze legate al contesto socioeconomico e culturale delle famiglie, segno di un sistema scolastico scarsamente equo, incapace di compensare gli effetti del contesto di provenienza, come previsto dalla Costituzione. L’emergenza Covid-19 ha messo ulteriormente in luce ed esasperato alcune criticità storiche del sistema scolastico italiano.” Anche quest’ultimo Rapporto conferma le criticità che affliggono la scuola, riconoscendone perfino la persistenza nel tempo.Dal 2004 a oggi, le prove INVALSI hanno comportato un costo complessivo di circa 400 milioni di euro, senza tuttavia determinare sviluppi positivi nel sistema educativo. L’INVALSI sostiene che i dati delle prove offrano a Dirigenti e docenti “l’opportunità di individuare situazioni di difficoltà o di eccellenza e di progettare azioni adatte al miglioramento di ogni singola scuola”. Ma Dirigenti e docenti hanno verosimilmente bisogno degli esiti delle prove INVALSI per conoscere i bisogni formativi di alunne e alunni? Come fanno a garantire percorsi didattici inclusivi e favorire il successo formativo degli alunni con bisogni educativi speciali le cui prove vengono escluse dalle rilevazioni? I Rapporti annuali rilevano dati sempre più preoccupanti  dal 2005 a oggi, dimostrando l’inefficacia dei finanziamenti assegnati alle singole scuole sulla base degli esiti delle prove INVALSI. Come COBAS riteniamo che questo già sia più che sufficiente per opporsi alle prove. Ricordiamo, a titolo emblematico, che la scuola primaria, un tempo fiore all’occhiello del sistema educativo italiano, ha subito un progressivo declino a partire dall’abolizione del Tempo pieno e delle ore di compresenza (nelle intenzioni della ministra Moratti e portata a compimento dalla ministra Gelmini), aggravato poi dagli effetti negativi dell’autonomia scolastica.  La scuola pubblica non ha bisogno di test, ma di investimenti concreti per il ripristino del vero Tempo pieno e del Tempo prolungato su tutto il territorio nazionale, la riduzione del numero di alunni per classe e la stabilizzazione del personale precario. Al contrario, assistiamo al ridimensionamento degli istituti scolastici, a tagli al personale e alla continua sottrazione di risorse alla scuola pubblica a vantaggio di quella privata. Bruna Sferra  Esecutivo di Roma e provincia dei COBAS Scuola