Un’analisi critica dell’assicurazione sanitaria integrativa per il personale scolastico
Il recente provvedimento introdotto con l’art. 14, comma 6, del Decreto-Legge n.
25 del 14 marzo 2025 ha previsto l’istituzione di un servizio di copertura
assicurativa integrativa per le spese sanitarie del personale scolastico. Il
Ministro dell’Istruzione e del Merito ha presentato la misura come un segnale
concreto di riconoscimento del ruolo del personale scolastico, enfatizzando
l’entità delle risorse stanziate e prospettando una copertura di 3.000 euro
annui per ogni beneficiario. La norma prevede un investimento complessivo pari
a 260 milioni di euro tra il 2026 e il 2029. La definizione dei criteri
e delle modalità di accesso al sistema di assistenza integrativa per
il personale di
cui al primo periodo sono definiti in sede di contrattazione collettiva
integrativa a livello nazionale.
Il Contratto Collettivo Nazionale Integrativo (CCNI) è stato firmato l’11 agosto
2025 dal MIM e dai sindacati sottoscrittori del CCNL 2019/2021, mentre
la Cgil ha rimandato la decisione ai propri organismi statutari.
L’art. 3 individua i destinatari della misura. Il personale scolastico di ruolo
a TI e a TD con incarico fino al 31 agosto. Vengono esclusi quelli con contratto
fino al 30 giugno e i supplenti brevi.
Il personale scolastico in Italia conta circa 1.200.000 unità, tra docenti,
ATA, educatori e IRC. I 260 milioni di euro, corrispondono in media a circa 216
euro complessivi in quattro anni per ciascun dipendente. Una cifra ben lontana
dalle dichiarazioni ufficiali.
Per reperire le risorse necessarie il Governo ha deciso di ridurre il Fondo per
il funzionamento amministrativo e didattico delle istituzioni scolastiche. Dal
2026 al 2029 il taglio previsto ammonta a 200 milioni di euro complessivi,
incidendo direttamente e pesantemente sul bilancio delle scuole.
Le istituzioni scolastiche statali funzionanti nell’anno scolastico 2024/2025
sono circa 7.600 (127 CPIA). In media, ogni scuola perderà circa 30.000 euro in
quattro anni, una somma significativa per istituti che già oggi operano in
condizioni di scarsità di risorse.
Questi tagli rischiano di compromettere ulteriormente la qualità
dell’istruzione, andando a incidere su attività didattiche, acquisto di
materiali, manutenzione ordinaria degli edifici scolastici e organizzazione di
progetti educativi.
La copertura assicurativa, di fatto, favorisce il ricorso a strutture sanitarie
private. Il provvedimento si inserisce in un quadro più ampio di
progressiva privatizzazione della sanità. Un aspetto che suscita non poche
perplessità è la partecipazione dei sindacati rappresentativi alla definizione
del provvedimento. Può essere letta come una legittimazione piuttosto acritica
di una misura propagandistica. La copertura assicurativa sottrae fondi preziosi
al sistema scolastico e incentiva un modello sanitario sempre più privatizzato.
La riduzione dei fondi destinati al funzionamento delle scuole produrrà con ogni
probabilità un effetto immediato e già noto alle famiglie, l’aumento del
cosiddetto contributo volontario. Quella quota che le istituzioni scolastiche,
pur presentandola come non obbligatoria, finiscono spesso per richiedere con
insistenza per poter garantire il funzionamento amministrativo e didattico. In
diverse scuole secondarie di secondo grado, il contributo chiesto alle famiglie
può raggiungere cifre anche superiori ai 150/200 euro l’anno per studente/ssa,
destinate a coprire spese per laboratori, innovazione tecnologica, attività
integrative, ampliamento dell’offerta formativa, acquisto di carta e toner per
le fotocopiatrici, manutenzione ordinaria degli edifici, fino alla fornitura di
beni essenziali come il sapone e la carta igienica.
Da un lato si finanzia un’assicurazione sanitaria integrativa, presentata come
misura di tutela della salute del personale scolastico, dall’altro, si riducono
i fondi destinati all’istruzione, costringendo le famiglie a coprire spese che
dovrebbero essere a carico dello Stato. In pratica, due diritti fondamentali
come la salute e l’istruzione, entrambi riconosciuti e garantiti
dalla Costituzione italiana, vengono messi in conflitto fra loro, come se la
tutela dell’uno dovesse necessariamente avvenire a scapito dell’altro.
Da un lato si mina il principio dell’accessouniversale e gratuito
all’istruzione, sancito dall’articolo 34 della Costituzione, dall’altro si
rischia di accentuare le disuguaglianze sociali, poiché il contributo delle
famiglie, pur dichiarato volontario, diventa di fatto indispensabile per il
funzionamento amministrativo e didattico delle Scuole. Le famiglie,
economicamente sempre più fragili, si trovano così ulteriormente penalizzate,
costrette a scegliere se versare o meno somme che, pur presentate come
facoltative, diventano nella realtà condizioni di accesso alle attività
scolastiche.
La vera alternativa dovrebbe consistere in un rafforzamento della sanità
pubblica, con investimenti strutturali che riducano le liste d’attesa e
migliorino l’accessibilità ai servizi. In definitiva, l’istruzione pubblica si
allontana progressivamente dal modello universalistico e gratuito disegnato
dalla Costituzione, trasformandosi in un servizio condizionato dalle possibilità
economiche delle famiglie. Una scelta che appare non solo discutibile, ma
profondamente ingiusta in un Paese che dovrebbe fare dell’uguaglianza
nell’accesso all’istruzione uno dei pilastri della democrazia.
Domenico Montuori