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Napoli non archivia Mario Paciolla: in centinaia in piazza per chiedere verità e giustizia
Ho conosciuto Anna e Pino Paciolla durante la presentazione del libro Restare vivi di Valentina Barile, ospitata dalla libreria IoCiSto. Era un’occasione raccolta, intensa, attraversata da parole profonde e sguardi che dicevano molto più di quanto fosse possibile raccontare. In quell’incontro silenzioso ma denso, il dolore si è intrecciato alla dignità e alla determinazione. Da allora, come libreria e come Presidio Permanente di Pace, abbiamo scelto di camminare al loro fianco, con la discrezione che meritano e la convinzione che questa vicenda ci riguardi tutte e tutti. La manifestazione del 15 luglio è nata all’indomani della seconda archiviazione dell’inchiesta sulla tragica morte di Mario, cooperante ONU trovato senza vita in Colombia nel luglio 2020. Il Tribunale di Roma, il 30 giugno 2025, ha confermato l’ipotesi del suicidio, chiudendo definitivamente il fascicolo. Un atto che ha lasciato sgomento e indignazione, rilanciando in modo urgente la mobilitazione civile e politica. L’evento di ieri è stato la risposta a questa archiviazione, una voce collettiva che ha detto con forza: “Noi non archiviamo”. Nel tardo pomeriggio, un corteo composto da centinaia di persone ha attraversato Napoli, da Piazza Municipio a Piazza Dante, fino al Parco Ventaglieri. Una camminata lenta, profonda, composta, fatta di cartelli, passi, silenzi e canti. Una città intera si è riconosciuta attorno a una famiglia che da cinque anni cerca risposte, e non si arrende. Il corteo si è concluso al Parco Ventaglieri, uno spazio urbano che nel tempo è diventato anche luogo di relazione, ascolto e partecipazione. Una scelta non casuale, che riflette il desiderio di tenere insieme memoria, territorio e impegno collettivo. Accanto ad Anna e Pino Paciolla, tra i presenti anche Luigi de Magistris e don Luigi Ciotti, che hanno voluto esprimere pubblicamente la loro vicinanza e l’urgenza di proseguire nella ricerca della verità. Parole forti sono arrivate da de Magistris: “Non è un suicidio. È inutile che ci vogliano convincere di una cosa che non esiste. È un po’ come, tra virgolette, uccidere Mario un’altra volta. Questo non è accettabile. Bisogna riaprire le indagini, non fermarsi e ricercare la verità.” E parole altrettanto nette da don Luigi Ciotti: “Tutto il nostro Paese, l’Italia della civiltà, si deve mettere in moto per cercare la verità. Ci devono restituire il diritto fondamentale per tutte le persone alla verità. Stiamo camminando insieme in questo corteo, ma la coscienza delle persone deve crescere di più. Questo è stato un omicidio mascherato, punto e basta. E allora facciamo in modo che non si suicidi la verità nel nostro Paese.” La madre di Mario ha ribadito con fermezza: “Non ci fermeremo, se servirà andremo alla Corte europea dei diritti umani”. Il padre ha parlato della solitudine di questi anni, della mancanza di risposte da parte del Governo, della necessità che questa vicenda non venga seppellita sotto la polvere delle archiviazioni. Il caso Paciolla, al di là dei dettagli giudiziari, è diventato ormai una questione pubblica e civile. Troppe domande senza risposta, troppe incongruenze rimaste in ombra, troppi silenzi da parte delle Nazioni Unite. La scena del crimine bonificata con fretta, la promozione di funzionari coinvolti, il mancato accesso ai documenti, la mancanza di collaborazione concreta. Eppure, ancora oggi, nessuna vera assunzione di responsabilità. Chi era ieri in piazza non cercava clamore. Cercava verità. E chi ha ascoltato, raccolto e camminato con quella famiglia lo ha fatto sapendo che ogni passo, ogni parola, ogni stretta di mano, è parte di una memoria resistente, che non si spegne e non si rassegna. Il nome di Mario, ieri, è tornato a risuonare nelle voci e nei volti di chi c’era. Un nome che non si cancella, una vita che non si archivia. Il Presidio Permanente di Pace e la redazione italiana di Pressenza, esprimono la loro vicinanza affettuosa e solidale alla famiglia di Mario Paciolla. La loro ricerca di verità e giustizia è anche la nostra.   Lucia Montanaro
“POLIZIA E MIGRANTI IN CITTÀ. NEGOZIARE IL CONFINE NEI CONTESTI LOCALI”: INTERVISTA CON GIULIA FABINI, AUTRICE DEL LIBRO
  Domenica 25 maggio, alle 18.00, appuntamento con il Collettivo Rotte Balcaniche a Schio, provincia di Vicenza, nel nuovo spazio di via Manin 26 per un incontro con il Comitato “Verità e Giustizia per Moussa Diarra” e con Giulia Fabini, ricercatrice in sociologia del diritto e della devianza presso l’Università di Bologna ed autrice del libro “Polizia e migranti in città. Negoziare il confine nei contesti locali”. Il binomio immigrazione-sicurezza è la chiave di lettura attraverso cui viene raccontata e governata la migrazione in Italia. Il controllo dell’immigrazione è, infatti, sistematicamente demandato alla polizia: dalle frontiere esterne fino alle stazioni ferroviarie, la polizia sorveglia, filtra, punisce, deporta. Proprio in una stazione ferroviaria, a Verona, il 20 ottobre 2024 Moussa Diarra veniva ucciso dalla polfer con tre colpi di pistola. Ma questa vicenda non inizia né finisce con quei tre colpi: è la storia di un ragazzo che ha trascorso gli ultimi otto anni di vita tra burocrazie impietose, documenti che scadono prima ancora di essere rilasciati, precarietà abitativa, mancanza di accesso alle cure. È una storia che ora continua nella lotta per la verità e la giustizia, ma è anche una storia come tante, che ci parla di una società razzista e securitaria dove ormai manca l’aria. L’intervista a Giulia Fabini, ricercatrice in sociologia del diritto e della devianza presso l’Università di Bologna ed autrice del libro “Polizia e migranti in città. Negoziare il confine nei contesti locali”. Ascolta o scarica