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Licenziamento alla Scala | Quattro domande a Roberto D’Ambrosio, Gianni Giovannelli e Alessandro Villari – di Effimera
Effimera ha rivolto quattro domande al sindacalista della CUB Roberto d'Ambrosio e agli avvocati, Gianni Giovannelli e Alessandro Villari, che hanno rappresentato e difeso la lavoratrice de teatro milanese La Scala licenziata per aver gridato "Palestina libera". Il giudice ha annullato il licenziamento e stabilito che la giovane venga risarcita. Il fatto non ha [...]
Finiti i soldi del PNRR migliaia di lavoratori a rischio licenziamento
Do you remember il PNRR? I soldi arrivati a pioggia negli anni scorsi dal piano di ripresa europeo, dovevano servire a far ripartire l’economia dopo il collasso dovuto alla pandemia. I recenti governi italiani (con Conte, Draghi e Meloni) sono riusciti a fare un doppio “capolavoro” negativo. Il primo è […] L'articolo Finiti i soldi del PNRR migliaia di lavoratori a rischio licenziamento su Contropiano.
Corte di Giustizia Europea: i matrimoni tra persone dello stesso sesso vanno riconosciuti in tutti gli stati membri
La Corte di Giustizia Europea ha emesso oggi una sentenza per la quale i paesi dell’Unione Europea devono riconoscere un matrimonio tra persone dello stesso sesso legalmente contratto in qualsiasi paese dell’Unione, anche se la loro legislazione nazionale non lo prevede. Rifiutare il riconoscimento è “contrario al diritto dell’Unione perché viola tale libertà e il diritto al rispetto della vita privata e familiare e può causare gravi disagi a livello amministrativo, professionale e privato, costringendo i coniugi a vivere come persone non sposate”. Il caso riguarda due cittadini polacchi che si sono sposati a Berlino nel 2018 e poi sono tornati in Polonia, dove hanno chiesto che il loro certificato di matrimonio in lingua tedesca venisse trascritto nel registro civile polacco; la richiesta era stata respinta e la famiglia ha dunque fatto ricorso alla Corte Europea di Giustizia.   Pressenza IPA
Arte contro le pene capitali – Nel giorno dei morti, l’arte per la vita.
Quando la creatività diventa impegno sociale.   Torna a Napoli Arte contro le pene capitali . Giunta alla sua quarta edizione, la manifestazione è in programma sabato 2 novembre negli spazi dell’ex OPG “Je so’ pazzo” di Materdei, dalle 15:30 fino a notte inoltrata. L’iniziativa, promossa e portata avanti dall’ex Ospedale Psichiatrico Giudiziario insieme alla cooperativa editoriale e di ricerca sociale Sensibili alle Foglie , curata da Nicola Valentino e attiva nelle indagini sul mondo delle istituzioni totali come carceri e ospedali psichiatrici giudiziari, è organizzata in collaborazione con Napoli Monitor , testata web che si occupa di giustizia, partecipazione e povertà. L’evento intreccia arte, memoria, giustizia e diritti umani, trasformando un luogo simbolico della reclusione in un laboratorio di riflessione collettiva. È un appuntamento artistico, ma anche politico e partecipazione, per ripensare la giustizia e immaginare alternative alla logica del castigo. C’è il desiderio di riflettere, attraverso l’arte e la cultura, sul significato della pena di morte e dell’ergastolo come strumenti di punizione sociale. In Italia la pena di morte è formalmente abolita, ma l’ergastolo non rappresenta un’alternativa: esso stesso costituisce una pena “fino alla morte”. Il luogo che ospita l’evento, l’ex Ospedale Psichiatrico Giudiziario, si trasforma da spazio di sofferenza a centro pulsante di vita, solidarietà e cultura, riconosciuto come simbolo cittadino di resistenza civile e di costruzione dal basso di politiche alternative. Ambulatori popolari, doposcuola, scuola di italiano, attività artistiche e sportive formano qui una rete di solidarietà concreta, un argine di resistenza e di speranza. È l’esempio di come la società civile possa generare soluzioni alternative. In questo luogo carico di storia e di significati, attraverso l’arte, si apre uno spazio per riflettere, agire e sentire. Non è solo un momento culturale, ma un richiamo concreto all’impegno civile per la giustizia, la dignità e l’umanità. L’arte, in tutte le sue espressioni, diventa veicolo per dare voce a chi è escluso e per stimolare una riflessione collettiva su carcere e diritti civili. UN’ARTE CHE DENUNCIA LA “MORTE SOCIALE” Il filo conduttore di questa edizione è la condanna e l’abolizione della pena di morte e dell’ergastolo, considerato come pena “fino alla morte”. L’approccio multidisciplinare dell’evento pone l’accento sulla sofferenza individuale, sul silenzio collettivo e sulla “morte sociale” a cui l’ergastolo condanna: una morte lenta e silenziosa che priva l’individuo della propria umanità. Attraverso performance, teatro, musica, poesia e arti visive si vuole dare voce a ciò che spesso resta nell’ombra del sistema penale: sofferenza, isolamento e marginalità. L’obiettivo è rendere visibile ciò che il carcere tende a nascondere, restituendo dignità e parola a chi vive la condanna. ERGASTOLO BIANCO E GIUSTIZIA COME CURA L’edizione 2025 apre inoltre una riflessione sul cosiddetto “ergastolo bianco”, espressione che indica la trasformazione della diagnosi psichiatrica in una pena senza fine, una condanna mascherata da cura. È un tema delicato che interroga il rapporto tra malattia mentale, istituzioni e libertà individuale, e che l’arte affronta come strumento di consapevolezza e critica sociale. LA SCELTA SIMBOLICA DEL 2 NOVEMBRE La data del 2 novembre, giorno della commemorazione dei defunti, non è casuale: assume un valore fortemente simbolico. Nel giorno dedicato alla memoria dei morti, l’iniziativa denuncia la pena perpetua come una forma di lutto sociale, riaffermando il diritto alla vita, alla dignità e alla possibilità di rinascita. PROGRAMMA E PARTECIPAZIONI Oltre cinquanta artisti saranno coinvolti tra performance dal vivo e opere in esposizione: letture, mostre, momenti di musica e danza, performance teatrali, tutti incentrati sul tema della pena, della detenzione e della vita condannata. L’apertura è prevista alle ore 15:30, quando si aprirà il cancello dell’ex OPG di Materdei, oggi centro di cultura, promozione sociale e accoglienza. Comincerà così un cammino fisico e simbolico che si snoderà tra le stanze dell’ex manicomio, le celle ei cortili. Dalle 16 alle 19:30 il pubblico potrà partecipare a un percorso guidato all’interno dell’ex area detentiva, attraversando spazi angusti che evocano in modo potente la condizione di reclusione e la “morte sociale” cui si ispira la manifestazione. Nelle vendite saranno esposte opere pittoriche e sculture realizzate da persone detenute all’ergastolo, insieme a lavori di altri artisti sul tema della pena di morte e della detenzione. Nel chiostro si terranno performance artistiche, musicali, reading, proiezioni e installazioni. Numerosi contributi resteranno visitabili per tutta la serata. Alle 17:00 due momenti di performance teatrale sui temi della pena e della detenzione: Gli Arrevuot’ — Chi Rom e chi no , gruppo misto di artisti di strada, con Muort che parla , e il Teatro dell’Oppresso con lo spettacolo Le voci di fuori . Alle 18:30 Portateci nel cuore , letture di lettere di condannate a morte nella Resistenza europea, a cura della Kalamos APS. Alle 19:00, con un pensiero al genocidio e alle sofferenze della Palestina, il Teatro Popolare dell’ex OPG rappresenterà Stanotte morirò a Gaza di Andrea Carnovale, un potente urlo contro la morte. Dalle 19:30 fino a mezzanotte si animerà l’area del secondo chiostro con Parole capitali : spazi di lettura, musica e poesie, con la testimonianza di Giovanni Farina, interno dell’OPG quando era attivo, e di Michele Fragna. Alle 20:00 è previsto un momento gastronomico con la cena sociale organizzata dalla Casa dei Popoli di Marano. Il ricavato sarà destinato a sostenere le attività sociali quotidianamente svolte nel centro. Dopo la cena, musica struggente con la fisarmonica di Dolores Melodia — canzoni e musiche dal carcere — e l’esibizione del gruppo popolare Terra e Lavoro . A chiudere il programma, Nicola Valentino proporrà Lament di MacPherson , melodia composta da un condannato a morte alla fine del XVIII secolo. Per tutta la durata dell’evento saranno presenti i banchetti informativi di Amnesty International, Antigone Campania, Associazione Yairaiha Onlus, Centro Culturale Handala Ali, Sanabel, Sensibili alle Foglie, U Buntu e A Capo. MEMORIA E RESISTENZA Arte contro le pene capitali vuole essere memoria e resistenza: contribuisce a mantenere vivo il dibattito pubblico su temi spesso rimossi come la pena, la morte legale e la dignità umana. È un modello virtuoso di come cultura, memoria e impegno sociale possono intrecciarsi, offrendo al pubblico uno spazio di riflessione sul significato della libertà e della giustizia. Rappresenta un’occasione per vivere l’arte non come semplice espressione estetica, ma come strumento di partecipazione civile. Restano interrogativi aperti che alimentano il confronto: In che misura l’arte può davvero modificare le percezioni sociali sulla pena di morte, sull’ergastolo e sul carcere? Quali risultati concreti si possono auspicare? Qual è l’impatto che rimarrà dopo l’evento? Come affrontare la continuità tra pena di morte ed ergastolo? Il dibattito è spesso trascurato. L’Italia ha formalmente abolito la pena di morte, ma mantenendo l’ergastolo lo trasforma di fatto in una “morte a vita”. Sono domande che restano aperte, ma l’evento ha già dimostrato in passato come l’arte possa diventare strumento di denuncia, empatia e riflessione collettiva. Attraverso linguaggi come pittura, fotografia, teatro, poesia e musica, artisti e cittadini possono avviare un dialogo profondo sul valore della vita e sulla necessità di difendere i diritti in ogni contesto. Se nel mondo, purtroppo, continua a esistere la pena di morte, iniziative come Arte contro le pene capitali ricordano che la cultura è un potente veicolo di cambiamento, capace di trasformare la sensibilità individuale in coscienza civile e collettiva. Un appello a non restare indifferenti. Gina Esposito
Giustizia per Hind Rajab
Wissam Hamada, madre di Hind Rajab, ha annunciato il ricorso alla giustizia internazionale contro i 24 soldati e ufficiali israeliani responsabili,  il 29 gennaio 2024, dell’assassinio della sua bambina di sei anni, dei sei parenti che erano in macchina con lei e dei due soccorritori che hanno cercato di salvarla. “Vogliamo giustizia. La nostra battaglia deve servire d’esempio alle vittime dei crimini finora impuniti. I criminali israeliani devono sapere che non sono al di sopra di ogni giudizio; deve cadere il velo di impunità che finora ha coperto il genocidio a Gaza”.   ANBAMED
Il collaborazionista in Palestina: uno strumento di controllo israeliano
Questo saggio esamina le esecuzioni del 14 ottobre 2025 a Gaza non come atti isolati di brutalità, ma come parte di una più ampia grammatica storica e politica della Resistenza sotto assedio. Si sviluppa in sezioni stratificate, a partire da come i media occidentali interpretano erroneamente la violenza rivoluzionaria, per […] L'articolo Il collaborazionista in Palestina: uno strumento di controllo israeliano su Contropiano.
VERONA: “MOUSSA NON SI DIMENTICA”. SABATO MANIFESTAZIONE NAZIONALE A UN ANNO DALL’OMICIDIO DI STATO
La Comunità Maliana e il Comitato Verità e Giustizia per Moussa Diarra invitano a partecipare al doppio appuntamento previsto per questo fine settimana a Verona, in occasione del primo anniversario dalla morte. Sabato 18 corteo nazionale con ritrovo alle ore 14 in piazzale XXV aprile, nel piazzale antistante alla stazione di Verona Porta Nuova. Domenica 19 incontro sui CPR con lo spettacolo teatrale di e con Oscar Agostoni e la collaborazione di Helga Bernardini, presso il Laboratorio Autogestito Parato@s di viale Venezia 51, inizio alle ore 15. Ci presentano le iniziative Ousmane Ibrahim Diallo, presidente della Comunità Maliana di Verona e Rachele del Laboratorio Autogestito Parato@s, entrambi parte del Comitato Verità e Giustizia per Moussa Diarra. Ascolta o scarica Pubblichiamo il comunicato che promuove il doppio appuntamento per il fine settimana a Verona: Domenica 20 ottobre di un anno fa, Moussa Diarra, giovane maliano di 26 anni, veniva ucciso alla stazione Porta Nuova di Verona da un agente della Polfer. Tre colpi di pistola che si sarebbero potuti evitare, esplosi tutti ad altezza d’uomo, e di cui uno dritto al cuore. A distanza di un anno, e con una dinamica dei fatti tuttora poco chiara, continuiamo con forza a chiedere verità e giustizia, ed un processo che restituisca a Moussa ed alla sua famiglia almeno in parte la dignità che gli è stata tolta in una vita di diritti negati. A distanza di un anno continuiamo a pensare che questa morte abbia radici profonde e che l’arma usata dall’agente della polfer abbia prodotto solo l’ultima delle ferite che hanno segnato la vita di Moussa. Ferite profonde, frutto di scelte politiche precise che hanno finanziato l’orrore dei campi di detenzione in Libia e dei CPR in Italia, che hanno imposto leggi infami come il decreto Salvini del 2018 e tutto il contesto sociale e politico che Moussa ha attraversato una volta arrivato in Italia. Un sistema razzista e discriminante fatto di file interminabili in questura e permessi di soggiorno ritirati già scaduti, di sfruttamento nei luoghi di lavoro, in cui la discrezionalità con cui vengono riconosciuti diritti fondamentali genera esclusione e marginalità. Welfare, servizi sociali, e politiche di cura vengono smantellate e sostituite con pratiche sempre più punitive e di repressione sociale per cui il diritto all’abitare diventa un problema di ordine pubblico gestito a colpi di daspo, sgomberi, profilazione razziale e zone rosse. La storia di Moussa è legata a quelle di centinaia di altre vittime spesso senza volto e senza giustizia, e solo la comunità che Moussa aveva attorno a sè (Comunità Maliana, Ghibellin Fuggiasco) e quella più ampia che si è raccolta immediatamente dopo la morte, hanno impedito che quella storia finisse come tante altre in fondo ad un cassetto. A distanza di un anno questa comunità resistente sostiene il complesso lavoro del team legale, continua a raccontare questo profondo bisogno di giustizia, ad alimentare il presidio di memoria collettiva in stazione contro ogni atto di rimozione, a costruire dal basso iniziative e proposte. Un percorso che, dalla grande manifestazione a Verona del 27 ottobre e dall’incontro a Roma con la senatrice Ilaria Cucchi, ha poi attraversato piazze, mobilitazioni, spazi sociali intrecciando linguaggi, storie e lotte. Ed è questa comunità che sabato 18 Ottobre chiama a Verona una manifestazione nazionale: per rivendicare il diritto ad un processo che ricostruisca verità e garantisca giustizia per Moussa Diarra, per pretendere politiche di cura, non di repressione e di marginalizzazione. E per denunciare che la stessa logica coloniale e razzista che ha tolto la vita a Moussa è quella che oggi sostiene ed alimenta il genocidio del popolo palestinese, la negazione quotidiana della sua esistenza e della sua dignità. E’ la stessa logica criminale che divide i corpi e le vite da proteggere da quelle da respingere e da eliminare. Invitiamo tutte le comunità, le realtà sociali, i collettivi e le persone solidali ad aderire e partecipare alla manifestazione che partirà dalla stazione di Verona Porta Nuova alle ore 14 di sabato 18 Ottobre. Moussa non si dimentica. Info sul percorso e sulla manifestazione sui canali social Verità e Giustizia per Moussa Diarra. Hanno aderito (in aggiornamento): – Donne in Nero, – Senegambia, – Gruppo Radici dei Diritti dell’Università di Verona, – Mediterranea Saving Humans Verona, – Osservatorio di Comunità, – Rifondazione Comunista Verona, – One Bridge to – ETS, – Associazione Nissa, – Coordinamento veronese per il diritto alla Salute, – Il Gheriglio APS, – Bozen Solidale, – Spazio 77, – Rete Verona Rainbow, – Tumulto Pride, – Comitato Acqua Bene Comune Verona, – Verona per la Palestina, – Valdesi Verona, – Sbarre di zucchero APS, – La Fraternità ODV, – UGS Verona (Unione dei Giovani di Sinistra Verona), – Il mondo di Irene, – Eimì Univr, – Associazione Sesamo Odv, – sez. ANPI Verona centro, – Sinistra Italiana, – Comunità Cristiane di Base Verona, – Rete Radié Resch, – Collettivo Tamr, – Assopace Verona, – Assopace Nazionale, – Potere al Popolo – Veneto, – Attac Verona, – Possibile Verona, – Afrodiscendenti Antimperialisti, – Casa Madiba, – Casa Don Gallo Rimini, Per adesioni: permoussadiarra@gmail.com Rinnoviamo l’invito a sostenere le spese legali e di supporto alla famiglia di Moussa. CC MPS Intestato al Circolo Pink: IBAN: IT65G 01030 11707 0000 11099 492 PayPal: permoussadiarra@gmail.com Causale: Per Moussa Diarra
Chi più può seguire l’ipocrisia delle leggi degli uomini e degli dei?
Quando norme e riti diventano maschere, resta solo il comandamento dell’amore. Nell’attualità, la contraddizione tra leggi umane e leggi divine si rivela con una chiarezza quasi dolorosa. Da un lato, i confini marittimi tracciati dalle norme internazionali autorizzano persino l’arresto di volontari che cercano solo di portare aiuto, come nel caso delle flottiglie dirette verso popoli assediati. Dall’altro lato, lo Yom Kippur, con la sua sacralità rituale, immobilizza un intero paese per invitare alla riflessione, al digiuno, al pentimento. Due forme di legge che sembrano opporsi: una che giustifica il potere e la forza, l’altra che richiama l’interiorità e la coscienza. Ma entrambe, se svuotate di verità, rischiano di diventare maschere. Le leggi umane si proclamano strumenti di ordine e di sicurezza, mentre spesso producono ingiustizie, guerre ed esclusione. I riti divini si proclamano vie di riconciliazione, ma se restano prigionieri della forma possono convivere con la violenza quotidiana, senza interrogarla davvero. È qui che l’ipocrisia diventa evidente: quando la norma o il rito si trasformano in alibi, invece che in strade di giustizia. Che crollino pure dunque! È arrivato il momento! Il Vangelo, invece, dice senza compromessi: “Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c’è altro comandamento più grande di questo” (Mc 12,31). È questa la sola legge autentica, la sola che smaschera l’ipocrisia delle altre, la sola che non conosce confini né riti, ma chiede di essere incarnata ogni giorno, nel gesto umano della cura, dell’ascolto, della solidarietà. Chi non riconosce il volto del Buon Samaritano nella flottilla che attraversa il mare, chi non vede in quell’atto la legge dell’amore, allora si ritiri puro nel silenzio del nulla. Stefania De Giovanni
Dugo e le stelle: memoria e giustizia per il popolo Rom
All’Eirenefest Napoli, ospitato dal Presidio Permanente di Pace della libreria IoCiSto, sabato 20 settembre si è chiusa la rassegna con la presentazione dell’ultimo romanzo di Francesco Troccoli, Nel romanzo, Troccoli racconta una storia che parte dal presente, da un Nord Italia segnato dalla paura e dall’odio razziale: un campo rom in fiamme, bambini spaventati, adulti invisibili che lottano per sopravvivere. Questo presente si intreccia con la memoria più profonda della persecuzione, della deportazione, dello sterminio. Ferdi, un bambino di sette anni, sopravvive al rogo che devasta il suo campo, fugge, si nasconde, attraversa quaranta paure. Non è solo la sua vicenda individuale a emergere, ma un ritratto collettivo: di chi ha vissuto, resistito, ricordato. Durante la presentazione, Valentina Ripa ha guidato Troccoli in un dialogo che non si è limitato alla trama, ma ha aperto la riflessione sulla storia e sulle responsabilità di un Paese che ha troppo a lungo dimenticato. Dal palco sono emerse ricostruzioni di giustizia: il riconoscimento del Porrajmos, lo sterminio dei Rom e dei Sinti, ancora poco presente nel discorso pubblico; la consapevolezza che la Resistenza antifascista italiana non fu solo “bianchi e rossi”, ma anche altre voci, marginalizzate nei libri di storia. Nel corso della serata, l’autore ha ricordato come le comunità rom abbiano spesso scelto una resistenza non armata, fondata sulla nonviolenza. Ha citato racconti tramandati secondo cui alcuni fascisti catturati avrebbero chiesto di arrendersi solo in mano loro, per avere certezza di sopravvivere. Una memoria scomoda, che rompe la narrazione ufficiale e che restituisce dignità a chi è stato doppiamente escluso: perseguitato e poi dimenticato. Il Porrajmos è il termine che designa la persecuzione e lo sterminio dei Rom e dei Sinti sotto il nazismo e nei territori controllati dall’Asse. Si stima che circa 500.000 persone furono uccise nei lager, bruciate nei forni crematori, vittime delle stesse dinamiche che colpirono gli ebrei: ghettizzazione, internamento, lavoro coatto, fama, malattia, disumanità. In Italia, sotto il fascismo e durante l’occupazione, Rom e Sinti furono internati in campi di detenzione, spesso cancellati dai documenti ufficiali. Usciti “formalmente” indenni dalla guerra, persero tutto: la casa, le carovane, la dignità. La memoria di queste perdite è rimasta in gran parte inascoltata. Uno dei momenti più toccanti della serata è stato il confronto sul presente: il popolo Rom è cittadino italiano, ha passaporto e diritti formali, ma è ancora oggi relegato in “campi”, spesso non ufficiali, a margini sociali che si trasformano in invisibilità. L’Italia è stata più volte richiamata e sanzionata dall’Europa per questa situazione, che contrasta con i principi stessi di cittadinanza e democrazia. Francesco Troccoli Valentina Ripa e Francesco Troccoli   Stefania De Giovanni