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Cop30: le associazioni ecologiste denunciano il fallimento del vertice
Ciò che era iniziato con grandi speranze e promesse si è concluso senza tabelle di marcia concrete per porre fine alla distruzione delle foreste e all’uso di combustibili fossili, mentre le divisioni geopolitiche hanno nuovamente messo in luce la disconnessione tra chi chiedeva un’azione per il clima in occasione della COP30 e chi difende gli interessi economici, in particolare dell’industria fossile. La prima COP nella foresta amazzonica avrebbe dovuto elaborare un piano d’azione per porre fine alla distruzione delle foreste entro il 2030 e, dopo che i piani d’azione per il clima del 2035 si sono rivelati pericolosamente insufficienti, la COP30 avrebbe dovuto elaborare anche un Piano di Risposta Globale per lavorare sull’innalzamento della temperatura globale del pianeta. Non ha fatto né l’uno né l’altro. All’unisono le principali associazioni ecologiste internazionali, da Greenpeace a Fridays for Future a Extinction Rebellion hanno denunciato con forza la pericolosità della situazione e la necessità di una immediata azione dal basso per portare di nuovo all’attenzione dei governi e della società l’urgenza di un cambio globale di sistema e di direzione. Pressenza IPA
I pastori che fanno rifiorire la terra in Senegal
In Senegal un gruppo di pastori sta sperimentando il “mob grazing”, un’innovativa tecnica pensata per rigenerare pascoli degradati, aumentare la biodiversità e migliorare l’assorbimento dell’acqua in ambienti semi-aridi. Nello specifico si tratta di pascolare gli animali in spazi ristretti invece che in un terreno dispersivo, per brevi periodi, spostandoli poi su nuovi terreni. Un modo per fare respirare il suolo e favorirne la rinascita. Lo riporta il Guardian. L’intervento pilota del “mob grazing” è stato guidato negli ultimi mesi da Ibrahima Ka, capo del villaggio di Thignol. L’obiettivo è quello di rigenerare le praterie degradate dal sovrapascolo e dalla siccità dovuta ai cambiamenti climatici, migliorando la biodiversità e la capacità del suolo di trattenere acqua. Quello dei terreni degradati e aridi è un problema irrisolto nel Paese. Secondo il dottor Tamsir Mbaye, direttore del Pastoralism and Dryland Centre un terzo dei pascoli del Senegal è degradato, con poca erba e rari alberi. Le cause principali sono il sovrapascolo e le piogge irregolari provocate dal cambiamento climatico. Dopo soli 18 mesi, i primi risultati sono incoraggianti: grazie al mob grazing sono tornate specie di erbe e insetti scomparse da decenni. Nonostante questi primi buoni risultati, gli scienziati sono ancora scettici nel considerare questo metodo la soluzione definitiva per rigenerare i pascoli. Si tratta ancora di una sperimentazione e, secondo il Guardian, occorre trovare un equilibrio per evitare di danneggiare il suolo. Se applicato nel modo giusto può diventare un espediente efficace per affrontare la crisi climatica, anche in zone più aride del continente.   Africa Rivista
A Roma il Climate Pride per la giustizia climatica e sociale e contro il riarmo
Si è svolta sabato a Roma la seconda edizione del Climate Pride, evento che rientra tra le numerose iniziative in atto nel mondo mentre sono in corso a Belem, in Brasile, i negoziati della COP30. Alla manifestazione hanno aderito più di 80 associazioni italiane. Oltre agli ambientalisti storici di Legambiente, WWF e Greenpeace, hanno animato il corteo di diecimila persone tanti cittadini e attivisti di Arci, Unione degli Studenti, Amnesty international, Extintion Rebellion, Fridays For Future, Ultima Generazione, Per il clima fuori dal fossile, Rete Pace e Disarmo, A Sud, Rete Emergenza Climatica e Ambientale, Libera contro le Mafie, CGIL. Partita da Piazzale Aldo Moro, la lunga colorata e gioiosa street parade si è snodata per le vie della capitale per concludersi in tarda serata a Largo Preneste. Musica, performance artistiche e molte maschere di animali, compreso un dinosauro, a simboleggiare l’impatto sulla biodiversità e i rischi di estinzione della vita multispecie a causa della gravissima crisi climatica che incombe sul pianeta. Ma anche tanti cartelli di speranza e simboli come pale eoliche per evidenziare la improcrastinabile necessità di adottare un nuovo modello economico basato su fonti energetiche pulite e rinnovabili. Esplicito lo striscione di apertura del corteo: “Dall’Amazzonia all’Europa, Giustizia Climatica Planetaria”, a significare che i Paesi riuniti in questi giorni in Brasile devono abbandonare rapidamente il sistema fossile, estrattivista e coloniale, primo responsabile del cambiamento climatico. Ma anche causa di forti tensioni geopolitiche e guerre. Non a caso i conflitti scoppiano soprattutto nelle aree ricche di combustibili fossili come petrolio e gas. La riprova è data anche dalle guerre in corso in Ucraina e in Palestina. Gli eventi estremi provocati dal cambiamento climatico già oggi causano molti morti e ingenti danni economici che, secondo BloombergNEF, nel 2024 hanno raggiunto 1.400 miliardi di dollari. Se non si riuscirà a contenere l’aumento del riscaldamento globale entro 1 grado e mezzo – obiettivo dell’Accordo di Parigi e che secondo molti scienziati con il trend attuale sarà impossibile raggiungere – alluvioni, siccità e innalzamento del livello dei mari provocheranno centinaia di milioni di migranti climatici con conseguenti nuove guerre che potrebbero far impallidire quelle attuali. Giustizia climatica, giustizia sociale, pace e diritti umani sono obiettivi connessi tra di loro. Non si può lottare per uno tralasciando gli altri. Appare pertanto irresponsabile il comportamento di Capi di Stato come il presidente Trump che si è fatto principale portavoce dei negazionisti climatici, rilanciando allo stesso tempo l’estrazione e la vendita dei combustibili fossili. Così come è gravida di pesantissime conseguenze la marcia indietro ingranata dall’Unione Europea sul Green Deal e la folle politica di riarmo che sottrarrà enormi risorse economiche alla transizione ecologica, al sostegno delle comunità colpite dai disastri climatici e ai bisogni primati della popolazione come salute, istruzione e welfare. Per le associazioni promotrici il Climate Pride è solo una tappa della mobilitazione che proseguirà nelle prossime settimane e mesi, nella convinzione che solo un diretto coinvolgimento dei cittadini e una forte pressione dal basso – contro ogni criminalizzazione del dissenso – può contrastare l’enorme potere delle lobby del fossile e degli armamenti che, per perseguire i loro interessi, dettano l’agenda economica e politica dei governi. Foto di Mario Pizzola Mario Pizzola
Cop30, tra le proteste indigene
Martedì, contestualmente alla conferenza COP30 (30ª Conferenza delle Parti sulla Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici) che sta avendo luogo in questi giorni a Belém in Brasile, è scoppiata una nutrita protesta da parte di comunità indigene e attivisti per il clima, che ha visto dozzine di manifestanti – […] L'articolo Cop30, tra le proteste indigene su Contropiano.
17-18 ottobre: Comporre la Resistenza per un mondo comune, La Strada
Con Adriano de La Strada e Renato del Movimento dell'Acqua/Per il Clima Fuori dal Fossile parliamo della due giorni che si terrà al CSOA La Strada questo 17 e 18 ottobre. Per confrontarsi su vari temi che toccano l’ecologia e la giustizia sociale; partendo da Roma, passando per le lotte ecologiste in Europa, fino ad arrivare alla COP30 a Belém, in Brasile.  Dal 12 al 16 novembre, Belém infatti ospiterà il Vertice dei Popoli (Cupula dos Povos), evento parallelo alla COP30, con oltre 10.000 partecipanti e 1.000 organizzazioni da tutto il mondo, per dare voce a popoli indigeni e movimenti sociali e proporre soluzioni alla crisi climatica fondate su giustizia sociale e ambientale. Nei giorni prima (dal 12 al 16, sempre a Belém) si terrà il 4º Incontro Internazionale delle persone colpite dalle dighe e dalla crisi climatica, con 350 delegati da 62 paesi. L’obiettivo è coordinare una strategia globale di resistenza al modello economico estrattivista e promuovere la sovranità energetica popolare.  Di questo ed altro si parlerà in questi due giorni di iniziativa al CSOA La Strada a Garbatella, via Francesco Passino 24. In un mondo in pezzi; dilaniato da guerra, genocidi, ingiustizie e cambiamenti climatici; abbiamo provato a fare un collage per ricomporlo e ricostruirlo diversamente. Non partiamo da zero ma da una costellazione di esperienze che in tutto il mondo stanno sperimentando pratiche di lotta e resistenza innovative da valorizzare, studiare, organizzare e mettere a sistema.  Per comporre un fronte plurale, aperto e determinato. Partendo dalla città, ma con lo sguardo sempre rivolto al mondo. Uniamo parole, pratiche e desideri. In vista della mobilitazione internazionale del 15 Novembre Siamo la natura che si ribella.
Rapporto Oxfam e CARE: i paesi ricchi speculano sui debiti ‘green’ dei paesi in via di sviluppo
Il capitalismo non si aggiusta né si corregge. La sua natura è fatta di contraddizioni, tra il capitale e i lavoratori, tra il capitale e la natura. Per questo chi sa di cosa sta parlando dice da tempo che le politiche ‘green‘ sono solo una forma diversa di valorizzazione, a […] L'articolo Rapporto Oxfam e CARE: i paesi ricchi speculano sui debiti ‘green’ dei paesi in via di sviluppo su Contropiano.
Gaza e il clima
Nei molti articoli di “geopolitica” sul futuro di Israele, della Palestina, dell’Ucraina, della Russia, dell’Europa, dell’Occidente che ho avuto occasione di leggere manca un dato di fondo: come sarà il mondo dal punto di vista fisico, climatico, sociale, di qui a 10-20 anni? Avremo tempo e risorse per continuare a fare guerre, fabbricare armi sempre più micidiali, promuovere conflitti, oppure ci dovremo occupare di salvare le nostre case, le nostre città, i nostri territori dai disastri ambientali che si verificheranno sempre più spesso, sempre più intensamente, sempre più diffusamente, con conseguenze, anche economiche, sempre più gravi? Tutti, compresi i negazionisti climatici – e quelli che prestano fede o si lasciano ingannare da loro – sanno che il pianeta tutto e i singoli territori in cui ciascuno di noi vive non saranno più quelli di ora, ma non vogliono occuparsene perché lo considerano un problema troppo grande o troppo difficile da affrontare. Alcuni di noi, abitanti di questo pianeta, ne risentiranno in modo drammatico (alluvioni, tornado, incendi, siccità, ondate di calore, crisi idriche e di approvvigionamenti, innalzamento del livello dei mari e delle temperature, ecc.), altri in modo più lieve, ma alcuni in misura tanto forte da costringerli a cercare la propria sopravvivenza altrove: secondo le previsioni più accreditate, nel corso del secolo, ma a partire da ora (la deadline, quando ancora se ne parlava, era stata posta intorno al 2030…) e dai prossimi decenni, circa la metà degli abitanti del pianeta – 4-5 miliardi di esseri umani – dovrà emigrare verso altri territori, per lo più verso l’emisfero settentrionale, liberato dai ghiacci e dal gelo dal riscaldamento globale. Siamo pronti ad affrontare queste migrazioni epocali? E in che modo? Questo è ciò che manca dalle mappe dei futurologi di governo e dei media, ma che è ben presente nelle menti dei pochi membri dell’élite – soprattutto militari, soprattutto del Pentagono – che si misurano con i dati di fatto. Gli stessi che stanno imponendo una svolta radicale ai bilanci degli Stati, trasferendo quantità sterminate, e apparentemente insensate, di risorse dal sostegno all’esistenza delle rispettive popolazioni alle armi, alla guerra, allo sterminio. Quelle risorse economiche e “umane” oggi indirizzate al “ riarmo” (come se non fossimo già abbastanza armati), ma soprattutto alla militarizzazione delle istituzioni e della società, e composte in misura crescente da strumenti di sorveglianza dual-use, domani saranno utilizzate per cercare di fermare i flussi incontrollati di migranti in cerca della propria sopravvivenza in altre regioni del pianeta. Che fare? Gaza ci ha mostrato tutta la determinazione con cui si è cercato di eliminare da un territorio piccolissimo come “la Striscia”, con una politica di sterminio programmato, una popolazione giudicata superflua o nemica, ma quello era, e forse è ancora, solo un laboratorio. Domani quegli stessi mezzi, sempre più sofisticati e micidiali, potranno essere impiegati per cercare di fermare il flusso dei migranti ambientali e sociali in fuga dalle aree del nostro pianeta diventate invivibili. Se il genocidio del popolo di Gaza ha suscitato l’indignazione e una reazione di massa in molti Paesi, ha dimostrato però di lasciare indifferenti, anzi, accondiscendenti, i loro governi. Ed è di questo che dobbiamo preoccuparci. Per questo c’è stata, e dovrà continuare a esserci, una mobilitazione così ampia per Gaza, soprattutto da parte di una generazione, quella di Greta, già impegnata con alterne vicende nella difesa del clima: una generazione che, a differenza di quelle precedenti, percepisce qual è la posta in gioco di questa tremenda aggressione. Grottesco quindi utilizzare la presenza di uno striscione che inneggiava al 7 Ottobre per attribuirne la condivisione alle decine e centinaia di migliaia di ragazze e ragazzi che si sono mobilitati contro il genocidio in atto. Ancora più grotteschi gli autodafè dei giornalisti che fino a ieri irridevano i giovani attaccati tutto il giorno ai cellulari e che oggi si accorgono che in tutto il mondo quei giovani i cellulari li usano per informarsi su ciò di cui i massmedia non parlano e per convocare le loro manifestazioni. A novembre si svolgerà a Belém la COP30 per il clima: nient’altro che una sfilata di decine di migliaia (fino a 100mila, come a Sharm-El-Sheikh tre anni fa) di “delegati” – molti della grande industria del petrolio e affini, molti diplomatici ignari dei problemi, ma anche molti esperti della materia resi impotenti dai primi – per fare finta di occuparsi del clima. Ma se non metteranno all’ordine del giorno quello che è il problema centrale dei prossimi decenni, prendendo innanzitutto una netta posizione contro le guerre e le armi che hanno offuscato l’urgenza della lotta per i clima,  quell’incontro sarà nient’altro che una stanca ripetizione delle inutili COP che l’hanno preceduto. Il fatto è che i governi di tutto il mondo si sono dimostrati incapaci di prendere sul serio la minaccia climatica che incombe su tutta l’umanità. Minaccia che può essere affrontata – all’inizio sicuramente in modo inadeguato, ma via via in modo sempre più drastico, e replicabile, mano a mano che i disastri ambientali lo imporranno – solo se verrà presa in mano dalle popolazioni che ne sono colpite: con misure di adattamento alle condizioni sempre più ostiche in cui si verranno a trovare, come si è visto nel corso di molti dei disastri climatici che hanno colpito un territorio negli ultimi tempi. Ma poi anche con misure di prevenzione: tutte – dalla generazione energetica da fonti rinnovabili e diffuse all’alimentazione e all’agricoltura di prossimità, dall’edilizia all’assetto del territorio, dalla mobilità condivisa al contenimento del turismo e dello sport-spettacolo – che potranno avere effetti positivi anche sulla mitigazione, cioè sulla riduzione del ricorso ai combustibili fossili che i governi – e chi li governa – non sanno accettare. E chi, di quelle popolazioni, potrà o si vedrà costretto a prendere l’iniziativa? Sicuramente le nuove generazioni: quelle solo l’altro ieri mobilitate per il clima e oggi per Gaza, ben consapevoli delle ragioni di fondo che le spingono a farlo. Guido Viale
Una grande siccità si diffonde in tutto l’emisfero settentrionale
> “I continenti si stanno prosciugando, la disponibilità di acqua dolce è in > diminuzione e l’innalzamento del livello del mare sta accelerando. Insieme, > questi fattori lanciano un messaggio terribile sull’impatto dei cambiamenti > climatici fino ad oggi”. (Studio sull’asciugatura continentale senza > precedenti) Il cambiamento climatico generato dall’uomo è il risultato di enormi quantità di CO2 emesse nell’atmosfera dalla combustione di combustibili fossili. Nel 2024, il tasso annuale di CO2 ha stabilito un nuovo record assoluto di 3,75 ppm o un aumento del 18.6% rispetto alla variabilità naturale di 0,02 ppm all’anno, secondo i dati paleoclimatici preindustriali. Questo sta causando una diffusa interconnessione delle regioni aride del pianeta, una nuova caratteristica del riscaldamento globale. > “Tutte le nostre infrastrutture e la nostra civiltà si basano su un clima che > non esiste più”. (John Marsham, professore di scienze atmosferiche, Università > di Leeds) Le aree riarse del pianeta si stanno fondendo in aride mega-regioni che riflettono quanto siano peggiorati i cambiamenti climatici. A causa del riscaldamento globale il clima diventa sempre più caldo, specialmente nel 2023-24 quando la temperatura media globale è aumentata di 0,3° C, inaugurando un anno intero di 1,5° C sopra il periodo preindustriale. Secondo Johan Rockström del Potsdam Institute for Climate Impact, questo grande aumento in un solo anno non si è mai avverato prima. Gli scienziati sono ancora sconcertati. Studi recenti mostrano che le fusioni di aree aride avanzano a ritmi allarmanti. Enormi regioni del pianeta stanno iniziando a somigliare al mondo della fantascienza di Dune di Frank Herbert (1965) con il suo ecosistema desertico e la scarsità d’acqua al centro della trama, facendo sembrare fantascienza i cambiamenti climatici reali nel mondo di oggi. > “Utilizziamo i dati NASA GRACE/GRACE-FO per dimostrare che i continenti hanno > subito una perdita di stoccaggio di acqua terrestre senza precedenti dal 2002. > Le aree di asciugatura del pianeta sono aumentate del doppio delle dimensioni > della California ogni anno, creando “mega regioni aride” in tutto l’emisfero > settentrionale “. (Famiglietti, et al, Unprecedented Continental Drying, > Shrinking Freshwater Availability, and Increasing Land Contributions to Sea > Level Rise, ScienceAdvances, 25 luglio 2025) La mega-aridezza comprende fattori multipli: “Dal 2002, il 75% della popolazione vive in 101 paesi che hanno perso acqua dolce. Inoltre, i continenti contribuiscono di più all’innalzamento del livello del mare rispetto alle calotte glaciali e le regioni di asciugatura contribuiscono più dei ghiacciai terrestri e delle calotte glaciali. È necessaria un’azione urgente per prepararsi ai principali impatti dei risultati presentati “, Ibidem. Quattro grandi regioni stanno mostrando un nuovo aspetto allarmante di aridità per il pianeta. Queste regioni si trovano tutte nell’emisfero settentrionale (1) Canada settentrionale (2) Russia settentrionale (3) una regione contigua comprendente il Nord America sud-occidentale e l’America centrale (4) la vasta regione tri-continentale che si estende dal Nord Africa all’Europa, attraverso il Medio Oriente e l’Asia centrale, fino alla Cina settentrionale e all’Asia meridionale e sud-orientale, che deve la sua espansione alla recente siccità europea. In breve, come nel film The Blob (1958) di fama cinematografica, l’aridità si sta diffondendo nell’emisfero settentrionale. Le conseguenze sono fin troppo ovvie: un cambiamento fondamentale delle basi della civiltà. Migliaia di anni di sviluppo della civiltà sono ora a rischio a causa di un paio di centinaia di anni di combustione di combustibili fossili. Le aree del pianeta che diventano più umide e sperimentano piogge estreme sono un altro nuovo aspetto, ma diminuiscono di dimensioni aumentando di intensità. Questa diminuzione delle aree e dell’umidità, aumentando al contempo in intensità, paradossalmente serve a spingere la aridità delle altre regioni, con grave vulnerabilità agli incendi. Ad esempio, gli anni 2023 e 2024 sono stati da record per gli incendi boschivi, bruciando più del doppio della media annuale dei due decenni precedenti. L’anno scorso è stata la prima volta che grandi incendi hanno imperversato sia nelle foreste tropicali che in quelle boreali (NASA e World Resources Institute). > “Le implicazioni dell’asciugatura continentale per la disponibilità di acqua > dolce sono potenzialmente sconcertanti. Quasi 6 miliardi di persone, circa il > 75% della popolazione mondiale, vivono nei 101 paesi che hanno perso acqua > dolce negli ultimi 22 anni “, Ibid. Gli scienziati dicono che questo deve essere considerato una sfida per i leader mondiali e un invito ad adottare misure immediate per ridurre le emissioni di combustibili fossili a tutti i costi. Dopotutto, sta bruciando il pianeta. > “L’espansione dell’asciugatura continentale estrema, la riduzione della > disponibilità di acqua dolce e l’innalzamento del livello del mare dovrebbero > essere di fondamentale importanza per il pubblico in generale, per i gestori > delle risorse e per i capi di tutto il mondo che decidono. Le delle tendenze > qui riportate, insieme a un cambiamento critico nella perdita di stoccaggio di > acqua terrestre e dell’asciugatura continentale dopo il grande El Niño a > partire dal 2014, potrebbero significare che è improbabile invertire queste > tendenze. Insieme, lanciano il messaggio preoccupante sull’impatto dei > cambiamenti climatici fino ad oggi “. Secondo un’altra rivista, Science/Alert d/d 18 agosto 2025: I continenti della Terra si stanno prosciugando a un ritmo senza precedenti: “Ciò significa che l’acqua terrestre sta, nel complesso, diminuendo con effetti devastanti in tutto il mondo. Sono incluse fonti di acqua dolce in superficie, come laghi e fiumi, e anche acque sotterranee immagazzinate nelle falde acquifere in profondità sotto la superficie terrestre.” Una parte significativa di questo problema è dove l’acqua si dirige, per lo più nell’oceano, superando l’acqua di fusione delle calotte glaciali del mondo. Nei continenti senza ghiacciai, il 68% della perdita di acqua terrestre è attribuita allo sfruttamento umano delle acque sotterranee. Le siccità estreme in America centrale e in Europa hanno contribuito notevolmente. Gli scienziati ritengono che questi eventi diventeranno più frequenti e più gravi con la crisi climatica in corso. Secondo un’altra rivista scientifica, LiveScience, dicembre 2024: “Una minaccia esistenziale che colpisce miliardi”: tre quarti delle terre della Terra sono diventate permanentemente più aride negli ultimi 3 decenni: le terre aride ora coprono il 40,6% della superficie terrestra. Secondo lo studio, l’aridità sta ora colpendo il 40% dei terreni agricoli del mondo con incendi intensificati e collasso agricolo in aree duramente colpite, tra cui gran parte dell’Europa, degli Stati Uniti occidentali, del Brasile, dell’Asia orientale e dell’Africa centrale. Gli scienziati affermano che le emissioni di CO2 dei combustibili fossili devono essere ridotte il più rapidamente possibile a zero per fermare la secchezza, nonché l’adozione di usi molto migliori dei terreni e delle risorse idriche. La fusione delle regioni di asciugatura in super regioni mega-aride è tuttora non riconosciuta dalla società a livello locale e potrebbe rappresentare l’impatto meno noto ma più dannoso del cambiamento climatico su scala globale. Gli scienziati ritengono che richieda la prima attenzione tramite (1) agenzie scientifiche governative (2) politiche di mitigazione (3) consulenza accademica per le principali nazioni sviluppate che hanno un impatto più diretto sul riscaldamento globale, in particolare Stati Uniti, Cina, Russia, India e UE, che sono i principali emettitori di CO2. La leadership della scienza non è mai stata più fondamentale di oggi. Traduzione dall’inglese di Filomena Santoro. Revisione di Thomas Schmid. Robert Hunziker
Il polso ambientale della Cina
La Cina si trova ad affrontare un momento cruciale nella lotta contro il cambiamento climatico e il degrado ambientale, dimostrando costanza e tenacia nel suo approccio alla sostenibilità, che sta influenzando le tendenze a livello mondiale. Grazie a una visione strategica a lungo termine e a politiche pubbliche solide, il Paese sta compiendo notevoli progressi nella riduzione delle emissioni inquinanti, nella promozione delle energie rinnovabili e nella protezione ecologica, nonché nel recupero di ecosistemi minacciati. In termini di qualità dell’aria, gli sforzi coordinati per controllare le emissioni hanno prodotto un miglioramento significativo nella Cina orientale, dove i livelli di particolato fine sono scesi al di sotto della media storica. Città come Pechino hanno registrato un cambiamento storico nella loro composizione energetica, riducendo drasticamente l’uso del carbone e promuovendo veicoli elettrici e processi industriali più puliti. Queste misure stabiliscono un nuovo standard per altre megalopoli che affrontano sfide simili. Si riconosce inoltre un progresso nella gestione integrata degli inquinanti, combinando strategie di precisione in settori chiave per consolidare questi risultati. Parallelamente, la Cina si è posta un obiettivo ambizioso per la fine del 2025: eliminare quasi completamente il grave inquinamento atmosferico, rafforzando i meccanismi legali e tecnici per il controllo dei veicoli e delle attività industriali inquinanti. Si tratta di uno sforzo sistematico che va dallo sviluppo di normative ambientali all’implementazione di tecnologie pulite nei trasporti, nella logistica e nella produzione energetica. Tuttavia, uno dei progetti di maggiore impatto storico è la lotta contro la desertificazione, che ha permesso non solo di arrestare l’avanzata del deserto, ma anche di recuperare terreni per l’agricoltura e rafforzare ecosistemi vitali. Questo lavoro titanico fa parte del Programma Forestale delle Tre Cinture di Protezione del Nord, popolarmente noto come la “Grande Muraglia Verde”. In quasi cinque decenni di lavoro, è riuscito ad aumentare la copertura forestale nazionale dal 10% a oltre il 25%, frenando la desertificazione in regioni critiche come lo Xinjiang, dove la copertura è passata dall’1% al 5% in 40 anni. Questo ambizioso programma è il risultato di un’efficace combinazione di politiche pubbliche lungimiranti, scienza avanzata, biotecnologia e profondo impegno sociale. La chiave sta nell’innovativo mix di tecnologie, come l’uso di biotecnologie avanzate che consentono di accelerare il ripristino del suolo attraverso l’applicazione di cianobatteri liquidi, che formano croste biologiche sul terreno in soli 10-16 mesi, un processo che in precedenza richiedeva più di un decennio. Queste croste stabilizzano il suolo, riducono l’erosione eolica e contribuiscono alla sopravvivenza e alla crescita delle piante che fissano la sabbia, con un notevole risparmio in termini di risorse e costi. Oltre alla biotecnologia, la modernizzazione include l’uso di droni e robot che effettuano lavori di semina e manutenzione in aree inaccessibili, migliorando l’efficienza e la portata dei progetti di riforestazione del deserto. Ma questa tecnologia va di pari passo con lo sforzo di intere generazioni di comunità locali, che per decenni hanno piantato pioppi, fissato le dune con intrecci di paglia e curato attentamente la gestione dell’acqua affinché la terra recuperasse la sua fertilità. Questo progetto sociale e ambientale rappresenta un esempio concreto di come la volontà pubblica possa unirsi all’innovazione tecnologica per guadagnare terreno sul deserto, proteggere la sicurezza alimentare espandendo il confine agricolo e generare un modello di sostenibilità che viene replicato e diffuso. Il recupero degli ecosistemi ha anche impedito l’invasione delle dune in infrastrutture critiche come la linea ferroviaria Lanzhou-Baotou, garantendone il funzionamento e lo sviluppo economico regionale. In definitiva, l’impegno ambientale della Cina rivela un Paese che non cerca solo tecnologie all’avanguardia e riduzione delle emissioni, ma una trasformazione integrale che coinvolge l’intera società e mette in primo piano la sostenibilità ecologica a lungo termine. La combinazione di politiche pubbliche coerenti, innovazione scientifica e impegno sociale sostenuto è ciò che consente non solo recuperi quantitativi, come l’espansione della copertura forestale e la riduzione degli inquinanti, ma anche un impatto qualitativo sulla vita quotidiana e sugli ecosistemi del Paese. -------------------------------------------------------------------------------- Traduzione dallo spagnolo di Thomas Schmid con l’ausilio di traduttore automatico. Claudia Aranda
“Ghiacciai”, una mostra di Salgado per ricordare la loro importanza
In occasione dell’Anno Internazionale della Conservazione dei Ghiacciai proclamato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per il 2025, Trento Film Festival, il Mart e il MUSE hanno unito le forze e realizzato il grande progetto espositivo “Ghiacciai” di Sebastião Salgado recentemente scomparso.  Per più di cinquant’anni, Salgado ha girato il mondo per documentarne le meraviglie e la rovina. Con alle spalle una carriera da economista nel campo della cooperazione, abbandonata nel 1973 per dedicarsi interamente alla fotografia, il brasiliano sa bene quali sono i punti nevralgici del pianeta, quelli che più di ogni altro sono in grado di restituire un’immagine – visiva, sociale e ambientale – spietatamente veritiera delle condizioni in cui si trovano la Terra e i suoi abitanti. Per questo, negli innumerevoli viaggi che lo hanno portato dalle grandi metropoli agli angoli più remoti dei cinque continenti, la sua lente si è rivolta non solo sulle persone, ma anche e soprattutto sulla natura, sugli ecosistemi, sugli equilibri delicatissimi e instabili che si creano quando l’uomo e il resto del mondo si incontrano. Proprio pensando alla mostra che si stava realizzando ebbe a dichiarare “I ghiacciai, per me, sono il termometro del pianeta: indicano cosa succederà climaticamente. Se non ci sono più le condizioni perché possano esistere i ghiacciai, allora non ci sono più le condizioni perché la Terra possa funzionare. Questo significa che ci stiamo davvero riscaldando, ci stiamo davvero sciogliendo, stiamo realmente esaurendo molte riserve d’acqua”. Il ghiacciaio Perito Moreno, Campo de Hielo, Patagonia, Argentina, 2007 A Rovereto e a Trento, Ghiacciai  è diventata  una mostra diffusa per la quale Salgado ha selezionato una serie di scatti, in buona parte inediti. Il progetto rappresenta un’occasione unica di conoscenza e approfondimento della poetica dell’artista e, allo stesso tempo, offre la possibilità di affrontare uno dei temi più urgenti del nostro tempo, quello del cambiamento climatico.  Fin dai primi monitoraggi scientifici negli anni Sessanta, è emerso con chiarezza come di decennio in decennio si possa registrare una costante, drammatica, riduzione di volume e superficie dei ghiacciai di tutto il mondo, alcuni dei quali sono già, di fatto, estinti. La scomparsa dei ghiacciai comporta in primo luogo la perdita culturale di panorami inestimabili, accecanti nella loro maestosità, capaci di affascinare generazioni di viaggiatori, artisti e poeti. Dall’altra, i ghiacciai sono elementi fondamentali nella regolazione del ciclo idrologico e del clima locale e globale, sono vivi e fautori di vita, da loro dipendono l’approvvigionamento di acqua potabile di due miliardi di persone e due terzi dell’agricoltura irrigua mondiale. Gli iceberg sono pezzi di ghiacciaio che si staccano e vanno alla deriva nel mare. Tra l’Isola Bristol e l’Isola Bellingshausen, Isole Sandwich Australi, 2009 La  mostra visitabile fino al 21 settembre si compone di due sezioni complementari allestite in due diversi musei i cui ambiti, l’arte e la scienza, corrispondono ai temi della mostra. Per il Mart di Rovereto Salgado ha scelto oltre 50 fotografie in grande e grandissimo formato di ghiacciai di tutto il mondo, mentre per il MUSE di Trento  ha progettato una grande installazione site specific negli spazi del “Grande Vuoto” progettato dall’architetto Renzo Piano, immagini  scattate tutte in Canada, nel Parco Kluane Park. Ad accompagnare la mostra, un catalogo edito da Contrasto raccoglie le fotografie e testi critici, con un’introduzione della climatologa Elisa Palazzi, docente di Fisica del clima all’Università di Torino Gli iceberg sono pezzi di ghiacciaio che si staccano e vanno alla deriva nel mare. Isole Sandwich Australi, 2009 Tiziana Volta