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“Ardono” le coscienze e l’impegno delle streghe in Piazza Signoria a difesa di Francesca Albanese
Ieri, in Piazza della Signoria a Firenze alle ore 21, un gruppo di attiviste e attivisti si è radunato in silenzio, indossando cappelli da strega, le bandiere della pace e della palestina, per esprimere solidarietà a Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani nei Territori palestinesi. Un gesto ironico e potente insieme: trasformare in simbolo di libertà quella parola “strega” che il rappresentante israeliano all’ONU aveva usato come insulto, nel tentativo di delegittimare la sua voce. Ma “strega” non è un insulto, può essere un titolo d’onore. Così ha risposto Francesca Albanese alle accuse: «È delirante che uno Stato genocida non possa rispondere alla sostanza delle mie scoperte e la cosa migliore a cui ricorre è accusarmi di stregoneria» … «Se la cosa peggiore di cui mi può accusare è la stregoneria, la accetto. Ma stia certo che, se avessi il potere di fare incantesimi, lo userei non per vendetta ma per fermare i vostri crimini una volta per tutte e per assicurarmi che i responsabili finiscano dietro le sbarre». Le streghe sono sempre state donne libere, che hanno sfidato le convenzioni e messo in dubbio lo status quo, grazie alla conoscenza e a poteri speciali: la capacità di curare, di leggere i segni, di vedere oltre. In epoche di oscurità, le streghe portavano luce. Per questo facevano paura. La storia ci insegna che dietro ogni rogo non c’era la magia, ma il potere ferito: la Chiesa, gli Stati, le gerarchie maschili, il potere economico che non tolleravano una parola autonoma, una sapienza non controllata. Quelle donne non venivano punite per la loro “stregoneria”, ma per la loro libertà. Oggi, quando un potere si sente messo in crisi da una donna che parla con lucidità, la storia si ripete — anche se con altri strumenti. Ma ogni volta che qualcuno pronuncia quella parola con disprezzo, strega, la lingua tradisce la verità: chi la usa teme ciò che non può dominare, chi usa questo tema è per evitare di rispondere nei contenuti. Per questo, dire oggi “grazie, Francesca Albanese” significa dire grazie a tutte le donne che, nel corso dei secoli, hanno sfidato il potere con la forza della parola, della conoscenza e della verità. Significa riconoscere in lei quello spirito ribelle e indomabile che — allora come oggi — fa paura ai potenti. Forse le streghe non sono scomparse, si sono trasformate, oggi hanno il volto di chi lavora per la giustizia, di chi non si lascia intimidire, di chi parla di pace in un mondo che preferisce la guerra. E allora sì: se essere strega significa questo, che si alzi alto il cappello a punta e cerchiamo di essere tanti, perché non possiamo demandare la nostra libertà, la difesa del diritto internazionale a una sola strega. Paolo Mazzinghi
Palestina: diritto internazionale e decolonizzazione, incontro a Varese
Mercoledì alle 18:00 la Sala Kolbe di Varese ha ospitato un incontro veramente interessante organizzato dal Comitato Varesino per la Palestina. Filippo Bianchetti, medico e attivista, ha presentato la serata e gli ospiti: Ugo Giannangeli, avvocato penalista e membro del collettivo GAP (Giuristi e Avvocati per la Palestina) e il Professor Federico Lastaria, ex docente al Politecnico di Milano, studioso e attivista per la Palestina. Entrambi, insieme ad altri esperti, sono stati coautori del libro “Palestina. Pulizia etnica e Resistenza” pubblicato nel 2010 da Zambon. Ugo Giannangeli ha affrontato il tema del Diritto Internazionale con un intervento intitolato “Dalla difesa dei diritti umani alla criminalizzazione dei difensori”, mentre il tema approfondito da Federico Lastaria è stato “Verso un progetto di decolonizzazione”. La sala era piena di gente, che ha assistito a due lezioni di diritto e di storia ricche di spunti di riflessione. Sono stati distribuiti volantini dal Comitato Varesino per la Palestina e il Dottor Bianchetti ha ricordato i prossimi appuntamenti: * Oggi, 16 ottobre, verrà inaugurata la mostra sulla storia della Palestina “Al Nakba” presso l’Informagiovani, in via Como, 19 a Varese * Lunedì 20 ottobre, alle 20:45 presso il Circolo Coop di Viale Belforte si riuniranno i gruppi e le associazioni che hanno curato il progetto “Una tenda per la Palestina”, ospitato dal Comune di Varese per tre settimane. Chi fosse interessato a organizzare un futuro presidio è invitato a partecipare alla riunione. L’avvocato Giannangeli ha fatto una rapida premessa, prendendo spunto dal libro “Nessuna voce è più forte della voce dell’Intifada – Appelli del Comando Nazionale Unificato dell’Intifada nei Territori Occupati Stato di Palestina” scritto a Damasco nel 1989. Questo libro, già 36 anni fa riportava la richiesta di ascolto da parte del popolo palestinese, che allora come oggi è caduta nel vuoto. Negli accordi di pace firmati a Sharm El Sheik dagli Stati Uniti e dagli altri Stati coinvolti, non c’è spazio per il popolo palestinese. Volendo darne una chiave di lettura giuridica, ci si rende conto della sua illegalità, poiché un accordo sotto coercizione di una delle due parti è nullo; il diritto all’autodeterminazione non è negoziabile e le fasi di transizione e il loro futuro non sono discussi direttamente dai palestinesi. Questo piano sostituisce l’occupazione israeliana dei territori palestinesi con altri occupanti: gli Stati Uniti e l’ISF, cioè una non ben identificata forza di stabilizzazione internazionale. Ancora una volta non si parla di popolo palestinese. L’avvocato Giannangeli ha parlato anche della Global Sumud Flotilla e della Freedom Flotilla. Entrambe hanno svolto un ruolo di supplenza dello Stato, poiché la società civile è intervenuta dove questo si è rivelato assente, ignorando gli obblighi sanciti dalla Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio del 1948. Israele ha attaccato le due spedizioni via mare, in acque internazionali, solo per dimostrare la sua forza e la sua arroganza nei confronti del Diritto internazionale, mentre lo Stato italiano ha mandato a difesa della Global Sumud Flotilla una nave che poi si è ritirata a 150 miglia dalla costa, lasciando che proseguisse da sola verso Gaza. Il 16 settembre 2025, la Commissione internazionale indipendente d’inchiesta delle Nazioni Unite sul Territorio palestinese occupato, compresa Gerusalemme Est e Israele, ha pubblicato il rapporto contenente l’Analisi giuridica della condotta di Israele a Gaza, concludendo  che “lo Stato di Israele è responsabile per non aver impedito il genocidio, per aver commesso genocidio e per non aver punito il genocidio contro i palestinesi nella Striscia di Gaza”. Il gruppo “Giuristi e avvocati per la Palestina” di cui Giannangeli fa parte, ha depositato una denuncia presso la Corte Penale Internazionale contro il governo italiano, nelle figure del Presidente del Consiglio Meloni, il Ministro degli Esteri Tajani e il Ministro della Difesa Crosetto oltre a Cingolani, AD di Leonardo per complicità in crimini di guerra e genocidio. Le manifestazioni in Italia del 22 settembre, del 3 e del 4 ottobre hanno riportato alla memoria le piazze che si attivarono ai tempi della guerra in Vietnam con le stesse motivazioni: la lotta del popolo contro il colonialismo e l’imperialismo dell’Occidente. Al grido di “Blocchiamo tutto” sono stati bloccati porti, stazioni, tangenziali e scuole. I singoli dovranno risponderne legalmente, ma tutto questo è un segnale importante di azioni collettive e pacifiche per la resistenza. L’insofferenza dalla gente è partita dall’indignazione per quanto stava accadendo in Palestina, ma è diventata anche un grido contro il riarmo e contro il governo complice di Israele. Giannangeli ha spronato a stare attenti anche in Italia ai segnali che vengono da un governo che frena il dissenso nelle dichiarazioni e nei fatti. Alcuni professori hanno denunciato circolari interne con indicazione di non affrontare in classe le questioni del genocidio di Gaza, ma c’è resistenza a queste pratiche che vengono fatte passare come questioni organizzative e amministrative, e non politiche. Tornando a Israele, è stata posta l’attenzione sulla militarizzazione della società e l’osmosi tra scuola ed esercito, che parte dall’educazione all’odio verso il diverso, e in primis verso l’arabo, già nelle scuole e passa dal servizio militare obbligatorio dai 18 ai 21 anni, usando come collante la narrazione dell’essere costantemente sotto minaccia. Non a caso le recenti manifestazioni di protesta da parte degli israeliani sono state per il rilascio degli ostaggi, per contrastare Netanyahu, ma non contro il genocidio dei palestinesi. In diverse parti del mondo si sta cercando di mettere sotto scacco giuridico la protesta verso il genocidio perpetrato da Israele: negli USA il presidente Trump vorrebbe dichiarare gli Antifa un’organizzazione terrorista, dopo l’uccisione dell’attivista conservatore Charlie Kirk, la Gran Bretagna ha messo al bando Palestine Action, in diversi Stati da tempo si cerca di legiferare contro il boicottaggio BDS e gli Stati Uniti hanno sottoposto a pesanti sanzioni Francesca Albanese. Il Diritto Internazionale funziona solo se c’è la volontà politica degli Stati. Negli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale, con la memoria fresca della catastrofe appena conclusa erano nate associazioni internazionali basate sulla convinzione che ci si dovesse dare delle regole per convivere pacificamente e i valori erano diversi da quelli che nel corso del tempo si sono trasformati in valori puramente economici. Gli equilibri del mondo stanno cambiando e gli Stati del cosiddetto Sud globale cercano un riscatto nei confronti dell’Occidente. Oggi si abusa di termini come terrorismo e resistenza, ma è importante capire il loro significato giuridico: Terrorismo: atti compiuti con l’intento di diffondere il terrore nella popolazione o di costringere poteri pubblici o organizzazioni internazionali a fare o a non fare qualcosa. Questi atti, spesso violenti, hanno finalità politiche o ideologiche e mirano ad arrecare grave danno a un Paese o a destabilizzarne le strutture. La definizione si basa su una combinazione di scopi specifici (es. intimidazione, costrizione) e di atti concreti (es. uso di esplosivi, violenza contro civili o non combattenti). Diritto di resistenza: un principio di legittimità costituzionale, di natura morale e politica (in alcuni ordinamenti ammesso come ultima ratio), che permette ai cittadini di opporsi a un potere ritenuto illegittimo. Dovremmo fare una riflessione su come e per chi vengono usati questi termini. Esistono diverse Risoluzioni Onu relative alla resistenza palestinese già dal 1948 e dal 1967, risoluzioni che sono state disattese fino ad arrivare ai giorni nostri. Giannangeli ha lanciato un messaggio importante: nei giorni scorsi molta gente è scesa in piazza a protestare indignata per la morte e la distruzione viste in diretta nelle nostre case che hanno mosso le coscienze. Oggi è ancora più importante mantenere l’attenzione sul tema della Palestina, per non lasciare che gli oppressori si spartiscano quel che resta di quella terra e del popolo che dovrebbe abitarla legittimamente. Il Professor Lastaria ha poi trattato il tema del Sionismo e della Decolonizzazione. Il colonialismo classico ha sempre avuto lo scopo di sfruttare risorse e manodopera, come hanno fatto gli europei nelle terre americane e africane, mentre il colonialismo sionista viene concretizzato già nel 1944 con il trasferimento in Palestina degli ebrei sparsi nel mondo e nel 1948 con la cacciata dei palestinesi verso i Paesi arabi vicini. Non si trattò solo di occupare lo spazio, ma anche di sostituirsi al popolo arabo che viveva in quella terra. L’occupazione però non è solo fisica, ma anche mentale. Si dovrebbe iniziare a pensare diversamente per poter arrivare a una decolonizzazione reale. L’intervento ha poi approfondito un’analisi storica del Sionismo, che non ha radici ebraiche, ma cristiane evangeliche protestanti. Già del 1850 nasce in Europa l’esigenza di creare uno Stato basato sulle scritture religiose, secondo cui solo nella Terra Santa poteva concretizzarsi l’arrivo del Messia. A fine ‘800 si realizza il progetto del movimento nazionalista ebraico per dare una terra agli ebrei. Il collante di questo progetto era la narrazione religiosa. A sostegno del movimento sionista vi era la Gran Bretagna, che cercava uno spazio di opportunità economica in Medio Oriente con la narrazione della “National home” (un focolare) per gli ebrei, già inserita nella controversa dichiarazione Balfour del 1917, che prevedeva la spartizione del futuro Impero Ottomano ormai in dissoluzione. Già qui nasce la confusione tra la religione e la nazionalità. Gli ebrei ridefiniscono la religione giudaica come nazionalismo, concetto che dovrebbe essere giuridico-politico. La serata è proseguita sotto la spinta a riflettere su vari concetti che spesso sentiamo dichiarare o controbattere e che dovrebbero farci pensare a come il nostro pensiero sia condizionato da una narrazione ultracentenaria. I temi sono diversi e il Professor Lastaria ne ha analizzati alcuni, lasciandone altri alle riflessioni personali, perché smantellando la decolonizzazione bisogna fare i conti con la nostra cultura europea. Lo stato di Israele è una democrazia? Israele non ha una Costituzione e giuridicamente distingue tra cittadinanza (estesa ai non ebrei) e nazionalità (riservata agli ebrei), stabilendo una doppia legislazione. La memoria della Shoa è celebrata, ma la memoria della Nakba, che ricorre il 15 maggio, è proibita per legge, mentre il 16 maggio si celebra la nascita di Israele. Una terra senza popolo per un popolo senza terra. Questo slogan ripreso dal passato presuppone che quando il popolo ebreo si è insediato in Palestina con l’occhio del colonizzatore bianco occidentale, si riteneva che la gente che viveva in quella terra non avesse diritto ad abitarla, che fosse appunto una terra senza popolo. La Striscia di Gaza. Anche questo è un concetto astratto creato a tavolino per dare uno spazio ai profughi arabi dopo l’occupazione ebraica del 1948, quando alcuni si spostarono a nord, altri verso la Cisgiordania e gli altri, rimasti senza abitazione, furono collocati forzatamente nella Striscia di Gaza. Un conflitto tra due nazionalismi. La soluzione dei due Stati non porta alla decolonizzazione. Chi è ebreo? Si tratta di un concetto complesso, poco chiaro e ingannevole, che induce a fare confusione tra i concetti di religione, nazione, etica e cultura. Il Diritto al ritorno e gli infiltrati. Così venivano chiamati i legittimi proprietari delle abitazioni espropriate, che negli anni Cinquanta del ‘900 cercavano di fare ritorno alle loro case. Queste e altre riflessioni restano aperte, ma una cosa è certa: per decolonizzare la Palestina dovremmo iniziare a decolonizzare la nostra cultura.   Redazione Varese
La presidenza del Consiglio dice di ignorare chi abbia autorizzato Netanyahu a sorvolare l’Italia
Riportiamo qui sotto l’articolo di Alessia Cesana, comparso su Altreconomia il 10 ottobre, che fa il punto sulle dichiarazioni del governo intorno all’autorizzazione concessa a Benjamin Netanyahu di sorvolare i cieli italiani più volte negli ultimi mesi. Nonostante, secondo lo Statuto di Roma, avessero l’obbligo di scortare il suo aereo […] L'articolo La presidenza del Consiglio dice di ignorare chi abbia autorizzato Netanyahu a sorvolare l’Italia su Contropiano.
Ignorare la Corte Penale Internazionale è una minaccia globale
SENZA RISPETTO DEL DIRITTO INTERNAZIONALE NON ESISTE PACE DURATURA: LA CRISI DI LEGITTIMITÀ DELLA CORTE PENALE INTERNAZIONALE MINA LE FONDAMENTA STESSE DELLA GIUSTIZIA GLOBALE. “Il Diritto Internazionale conta fino a un certo punto”. Lo ha dichiarato di recente il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani, riferendosi all’abbordaggio da parte delle forze armate israeliane della Flottiglia con a bordo civili, attivisti e aiuti umanitari per Gaza. L’azione ha violato il diritto internazionale di difesa dei civili disarmati nelle acque internazionali. L’affermazione di Tajani, che ha suscitato scalpore, ha di fatto accentuato le polemiche e gli interrogativi sul rispetto del diritto internazionale sollevato dopo l’abbordaggio — o aggressione, come gli attivisti la suggestione — e l’arresto dei partecipanti. Centinaia di migliaia di persone sono immediatamente scese nelle strade di tutta Italia, sostenute anche dallo sciopero generale, per gridare la loro indignazione, riaffermare il sostegno alla Flottiglia ea Gaza e protestare contro un governo che condanna solo a parole il genocidio di Netanyahu. L’operazione contro navi civili in acque internazionali, secondo il diritto marittimo (Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare), è illegittima, poiché tale azione è consentita solo in caso di pirateria, di motivi di sicurezza comprovati o di blocco navale. La questione si sposta allora sulla validità legale del blocco navale imposto da Israele , che la Flottiglia intendeva rompere perché giudicato illegale e finalizzato ad aprire un corridoio umanitario permanente. LEGITTIMITÀ O VIOLAZIONE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE? Per Israele il blocco ha lo scopo di impedire il traffico di armi verso Hamas, organizzazione considerata terroristica da Israele, Stati Uniti e Unione Europea. Si tratterebbe dunque, secondo Israele ei suoi alleati, di una misura di autodifesa legittima anche secondo un parere ONU, ma solo in tempo di conflitto armato e purché non provochi sofferenze alla popolazione civile . Al contrario, il Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU , numerose ONG e soprattutto la Corte Penale Internazionale (CPI) ritengono il blocco illegittimo per gli effetti devastanti su oltre due milioni di civili a Gaza, avendo limitato l’accesso a cibo, medicina, elettricità e carburante, senza distinguere tra obiettivi militari e popolazione civile. Per l’elevato numero di morti e per le atrocità quotidiane, una Commissione ONU ha definito come genocidio i crimini di Israele. È stato così violato il principio di proporzionalità nel diritto di difesa durante un conflitto armato, che in nessun caso può travolgere i diritti della popolazione civile. SOVRANITÀ ASSOLUTA O GIUSTIZIA UNIVERSALE? Lo Stato, per proteggere la propria sicurezza, può compromettere i diritti fondamentali di un’intera popolazione? Può far prevalere la logica di una sovranità assoluta ? A Gaza la logica di morte, in nome della sicurezza, sta prevalendo oltre ogni diritto. È in atto una crescente disaffezione verso il diritto internazionale e un rifiuto della cooperazione necessaria a mantenere un ordine giuridico globale. Si sta mettendo in discussione, in nome della sovranità, il principio di giustizia universale , compromettendo l’efficacia del CPI come deterrente dei crimini più gravi. Se viene meno un consenso giuridico condiviso, il sistema internazionale rischia di regredire a settant’anni fa, verso dinamiche fondate sulla forza e non sul diritto . La mancata tutela delle vittime, come accade oggi a Gaza sotto gli occhi del mondo, rafforza la cultura dell’impunità, minando quell’architettura multilaterale costruita dopo la Seconda guerra mondiale per garantire la pace e la protezione dei diritti umani. IL RUOLO DELLA CORTE PENALE INTERNAZIONALE Con l’istituzione del CPI si è creduto nel valore della giustizia come fondamento della pace . Fin dal suo Statuto, la Corte ha il compito di reprimere i crimini più gravi che minacciano la pace e la sicurezza mondiale: genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di guerra e aggressione. Ma la Corte non può funzionare senza il sostegno e la cooperazione degli Stati. Come affermò il giurista Niemeyer, “il diritto internazionale è un bellissimo edificio costruito su un vulcano: quando si risveglia, c’è un terremoto. E il vulcano è la sovranità statale.” Ogni volta che uno Stato non coopera, vi è una piccola scossa per l’edificio della Corte. La CPI non può eseguire autonomamente i mandati d’arresto, ma deve rivolgersi agli Stati per ottenere esecuzione e collaborazione. UN FRAGILE PILASTRO DELLA GIUSTIZIA GLOBALE Istituita nel 2002 con il Trattato di Roma, la Corte nasce per deliberare i crimini più gravi contro l’umanità. Eppure Stati geopoliticamente influenti come Stati Uniti, Russia, Cina e Israele non hanno ratificato lo Statuto, minando l’efficacia. Se uno Stato potente rifiuta di riconoscere la giurisdizione della Corte e viola il diritto internazionale senza conseguenze, si genera un effetto domino: altri si sentiranno legittimati a fare lo stesso, alimentando l’impunità e l’instabilità. Il rischio è che il diritto diventi un lusso nel tempo di pace , ma inefficace nei momenti di crisi, quando più servirebbe come barriera contro l’anarchia globale. SENZA DIRITTO NON C’È PACE Disconoscere il diritto internazionale è pericoloso: ogni Stato si sentirebbe libero di decidere quali leggi seguire e quali ignorare, basandosi solo sui propri interessi nazionali. In questo scenario, il dialogo verrebbe sostituito dalla forza, la diplomazia dall’arbitrio, la cooperazione dalla sfiducia. Il mondo ha già conosciuto le conseguenze di una sovranità esercitata senza limiti: guerre mondiali, genocidi, regimi dittatoriali. Per questo è stato costruito un sistema di diritto internazionale vincolante : rinnegarlo oggi significa tornare indietro. Non rispettare la Corte significa ignorare la voce delle vittime. Pur con i suoi limiti, la CPI è l’unico tribunale permanente capace di dare giustizia ai popoli oppressi. Lasciare impuniti i crimini significa perpetuare il trauma, alimentando odio e nuovi cicli di violenza. Oggi il mondo è di fronte a un bivio: rafforzare il sistema giuridico internazionale o cedere alla logica di potere che giustifica ogni abuso. Il rispetto del diritto non è un atto burocratico: è una condizione essenziale di sopravvivenza per la convivenza pacifica tra i popoli. Delegittimare o ignorare il Diritto non ci rende più liberi, ma tutti più vulnerabili. * Statuto di Roma – Corte Penale Internazionale (ICC) * Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (UNCLOS) * Rapporto ONU sui diritti umani nei Territori palestinesi occupati Redazione Napoli
Qualcosa è cambiato – di Faber
Posso scrivere una poesia con il sangue che sgorga, con le lacrime, con la polvere nel mio petto, con i denti della ruspa, con le membra smembrate, con le macerie dell'edificio, con il sudore della protezione civile, con le urla delle donne e dei bambini, con il suono delle ambulanze, con i resti di un [...]
Aggiornamenti sulla Global Sumud Flotilla a seguito dell’intercettazione illegale e del rapimento dei volontari
Dopo che le forze navali di occupazione israeliane hanno intercettato illegalmente le imbarcazioni della Global Sumud Flotilla – un convoglio pacifico e nonviolento che trasportava cibo, latte in polvere, medicine e volontari provenienti da 47 Paesi verso Gaza – centinaia di partecipanti sono stati rapiti e, secondo quanto riferito, portati a bordo della grande nave militare MSC Johannesburg. Questo dopo che erano stati aggrediti con idranti, bagnati con acqua puzzolente e avevano subito un sistematico blocco delle comunicazioni, in un ulteriore atto di aggressione contro civili disarmati. Inoltre, secondo quanto riferito, diverse imbarcazioni sono state fermate da una barriera a catena in acque internazionali dove Israele non ha giurisdizione, proprio come non ha giurisdizione sulle acque e sulle coste di Gaza, aggravando i suoi continui crimini di guerra e il blocco illegale. Gli avvocati di Adalah, che rappresentano i partecipanti alla flottiglia davanti alle autorità israeliane, hanno ricevuto aggiornamenti minimi e non sono stati informati se i 443 volontari della flottiglia prelevati con la forza dalle loro imbarcazioni arriveranno ad Ashdod, dove dovrebbero essere sottoposti a detenzione illegale. Si tratta di un rapimento illegale, in diretta violazione del diritto internazionale e dei diritti umani fondamentali. Intercettare navi umanitarie in acque internazionali è un crimine di guerra; negare l’assistenza legale e nascondere la sorte delle persone sequestrate aggrava tale crimine. Chiediamo ai governi, ai leader mondiali e alle istituzioni internazionali di intervenire immediatamente per ottenere informazioni sui partecipanti dispersi, garantire la loro sicurezza e chiedere il loro immediato rilascio. Il nostro impegno rimane chiaro: rompere l’assedio illegale di Israele e porre fine al genocidio in corso contro il popolo palestinese. Ogni atto di repressione contro la nostra flottiglia, ogni escalation di violenza a Gaza e ogni tentativo di sopprimere le azioni di solidarietà non fanno che rafforzare la nostra determinazione. La Mikeno, battente bandiera francese, potrebbe essere entrata nelle acque territoriali palestinesi secondo i dati AIS, ma rimane fuori contatto. La Marinette, battente bandiera polacca, è ancora collegata tramite Starlink e in comunicazione, con un totale di 6 passeggeri a bordo.   Redazione Italia
Guerra e diritto – di Gianni Giovannelli
Questo articolo di Gianni Giovannelli introduce una delle tematiche che Effimera svilupperà in un seminario che si terrà a Milano, al Centro Sociale Cantiere, il 15 novembre 2025 a partire dalle 10 sino alle 19. Il titolo che abbiamo dato all'incontro è ANNI DI GUERRA | Menzogne, verità, scintille, e si articolerà su tre [...]
Greenpeace condanna l’abbordaggio alla Global Sumud Flotilla: “Grave violazione del diritto internazionale”
Greenpeace condanna fermamente l’azione del governo Netanyahu contro una missione umanitaria e pacifica di portata storica, nata in risposta all’inazione della comunità internazionale al genocidio in corso a Gaza. “L’abbordaggio delle forze armate israeliane contro la Global Sumud Flotilla è una grave violazione del diritto internazionale e un’offesa alla solidarietà civile”, dichiara Chiara Campione, direttrice esecutiva di Greenpeace Italia. “Il blocco di Gaza imposto da Israele è illegale e disumano. Giorgia Meloni e gli altri leader mondiali non hanno adempiuto al loro obbligo di difendere il diritto dei propri cittadini a rompere l’assedio e a portare aiuti alla popolazione palestinese stremata da due anni di bombe e carestia”. “Per quasi due anni, il blocco degli aiuti via terra e via mare imposto da Israele ha intrappolato i palestinesi in condizioni che l’ONU ha descritto come catastrofiche, fino a causare una carestia”, continua Campione. “La Global Sumud Flotilla è un’ancora di salvezza e un simbolo di speranza in azione. Doveva essere protetta, non lasciata da sola a 150 miglia da Gaza come ha fatto la Marina Militare italiana, abbandonando attiviste e attivisti in balia delle azioni illegali di un governo che in questi anni si è macchiato di una lunga lista di crimini contro l’umanità. Oggi invece di fermare il genocidio si è deciso di fermare la Flotilla”. “È tempo di porre fine al genocidio di Gaza. Le persone si stanno mobilitando laddove i governi hanno deciso di voltarsi dall’altra parte. Tutti gli occhi devono ora essere puntati su Gaza. Non dobbiamo distogliere lo sguardo dalle sofferenze dei suoi abitanti”. Greenpeace chiede: * Un cessate il fuoco immediato, incondizionato e permanente per porre fine all’attacco contro i civili e l’ambiente; * Il rilascio di tutti gli ostaggi da parte di Hamas; * Il rilascio da parte di Israele di tutti i palestinesi detenuti illegalmente; * L’imposizione di sanzioni mirate verso Israele e di un embargo totale sulle armi, imposto dalla comunità internazionale; * La distribuzione senza ostacoli degli aiuti da parte delle Nazioni Unite e di altre organizzazioni umanitarie; * La fine dell’occupazione illegale della Palestina. Ufficio Stampa di Greenpeace Italia: 340 5718019 Greenpeace Italia
Francesca De Vittor: «Flotilla conforme al diritto internazionale, illegittimo il blocco israeliano»
L’azione della Global Sumud Flotilla è al centro del dibattito pubblico internazionale. Il lungo viaggio delle imbarcazioni verso Gaza, finalizzato a rompere l’isolamento della Striscia e portare aiuti alla popolazione assediata, non è solo un generoso gesto di solidarietà: è un’iniziativa politica che disvela l’inerzia della comunità internazionale. In Italia gli effetti sono particolarmente visibili. Nelle ultime settimane il Paese è stato attraversato da nord a sud da piazze gremite, animate da una composizione sociale molteplice – ben oltre la cerchia di chi abitualmente milita. Cortei variegati e blocchi creativi hanno riportato Gaza al centro della scena, alimentando un movimento che, per radicalità, qualità e partecipazione, è diventato un attore ineludibile. Come ogni iniziativa efficace, la Flotilla ha generato polarizzazione. Attorno a essa si è addensata una galassia di ostilità – istituzionali, mediatiche, diplomatiche – e un’area di posizioni incerte. Via via che le imbarcazioni si avvicinano alle coste di Gaza, nel dibattito pubblico acquista forza la retorica secondo la quale «il coraggio messo in campo dalle attiviste e dagli attivisti in navigazione è apprezzabile, ma non sarebbe opportuno sfidare i limiti del diritto internazionale»: una formula apparentemente prudente che, in realtà, legittima lo status quo. A chiarire il terreno, è arrivato il documento di grande rilievo – per chiarezza e solidità argomentativa – redatto da ASGI, Giuristi Democratici e Comma 2. Il testo prende posizione in modo netto: l’azione della Flotilla è pienamente conforme al diritto internazionale ed evidenzia l’illegittimità radicale del blocco imposto da Israele. Per approfondire, abbiamo parlato con Francesca De Vittor, docente di diritto internazionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Cattolica di Milano e socia ASGI, tra le giuriste che hanno contribuito alla stesura del documento. In che termini l’azione della Flotilla è compiutamente legittima dal punto di vista del diritto internazionale? Le imbarcazioni della Flotilla stanno esercitando la libertà di navigazione come qualsiasi altra nave, una libertà non solo lecita ma fortemente tutelata dal diritto internazionale. Nell’intero corso della sua navigazione, la Flotilla non attraversa e non attraverserà mai acque territoriali israeliane. Per giungere a Gaza, infatti, si attraversano acque territoriali palestinesi, sulle quali Israele pretende illegittimamente di esercitare una sovranità. Qual è la finalità di questa navigazione? La Flotilla porta aiuti umanitari alla popolazione che ne è fortemente bisognosa. Ai valichi di Gaza sono ferme tonnellate e tonnellate di aiuti che Israele non lascia passare, in violazione delle più fondamentali norme del diritto internazionale umanitario. In che termini si tratta di violazioni così gravi? Assoggettare intenzionalmente civili alla fame come metodo di guerra, privandoli dei beni indispensabili alla loro sopravvivenza, incluso impedire intenzionalmente i soccorsi, è un crimine di guerra. Lo stabilisce chiaramente lo Statuto della Corte penale internazionale (art. 8, par. 2, lett. b ed e)). Ma c’è di più: a Gaza Israele sta commettendo un genocidio e la carestia è uno dei mezzi con cui questo crimine viene perpetrato. Non a caso la Corte internazionale di giustizia, fin da gennaio 2024, ha imposto a Israele di garantire l’arrivo degli aiuti per evitare che il genocidio si realizzi. Che ruolo gioca il blocco navale imposto da Israele? Il blocco navale al largo delle coste di Gaza è assolutamente illegittimo perché strumentale a perpetrare questo crimine. Costituisce una violazione grave del diritto internazionale cogente (jus cogens), rispetto alla quale tutti gli Stati hanno un obbligo di non riconoscimento. Di conseguenza, viola il diritto internazionale anche lo Stato italiano quando riconosce legittimità a quel blocco. Quale sarebbe la qualificazione giuridica di un eventuale attacco contro le imbarcazioni della Flotilla? Sarebbe un illegittimo uso della forza, in violazione – ancora una volta – di una delle più fondamentali norme del diritto internazionale. Come si colloca in questo quadro il cosiddetto “Piano Trump”, cui l’Unione Europea ha dichiarato di voler contribuire? Va detto con chiarezza che il Piano Trump è in palese violazione del diritto internazionale. È un piano che non tiene conto del diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione e dell’obbligo di Israele di ritirarsi da tutti i territori occupati (quindi sia Gaza sia la Cisgiordania), come invece affermato dalla Corte internazionale di giustizia nel parere del 19 luglio 2024 e ribadito la risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 13 settembre dello stesso anno.  L’immagine di copertina è di Renato Ferrantini SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress abbiamo attivato una nuova raccolta fondi diretta. Vi chiediamo di donare tramite paypal direttamente sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo Francesca De Vittor: «Flotilla conforme al diritto internazionale, illegittimo il blocco israeliano» proviene da DINAMOpress.
La vera minaccia è l’assedio, non la Flotilla
La Presidente del Consiglio ha definito la Global Sumud Flotilla un pericolo per il “piano di pace” americano. Avete letto bene: civili disarmati, attivisti nonviolenti e navi cariche di farina e medicinali sarebbero una minaccia alla stabilità. Il paradosso è evidente: si chiama pace un progetto che condanna Gaza a restare una prigione a cielo aperto e si bollano come “nemici” coloro che tentano di spezzare un assedio illegale. Stanotte non è a rischio solo l’equipaggio della Flotilla, ma il diritto internazionale stesso, calpestato da un governo che preferisce accodarsi ai diktat di una strategia neocoloniale. Diversi Paesi hanno scelto di rispettare la legge; l’Italia, invece, certifica la propria noncuranza. Colpisce che la Presidente Meloni non abbia mai pronunciato la parola “legalità” e non abbia citato l’artefice del genocidio: lo Stato di Israele. Non una calamità naturale, non una “guerra”, ma la responsabilità precisa di un potere che assedia, affama e bombarda una popolazione civile. A fine agosto l’OMS aveva lanciato l’allarme: entro la fine di settembre oltre 640 mila persone a Gaza sarebbero entrate in carestia — l’equivalente dell’intera città di Palermo.     Redazione Italia