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Il 4 Novembre non è la nostra festa
NO al 4 novembre Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate. IL 4 NOVEMBRE NON È LA NOSTRA FESTA Anzitutto rifiutiamo il binomio unità nazionale e forze armate che riteniamo fuorviante rispetto al dettato costituzionale. Per la Costituzione infatti l’unità nazionale è quella della Repubblica fondata sul lavoro (art.1), e la sicurezza è soprattutto legata al ripudio della guerra come offesa alla libertà di altri popoli e come mezzo di soluzione delle controversie internazionali (art. 11) Il 4 novembre fu la data dell’armistizio alla fine della prima Guerra Mondiale in cui l’Italia intervenne come aggressore, agitando questioni irredentiste che si sarebbero potute affrontare per altra via, che non la sanguinosissima guerra causa di stragi immani e atroci sofferenze dei popoli italici e di quello sardo. Pertanto vediamo nel 4 novembre una giornata per commemorare i caduti della I Guerra Mondiale; così come i feriti, i soldati che furono sparati dai carabinieri fucilieri perché indietreggiavano davanti alla morte certa tra le esplosioni, il fuoco dei lanciafiamme e i colpi di mitraglia e di cannone, e coloro che ebbero il coraggio della diserzione. Vediamo nel 4 novembre una giornata per riaffermare il NO alla guerra, no all’orrore dei conflitti armati e la denuncia di ogni trionfalismo con annessa la celebrazione di valori militari. Nella legge che il 1° marzo 2024 ha istituito il 4 novembre come giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate, è dedicata particolare attenzione alla scuola. (art. 2, Per celebrare la Giornata … gli istituti scolastici di ogni ordine e grado …, possono promuovere e organizzare cerimonie, eventi, incontri, conferenze storiche, mostre fotografiche e testimonianze sui temi dell’Unità nazionale, della difesa della Patria, nonché sul ruolo delle Forze armate nell’ordinamento della Repubblica). Quest’anno sarà consegnata a una scuola di ogni capoluogo di provincia una bandiera italiana con cerimonia e presenza di autorità militari. Il preavviso sarà talmente ridotto da rendere impossibile la consultazione collegiale, cosa invece prevista negli ordinamenti della scuola pubblica. La scuola sarà resa semplice esecutrice di una decisione del ministero della difesa, come se fosse un’accademia militare. Da vari anni a questa parte i militari entrano nelle classi per trattare le tematiche più varie, spiegare quanto i valori militari siano attuali e apprezzabili, e per informare gli studenti di come sia possibile intraprendere una carriera militare. E’ assolutamente necessario invece informare le giovani generazioni sulle immani sciagure che la guerra ha comportato nella storia contemporanea anche per il nostro paese, e sugli effetti ancora più catastrofici che può portare nel prossimo futuro – anche se vari pronunciamenti a livello europeo e nella NATO dicono che dobbiamo prepararci ad un conflitto e dobbiamo destinare sempre più ingenti risorse di quello che riusciamo a produrre (frutto in buona parte dell’impegno delle classi lavoratrici) al RIARMO. Il sintomo di questa allarmante congiuntura si nota anche nell’ipertrofia del settore bellico della nostra produzione industriale – in calo in tutti gli altri settori, e di industrie come la fabbrica di bombe RWM nell’Iglesiente, impegnata a fare profitti astronomici e a cercare di espandersi contro le norme edilizie e di tutela ambientale. Intendiamo invece rivolgere l’attenzione al percorso che bisogna intraprendere per evitare guerre, come quella in Ucraina, e genocidi. È anzitutto inaccettabile che il diritto internazionale sia valido sino a pag.2, come espresso proprio dal ministro degli esteri Taviani davanti alla belligeranza genocida dello stato di Israele. Infatti malgrado la tregua, a Gaza continuano le distruzioni e i massacri, e la pratica di aggressione, sfratto, appropriazione di terre, omicidio, detenzione amministrativa, contro i palestinesi in Cisgiordania. Davanti a questi crimini è chiaro che il popolo palestinese deve opporre resistenza, e da parte nostra riteniamo urgentissimo il boicottaggio economico, militare e accademico di Israele. È indispensabile denunciare l’ulteriore tentativo di questo governo di instaurare un clima liberticida tramite il ddl Gasparri che accomuna antisemitismo e antisionismo. E che ci sia la precisa volontà di imbavagliare le voci critiche è confermato nello stop ministeriale inferto al convegno di aggiornamento per i docenti “La scuola non si arruola” indetto proprio per il 4 novembre dal CESTES e dall’Osservatorio contro la militarizzazione. 4 Novembre, concentramento in piazza Gramsci a Cagliari, dalle ore 16:00       Cagliari Social Forum, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, Comitato sardo di solidarietà per la Palestina     Redazione Sardigna
MIM, ovvero ‘Ministero dell’istruzione e del Merito’, anzi no: ‘della Mitarizzazione’
L’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università di Pisa propone di ‘ribattezzare’ così il Ministero denominato pria MIUR, cioè “dell’Università e della Ricerca”, e con il Decreto-Legge n° 173 dell’11 novembre 2022 “dell’Istruzione e del Merito”. Il Ministero dell’Istruzione e del “Merito” ha recentemente agito, per la prima volta nella storia d’Italia in questi termini, un dispositivo censorio e repressivo contro un ente accreditato CESTES / Centro Studi Trasformazioni Economico-Sociali (afferente al sindacato di base USB): la “sospensione” con minaccia di revoca dell’accreditamento di un corso di formazione per docenti per “non conformità” alle linee guida ministeriali. Il corso in questione, organizzato in collaborazione con l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, era incentrato sulla didattica della pace, l’analisi della militarizzazione in corso nella scuola italiana e gli strumenti per riconoscerla consapevolmente, passando per il pensiero decolonizzato in vari ambiti disciplinari. Ai docenti quindi viene imposto indirettamente di conformarsi al pensiero che oggi va per la maggiore, a sinistra come e soprattutto a destra, secondo cui vuole la pace deve prepararsi alla guerra. Mentre il MIM con un atto di censura senza precedenti vieta il convegno nazionale sul 4 novembre che l’Osservatorio aveva organizzato insieme al CESTES, di fatto demolendo il diritto alla formazione del personale scolastico, leggiamo sul sito del Ministero della Cultura dell’apertura gratuita nella data in questione di diversi musei nella nostra città [Pisa]. L’evento viene presentato come  la “grande occasione per visitare gratuitamente il patrimonio dei musei statali” pisani, quali il Museo Nazionale di Palazzo Reale, Le navi antiche di Pisa e la Certosa Monumentale di Calci [4 Novembre 2025 – Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate presso i Musei nazionali di Pisa]. Con un incredibile gioco di prestigio il 4 novembre diventa così da una parte uno strumento potente e chiaro di repressione del dissenso e di restrizione degli spazi di libertà di pensiero e di formazione, dall’altro un mezzo di propaganda delle forze armate proprio sul terreno culturale. Da una lato quindi un messaggio di “generosità” elargita dall’alto in realtà funzionale alla celebrazione di una data che per noi è tutt’altro che una festa, dall’altro la mano dura contro chi da anni si oppone alla cultura della guerra e delle armi nelle scuole. La presunta “non conformità” del corso di formazione è in buona sostanza puramente strumentale, poiché le ragioni reali di quanto successo risiedono nella necessità da parte del Governo di tacitare con tutti i mezzi le voci, fortunatamente sempre più numerose, che si oppongono alla militarizzazione di scuola e università. Dal canto nostro pertanto rilanciamo le iniziative organizzate [in tutta Italia e] nella nostra città e invitiamo docenti, famiglie, studenti e studentesse ad affiancarci in questa opera di resistenza quotidiana e a disertare tutte le iniziative connesse con la celebrazione della giornata del 4 novembre. Ricordiamo infine che il convegno organizzato dall’Osservatorio, pur non essendo coperto dalla possibilità di usufruire dei permessi per la formazione, sarà ugualmente in piedi, perché noi il convegno lo facciamo lo stesso. Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università di Pisa   Redazione Toscana
Donne in Nero di Piombino: no alla celebrazione del 4 novembre all’insegna di L. 27/2024 e DDL “Gasparri”
“Noi non festeggeremo la giornata del 4 novembre perchè…”, spiega il gruppo femminile della città portuale maremmana costantemente mobilitato contro la guerra e contro il traffico d’armi presentando il documento in cui proclama: > In previsione della giornata dedicata alle celebrazioni delle forze armate, il > gruppo delle “donne in nero” di Piombino vuole richiamare l’attenzione al > preoccupante incremento delle spese militari effettuato dal Governo italiano. > > La legge n. 27 del 1° marzo 2024 celebra le Forze Armate come portatrici di > valori di pace, sicurezza ambientali, cura e soccorso ai rifugiati e ai > profughi, sollecitando le scuole a promuovere iniziative che le vedano > protagoniste verso i loro studenti. > > A questa legge, di per sé insidiosa per l’autonomia scolastica, si affianca la > proposta del c.d. DDL Gasparri che mira a fare coincidere la definizione di > antisemitismo con quella di antisionismo: definizione da anni voluta > dall’HIRA, un organismo che lavora per diffondere i c.d. valori israeliani nel > mondo ma contestata anche all’interno delle Nazioni Unite. Il decreto, qualora > fosse approvato, causerebbe una gravissima limitazione ai diritti di > espressione, di critica, di assemblea e di mobilitazione. > > In Italia e in Europa si sono diffusi venti di vendetta e di guerra. > > Piombino è diventato suo malgrado il crocevia di gas e armi che regolarmente > transitano dentro il nostro porto: due facce della stessa medaglia, ossia la > guerra per commissione fra Europa e Russia. > > Ma la sciagurata voglia di guerra delle classi dirigenti politiche italiane ed > europee non corrisponde alla volontà di pace dei propri popoli. > > La spasmodica ricerca della costruzione del nemico Russia non corrisponde agli > interessi del popolo italiano né di quello europeo. > > Oggi ci mobilitiamo insieme a numerose organizzazioni, fra le quali la Rete > Scuole di Piombino contro le guerre e l’Osservatorio contro la > militarizzazione delle scuole e delle università, affinchè il 4 novembre sia > un momento di riflessione e diffusione di un messaggio alternativo alla > narrazione militarista. > > Crediamo che i ragazzi e le ragazze abbiano il diritto di pensare ad un mondo > senza guerre e senza armi, in cui il sacrificio della propria vita e > l’annientamento del nemico siano considerati un disvalore. > > Qualunque guerra, produce soltanto odio, distruzione e morte. > > Solo la giustizia sociale crea e alimenta la pace fra i popoli. > > Celebriamo un 4 novembre che scelga di camminare su strade di pace: gli > eserciti non possono essere un simbolo di pace, né di cura, né di tutela > ambientale. «Noi non festeggeremo la giornata del 4 novembre perchè crediamo che le forze armate non debbano essere titolari di alcuna festa perchè non possono essere simbolo né di pace né di tutela né di cura, come invece la legge 27 del 2024 vorrebbe far credere. Il momento storico e politico che stiamo attraversando è estremamente delicato ed è per questo che dobbiamo ribadire, con determinazione, i valori fondanti del vivere civile, primo fra tutti il RIFIUTO DELLA GUERRA, il RIFIUTO DELL’IDEA DEL NEMICO. Abbiamo un solo pianeta sul quale vivere: cerchiamo allora di averne cura, lavorando alla continua ricerca del rispetto fra tutti gli esseri viventi». – Donne in nero, Piombino / 27 ottobre 2025 Redazione Italia
Buona riuscita del minuto di silenzio nelle scuole per ricordare le vittime del genocidio in Palestina
Il primo giorno di scuola di quest’anno si è aperto con un gesto semplice, ma profondamente significativo: un minuto di silenzio per ricordare le vittime del genocidio in Palestina e riflettere sullo scolasticidio in corso. Sulla base dei dati da noi raccolti, l’iniziativa ha avuto un’adesione straordinaria: 92 scuole, per un totale di 4.384 classi e circa 97.200 studenti (stimando 20 studenti per classe), hanno segnalato di aver osservato il minuto di silenzio interamente. Inoltre, 251 scuole in tutto il Paese hanno segnalato di aver partecipato, con approvazione dei Collegi docenti o per iniziativa spontanea di docenti o studenti, al minuto di silenzio: possiamo dunque affermare con certezza che oltre 100.000 studenti hanno preso parte all’iniziativa, ma sicuramente le cifre sono molto più alte. Le scuole si sono destate da un lungo torpore nel quale più vent’anni di politiche di tagli, precarizzazione e misure vessatorie hanno progressivamente spinto il mondo dell’istruzione, soffocandone la voce e la partecipazione alla vita sociale e politica del Paese. Questo risveglio arriva in un momento cruciale: mentre la stretta sulla libertà di insegnamento rischia di farsi ancora più feroce con il DDL 1627 (noto come “decreto Anti Pro-Pal” o “decreto Gasparri”); mentre gli Uffici Scolastici Regionali invitano le dirigenze a non promuovere iniziative in favore della Palestina in nome di una presunta “equidistanza”; mentre in città come Milano e Brescia le questure negano il diritto all’istruzione a studenti che manifestano in piazza; mentre alcune dirigenze sanzionano le assenze per sciopero di studenti che hanno animato le piazze di queste settimane. Eppure, le scuole hanno alzato la testa. Un rinnovato movimento è nato e non potrà essere fermato per decreto. Vogliamo ringraziare tutte e tutti coloro che hanno partecipato e che hanno avuto fiducia in questa iniziativa: chi ha portato la Palestina nelle proprie classi, chi ha condiviso un momento di riflessione collettiva, chi ogni giorno si impegna per un’educazione libera, critica e solidale. Un ringraziamento particolare va al corpo docente e a agli studenti che occupano con consapevolezza, si autoformano e costruiscono insieme spazi di pensiero e confronto. Siamo una marea di persone consapevoli, e questa marea, fatta di solidarietà, memoria e libertà, non si arresterà. Scuola per la pace Torino e Piemonte Docenti per Gaza Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università La Scuola per la pace Torino e Piemonte
Studenti e insegnanti alla mobilitazione dell’8 ottobre: tante voci in un coro unanime
Mentre si diffondeva il manifesto dei dirigenti scolastici, a Casale Monferrato si svolgeva un incontro pubblico sul tema LA MILITARIZZAZIONE DELLA SCUOLA E DELLA SOCIETÀ e tra gli striscioni esposti al presidio di Novara spiccava uno con scritto SOLDI ALLA SCUOLA, NON ALLA GUERRA. Intanto, si prepara la mobilitazione globale SINDACATI PER LA PACE, organizzata in concomitanza con la SETTIMANA PER IL DISARMO. “Dopo la recente repressione, in acque internazionali, della missione civile e umanitaria della Flotilla, riteniamo sia giunto il momento di dare pubblicamente voce al nostro sdegno – è proclamato nel documento, firmato da 250 dirigenti scolastici campani e aperto all’adesione di tutti gli altri di tutta Italia – Perché a Gaza sta morendo l’Occidente con la sua civiltà. Perché le ragioni dell’umano prevalgano sempre sulla barbarie, continueremo a lavorare nelle scuole che dirigiamo promuovendo innanzitutto lo sviluppo del pensiero critico e l’educazione alla cittadinanza attiva”. A Napoli gli studenti hanno occupato tre isitituti e il manifesto elaborato dai dirigenti delle scuole campane fa eco alla protesta dei giovani affermando che la scuola italiana la scuola “trova nella Costituzione il suo faro e i suoi valori di riferimento”, che il proprio lavoro li impegna a formare persone “consapevoli, capaci di leggere il presente e comprendere la complessità del mondo, persone che non perdano mai la speranza nella nostra umanità” e “che non perdano la fiducia nella conoscenza e nella democrazia e siano in grado di schierarsi a favore dei diritti, della dignità umana e della pace”. Di queste responsabilità degli educatori e dei docenti nel presente l’8 ottobre hanno parlato le torinesi Alessandra Alberti, referente della Rete Università per la Pace e dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università e rappresentante del sindacato di base CUB Scuola Università e Ricerca, e Maria Teresa Silvestrini, insegnante di scienze umane e filosofia all’Istituto Einstein di Torino e referente della Scuola per la Pace, intervenendo all’incontro pubblico svolto a Casale Monferrato (AL) sul tema LA MILITARIZZAZIONE DELLA SCUOLA E DELLA SOCIETÀ, prima del ciclo di 6 conferenze nel programma di attività esperienziali, didattiche e formative PACIF I CARE : COSTRUIRE PERCORSI DI SOLUZIONE DEI CONFLITTI. Casale Monferrato, AL / 8 OTTOBRE 2025 – Mirella Ruo, Maria Teresa Silvestrini e Alessandra Alberti al tavolo della conferenza Contemporaneamente, a Novara nel presidio di sostegno per gli equipaggi della Freedom Flotilla Coalition sequestrati dalla marina militare israeliana in violazione dei principi e delle norme di diritto internazionale veniva esposto lo striscione con scritto SOLDI ALLA SCUOLA, NON ALLA GUERRA. E l’8 ottobre alle sedi locali della CGIL veniva recapitata la lettera del segretario generale, Maurizio Landini, per la partecipazione degli italiani allo sciopero del 25 ottobre prossimo e, dal 24 al 31 ottobre, alla settimana di mobilitazione globale SINDACATI PER LA PACE indetta, in occasione della Settimana ONU per il disarmo, dall’ITUC CSI IGB / International Trade Unions Confederation che aggrega 340 rappresentanze nazionali e 191 MILIONI di lavoratori di 169 stati. MANIFESTO DEI DIRIGENTI SCOLASTICI Le sottoscrizioni al possono venire inviate alla casella di posta elettronica dspergaza@libero.it * Gaza, 250 presidi campani firmano contro il genocidio: “Sta morendo la civiltà dell’Occidente” / IL FATTO QUOTIDIANO – 7 OTTOBRE 2025 * Gaza, protesta nelle scuole a Napoli e duecento presidi firmano per la Palestina / LA REPUBBLICA – 7 OTTOBRE 2025   “La militarizzazione della scuola e della società”, conferenza a Casale Monferrato / PRESSENZA – 7 OTTOBRE 2025   ‘Democrazia al Lavoro’: piattaforma manifestazione nazionale 25 ottobre 2025 / CGIL – 8 OTTOBRE 2025 La CGIL aderisce alla campagna del sindacato mondiale “Unions for Peace” – Mobilitazione globale dal 24 al 31 ottobre 2025 / CGIL – 8 OTTOBRE 2025   Maddalena Brunasti
Manifesto “La conoscenza non marcia”. Scuole e Università contro la guerra
Per difendere Università e Scuole dall’invasione dell’industria bellica, dalla logica militare, dalla collaborazione con il genocidio del popolo palestinese PREMESSA Assistiamo a una crescente invasione del settore dell’istruzione e della ricerca da parte della filiera militare industriale e del suo dispiegamento ideologico. Il processo di militarizzazione dei luoghi del sapere sembra procedere secondo tre direzioni. In primo luogo verso la costruzione della cosiddetta “cultura della difesa” con la finalità ideologica di far apparire la guerra possibile e la sua preparazione necessaria anche e soprattutto alle giovani generazioni. Il secondo obiettivo è quello del reclutamento, attraverso PCTO, e le iniziative di orientamento e di tirocinio universitari. Infine, attraverso la presenza dell’industria militare, si potenzia la realizzazione dell’obiettivo neoliberista di una formazione subordinata all’interesse dell’impresa. Progetti in corso, come quello dell’applicazione alla formazione tecnica e professionale della riduzione del percorso di studio a 4+2 (due di ITS) consentendo una completa compartecipazione alla costruzione dei curricula e all’insegnamento di Ministero e imprese private, vedono una partecipazione importante di imprese del comparto militare-industriale. In primis, ovviamente della Leonardo, con le sue Fondazioni. La necessità da parte delle classi dirigenti della militarizzazione dei luoghi della formazione è ora rafforzata dalla svolta bellicista impressa dal programma Rearm Europe. La relazione “Preparedness Union Strategy: reinforcing Europe’s resilience in a changing world” del marzo 2025 richiede “preparedness” (Ndr. essere preparati di fronte alla guerra) nei programmi d’istruzione scolastica e nell’aggiornamento del personale educativo (si veda A. Angelucci). Riteniamo necessario contrastare tale dinamica, le cui pericolose implicazioni sono emerse durante i due anni della fase attuale del genocidio della popolazione palestinese. I rischi per l’umanità rappresentati dalla commistione tra istruzione ed industria bellica sono esemplari nel caso israeliano, ma rappresentano un pericolo concreto anche alle nostre latitudini: la sempre più rapida militarizzazione della scuola e della società nel nostro Paese (e negli altri Paesi europei e non) può essere interpretata come una israelizzazione dei nostri territori, un’importazione del modello di società israeliana, militarizzata fin nei suoi più profondi gangli, che coinvolge in particolare il mondo dell’infanzia e della scuola, come denuncia il film Innocence. Dunque il tema del riarmo e della militarizzazione è fortemente connesso a quello dell’occupazione e del genocidio palestinese, e questa lettura apre a molteplici approfondimenti, tra cui la colonizzazione/riconfigurazione militare dei territori (spaziocidio), la violenza simbolica usata per controllare e piegare le soggettività non conformi (Innocence), la violenza epistemica che annienta le memorie e i saperi. Per questa ragione la campagna “La conoscenza non marcia” si propone di intervenire direttamente nel rapporto strutturale che lega il progetto sionista (in cui l’istruzione ha un ruolo importante, cfr. Rapporto BDS), la militarizzazione della società e l’istruzione pubblica. Il definanziamento dell’Università italiana, connesso alla ripetuta introduzione di nuove forme contrattuali di precariato della ricerca e della docenza, spinge a rendere prassi normale il reperimento di risorse presso agenzie private e pubbliche che hanno come proprio core business l’intelligence e l’industria bellica. A titolo esemplificativo, possono essere citati i seguenti casi: Elbit Systems è una delle aziende più importanti per la fornitura di tecnologia militare dell’esercito israeliano (compresi i materiali utilizzati nei più recenti attacchi a Gaza), ed è stata coinvolta in numerosi progetti finanziati dall’UE (nell’ambito del programma Horizon 2020, in particolare). Allo stesso modo, la Israeli Aerospace Industries (IAI), un importante produttore israeliano di proprietà statale nel settore della difesa e aerospaziale, è coinvolta in numerosi progetti nel programma Horizon Europe attualmente in corso. Molte università israeliane, come l’Istituto israeliano di tecnologia (Technion), hanno da tempo contribuito all’istituzionalizzazione dell’apartheid, all’occupazione dei territori e alla sistematica discriminazione nei confronti dei palestinesi, esercitando un ruolo crescente nella repressione del dissenso attraverso tecnologie via via più sofisticate. Inoltre, le università europee spesso stipulano contratti con aziende tecnologiche come HP, anch’essa indicata come fornitore di tecnologie per il controllo sulla popolazione palestinese (Cfr. Antropologia, diritto internazionale e dibattito pubblico sul ‘possibile’ genocidio in Palestina, dossier a cura di Stefano Portelli e Francesca Cerbini e Antropolog per la Palestina). Alcune università, come ad esempio la Ariel University, operano direttamente nello scenario coloniale agendo direttamente come agenti dell’oppressione e dell’espulsione del popolo palestinese, essendo collocati su territori occupati illegalmente in Cisgiordania. Poiché sappiamo che la progettualità e la ricerca dual use sono estremamente problematiche, date le difficoltà di stabilire se un prodotto scientifico sia o meno indirizzato per scopi militari, nei suoi diversi utilizzi, il principio di precauzionalità deve guidare sempre l’operato dell’università pubblica di fronte all’offerta di partnership con le istituzioni di quei Paesi che implementano sistematicamente politiche e pratiche coloniali (apartheid, occupazione militare, restrizione di movimenti e libertà, espropriazione illegale di terre, discriminazione) e genocidiarie. Tali tipi di accordi, inoltre, trasformano la ricerca scientifica, svolta in strutture pubbliche, in un mandato a favore di ristretti gruppi economici e sociali – e dei loro interessi geopolitici – che hanno il settore militare come proprio campo privilegiato di investimento e accumulazione. L’esempio più classico è quello di Leonardo Spa, ex Finmeccanica, il cui rapporto con lo Stato di Israele si dispiega sia nella fornitura di armamenti che nella strutturale presenza di propri stabilimenti e dipendenti su territorio israeliano. In questo quadro, ci interessa sottolineare anche il ruolo di primo piano delle università Israeliane: da un lato, nell’utilizzazione di saperi di ambito umanistico e sociale (archeologia, storia, scienze sociali) utilizzati nella produzione di una narrazione unica e deformata del passato, volta a legittimare l’occupazione dei territori a danno della popolazione palestinese (Cfr. Maya Wind, Torri d’avorio e di acciaio); dall’altro, nel supporto all’industria bellica, che nel suo operato più recente ha sistematicamente cancellato la memoria di quei territori attraverso la distruzione di siti e musei. Va ricordato inoltre che numerose università israeliane hanno stabilito programmi con aziende leader nel settore militare (Iai, Rafael, Elbit) che progettano gli F-16, i carri armati Merkava, gli elicotteri apache usati in tutte le recenti campagne militari contro la striscia di Gaza (2008-2009, 2012, 2014, 2021), puntualmente sanzionate come “crimini di guerra” dal consiglio dell’ONU per i diritti umani. Queste aziende sanciscono il rapporto con l’accademia mediante l’elargizione di borse di studio e ingenti investimenti per la ricerca. Il BDS – Movimento di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni – denuncia le complicità delle università israeliane non solo nella costruzione di infrastrutture e nella colonizzazione israeliana del territorio palestinese, ma anche nella creazione di un’ideologia pervasiva razzista che contribuisce alla sottomissione del popolo palestinese e sostiene i crimini commessi dall’esercito israeliano. Dall’analisi che il BDS ha condotto sulla relazione che unisce l’accademia e le forze militari israeliane emerge una commistione che si verifica a più livelli. Gli esempi sono tanti: la Bar Ilan University collabora a stretto contatto con lo Shin Bet, i famigerati servizi di sicurezza interna israeliani. La Ben Gurion University ospita l’Homeland Security Institute, le cui partnership includono le principali aziende produttrici di armi e il Ministero della Difesa israeliano. L’esercito sta costruendo un campus tecnologico accanto al campus della BGU, ma anche alla Hebrew University of Jerusalem è presente una base militare (costruita in parte su territorio palestinese occupato). Quest’ultima supporta economicamente gli studenti-soldato coinvolti nel genocidio, così come lo Weizmann Institute of Science che, inoltre, offre un master per i militari e ha aperto un’accademia premilitare per gli studenti dell’ultimo anno delle scuole superiori. Questo istituto collabora con i principali produttori di armi israeliani, tra cui Elbit Systems e Israel Aerospace Industries. Anche Technion ha numerose partnership e borse di studio sponsorizzate dai principali produttori di armi, come Elbit Systems e Rafael, ha inoltre avviato numerosi programmi accademici congiunti con l’esercito israeliano e svolge un corso sulla commercializzazione dell’industria bellica israeliana. La Tel Aviv University gestisce centri congiunti con l’esercito e l’industria bellica israeliana e ospita l’Istituto per gli studi sulla sicurezza nazionale (INSS). Questa università ha istituito un corso di hasbara (propaganda) riguardo al genocidio in corso nella Striscia di Gaza e ha finanziato “assistenza” per i soldati coinvolti nel genocidio a Gaza. L’Open University of Israel gestisce il programma “Academic Commandos” con l’esercito israeliano dal 1999 e assicura un trattamento economico preferenziale ai soldati combattenti attivi. La Haifa University ospita tre college militari e tiene corsi presso la base militare israeliana di Glilot, considerata un’estensione dell’università. Ha fornito equipaggiamento e ha istituito un fondo “di emergenza” per fornire assistenza economica agli studenti-soldato che non possono seguire le lezioni perchè stanno compiendo il genocidio a Gaza. È ampiamente dimostrato che le università israeliane collaborino allo sviluppo di sistemi d’arma, dottrine militari, discorsi ideologici, alla normalizzazione della pulizia etnica coloniale e alla discriminazione degli studenti palestinesi. Pertanto, l’accademia è complice del regime israeliano di occupazione militare, colonialismo di insediamento, apartheid e ora di genocidio. Come emerso durante le mobilitazioni studentesche del 2024/2025, la questione palestinese mostra delle connessioni ampie, che travalicano gli apparati militari per includere fondazioni ed enti di ricerca con grosse responsabilità nella difesa di interessi geopolitici e coinvolgimento nella filiera militare-industriale. L’esempio di Med-Or è illustrativo di tale tendenza in Italia. Med-Or è una creatura di Leonardo presentata per promuovere ricerca e sicurezza: diversi rettori di atenei italiani hanno accettato di entrare nel Consiglio Scientifico della Fondazione. La fondazione vanta, inoltre, circa 90 collaborazioni attive con università, tra cui i politecnici di Torino e di Milano, le università di Genova, Bologna e Roma “Sapienza”. Come riportato dall’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, Med-Or è attiva da sempre in Israele, «paese fondamentale con cui rafforzare collaborazione e iniziative comuni, soprattutto alla luce dei cambiamenti in corso nella regione del Mediterraneo allargato anche a causa della guerra in Ucraina, che ha radicalmente modificato il quadro securitario e geopolitico dell’area» e quindi «partner privilegiato per la Fondazione Med-Or, anche per rafforzare la sua capacità di studio e di riflessione strategica sui principali eventi in corso a livello internazionale». Nonostante le accuse di genocidio al governo di Israele, Med-Or sta implementando la sua azione in quel paese, in sinergia con l’Institute for National Security Studies (INSS) di Tel Aviv, legato a doppio filo alla Tel Aviv University. Oltre al settore industriale e geopolitico, si assiste ad una crescente militarizzazione della società, che possiamo riscontrare nelle decisioni di alzare al 5% del PIL le spese militari, a danno della spesa pubblica per sanità, istruzione, ricerca, amministrazioni locali e, in generale, l’assistenza sociale. Su un piano culturale, la logica di “armare” le menti e le braccia dei cittadini europei sta rapidamente assumendo un piano discorsivo di normalità, ed è pericolosamente contenuta in alcuni passaggi della “Risoluzione del Parlamento europeo del 2 aprile 2025 sull’attuazione della politica di sicurezza e di difesa comune – relazione annuale 2024 (2024/2082(INI)” che “invita” nell’articolo 164: “[…] l’UE e i suoi Stati membri a mettere a punto programmi educativi e di sensibilizzazione, in particolare per i giovani, volti a migliorare le conoscenze e a facilitare i dibattiti sulla sicurezza, la difesa e l’importanza delle forze armate…” e “chiede”. nell’articolo 167: “…. dimettere a punto programmi di formazione dei formatori e di cooperazione tra le istituzioni di difesa e le università degli Stati membri dell’UE, quali corsi militari, esercitazioni e attività di formazione con giochi di ruolo per studenti civili…”. Negli ultimi anni è diventata sempre più evidente ed invasiva la presenza delle forze armate e dell’industria militare nei luoghi della formazione. Nessun ordine di scuola è risparmiato: dalla scuola dell’infanzia alla scuola secondaria di secondo grado, fino agli Istituti Tecnici Superiori. L’Osservatorio contro la Militarizzazione delle Scuole e delle Università ha documentato un numero impressionante di casi e di modalità di intervento. Progetti di ampliamento dell’offerta formativa (educazione alla legalità; educazione alla pace [!]; contrasto al cyberbullismo; contrasto alla violenza di genere ecc. ecc.) affidati, non si capisce perché, non a psicologi/e o a pedagogisti/e ma a militari. Visite in caserma. Cerimonie di alzabandiera a inizio di anno scolastico. Partecipazione a manifestazioni militari (come nel caso incredibile della ricostruzione del viaggio in treno della salma del milite ignoto, stages in caserma o presso industrie belliche. PCTO in collaborazione con militari o con aziende del complesso industriale-militare. Persino corsi di educazione alimentare affidati ad ufficiali della US Navy in Sicilia. Infine, occorre considerare la NATO, per il suo ruolo nei principali scenari bellici e dietro le politiche di riarmo. Anche grazie alla sua presenza capillare (in Italia quasi 150 basi o comandi militari), riesce a condizionare la libertà democratica e la sovranità politica e militare dei Paesi alleati, quindi anche le iniziative degli eserciti nazionali, spesso chiamati a promuovere attività nelle scuole e nelle università. Se nelle scuole agisce quasi esclusivamente attraverso iniziative di propaganda con attività didattiche svolte da militari negli edifici scolastici oppure con visite delle scolaresche e PCTO di studenti (l’ex alternanza scuola lavoro) presso le basi militari, soprattutto nei territori in cui sono localizzate le principali basi, negli Atenei la presenza diretta della NATO si legittima attraverso accordi quadro siglati con varie Università (si veda per l’università di Bologna qui e qui; qui; e per l’università per stranieri di Perugia: qui; per l’Università di Genova: qui; per l’università di Pisa: qui) ad esempio per lo svolgimento di tirocini nei comandi e nelle basi dell’alleanza atlantica) oppure con iniziative e programmi fra i quali citiamo il NATO Model Event dell’Università di Bologna e l’esercitazione “Mare Aperto”, svolta in collaborazione con la Marina Militare e che coinvolge ogni anno circa 14 Atenei italiani. Oltre che nella didattica e nell’orientamento, la presenza della NATO nelle Università avviene anche nella ricerca, ad esempio attraverso il NATO SPS Programme. Gli obiettivi della narrazione della NATO nei luoghi fondamentali dell’apprendimento sono quelli di giustificare il suo ruolo in Occidente raccontandosi come strumento fondamentale per garantire sicurezza e pace, creando così generazioni di studenti ben disposti nei suoi confronti, oltre che lavorare d’anticipo sulle loro menti in vista di un reclutamento futuro. Diversamente dalla narrazione che la NATO cerca di veicolare, gli sforzi che chiede agli alleati in termini di risorse per il riarmo fanno scivolare anche il nostro Paese lungo il crinale di una guerra mondiale, che va necessariamente scongiurata, oltre che di una crisi sociale ed economica. OBIETTIVI DELLA CAMPAGNA “LA CONOSCENZA NON MARCIA” Date tali premesse, e per difendere l’Università e la Scuola dall’invasione dell’industria bellica e dalla logica di morte e di sopruso connessa con lo strumento bellico, “LA CONOSCENZA NON MARCIA” chiede: La smilitarizzazione dell’istruzione e la separazione netta tra spazio scolastico/universitario e ambito militare, e pertanto il divieto 1. Di sviluppare progetti in collaborazione con industrie militari delle filiera bellica, e con istituzioni che collaborano col regime coloniale e genocidario di Israele, con organizzazioni internazionali come la NATO che intervengono negli scenari di guerra in corso e nelle iniziative di riarmo; 2. Di ricevere finanziamenti dalla filiera militare industriale (siano esse aziende pubbliche o private); 3. Di partecipare, da parte dei singoli docenti, a organizzazioni che abbiano finalità di tipo militare o che la cui attività sia in qualche modo legata all’industria bellica (come la Med-Or); 4. Di ottenere finanziamenti, partnership e qualunque forma di collegamento con aziende e filiere produttive i cui interessi collimano con quelle di governi che mettono in atto forme di occupazione militare illegale, discriminazione razziale e persecuzioni; 5. Di sviluppare corsi di laurea, master universitari e scuole di specializzazione in collaborazione con le forze armate, o che prevedano la presenza nelle aule universitarie delle forze dell’ordine. Ovvero il partenariato universitario non può guardare a questi soggetti che sono demandati ad altri compiti e la cui presenza all’interno delle università rappresenterebbe una normalizzazione della militarizzazione delle vite, dei territori e della risoluzione delle controversie che dovrebbero invece costituire l’ultima ratio della vita associata. Gli estensori della campagna sono ben consapevoli che si tratta di istituzioni dello Stato in legittimo dialogo tra loro, tuttavia si ritiene che per la differenza delle loro funzioni, la presenza militare e poliziesca non debba essere parte del settore educativo; 6. Di sviluppare eventi in collaborazione con le forze armate, e di tenere eventi in collaborazione con le forze dell’ordine all’interno delle scuole di ogni ordine e grado su tematiche educative e su argomenti che esulano dai compiti specifici delle forze dell’ordine; 7. Di attivare accordi di collaborazione con le forze dell’Ordine, le accademie militari e gli enti che abbiano un ruolo nel settore bellico, andando tali ambienti contro l’educazione dei ragazzi e le ragazze del nostro Paese ad una cultura della pace sancita dalla costituzioni perché contrari a quanto affermato nell’articolo 11 della nostra Carta fondativa; 8. Considerato quanto detto sopra a proposito della NATO e visti l’art.11 della Costituzione e le recenti esperienze belliche innescate dalla NATO in vari contesti internazionali, riteniamo che sia giunto il momento per la NATO di uscire dall’istruzione del nostro Paese, nonché dalla ricerca pubblica; 9. In linea con l’obiettivo BDS di promuovere il disinvestimento da Israele da parte di istituzioni accademiche internazionali, il divieto di investimento in Università di paesi genocidari, a cui l’università partecipa attivamente. ATTUAZIONE La campagna “la conoscenza non marcia” sostiene tali obiettivi attraverso la proposta di una legge nazionale che si basi su alcuni principi cardine: Terza Missione, docenza e ricerca; Iniziative di Terza Missione e Finanziamento della ricerca e della docenza non possono avvenire in collaborazione e/o finanziamento con imprese o fondazioni legate alla produzione e vendita di armi; alla distruzione dell’ambiente; a condizioni di lavoro contrarie alla dignità umana o comunque a fini incompatibili con i valori della Costituzione della Repubblica; Relazioni esterne ed internazionali; Fidando nella libertà accademica e nella forza del dissenso, per sua natura inscindibile dall’attività di ricerca, l’Università intrattiene relazioni con università, istituti culturali, enti di ricerca di paesi di tutto il mondo, indipendentemente dal regime politico di quei Paesi. Ciononostante, nel caso che un’istituzione in rapporto ufficiale con l’Università che implicitamente o esplicitamente appoggino progetti sotto accusa per genocidio, pulizia etnica, e progetti di colonizzazione, gli organi dell’Università individuano il modo di manifestare il dissenso della comunità accademica, se necessario fino ad interrompere i rapporti. Si tratta di principi contenuti, in forma simile a quella qui citati, nel Codice Etico dell’università per stranieri di Siena, assunto qui a precedente sul quale basare la visione nazionale. A questi proponiamo di aggiungere il comma 8, dell’articolo 4 del nuovo Statuto della Università di Pisa approvato (a febbraio 2025) nel pieno delle proteste studentesche per il genocidio in atto in Palestina: [L’ateneo] non sostiene e non partecipa ad alcuna attività finalizzata alla produzione, allo sviluppo e al perfezionamento di armi e sistemi d’arma da guerra. NATURA INTERNAZIONALE DEL PROBLEMA Tale campagna vuole rinforzare questi principi che orientano la produzione di sapere verso una demilitarizzazione della cultura. In questo senso si intende segnalare la natura internazionale del problema. Oltre 70 istituzioni accademiche in Germania hanno adottato politiche che regolano, in modi e forme diverse, la partecipazione a progetti legati alla difesa. Inoltre, Technical University of Denmark (DTU): Nel 2024, il DTU ha annunciato la cessazione delle collaborazioni con università straniere coinvolte in progetti militari, esprimendo preoccupazioni etiche riguardo alla militarizzazione della ricerca accademica. Australian National University (ANU): Nel 2024, l’ANU ha deciso di interrompere gli investimenti in aziende produttrici di armi, come Lockheed Martin e BAE Systems, in risposta alle proteste studentesche. Negli Stati Uniti, nonostante l’appoggio governativo incondizionato ad Israele, alcune università hanno prodotto una rottura: ilsole24ore nel maggio 2024 riporta che la Sonoma State University, parte della California University, sulla base della pressione degli studenti e delle studentesse in protesta, ha interrotto le collaborazioni con le università israeliane. L’aprile precedente il Pitzer College aveva interrotto i rapporti con alcune realtà accademiche in Israele, in particolare con la Haifa University, poiché la collaborazione sarebbe stata in contrasto con i core values of “social responsibility” and “intercultural understanding”. ATTUAZIONE DELLA CAMPAGNA “LA CONOSCENZA NON MARCIA” NEI RAPPORTI CON LE UNIVERSITÀ E GLI ENTI DI RICERCA ISRAELIANI L’interruzione dei rapporti delle università italiane con le università israeliane, e gli Enti di ricerca pubblici e privati israeliani nonché la rescissione di ogni forma di attività istituzionale universitaria italiana con lo Stato di Israele e con tutti quei soggetti ad esso riconducibili, che non siano apertamente e dichiaratamente motivati dalla volontà di organizzare iniziative per ripristinare l’autodeterminazione del popolo palestinese nella sua totalità; a promuovere lo smantellamento delle strutture materiali, ideologiche e legislative coloniali che sostengono il regime di apartheid e sarà attuato il “diritto al ritorno”. La Conoscenza non marcia! Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
Mirare alla coscienza
Sarà presentato a Palermo il prossimo 16 giugno presso il No Mafia Memorial, il bel libro edito dal Centro Gandhi nella collana Quaderni di Satyagraha “La coscienza dice no alla guerra. Per un rilancio dell’obiezione di coscienza a tutti gli eserciti e per una nuova idea di difesa”, curato da Enzo Sanfilippo e Annibale Raineri e prefato da Alex Zanotelli. Ne parliamo con i due curatori, che appartengono entrambi alla Comunità dell’Arca fondata da Lanza Del Vasto. D. Caro Enzo, com’è nata l’idea di realizzare questo volume e in che relazione si trova con la campagna di obiezione alla guerra? R. Tutto nasce con l’inizio del conflitto in Ucraina che ha riportato tutti noi all’evidenza della guerra come dato epocale e drammatico. Abbiamo sentito nel nostro piccolo gruppo un senso di impotenza aggravato dal fatto che esso è legato alla tradizione nonviolenta che tramite Lanza del Vasto arriva direttamente a Gandhi. Perché – ci siamo chiesti – questa nostra cultura e le pratiche che ad essa si ispirano non dicono più niente al mondo? Sono anzi spesso derise e ritenute non credibili… Due persone impegnate nell’Arca hanno deciso di recarsi in Ucraina con una Carovana organizzata da Stop the War Now per un’esigenza di condivisione e di comprensione. Al loro rientro è iniziata una riflessione collettiva che ci ha portati a conoscere le azioni che altri movimenti dell’area pacifista e nonviolenta avevano già messo in campo, ad incontrarli e dialogare con loro.  Abbiamo così aderito alla “Campagna Obiezione alla Guerra” lanciata dal Movimento Nonviolento e abbiamo fatto sì che tante persone potessero tradurre in questo primo gesto individuale ciò che ciascuno di noi sente nel profondo: un rifiuto ad uccidere e un desiderio di trovare e sperimentare vie concrete alla gestione nonviolenta dei conflitti. Quel Sì che in più parti del libro tutti gli autori propongono di accompagnare al semplice rifiuto della guerra e degli eserciti. In questo percorso di approfondimento abbiamo preso consapevolezza che il diritto all’obiezione di coscienza e la necessità di forme istituzionali di difesa non armata e nonviolenta sono scomparse dal dibattito pubblico già da vent’anni, da quando cioè la leva non è più obbligatoria. Questo è un dato paradossale: il fatto che i giovani non vengano più chiamati a svolgere il servizio militare o quello civile in forma sostitutiva, ha fatto sì che il tema della difesa, che la costituzione aveva collocato tra i “doveri” di ogni cittadino (art.52), non venga più preso in considerazione dai più e affidato ai militari di professione.  Quella che ai più era sembrata una vittoria (la cancellazione della naja) si è rivelata un boomerang. La ripresa di questo tema è in linea con due pronunciamenti della Corte Costituzionale che ha sancito che si può assolvere al dovere di difesa della patria sia in forma armata sia in forma non armata. Bisogna pertanto istituire formalmente l’istituto della Difesa nonviolenta a cui potranno partecipare i cittadini obiettori di coscienza. D. Il libro è un corale a molte voci, che muove dagli interrogatori e dalle testimonianze degli obiettori durante la guerra d’Algeria, narrati da Lanza del Vasto, per giungere alle esperienze di diserzione attuali in Russia e Ucraina, Israele e Palestina. R. Sì, abbiamo voluto inserire, ad inizio del volume, questo diario che racconta dell’incontro tra giovani francesi chiamati alla leva nei primi anni sessanta con alcuni compagni della Comunità dell’Arca del tempo. Questi giovani sentivano forte nel proprio intimo la volontà di non partecipare alla guerra d’Algeria in cui la Francia era impegnata in quegli anni e nella quale manifestava in pieno l’idea di dominio coloniale, con l’uso di tutti i mezzi, compresa la tortura contro i dissidenti. Atti di questo genere sono stati ripetuti oggi da giovani russi, bielorussi, ucraini e israeliani, come è detto in un’altra parte del libro. Far conoscere direttamente queste testimonianze ci è sembrato molto significativo per due motivi. In primo luogo perché nel caso della Francia degli anni ‘60 si realizzò l’incontro tra persone di generazioni diverse che oggi molti di noi pensano assente o in forte sofferenza: non sarà forse perché si cerca il confronto su idee e opinioni e non su atti di vita?   L’altro motivo risiede nel fatto che l’obiezione di coscienza, testimoniata con atti di disobbedienza ad una legge dello Stato, ha storicamente introdotto istituti assolutamente innovativi nella concezione stessa dello Stato. Specialmente in Italia l’istituto della Difesa non armata e nonviolenta è contenuto nel nostro ordinamento giuridico, come in pochi altri paesi al mondo (cosa ignorata dall’opinione pubblica).   Quindi le scelte politiche in tema di difesa, compresa la sospensione della leva obbligatoria e la costituzione dell’esercito professionale e la trasformazione del servizio civile in forme di semplice tirocinio pre-lavorativo (nonostante esso sia ancora formalmente finalizzato alla difesa nonviolenta), hanno di fatto interrotto un interessante percorso di riforma dello Stato che può e deve essere ripreso e sostenuto. D. Caro Annibale, tu e gli altri autori e autrici siete fermamente convinti che le pratiche di ripudio nonviolento della guerra – espresse per esempio negli Interventi Civili di Pace in contesti bellici internazionali o nelle attività dell’Osservatorio contro la Militarizzazione delle Scuole e delle Università o nei numerosi Presidi di Donne per la Pace, che proprio in questi giorni stanno coordinandosi per dare vita ad una manifestazione diffusa e unitaria il 26 giugno in molte città – possano costituire esempi concreti di una “politica dal basso”, alternativa alle passerelle istituzionali, ormai estranee alla società civile, e molto più coinvolgente. R. Sì, ma la questione ha contorni più radicali. Non si tratta di “rivitalizzare” la politica con un incremento dell’attivismo “dal basso”. Si tratta piuttosto di mettere in campo forme di agire e di pensare diverse dall’agire politico che ha strutturato la modernità, l’ordine simbolico dentro cui si è mosso tanto il potere di governo che chi a quel potere si è contrapposto (anche quando, come per me, si sente la storia di quelle lotte come la propria storia). Ogni agire politico è un agire che definisce mezzi e strategie per conseguire obiettivi sulla base di una “mappa” della “congiuntura”, cioè di un tempo non lungo. Nell’agire politico, cioè, i mezzi e le strategie non valgono per se stessi, ma solo per la loro (presunta) efficacia. Ma qual è la congiuntura attuale? Viviamo in un tempo di crisi radicale di una storia millenaria in cui le società sono state strutturate in base al principio della forza, al potere di dare la morte (principio figlio della sovversione patriarcale). Questo modello sociale attraversa una crisi radicale perché, grazie allo straordinario sviluppo della scienza-tecnica, ha condotto l’umanità sull’orlo del baratro.  Se si ha questa coscienza storica, allora non si tratta di mettere in campo altre forme di agire strategico, ma anzitutto di mirare alla coscienza, come scriviamo nel libro, in forza unicamente della verità. Il resto verrà di conseguenza, e con esso la costruzione di un “campo comune” e di percorsi parziali, passo dopo passo. Ripeto: il primo ed essenziale passo è un duplice atto di coscienza, individuale, responsabile, pubblico: un No che sia anche un Sì, come diceva prima Enzo. D.Infine un interrogativo che ci angoscia da sempre e per il quale forse non esiste una risposta univoca: ci sono momenti storici, dolorosissimi e conflittuali, in cui anche i nonviolenti sono coinvolti in conflitti ineludibili, se vogliono stare, come oggi si usa dire, “dalla parte giusta della Storia”.  Penso a Lidia Menapace, staffetta partigiana disarmata, allo stesso Gandhi che invitò gli indiani a combattere a fianco degli inglesi nelle due guerre mondiali suscitando enorme scandalo, alle donne curde del Rojava costrette fino a poco fa a imbracciare il fucile nonostante Ocalan oggi raccomandi il disarmo.  Il sangue versato – che sia in una guerra o in una rivoluzione – è pur sempre preziosissimo sangue… R. La questione che poni è un dilemma impossibile da sciogliere. Eppure qualcosa mi sento di dirti, provando a distinguere due livelli. Anzitutto il piano morale, quello che esplicitamente indichi. Su questo piano non si può far altro che appellarsi alla coscienza individuale, evitando scorciatoie: chi non si sente di portare le armi ma nondimeno partecipa ad una lotta partigiana ne condivide il peso morale. Nei drammi morali non è mai questione della “salvezza della mia anima”. Nessuno dei maestri della nonviolenza condannerebbe chi usasse la violenza (anche a costo del “proprio inferno”) di fronte ad una impossibilità a non “usare il male” di fronte ad un male infinitamente maggiore. Ma chi decide? Sul piano della moralità non c’è altro che la coscienza individuale di fronte ai drammi della storia.  Ma, oltre al piano della moralità, c’è il piano della eticità, cioè dell’orientamento di valore oggettivato nella concretezza storica in cui sono immerse le vite delle comunità, con le loro istituzioni e gli universi simbolici dentro cui si rappresentano. Se il nostro tempo è il tempo storico in cui l’uccidibilità come millenario principio ordinatore delle comunità umane è “oggettivamente” posto in questione perché sta precipitando l’umanità in una catastrofe mortale irreversibile, allora è chiaro che di fronte a questa “situazione del tempo” del tutto nuova è necessario uscire da quel paradigma (e dalle forme simboliche corrispondenti).  Uscire dal paradigma della guerra (che non è un conflitto fra stati, ma qualcosa che struttura tutti gli ambiti della nostra esistenza) con un pensiero ed una pratica nonviolenta è l’unico modo di stare all’altezza del presente. Al contrario continuare a pensare in termini di conflitto fra poteri e contropoteri ci ricaccia dentro quell’agire strategico subalterno, nei presupposti impliciti, all’ordine dominante. Non si tratta di sfuggire ai conflitti, ma di stare dentro essi con un’altra logica, la logica della vita e non della morte. Come dici tu, si tratta di stare dalla parte giusta della storia: nonviolenza non è, come molti credono, essere equidistanti, è stare nell’unico posto in cui è possibile guardare il mondo con giustizia creativa: la parte delle vittime, tutte. le modalità per ricevere una copia del libro si trovano alla pagina https://www.trefinestre.com/come-ricevere-il-libro Daniela Musumeci
Convegno e Assemblea Nazionale dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
16 maggio 2025 Spin Time Via di Santa Croce di Gerusalemme 55, Roma Dopo l’esperienza positiva dello scorso anno (clicca qui per tutti i riferimenti), l’Associazione Nazionale “Per la Scuola della Repubblica“- OdV, (soggetto accreditato alla formazione Decreto MIUR 5.7.2013 Elenco Enti Accreditati/Qualificati 23.11.2016) insieme all’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università hanno organizzato a Roma per il 16 maggio 2025 un Convegno nazionale in presenza e online sul processo di militarizzazione dei luoghi della formazione e sulla necessità di costruire percorsi di pace all’interno di un quadro europeo e mondiale che vira inesorabilmente verso un conflitto globale. Il corso, aperto a tutta la cittadinanza e gratuito, rientra nell’ambito della Formazione docente; tutto il personale scolastico è esonerato per tutta la giornata dal servizio, ai sensi del CCNL vigente. Per iscrizione del personale a tempo indeterminato Codice SOFIA 98693 (clicca qui per aprire la piattaforma SOFIA, accedi con SPID e cerca il corso con il codice 98693). Al convegno si potrà partecipare anche da remoto con il link https://us02web.zoom.us/j/84347922587?pwd=poPvxORKgLQxohsaP3YT8rJOMUWHuq.1 su piattaforma ZOOM: Coloro che volessero informazioni e il personale a tempo determinato possono inviare un messaggio o telefonare al n. 347-9421408 (Cosimo Forleo). Prenotazioni fino ad esaurimento posti. «Il 6 marzo scorso, a Bruxelles, il Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo ha approvato ufficialmente ReArm Europe, il piano per il riarmo europeo da 800 miliardi di euro per potenziare la difesa comune. 800 miliardi che saranno sottratti alle spese sociali (sanità, scuola, trasporti…), nonostante le difficoltà economiche che oggi attraversano le maggiori potenze continentali. Di più, il riarmo è indicato anche come un credibile volano, grazie alla cooperazione fra capitale pubblico e privato, per lo sviluppo economico europeo. […] Come negli anni che precedettero la prima guerra mondiale, tanti, troppi, intellettuali stanno assecondando questa escalation bellica. C’è chi ribadisce la superiorità intellettuale/culturale del mondo occidentale (roba da far impallidire persino le teorizzazioni del Darwinismo sociale) e chi si rammarica nel vedere una gioventù europea incline alle “mollezze” e, quindi, poco disponibile alla guerra. […] Impediamo che ragazze e ragazzi siano quotidianamente oggetto della propaganda militare, facciamo vivere nei processi didattici la bellezza dell’educazione alla pace, perché la nostra Costituzione ripudia la guerra. Ma, soprattutto, perché solo degli irresponsabili verso l’intera umanità, possono essere tanto indifferenti di fronte ai conflitti da auspicarli e prepararli»… dal Bollettino n. 3 dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università. PROGRAMMA 16 MAGGIO 2025 MATTINO (9.00-13.00) 8.30 Accoglienza e registrazione dei partecipanti Moderatrice Alessandra Alberti Scuole e Università di Pace. Fermiamo la follia della guerra Ludovico Chianese, Presidente Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università La scuola del ReArm Europe: insegnare le competenze di guerra Anna Angelucci, Presidente Associazione Nazionale Per la Scuola della Repubblica OdV Il sistema guerra. Ideologia e pratica dello sterminio nell’età del turbocapitalismo Angelo d’Orsi, Già Ordinario di Storia del pensiero politico, Università degli Studi di Torino Il commercio di armi mondiale e il ruolo dell’Italia Futura D’Aprile, Giornalista freelance – Il Fatto Quotidiano, Domani, Altraeconomia Pausa caffè Moderatrice Maria Teresa Silvestrini La costruzione sociale della guerra. Una prospettiva di analisi Maria Perino, Già docente di Analisi dei Processi Migratori all’Università del Piemonte Orientale Sull’orlo dell’abisso: nonviolenza o non-esistenza Alex Zanotelli, Missionario comboniano, Direttore Mosaico di Pace POMERIGGIO (14.30-18.00) Moderatore Michele Lucivero Il ritorno della leva e l’impatto sulla scuola Serena Tusini, Docente Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università Militarismo e antimilitarismo in Turchia e Israele Murat Cinar, Giornalista freelance Umanità violata. La pace e il diritto internazionale Roberta de Monticelli, Già docente di Filosofia all’Università di Ginevra e all’Università San Raffaele di Milano Previsto intervento di rappresentanti di associazioni studentesche e dibattito Conclusioni: Pace e diritti, decolonizzare il pensiero per costruire nuovi percorsi didattico-educativi Antonino De Cristofaro, Docente Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università 17 maggio 2025 Assemblea Nazionale Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università ORE 9.00-18.00 SEDE NAZIONALE UAAR (UNIONE DEGLI ATEI E DEGLI AGNOSTICI RAZIONALISTI), VIA FRANCESCO NEGRI 67/69, ROMA   Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
Il mito del buon soldato nella scuola di Pollenza (MC)
Dopo anni il tenente dell’esercito torna nella scuola elementare frequentata da bambino, vi torna non come cittadino, ma in veste di militare (clicca qui per la notizia). Quante volte sarà capitato a ciascuno di noi ritornare negli istituti scolastici a distanza di decenni magari per accompagnare un figlio o un nipote o semplicemente per tenere viva la memoria? E nella nostra vita ci è capitato che illustri alunni o alunne siano stati/e richiamati/e a tenere lezioni su qualche materia, ma questa volta la situazione è assai diversa, anzi ogni occasione è propizia per la propaganda militare e nel nostro caso arriva il Progetto Legalità che potrebbe essere rappresentato degnamente da un avvocato, da un operatore di strada, da un medico, da un operatore ecologico. La scelta del militare non è casuale, soprattutto in tempi di riarmo, di perseverante propaganda di guerra, i soliti luoghi comuni sul valore educante della divisa che ci restituisce dopo oltre 20 anni una persona “responsabile e determinata” motivata dai tre pilastri educativi: famiglia, scuola e sport. In tempi nei quali valori e pratiche di solidarietà e collettività, se collegati a istanze di miglioramento sociale, vengono occultate o demonizzate scopriamo, invece, una loro rivisitazione all’ombra del militare dentro regole gerarchiche, ma edulcorate e umanizzate. Le immagini e i disegni presenti nell’articolo sembrerebbero riferirsi all’arruolamento nel trasmettere ai giovani scolari visioni assolutamente semplificate, da qui alla magnificazione della divisa, alle pratiche dell’indottrinamento, alla magnificenza della vita militare corre poca differenza. Ci sembra evidente la strategia comunicativa che mira a trasmettere alle giovani generazioni alcuni messaggi: la certezza del posto fisso in tempi di precarietà, la scissione tra vita militare e guerra, un sistema valoriale a senso unico, chiuso e rassicurante, la esaltazione della divisa e di un modello sociale. Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università