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Addio ASN. E poi?
Il disegno di legge governativo di riforma del reclutamento universitario presenta molteplici ombre. Il punto più critico è quello dell’abbandono di una vera valutazione, a livello nazionale, del merito e della qualità degli aspiranti professori per demandare tutto alle sedi locali. Tale soluzione comporta i  fortissimi rischi di enfatizzare un esasperato «localismo» nella scelta dei professori universitari e di disgregare ulteriormente il sistema universitario nazionale   1. Premessa. Il fallimento dell’abilitazione scientifica nazionale secondo il progetto governativo. Valutazioni critiche. Il giorno 19 maggio 2025 il Consiglio dei Ministri ha approvato lo schema di disegno di legge recante «revisione delle modalità di accesso, valutazione e reclutamento del personale ricercatore e docente universitario». Si tratta di un provvedimento atteso da tempo, annunciato anche da Ministri di Governi precedenti e che ora ha assunto una forma concreta. Tale disegno di legge è stato presentato al Senato della Repubblica il 3 giugno 2025 con il numero 1518. Per esaminare questo progetto nel dettaglio, la cosa migliore è leggere (e commentare) i passi più significativi della relazione illustrativa che lo accompagna. Anzitutto, si dice che «il presente disegno di legge riprende i tratti fondamentali delle proposte elaborate nell’ambito del Gruppo di Lavoro nominato con decreto del Ministro dell’università e della ricerca del 20 settembre 2024, n. 1501, avente come scopo attività di supporto al Ministro per analisi, studio ed elaborazione di proposte di revisione in materia di reclutamento e di qualità dell’offerta formativa, dell’assetto e della governance della valutazione dell’università e della ricerca, nonché di revisione della struttura e del funzionamento degli Organi consultivi del Ministero dell’università e della ricerca. Il Gruppo di lavoro – composto dai Presidenti degli Organismi di consulenza del Ministro, nonché da esperti del settore – ha portato avanti diversi filoni di discussione, a partire dai temi della funzionalità del vigente sistema di Abilitazione scientifica nazionale (ASN) di cui all’art. 16 della legge n. 240 del 2010 e da quelli, strettamente connessi, delle procedure per la chiamata dei professori e dei ricercatori a tempo determinato (artt. 18 e 24 della medesima legge). L’obiettivo principale è stato quello di effettuare una valutazione complessiva di coerenza agli scopi originari, alla luce dei risultati attesi». A parte il fatto che il decreto di nomina del Gruppo di lavoro dovrebbe essere il n. 1591 e non il n. 1501, come indicato poc’anzi, va sottolineato che questo organismo – come altri Gruppi di lavoro di recente istituzione – vede la presenza di componenti accademici e no scelti unilateralmente dalla Ministra senza alcun confronto con la comunità universitaria e, soprattutto, con il suo organo principale di rappresentanza che è il Cun. La relazione afferma che «sulla base delle risultanze del Gruppo di lavoro, è stato elaborato il presente disegno di legge, che persegue la finalità di promuovere la qualità del sistema universitario italiano, avendo presente in particolare la necessità di renderlo maggiormente accessibile agli studiosi più giovani, di semplificarne le procedure, di rafforzare l’autonomia dei singoli Atenei, introducendo al contempo norme che ne rafforzino in modo significativo la responsabilità per le scelte compiute in sede di reclutamento. Infine, si è ritenuto di dover intervenire anche al fine di reinserire procedure di mobilità del personale docente che il quadro risultante dalle modifiche intervenute negli ultimi quindici anni avevano fortemente limitato, cristallizzando un localismo di cui certamente non può giovarsi il sistema complessivamente inteso». E così, «partendo dall’analisi della funzionalità del sistema ASN dopo quindici anni dall’approvazione della legge n. 240 del 2010 e dopo più di dodici anni di prassi applicativa, si è registrato un generale smarrimento della sua natura iniziale, ovvero quella di accertare il possesso di un livello minimo di qualificazione e produttività scientifica basato su standard condivisi a livello nazionale, livello che deve fungere da precondizione indispensabile per partecipare alle procedure di reclutamento. Nonostante la normativa indichi chiaramente che il conseguimento dell’abilitazione non dia titolo alcuno alla chiamata, si è invece radicata l’aspettativa che questa costituisca una sorta di diritto acquisito alla chiamata in ruolo: questa aspettativa, unitamente all’altissimo numero di abilitati, comporta effetti distorsivi molto pesanti sulla programmazione strategica degli Atenei». Pertanto, «tale aspettativa è, per altro, confermata dalla enorme pressione tesa al progressivo allungamento della validità del titolo abilitativo, originariamente prevista in quattro anni e giunta, a seguito di numerose modifiche intervenute nel corso degli anni (l’ultima recata in sede di conversione del decreto-legge n. 160 del 2024), a ben dodici anni, svuotando pressoché di senso il suo aggancio a una valutazione della produzione scientifica basata su indicatori di produttività all’interno di un determinato arco temporale, arco temporale che è finalizzato ad accertare, tra l’altro, il perdurare di tale produttività fino al momento in cui si svolgono le procedure di chiamata». Quindi, stando alle parole della relazione ministeriale, la novella è volta ad eliminare il preteso effetto distorsivo determinato dall’acquisizione della ASN che creerebbe, nei suoi possessori, il convincimento di godere di un diritto alla chiamata in ruolo; e quindi ciò innescherebbe varie pressioni, da parte degli abilitati, sugli organi degli Atenei di riferimento per ottenere il soddisfacimento di tale aspettativa/diritto. Qua si confondono due aspetti. Una cosa è una valutazione a livello nazionale del possesso dei requisiti minimi (qualunque essi siano) per potere svolgere le funzioni di professore. Altra cosa è il fatto che chi abbia ottenuto tale qualificazione aspiri, legittimamente, all’ottenimento della posizione di ruolo corrispondente. Che poi gli abilitati facciano sentire, nei rispettivi contesti accademici, le loro aspettative non rappresenta alcunché di scandaloso. D’altra parte, il sistema universitario, come qualunque altro ambito sociale, è ricco di relazioni, e quindi di dialoghi e conflitti, e non potrebbe essere diversamente. A tacer d’altro, va semmai ricordato che, secondo i regolamenti dei vari Atenei (coerenti con i principi elaborati dalla giurisprudenza amministrativa) alle decisioni dei Dipartimenti di mettere a bando le posizioni di professore non possono partecipare gli abilitati, in quanto essi sono inequivocabilmente in una condizione di «conflitto di interessi». E inoltre l’esperienza dimostra che, a causa della perdurante contrazione dei finanziamenti, il sistema è stato (e lo sarà sempre di più se non cambiano le cose) in grado di assorbire una minima parte degli abilitati, soprattutto di quelli che hanno conseguito l’abilitazione per il ruolo di prima fascia. Secondo la relazione «in aggiunta, la ripetizione di una valutazione quali-quantitativa, effettuata prima a livello nazionale dalle Commissioni ASN (per altro, gravando i loro componenti di un lavoro obiettivamente lungo e assorbente, tale da distoglierli dalla loro attività primaria negli Atenei), e poi a livello di singola procedura di reclutamento presso i singoli Atenei, appare ridondante, soprattutto per quanto riguarda i titoli scientifici, incluse le pubblicazioni». E «tale ridondanza è, a maggior ragione, evidente nei settori cosiddetti bibliometrici, all’interno dei quali il mero raggiungimento dei valori-soglia quantitativi è per lo più ritenuto sufficiente, e non già solamente necessario, ai fini del conseguimento dell’abilitazione, riducendo o addirittura eliminando il peso della valutazione qualitativa che spetterebbe alla Commissione ASN». Inoltre, «per converso, il fatto che ai fini dell’abilitazione non siano valutate l’attività didattica, quella di terza missione/valorizzazione della conoscenza, quella amministrativo-gestionale, e, per le aree mediche, l’esperienza clinico-assistenziale, comporta un’asimmetria nei criteri di valutazione rispetto ai concorsi, dove invece queste attività cruciali per il profilo dei docenti sono valutate». Anche qui si tratta di affermazioni che lasciano perplessi. Da un lato, la logica del sistema dell’ASN e poi dei concorsi locali era ed è quella di una valutazione basata su due fasi. La prima:  una valutazione centralizzata sul possesso di alcuni requisiti minimi, e quindi abilitante in senso proprio. La seconda: una valutazione locale di tipo comparativo a livello di singoli Atenei, scegliendo il migliore tra i possibili candidati, tenendo conto di titoli più ampi rispetto alla prima fase. Dall’altro lato, la considerazione appena citata, circa l’esperienza dei settori cosiddetti bibliometrici, equivale, de facto, ad una sorta di repentina marcia indietro rispetto alle narrazioni degli ultimi anni, in cui la bibliometria è stata propagandata come la pietra filosofale per riuscire finalmente a premiare il merito e a debellare le baronie e le consorterie concorsuali. Qui si dice a chiare lettere che l’uso degli strumenti bibliometrici non consente una vera valutazione qualitativa (che è il senso genuino di ogni valutazione sulla produzione scientifica) dei candidati! Un’altra perla è la frase: «i risultati della ASN, anche a causa delle diverse prassi adottate dalle singole Commissioni nazionali, hanno creato una forte disomogeneità nella percentuale di abilitati tra i vari settori concorsuali e tra le diverse tornate di abilitazione, compromettendo in maniera evidente l’idea stessa di un sistema unitario e tendenzialmente omogeneo per tutte le aree scientifiche». Ma, volendo essere realistici, di fronte alla molteplicità delle aree scientifiche, ai correlativi settori concorsuali e settori scientifico-disciplinari, e alla varietà delle rispettive abitudini e tradizioni di valutazione della produzione scientifica, è alquanto bizzarro pensare che le Commissioni ASN dovessero adottare prassi omogenee. La relazione sottolinea che «d’altro canto, l’intervento di modifica si rende necessario anche al fine di dare compiuta attuazione alla Riforma 1.5 (Missione 4, Componente 1) del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, di competenza MUR, che ha provveduto, tra l’altro, con decreto del Ministro dell’università e della ricerca 2 maggio 2024, n. 639, ad individuare i nuovi Gruppi scientifico-disciplinari (per un totale di n. 190, che hanno sostituito sia nell’inquadramento, sia per i compiti dei docenti che nei piani di studio, i Settori scientifico-disciplinari (SSD) e i Settori Concorsuali (SC). I Gruppi scientifico-disciplinari costituiscono una prerogativa necessaria per l’inquadramento dei professori di prima e seconda fascia e dei ricercatori e sono utilizzati per l’adempimento degli obblighi didattici da parte degli stessi. Trattasi di un’operazione di semplificazione per far sì che ciascun gruppo scientifico disciplinare possa contenere uno o più settori scientifico-disciplinari afferenti allo stesso, alla luce delle declaratorie indicate nel decreto sopra menzionato». A questo riguardo, basti sottolineare che queste modifiche comunque consistono in una mera manutenzione dell’esistente, peraltro condivisa dalla comunità universitaria e che non giustificano di per sé una radicale riforma del reclutamento, come invece sostenuto nella relazione governativa.   2. L’abbandono dell’abilitazione scientifica nazionale. La determinazione centralizzata dei requisiti per la partecipazione ai concorsi locali. A questo punto, la relazione entra in medias res, ed afferma che «in questo quadro, la proposta normativa ha l’obiettivo di semplificare radicalmente l’attuale sistema, garantendo il mantenimento di una soglia minima di requisiti di produttività e qualificazione scientifica, condivisi a livello nazionale, come condizione di accesso alla docenza universitaria di prima e di seconda fascia». E che «in particolare, si propone l’introduzione di un sistema mediante cui si individuino, su proposta dell’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR), requisiti specifici, distinti per gruppo scientifico-disciplinare e, per ciascuno di essi, per la prima e per la seconda fascia». Più precisamente, «il possesso dei citati requisiti, come chiarito al comma 3,» (qui non c’è il richiamo all’articolo di riferimento!) «è oggetto di dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà da parte dei singoli candidati, attraverso una piattaforma telematica messa a disposizione del Ministero, e, a differenza da quanto avviene oggi per gli indicatori quantitativi di produzione scientifica previsti dalle procedure ASN, il caricamento – recte, la dichiarazione sostitutiva del candidato – della documentazione attestante il relativo possesso non implica alcuna valutazione da parte del MUR». Pertanto, «non si tratta di una procedura automatizzata di valutazione, ma di una mera condizione di ammissibilità strumentale ai fini della partecipazione alle procedure di concorso per la chiamata come professori ordinari e associati da parte delle università, elevando i requisiti per l’ingresso in ruolo e, al contempo, fornendone una elencazione uniforme a livello nazionale come parametro di valutazione per le singole commissioni locali». La relazione continua: «infine, differentemente dal sistema ASN, il nuovo modello di autodichiarazione non produrrà un certificato di abilitazione o altro tipo di esito documentale (“esito verde o rosso”), ma costituirà unicamente lo strumento e la condizione per lo svolgimento delle procedure locali, seppure alla luce dei nuovi (e più elevati ed uniformi) requisiti di partecipazione». E così, «in definitiva, il nuovo sistema, nella valorizzazione del principio di autonomia responsabile, affida alle università la gestione dei processi di selezione nelle procedure concorsuali per la chiamata di professori di prima e seconda fascia, pur garantendo – a livello centrale – una serie di requisiti di partecipazione, salvaguardando così l’autonomia garantita dall’art. 33 della Costituzione». Al di là della retorica delle argomentazioni usate dalla relazione, non si comprende il vantaggio in termini di efficienza nel passare tra l’attuale e il futuro meccanismo di selezione preliminare. Se il possesso dei nuovi «requisiti di partecipazione» costituisce una condizione «di ammissibilità…ai fini della partecipazione alle procedure di concorso» in sede locale, non si fa altro che spostare in questo luogo le valutazioni che nel sistema dell’ASN spettano alle relative Commissioni. Con ciò moltiplicando il rischio di contenzioso, perché ogni candidato, che non supera il concorso locale, potrebbe impugnare non solo la sua bocciatura, ma anche contestare il possesso da parte dei vincitore dei suddetti requisiti. Il refrain governativo è quello che i nuovi requisiti sarebbero «più elevati ed uniformi» rispetto a quelli attuali. Sicché, «tali requisiti riprenderanno in parte gli attuali titoli richiesti per il conseguimento dell’ASN (l’organizzazione o la partecipazione come relatore a convegni scientifici, l’attribuzione di borse di ricerca o di incarichi di collaborazione all’attività di ricerca, la partecipazione a progetti di ricerca aggiudicati sulla base di bandi competitivi, il conseguimento di premi riconosciuti per l’attività scientifica, i risultati in sede di trasferimento tecnologico etc.) e comprenderanno una misurazione della produzione scientifica, integrandola con analisi della sua continuità e distribuzione temporale, sostituendo funzionalmente i cosiddetti “valori soglia”, individuati dal D.M. n. 589 del 2018». E «si precisa che i requisiti previsti dal novellato art. 16 della legge n. 240 del 2010, non costituiscono un elenco necessariamente tassativo per tutte le aree scientifiche, ma sarà il decreto del Ministro dell’università e della ricerca, su proposta dell’ANVUR, di cui al nuovo articolo 16, comma 1, a dettagliarne il contenuto per ciascun gruppo scientifico-disciplinare e ciascuna delle due fasce di docenza, delimitando quindi l’ambito entro il quale ciascuna università sarà chiamata a svolgere le valutazioni mediante commissioni giudicatrici formate come disciplinato nel prosieguo del testo». Anzitutto, se si legge il nuovo testo dell’art. 16, l. n. 240/2010, qui risulta che i suddetti «requisiti» sono individuati con apposito decreto ministeriale, su proposta dell’ANVUR, ma solo «sentito» il CUN. Nel sistema attuale, invece, il decreto ministeriale sui «criteri e parametri» per la valutazione ai fini dell’ASN, e per l’accertamento della qualificazione dei commissari, è emanato «sentiti il CUN e l’ANVUR»; mentre i cosiddetti «valori-soglia» sono fissati sempre da un decreto ministeriale, ma «sulla base di una proposta dell’ANVUR e sentito il CUN». È evidente il chiaro disegno governativo di un’ulteriore marginalizzazione del CUN. Peraltro, i nuovi requisiti, come ammette la stessa relazione, dovranno essere costruiti in funzione delle specificità di «ciascun gruppo scientifico-disciplinare». E se i gruppi scientifico-disciplinari sono oggi ben 190, appare alquanto difficile che l’ANVUR abbia da sola le competenze e le conoscenze per effettuare tale operazione se non in stretta collaborazione con il CUN (che, d’altro canto, ha definito gli stessi Gruppi) e con le società scientifiche che rappresentano i vari saperi. Anche questo progetto di riforma del reclutamento universitario, nonostante le parole poc’anzi citate della suddetta relazione, resta improntato alla logica del feticismo bibliometrico e del publish or perish. Vale a dire allo stimolo di una continua ed affrettata produzione scientifica, per raggiungere delle mere soglie quantitative, ai fini dell’accesso alla procedura di valutazione (prima a livello di ASN e, in futuro, solo in sede locale), che, in tutti i settori, ha determinato profonde distorsioni e ha incrementato una moltitudine di comportamenti opportunistici. Infatti, il novellato art. 16, l. n. 240/2010, tra i nuovi requisiti, parla di «raggiungimento degli indicatori minimi di quantità, continuità e distribuzione temporale dei prodotti della ricerca, definiti tenendo delle caratteristiche di ciascun gruppo scientifico-disciplinare, in diversa misura per la prima e per la seconda fascia, nonché della rilevanza nazionale e internazionale dei prodotti medesimi». Inoltre, se l’abolizione dell’ASN persegue, secondo una lettura maliziosa, lo scopo sotterraneo di azzerare ogni possibilità di contenzioso rispetto alle decisioni delle relative Commissioni nazionali, non è detto che questo nuovo sistema sfugga a tale rischio. Anzi. Come s’è poc’anzi osservato (ma vale la pena di ribadire questo aspetto), i conflitti si potranno moltiplicare in sede locale, laddove un candidato perdente potrebbe, in primis, contestare la correttezza dell’autocertificazione del vincitore. Né è escluso che i nuovi requisiti di partecipazione più saranno dettagliati tanto più potranno essere accusati di illogicità, incoerenza, irrazionalità. E comunque, come risulta dal testo del nuovo art. 18, l. n. 240/2010, dovranno essere le commissioni locali a vagliare, prima di tutto, l’esattezza delle autocertificazioni dei candidati, con l’ovvio rischio di una frammentazione dei giudizi.   3. La valutazione in sede locale. Quanto alla composizione delle commissioni giudicatrici in sede locale, queste (per le procedure relative alla chiamate di professori di prima fascia) saranno formate da «1) almeno quattro componenti esterni all’università che ha indetto la procedura, individuati dalla stessa università, previo sorteggio tra i docenti disponibili a livello nazionale, afferenti al settore scientifico-disciplinare di cui al bando di concorso; 2) almeno un componente interno all’università che ha indetto la procedura, afferente al settore scientifico-disciplinare di cui al bando di concorso; 3) per le procedure relative alle chiamate di professori di seconda fascia, ameno tre componenti della commissione giudicatrice sono individuati tra i professori di prima fascia, fermo restando il rispetto dei criteri di cui ai numeri 1) e 2)». Con tale proposta si impone agli Atenei un’armonizzazione forzata delle modalità di composizione delle commissioni giudicatrici, impedendo (o cercando di impedire) la costruzione di regolamenti locali volti a pilotare tale costruzione a favore delle aspettative dei candidati interni. Tuttavia, un punto estremamente critico è quello della modalità di formazione della lista dei docenti «disponibili» ad essere sorteggiati. Qui il disegno di legge non dice alcunché. Se la compilazione di tale lista dovesse essere lasciata all’autonomia delle sedi locali, è evidente che rimarrebbe la possibilità di condizionare a priori la composizione della commissione giudicatrice. Se invece la costruzione della lista fosse del tutto centralizzata a livello ministeriale, senza alcuna possibilità di influenza della sede locale, non avrebbe alcun senso l’affermazione della relazione ministeriale (poi condensata in un’apposita previsione del disegno di legge) secondo cui «con il nuovo sistema si intendono responsabilizzare concretamente gli Atenei circa le rispettive politiche di reclutamento. In quest’ottica la valutazione dei nuovi assunti diviene un elemento fondamentale al fine del riparto della quota premiale del FFO e del contributo destinato alle università non statali. Si intende introdurre un sistema premiale per le università che assumono i migliori, ossia coloro i quali nel periodo successivo all’assunzione dimostrano con i loro indicatori di produttività, con le loro pubblicazioni e con la loro attività complessiva, di avere contribuito al miglioramento delle attività dell’università che li ha reclutati». Va comunque sottolineata con forza l’opportunità di correggere una distorsione già segnalata in relazione alla attuale composizione delle Commissioni ASN. Se si ritiene ancora (purtroppo!) che il sorteggio dei valutatori sia la ricetta magica per debellare i (supposti, ma non dimostrati in modo scientifico) mali endemici dei concorsi universitari, è però necessario che i commissari sorteggiati abbiano una durevole esperienza nel ruolo (prima o seconda fascia) per cui il concorso è bandito. Ciò a maggior ragione ora che, nella proposta governativa, come s’è visto poc’anzi, si sottolinea che vi sono «attività cruciali per il profilo dei docenti» (e che quindi vanno necessariamente valutate), quali: «l’attività didattica, quella di terza missione/valorizzazione della conoscenza, quella amministrativo-gestionale, e, per le aree mediche, l’esperienza clinico-assistenziale». Difatti, è alquanto illogico che, prima nelle Commissioni ASN, ora nelle commissioni locali, possa essere sorteggiato un docente che sia entrato nel relativo ruolo da poco e non abbia avuto il tempo di maturare una sufficiente esperienza sia in relazione ai vari compiti inerenti alla posizione ricoperta sia nella difficile attività della valutazione dei candidati ad un concorso. Il disegno di legge n. 1518 introduce, nella procedura di valutazione locale, il criterio della «valutazione delle modalità di svolgimento della didattica» e una «discussione, alla presenza dei componenti della commissione giudicatrice, dei contenuti delle pubblicazioni scientifiche, nonché delle esperienze didattiche dei candidati». È possibile che così si amplierebbe eccessivamente il margine di discrezionalità delle commissioni giudicatrici. Però è anche logico (ed ontologico) pensare che chi voglia entrare nei ruoli di professore universitario dimostri pubblicamente le sue capacità didattiche e sappia difendere le tesi sostenute nelle sue pubblicazioni scientifiche. Semmai, qui si potrebbero introdurre appositi limiti a tale valutazione, per evitare che soprattutto il giudizio sulla didattica possa assumere valore prevalente sugli altri titoli del candidato. Tuttavia, il disegno di legge prevede che «ferma restando la proposta di chiamata in capo al Dipartimento di cui alla lettera e)» dell’art. 18, c. 1, l. n. 240/2010, «la commissione giudicatrice conclude i propri lavori indicando il candidato più meritevole. Prima di procedere alle determinazioni di cui alla lettera e), il Dipartimento può invitare il candidato a tenere un seminario pubblico; nelle procedure relative all’area medica, qualora il bando indichi specifiche esigenze clinico-assistenziali, il Dipartimento può determinare l’àmbito tematico sul quale svolgere il seminario, dandone comunicazione con congruo anticipo ai candidati» (ma visto che già il vincitore è stato individuato dalla commissione, qui la parola «candidati», dovrebbe essere al singolare). Quest’ultima è una vera e propria prova didattica che, da un lato, si confonde con le competenze della commissione giudicatrice in ordine alla valutazione della didattica dei candidati; e, dall’altro, potrebbe rappresentare una comoda via di uscita al Dipartimento per non chiamare un candidato vincitore, ma ritenuto non gradito.   4. Considerazioni conclusive. Ciò che sorprende è che l’attuale governo, che ha presentato questo disegno di legge, è espressione della stessa maggioranza parlamentare che nel 2010 ha varato la riforma Gelmini. Questa ha introdotto la ASN, sull’onda della parola d’ordine della lotta contro il sistema allora vigente dei concorsi universitari, i quali appunto si svolgevano in sede esclusivamente locale e così, stando alla narrazione governativa, enfatizzavano il potere dei Baroni universitari e delle relative consorterie. Allora si parlava, in termini scandalizzati, della necessità di risolvere il grave problema della «irresistibile ascesa del cretino locale»! Certo, nulla impedisce di correggere una riforma, se la sua applicazione ha dimostrato di non avere prodotto i risultati attesi o di avere determinato effetti perversi. Il punto è che tutte le (pretese) distorsioni dell’ASN, menzionate nella relazione ministeriale (e di cui qui s’è qui dato conto), avrebbero potuto, e potrebbero ancora, essere corrette mediante una calibrata riforma della medesima ASN. E ciò anche tenendo conto dei vari suggerimenti emersi in questi anni in tante sedi scientifiche e non solo. Va affermato con risolutezza che un sistema universitario nazionale, per essere veramente tale, presuppone che tutti i suoi professori di pari ruolo abbiano un livello minimo di qualificazione scientifica uniforme. E ciò può essere accertato solo in una sede unica a livello nazionale, che valuti appunto il merito (e non solo la quantità) della produzione scientifica degli aspiranti professori. Spostare a livello locale tale valutazione equivale a favorire, nel medio-lungo periodo, la balcanizzazione del sistema. E tale perversione non può essere corretta con il nuovo meccanismo di autocertificazione che, nella migliore delle ipotesi, farebbe sempre riferimento ad indicatori meramente quantitativi e giammai qualitativi. Attenzione! La balcanizzazione e la frammentazione del sistema universitario italiano è già in atto da tempo. Come da tempo ha bene osservato Roberta Calvano (www.roars.it), un chiaro indice di questo processo è costituito dalla sottrazione alla legge e dalla progressiva assegnazione alle singole sedi universitarie del potere di regolare aspetti dello stato giuridico dei docenti universitari, come la valutazione, gli scatti stipendiali, i procedimenti disciplinari, le procedure di chiamata. Ma se passasse l’attuale disegno di legge, per come è al momento strutturato, tale deriva sarebbe completa. Un fatto estremamente grave è che, come s’è visto sopra, il disegno di legge non è stato elaborato attraverso il dialogo con l’intera comunità scientifica e le sue associazioni di riferimento. È inutile dire che la qualità dell’istruzione e della ricerca universitaria è fondamentale per lo sviluppo economico, sociale e culturale di ogni paese. Ed è parimenti ovvio che la suddetta qualità dipende inesorabilmente dalla preparazione dei docenti impegnati nella didattica nella ricerca scientifica e, quindi, dalle modalità del loro reclutamento. Sicché, una riforma di tale portata avrebbe richiesto un minimo periodo di ascolto e di confronto con le varie voci, anche quelle più minoritarie, del mondo universitario, per poi permettere al decisore politico di adottare scelte maggiormente consapevoli. Ad esempio, il secondo governo di centro-destra presieduto da Silvio Berlusconi, prima di varare una complessa (e fortemente criticata) riforma del mercato del lavoro, all’inizio degli anni duemila, diffuse un cosiddetto Libro Bianco con cui vennero indicate le linee tendenziali del progetto governativo e così dando lo spunto per approfondite discussioni pubbliche tra tutti gli esperti del settore. Sicuramente questo processo ha permesso quantomeno di garantire l’emersione di tutte le possibili opinioni prima che la riforma fosse approvata definitivamente. È chiaro che quel governo non mutò indirizzo, ma procedette lungo la strada segnata dal Libro Bianco. Tuttavia, sicuramente quel dibattito pubblico influenzò il decisore politico e lo convinse a temperare alcune idee del progetto originario. Ritornando al disegno di legge n. 1518, un’altra considerazione è quella che una riforma così radicale, e così importante per il futuro del sistema universitario e dello stesso paese, avrebbe altresì richiesto uno studio preliminare della struttura e della funzionalità dei modelli di reclutamento vigenti nelle altre nazioni più sviluppate. Il che avrebbe offerto del materiale e dei dati utili per la discussione e per giungere a soluzioni informate e razionali. Va poi sottolineato che gli estensori della proposta di legge non hanno avuto il coraggio di accogliere una richiesta da tempo avanzata da molti settori della comunità scientifica. E cioè quella di prevedere, in piena conformità all’art. 97 Cost., due distinte e stabili procedure selettive per il passaggio dal ruolo di professore di seconda fascia a quello di prima fascia. Una per i candidati interni e un’altra per i cosiddetti esterni, ovviamente imponendo limiti per la prima ed incentivi a favore di quest’ultimo canale di reclutamento. Com’è noto, la vittoria di un concorso da parte di un esterno all’Ateneo che lo bandisce, assorbe un’ingente quantità di risorse che permetterebbero la progressione di carriera di più interni. Pertanto, senza veri adeguati (e non solo propagandati come al momento avviene) finanziamenti del sistema universitario, il rischio concreto è quello che anche pochi esterni vittoriosi svuotino le casse degli Atenei e non solo di quelli più poveri, bloccando le relative programmazioni per gli anni futuri. Nel disegno di legge, tra le «disposizioni transitorie e finali», è mantenuta l’operatività della speciale procedura valutativa di cui all’art. 24 c. 6, l. n. 240/2010 fino alla scadenza al momento prefissata (30 dicembre 2025). Si ricorda che questa che è una procedura riservata ai professori di seconda fascia e ai ricercatori a tempo indeterminato (che abbiano conseguito l’ASN) in servizio in un’università, ai fini della loro la chiamata rispettivamente nel ruolo di professore di prima e seconda fascia. Tuttavia, com’è noto, la scadenza originaria della possibilità di avvalersi di questa procedura riservata agli interni è stata più volte prorogata. Ed è presumibile l’emergere di pressioni bipartisan per estendere l’efficacia nel tempo di tale meccanismo, soprattutto per temperare gli eventuali effetti dei nuovi concorsi aperti a tutti. Il che conferma la ragionevolezza dell’anzidetta idea di introdurre a regime due percorsi selettivi separati per gli esterni e gli interni. Peraltro, come s’è accennato all’inizio di questo scritto, citando le parole della relazione ministeriale, un leit motiv del disegno di legge è la lotta contro il «localismo» dei docenti universitari e quindi il sostegno alla loro mobilità. A ben vedere, però, un sistema del genere, in cui si vorrebbe favorire la circolazione dei docenti, tra i vari Atenei, nel corso della loro carriera, per poter minimamente funzionare, presuppone un vero e proprio New Deal, e cioè un massiccio rifinanziamento del sistema universitario italiano, come, da parecchio tempo, è richiesto dall’intera comunità scientifica. Altrimenti, si tratta solo di mera retorica o, come si diceva un tempo, di pascoli ricchi soltanto di parole. Di ciò è un evidente esempio la previsione della proposta governativa della «possibilità di un trasferimento unidirezionale, con contestuale trasferimento delle risorse a copertura degli oneri stipendiali e delle conseguenti facoltà assunzionali». E cioè, un docente potrebbe trasferirsi dalla sua sede ad un’altra portando con sé il suo costo stipendiale e il relativo punto organico. Certo, il disegno di legge si premura di sottolineare che «al fine di incentivare la mobilità, nei decreti ministeriali di programmazione finanziaria adottati successivamente all’entrata in vigore della riforma potranno essere previste apposite premialità in favore degli Atenei “cedenti” facoltà assunzionali». Ma la determinazione di tale ristoro ovvero di un vero e proprio risarcimento per l’Ateneo «cedente», non è imposto come un obbligo a carico del decisore politico. Difatti, il testo del disegno di legge dice che «il Ministro, in sede di ripartizione annuale del fondo per il finanziamento ordinario delle università può» (e quindi non deve) «prevedere specifici interventi per incentivare i suddetti trasferimenti». Se questa disposizione non fosse opportunamente corretta, vi sarebbe il concreto pericolo di un travaso esponenziale di risorse verso gli Atenei più prestigiosi, dove chiunque vorrebbe lavorare, ed un irreversibile impoverimento di quelli (collocati specie nel centro-sud del paese) più fragili e decentrati. Quest’ultimi sono stati già da anni indeboliti da criteri di calcolo del finanziamento ordinario e delle relative quote premiali che non tengono adeguatamente conto della necessità di riequilibrare le esternalità negative che allignano nel contesto in cui operano. Tale previsione del disegno di legge, letta insieme alle altre di cui s’è detto, nasconde probabilmente l’idea (sostenuta da tempo da alcuni intellettuali di grido) di realizzare nei fatti un’americanizzazione del sistema universitario italiano, consistente in una netta divaricazione tra le cosiddette research e teaching universities. Al momento in cui si completano queste pagine, manca poco all’inizio della discussione parlamentare sul disegno di legge. A questo riguardo, la comunità scientifica ha assunto posizioni variegate. V’è chi ha preferito giocare sul terreno della proposta governativa: e cioè, di tentare di suggerire modifiche a tale testo, in modo da renderlo più razionale e per contrastare l’inevitabile rischio di «localismo» che porta con sé. Altri hanno sostanzialmente bocciato tale progetto, ribadendo l’importanza e il valore, per la tenuta del sistema universitario nazionale, di una preliminare valutazione centralizzata sul merito e la qualità degli aspiranti professori. Come s’è potuto verificare, leggendo questo testo, chi scrive condivide questa seconda posizione. I prossimi mesi saranno così decisivi per il futuro dell’università italiana e dei tanti giovani che meritano di entrare nei ruoli accademici.  
Docenza e decency in un disegno di legge sui concorsi da professore universitario
L’ASN (Abilitazione Scientifica Nazionale), nata per rimediare ai guasti del reclutamento localistico, ha fallito ed è ora di abolirla. Questo è quanto sostiene la relazione di accompagnamento di un disegno di legge in discussione al Senato che innova radicalmente la disciplina del reclutamento dei professori universitari, riuscendo nell’impossibile missione di peggiorare ulteriormente la situazione attuale, in termini di localismo, nepotismo e malcostume concorsuale. Una riforma fatta nel nome di una (malintesa) nozione di autonomia universitaria. Abolita  l’ASN resterà solo da autocertificare il superamento di soglie numeriche di pubblicazioni, senza alcuna valutazione circa la qualità delle stesse. Si sceglie insomma di accontentarsi del profilo quantitativo, quello che ha mostrato maggiori effetti negativi, incoraggiando una produzione scientifica orientata unicamente ai numeri delle pubblicazioni, oltre che delle citazioni. In questo quadro, chi potrà offrire il “bollino” che attesta il possesso della quantità richiesta di scritti e citazioni? E chi potrà individuare gli indicatori e le soglie? Il Ministro? Oppure qualche organismo simil-tecnico da esso nominato? Originariamente pubblicato su www.lacostituzione.info ______________ 1. Mentre infuriano conflitti, guerre commerciali e incombono importanti riforme costituzionali, appare più che mai difficile che qualcuno possa interessarsi al futuro dell’Università in Italia. Ed è così che, nel disinteresse della politica e nel silenzio un po’ sospetto dell’accademia (salvo poche meritorie eccezioni), è in discussione al Senato un disegno di legge (AS 1518) che innova radicalmente la disciplina del reclutamento dei professori universitari, riuscendo nell’impossibile missione di peggiorare ulteriormente la situazione attuale, in termini di localismo, nepotismo e opacità suscettibili di prodursi nelle procedure concorsuali, già note alle cronache per frequenti episodi di malcostume. Oltre ai vizi e virtù dell’accademia, il tema rileva perché le modalità del reclutamento incidono profondamente sulla qualità dei reclutati, producendo così importanti effetti sulle libertà di ricerca e di insegnamento garantite dall’art. 33, comma 1, Cost., così come su ciò che l’art. 9 pretenderebbe, cioè che la Repubblica promuova cultura e ricerca scientifica e tecnica. Considerando la crucialità della ricerca e dell’istruzione, superiore e non, per il futuro di una nazione, occorre(rebbe) quindi riflettere bene se tale disegno di legge sia conforme a tali principi, oltre che all’interesse generale a mantenere un buon livello scientifico della docenza nel sistema universitario. 2. A seguito della riforma cosiddetta Gelmini del 2010, la legge prevede oggi un sistema mirante a creare una sorta di “patente” nazionale per accedere alla cattedra, l’Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN), tramite cui si accede ai concorsi da professore ordinario e associato banditi dalle singole Università. Poiché le Università garantiscono l’accesso a titoli di studio con valore legale, nel rispetto della loro autonomia (normativa, organizzativa, gestionale, finanziaria), la legge dovrebbe assicurare che vi sia un livello di insegnamento il più possibile uniforme e condizioni trasparenti ed anch’esse uniformi di accesso alla docenza. Anche per questo motivo, oltre che per meglio garantire le fondamentali libertà di ricerca e di insegnamento già richiamate, lo stato giuridico della docenza universitaria è disciplinato tradizionalmente dalla legge, come quello di magistrati e corpo diplomatico, e sottratto al regime privatistico. L’esistenza di una procedura nazionale di abilitazione all’insegnamento universitario è intesa quindi a produrre un unico processo trasparente, sotto i riflettori della comunità scientifica, in modo da evitare quel malcostume che le procedure dei concorsi locali precedentemente vigenti avevano visto proliferare. La legge “Gelmini”, sebbene con molti difetti (tra cui quello di non ancorare in alcun modo il numero degli abilitati prodotto ogni triennio al reale fabbisogno di docenti del sistema universitario), aveva quindi prodotto almeno parzialmente un effetto positivo in termini di trasparenza e controllabilità del processo di reclutamento. Con essa si sono inoltre introdotti “indicatori” di produttività e di qualità della ricerca finalizzati a rendere controllabili – ed evitabili – le peggiori distorsioni e i peggiori abusi. Ciò ha prodotto alcuni rilevanti effetti secondari: intanto un importante contenzioso sulle procedure di abilitazione, facendo venire allo scoperto e ripianare (finalmente) molti casi altrimenti rimasti sconosciuti di abusi e di illegalità varie nei concorsi universitari. Tale sistema ha però anche un’altra faccia meno commendevole, poiché ha introdotto un effetto di appiattimento su criteri quantitativi nella produzione scientifica, poiché per ottenere l’ASN è necessario raggiungere le “mediane”, definite poi “valori soglia”, cioè superare soglie numeriche minime di articoli, libri etc., fissate rigidamente settore per settore. Il criterio quantitativo, che prescinde dalla qualità delle pubblicazioni, ha indotto così una sorta di inflazione nel mondo dell’editoria scientifica, che ha contribuito ad abbassare il livello complessivo della produzione scientifica di noi tutti. Le commissioni ASN, nominate per ogni settore disciplinare, innestano però oggi un giudizio fondato sulla loro specifica competenza disciplinare sul pre-requisito quantitativo, motivando (più o meno scrupolosamente) promozioni e bocciature, alla luce di un esame nel merito delle pubblicazioni allegate da ciascun candidato. Il sistema attuale prevede poi, a valle dell’ASN, le procedure concorsuali presso le università, per reclutare professori ordinari e associati. Descrivere tali procedure è complicato a causa delle troppe sottoprocedure che la legge prevede, e delle varianti che ogni regolamento di ateneo ha introdotto disciplinandole, giacché un errore della Gelmini fu quello di “delegificare” tali procedure – che sono “i veri concorsi” -, ove si opera la scelta su chi premiare tra gli abilitati ASN, cioè chi promuovere alla II fascia di associato o a quella di professore ordinario. Su tale insieme di fattori si è fondato sin qui l’imperfetto sistema che ora si vuole modificare. 3. Cosa ha quindi progettato il legislatore? Innanzitutto, dati i due step attuali nella selezione nazionale di accesso alla ASN e poi “alla cattedra” si elimina il primo. A livello nazionale resterà solo da autocertificare il superamento di soglie numeriche di pubblicazioni, senza alcuna valutazione circa la qualità delle stesse. Si sceglie insomma di accontentarsi del profilo quantitativo, quello che ha mostrato maggiori effetti negativi per quanto concerne il futuro dell’Università e della ricerca, incoraggiando un appiattimento complessivo della produzione scientifica orientato unicamente ai numeri delle pubblicazioni, oltre che delle citazioni (che attestano la capacità di inserirsi nel flusso che spesso privilegia la ricerca mainstream e meno innovativa e coraggiosa per quanto riguarda i settori bibliometrici). Il ricco contenzioso sorto sull’ASN, specchio di una cattiva scrittura delle norme della legge Gelmini oltre che dei vecchi vizi dell’accademia, viene addotto nella relazione di accompagnamento al ddl come prova del fallimento del sistema ASN, che per il Governo, autore del ddl, dimostrerebbe la necessità di abolirlo, anziché rappresentare la spia di un problema da affrontare. Si sceglie così paradossalmente di passare ad un sistema di concorsi puramente locali, preceduti da un sistema di autocertificazione del possesso di indicatori meramente quantitativi. L’apoteosi dell’irrazionalità di questa scelta del DDL è nel tentativo, operato nella relazione di accompagnamento, di giustificarla alla luce del principio costituzionale dell’autonomia universitaria posto dal comma 6 dell’art. 33 Cost., che sancisce invece il potere di darsi ordinamenti autonomi al fine di garantire libertà di ricerca ed insegnamento. E non invece di assoggettare lo stato giuridico della docenza ad un frammentata ed eterogenea serie di procedure disciplinate da regolamenti di ateneo, che nulla garantiscono in termini di pubblicità e trasparenza, se non per la presenza di commissioni composte da cinque professori ordinari. I quattro componenti esterni di tali commissioni saranno sorteggiati tra tutti coloro che a) rispettino i criteri quantitativi (ritorna il publish or perish a prescindere dalla qualità, che affliggerà così tutte le generazioni, e non solo i candidati, con conseguente abbattimento di foreste evitabile…), b) siano “disponibili”, c) non siano valutati negativamente dall’ateneo di appartenenza (art. 6, c. 7, legge Gelmini). Si immagina che saranno gli atenei, secondo i loro regolamenti, a svolgere i sorteggi (come?) e ad individuare i “disponibili” (come?), posto che non è detto che tutti coloro che sono in possesso dei criteri quantitativi lo saranno. 4. La malintesa nozione di autonomia universitaria che emerge dal ddl 1518 come potestà degli atenei di “regolarsi da sé” circa le procedure di reclutamento cozza ovviamente non tanto con la lettura dell’art. 97, comma 3, Cost., che impone il principio del concorso pubblico, derogabile solo nei casi stabiliti dalla legge, ma soprattutto con la libertà di ricerca e insegnamento, assistita dalla garanzia dello stato giuridico uniforme, che è attualmente ancora la scelta di fondo del legislatore per quanto riguarda la docenza universitaria. L’autonomia universitaria insomma è funzionale alla libertà di ricerca e di insegnamento, e tale rapporto non può quindi essere invertito, sulla scorta di una malintesa nozione di autonomia, lasciando all’arbitrio delle singole università la disciplina dei concorsi. Se la frammentazione dello stato giuridico pubblicistico, che già attualmente è stato minato dalla legge Gelmini, rimettendone settori importanti alla disciplina dei regolamenti di ateneo (procedimenti disciplinari, scatti stipendiali, concorsi Rtd, procedure di chiamata), venisse estesa anche a tutto ciò che riguarda il reclutamento, eliminando anche il gradino di scrematura iniziale rappresentato dall’ASN, si finirebbe col far venir meno anche quell’ultimo argine al localismo e alla perdita di unitarietà del sistema universitario. Per non parlare del rischio che i tanto vituperati atenei telematici possano disciplinare (è questo il timore delle associazioni scientifiche riunite nella CASAG) “chissà come” le procedure concorsuali al loro interno. Sia permesso segnalare che i casi che hanno dato luogo negli ultimi anni al contenzioso sul reclutamento e ad alcuni scandali e procedimenti penali, sono partiti da grandi ed anche blasonati atenei statali. 5. Ma vi è di più, perché lo spirito del tempo aleggia nelle aule parlamentari e sembra imporsi pressoché in qualsiasi testo all’esame delle Camere. Chi potrà offrire un “bollino” per accedere alle procedure concorsuali presso gli Atenei, attestando il possesso della quantità richiesta di scritti? E chi potrà individuare gli indicatori che nella produzione scientifica di candidati e commissari dovranno essere rispettati? La risposta a queste e altre domande che si pongono i costituzionalisti più che mai in questa legislatura, ma anche precedentemente, è sempre la stessa: basta guardare in alto, seguendo le dinamiche di verticalizzazione della forma di governo che portano sempre in su, verso il Governo e, nel caso dell’Università, ci riconducono sempre alla figura del Ministro, o nella migliore delle ipotesi a qualche organismo simil-tecnico da esso nominato. Quanto tutto ciò si presti alla garanzia delle libertà di ricerca e di insegnamento, come volevano i costituenti, che addirittura assimilarono in termini di inamovibilità i professori universitari ai magistrati, è dubbio. A ciò si aggiungono alcuni difetti di scrittura del testo all’esame che mettono in discussione in primis la stessa applicabilità e ragionevolezza di un reclutamento come quello previsto dal ddl 1518, che dovrebbe rispondere poi anche ai canoni dell’art. 97 Cost., garantendo legalità, buon andamento ed imparzialità delle procedure concorsuali negli atenei. Più in generale si può dire che il ddl mostri quanto il Governo tenga al futuro dell’Università, come a quello di tanti giovani studiosi. Occorrerebbe invece una riflessione su ciò che è diventata l’università-azienda a valle di quindici anni di applicazione della riforma, e sul suo impatto sulla libertà accademica. Si dovrebbe poi ragionare sul rapporto dell’Università con le tecnologie nella ricerca e nella didattica, a fronte di una montante banalizzazione del problema nel dibattito sulle telematiche. Come sarebbe urgente interrogarsi su cosa offra il sistema universitario per garantire il diritto allo studio di un numero in progressivo aumento di studenti lavoratori, che incontrano crescenti difficoltà a spostarsi sul territorio nazionale. C’è ancora qualcuno a cui possa interessare tutto ciò oggi?
(Abilitazione Scientifica) Nazionale senza filtro
Il Consiglio dei Ministri il 19 maggio 2025 ha approvato il disegno di legge dal titolo “Revisione delle modalità di accesso, valutazione e reclutamento del personale ricercatore e docente universitario”. Roars ha già dato conto del testo nonché della relazione illustrativa. È opportuno procedere a un primo esame della proposta, da cui emergono immediatamente numerose e gravi criticità, sia nell’impostazione politica che nella scrittura tecnica del provvedimento. Esso intende aggiornare dopo 15 anni la legge Gelmini e la novità principale riguarda la procedura dell’Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN), che costituiva uno dei punti qualificanti della riforma. Secondo la relazione illustrativa, l’ASN avrebbe smarrito “la sua natura iniziale, … quella di accertare il possesso di un livello minimo di qualificazione e produttività scientifica basato su standard condivisi a livello nazionale”. Inoltre, si era “radicata l’aspettativa che” l’ASN conferisse “una sorta di diritto acquisito alla chiamata in ruolo,” destinata invece inevitabilmente a deludere la maggior parte degli abilitati dato il loro altissimo numero. In poche parole: un fallimento ammesso dalle stesse forze di governo che avevano fortemente voluto la riforma. Il rimedio, però, appare peggiore del male. La proposta è infatti quella di abolire le commissioni di valutazione e di rendere l’ASN puramente quantitativa mediante un’autodichiarazione degli interessati su una piattaforma telematica messa a disposizione dal Ministero. Se per i settori bibliometrici sopravviverebbe ancora una qualche forma di sbarramento (nonostante il fatto che a livello internazionale sia ormai acclarato che l’affidarsi solamente o prevalentemente a questi indici per la valutazione dei singoli ricercatori sia inaccettabile), per quelli non bibliometrici si andrebbero a calcolare i titoli in maniera puramente quantitativa, incoraggiando senza più alcuna remora la produzione di articoli spazzatura, pur di raggiungere i requisiti prescritti. La suddivisione delle riviste in due fasce infatti non funziona ed è piena di difetti: chi scrive lo dice a ragion veduta avendo fatto parte di uno dei Gruppi di Lavoro che valutava le domande delle riviste. Secondo la relazione, per integrare le soglie dell’ASN si terrebbero presenti “l’organizzazione o la partecipazione come relatore a convegni scientifici, l’attribuzione di borse di ricerca o di incarichi di collaborazione all’attività di ricerca, la partecipazione a progetti di ricerca aggiudicati sulla base di bandi competitivi, il conseguimento di premi riconosciuti per l’attività scientifica, i risultati in sede di trasferimento tecnologico etc.)”, nonché finalmente “una misurazione della produzione scientifica, integrandola con analisi della sua continuità e distribuzione temporale”. Una valutazione così complessa sarebbe affidata ancora una volta all’autodichiarazione, ma chi ha esperienza di commissioni di concorso sa bene quanto spesso i curricula tendano a enfatizzare e gonfiare questi dati, che qui sarebbero totalmente privi di validazione e controllo. Sempre nella relazione, si afferma che si intende “introdurre un sistema premiale per le università che assumono i migliori, ossia coloro i quali nel periodo successivo all’assunzione dimostrano con i loro indicatori di produttività, con le loro pubblicazioni e con la loro attività complessiva, di aver contribuito al miglioramento della qualità delle attività dell’università che li ha reclutati”. A parte il fatto che questo elemento è già presente (indicatore R2 della Valutazione della Qualità della Ricerca – VQR), non è chiaro che cosa esattamente abbia in mente il legislatore. Più avanti viene specificato che “la valutazione dei vincitori di tutte le procedure di reclutamento” va svolta “dopo due anni dalla presa di servizio e con cadenza biennale per la durata del rapporto di lavoro”. La relazione però non va d’accordo con il disegno di legge (art. 2, c. 5.d), che invece prevede la “valutazione, dopo due anni dalla presa di servizio e con cadenza triennale per la durata del rapporto di lavoro”. A parte il dettaglio, tale valutazione dovrà incidere sul computo delle assegnazioni del Fondo per il Finanziamento Ordinario (FFO). I casi sono due: 1. la valutazione deve metter su un carrozzone simile alla VQR, con tutto lo sforzo, la spesa e la distrazione dai compiti principali che ciò comporta. L’ipotesi sembra difficilmente realizzabile perché, a differenza della VQR quinquennale, il triennio (o il biennio) dipende dalla presa di servizio del docente o del ricercatore e dunque ha date sempre sfalsate e dovrebbe avere cadenza annuale interessando ogni anno una parte diversa del corpo docente, rendendo oltretutto i risultati disomogenei e non comparabili. Oppure 2. la valutazione è demandata alle sedi locali (cosa assai più semplice), ma poiché – come si sa – non bisogna chiedere all’oste se il vino è buono, gli atenei avrebbero tutto l’interesse a supervalutare ciascuno i propri docenti e ricercatori, rendendo inaffidabile la procedura. Arriviamo quindi – sempre nella relazione – alla “mobilità orizzontale attraverso il ‘trasferimento’ delle facoltà assunzionali (e delle relative risorse finanziarie)” il che avrebbe il fine di rendere “più attrattivo e conveniente il sistema di mobilità tra Atenei”. Non si capisce esattamente per chi risulterebbe più attrattivo, o forse si capisce fin troppo bene, in quanto i ricercatori scapperebbero tutti negli atenei più ricchi del nord svuotando in breve quelli del centro-sud e condannandoli alla sparizione nel giro di pochi anni, accelerando un processo già da tempo avviato in maniera più strisciante attraverso il sistema delle premialità. Si dice inoltre pudicamente che “potranno essere previste apposite premialità in favore degli Atenei ‘cedenti’ facoltà assunzionali,” ma – a meno che non si prevedano premialità equivalenti o superiori alle risorse e alle capacità assunzionali perdute – nessun ateneo sarebbe così suicida da accettare un “trasferimento unidirezionale”. Anche in quest’ultimo ipotetico (e irrealistico) caso, tuttavia, si tratterebbe comunque di un finanziamento aggiuntivo gratuito alle università più ricche e del drenaggio delle menti migliori dalle sedi più svantaggiate. In sintesi, per quanto riguarda l’impostazione generale del disegno di legge, l’abolizione del filtro nazionale dell’ASN confinerebbe i concorsi ancor più di quanto avvenga oggi in bolle localistiche e autoreferenziali, frantumando ulteriormente il già compromesso quadro unitario del sistema universitario nazionale; incentiverebbe la produzione massiva di articoli di scarsa o nessuna qualità; drenerebbe le menti migliori a favore delle università ricche del nord svuotando quelle meno privilegiate del centro-sud. Non è certo aumentando dal 20% al 25% le risorse da destinare a concorsi esterni che si risolve il problema, tanto più che contemporaneamente viene abolito il 33% delle risorse per bandi di ricercatori riservato a chi ha tre anni di dottorato o assegno di ricerca in altro ateneo (l’art. 24 c. 1 bis della Gelmini). Questo 25% inoltre aumenterebbe il costo del reclutamento per gli atenei mentre contemporaneamente si taglia pesantemente il FFO e non si forniscono fondi aggiuntivi per gli scatti stipendiali, tanto che molti atenei hanno di fatto già bloccato o fortemente limitato il turnover. In sintesi, si tratta di un disegno potenzialmente letale per il sistema nel suo complesso. È opportuno però entrare nei dettagli della proposta per vedere anche le gravi contraddizioni, che mostrano come gli estensori abbiano scarsa cognizione di come funzioni l’università italiana. Partiamo dalla composizione delle commissioni di concorso: servirebbero cinque membri per i docenti (fino a oggi ne bastavano tre e cinque era solo un’opzione), tutti ordinari per i concorsi di prima fascia, almeno tre ordinari (e due associati) per quelli di seconda fascia. Verrebbero mantenuti invece i tre commissari per i ricercatori (di cui uno ordinario e gli altri associati). Questo significherebbe aumentare pesantemente il fabbisogno di docenti commissari, complicando e rallentando i concorsi. Evidentemente chi ha scritto la norma viene da settori molto popolosi (medici, ingegneri, giuristi) e non si rende conto che invece molti settori vantano numeri molto bassi di ordinari. E nonostante questo si prevede “un principio di limite alla partecipazione a commissioni giudicatrici in uno stesso periodo di tempo” e “una serie di requisiti qualitativi e di equilibrio di genere, nonché finalizzati alla rotazione tra i professori chiamati a farne parte”, principi inapplicabili ai SSD poco popolosi. Sembra che non sia più possibile utilizzare come membro designato un esterno in quanto l’art. 2 c. 3 del disegno di legge prevede la presenza di “almeno un componente interno all’università che ha indetto la procedura, afferente al settore scientifico-disciplinare (SSD) di cui al bando di concorso.” E se l’università non ha nessun ordinario del settore e nemmeno del gruppo scientifico disciplinare (GSD) come si fa? Poiché inoltre il comma prevede la presenza nella commissione di “almeno quattro componenti esterni” e di “almeno un componente interno” ci si chiede se i componenti della commissione possano essere anche più di cinque. Infine, se il sorteggio va fatto “tra i docenti disponibili a livello nazionale, afferenti al settore scientifico-disciplinare”, ciò significa che – a differenza di quanto avveniva fino ad oggi – non si possono includere colleghi stranieri. Si tratta di una svista o di un caso di “sovranismo accademico”? e come la mettiamo con il diritto comunitario? Senza parlare del fatto che ci si affida a un sorteggio per la designazione della commissione: un bel salto che sconfessa la retorica del merito finora imperante, che prevedeva soglie dei commissari ASN superiori a quelle degli ordinari, per affidarsi invece alla roulette. Il merito della dea bendata. Forse le due uniche note positive sono da un lato la previsione che il SSD sia vincolante per la scelta dei commissari, visto che sono stati numerosi i concorsi in cui alla commissione mancavano membri del SSD del bando, sostituiti da altri provenienti da SSD differenti dello stesso GSD. Dall’altro che la graduatoria stilata dalla commissione è vincolante, ossia non è più ammesso il malcostume di designare una rosa di candidati da cui il dipartimento sceglie a suo piacimento. Si parla anche di valutazione da parte della commissione delle modalità di svolgimento della didattica, senza però chiarire che cosa significhi esattamente (valutazione del curriculum o lezione dimostrativa?), nonché della possibilità per il dipartimento di invitare il vincitore di concorso a tenere una lezione o un seminario. Questo però avverrebbe dopo la conclusione dei lavori della commissione. Che cosa significa dunque? Che se la lezione non piace al dipartimento il vincitore non viene chiamato? Sarebbe una procedura davvero bizzarra. Come si vede anche da un punto di vista tecnico il disegno di legge presenta una serie di punti interrogativi e di contraddizioni patenti. Il giudizio sul disegno di legge, dunque, non può che essere negativo e l’auspicio è che venga riscritto su basi completamente differenti.
Perché aboliamo l’ASN. La relazione illustrativa del governo
Pubblichiamo la relazione illustrativa dello  SCHEMA DI DISEGNO DI LEGGE RECANTE «REVISIONE DELLE MODALITÀ DI ACCESSO, VALUTAZIONE E RECLUTAMENTO DEL PERSONALE RICERCATORE E DOCENTE UNIVERSITARIO». Vi si spiega perché il governo voglia abolire l’ASN e sostituirla con una autodichiarazione.  “Infine, differentemente dal sistema ASN, il nuovo modello di autodichiarazione non produrrà un certificato di abilitazione o altro tipo di esito documentale (“esito verde o rosso”), ma costituirà unicamente lo strumento e la condizione per lo svolgimento delle procedure locali, seppure alla luce dei nuovi (e più elevati ed uniformi) requisiti di partecipazione”. RELAZIONE ILLUSTRATIVA Il presente disegno di legge riprende i tratti fondamentali delle proposte elaborate nell’ambito del Gruppo di Lavoro nominato con decreto del Ministro dell’università e della ricerca del 20 settembre 2024 , n. 1501, avente come scopo attività di supporto al Ministro per analisi, studio ed elaborazione di proposte di revisione in materia di reclutamento e di qualità dell’offerta formativa, dell’assetto e della governance della valutazione dell’università e della ricerca, nonché di revisione della struttura e del funzionamento degli Organi consultivi del Ministero dell’università e della ricerca. Il Gruppo di lavoro – composto dai Presidenti degli Organismi di consulenza del Ministro, nonché da esperti del settore – ha portato avanti diversi filoni di discussione, a partire dai temi della funzionalità del vigente sistema di Abilitazione scientifica nazionale (ASN) di cui all’art. 16 della legge n. 240 del 2010 e da quelli, strettamente connessi, delle procedure per la chiamata dei professori e dei ricercatori a tempo determinato (artt. 18 e 24 della medesima legge). L’obiettivo principale è stato quello di effettuare una valutazione complessiva di coerenza agli scopi originari, alla luce dei risultati attesi. Sulla base delle risultanze del Gruppo di lavoro, è stato elaborato il presente disegno di legge, che persegue la finalità di promuovere la qualità del sistema universitario italiano, avendo presente in particolare la necessità di renderlo maggiormente accessibile agli studiosi più giovani, di semplificarne le procedure, di rafforzare l’autonomia dei singoli Atenei, introducendo al contempo norme che ne rafforzino in modo significativo la responsabilità per le scelte compiute in sede di reclutamento. Infine, si è ritenuto di dover intervenire anche al fine di reinserire procedure di mobilità del personale docente che il quadro risultante dalle modifiche intervenute negli ultimi quindici anni avevano fortemente limitato, cristallizzando un localismo di cui certamente non può giovarsi il sistema complessivamente inteso. Partendo dall’analisi della funzionalità del sistema ASN dopo quindici anni dall’approvazione della legge n. 240 del 2010 e dopo più di dodici anni di prassi applicativa, si è registrato un generale smarrimento della sua natura iniziale, ovvero quella di accertare il possesso di un livello minimo di qualificazione e produttività scientifica basato su standard condivisi a livello nazionale, livello che deve fungere da precondizione indispensabile per partecipare alle procedure di reclutamento. Nonostante la normativa indichi chiaramente che il conseguimento dell’abilitazione non dia titolo alcuno alla chiamata, si è invece radicata l’aspettativa che questa costituisca una sorta di diritto acquisito alla chiamata in ruolo: questa aspettativa, unitamente all’altissimo numero di abilitati, comporta effetti distorsivi molto pesanti sulla programmazione strategica degli Atenei. Tale aspettativa è, per altro, confermata dalla enorme pressione tesa al progressivo allungamento della validità del titolo abilitativo, originariamente prevista in quattro anni e giunta, a seguito di numerose modifiche intervenute nel corso degli anni (l’ultima recata in sede di conversione del decreto-legge n. 160 del 2024), a ben dodici anni, svuotando pressoché di senso il suo aggancio a una valutazione della produzione scientifica basata su indicatori di produttività all’interno di un determinato arco temporale, arco temporale che è finalizzato ad accertare, tra l’altro, il perdurare di tale produttività fino al momento in cui si svolgono le procedure di chiamata. In aggiunta, la ripetizione di una valutazione quali-quantitativa, effettuata prima a livello nazionale dalle Commissioni ASN (per altro, gravando i loro componenti di un lavoro obiettivamente lungo e assorbente, tale da distoglierli dalla loro attività primaria negli Atenei), e poi a livello di singola procedura di reclutamento presso i singoli Atenei, appare ridondante, soprattutto per quanto riguarda i titoli scientifici, incluse le pubblicazioni. Tale ridondanza è, a maggior ragione, evidente nei settori c.d. bibliometrici, all’interno dei quali il mero raggiungimento dei valori-soglia quantitativi è per lo più ritenuto sufficiente, e non già solamente necessario, ai fini del conseguimento dell’abilitazione, riducendo o addirittura eliminando il peso della valutazione qualitativa che spetterebbe alla Commissione ASN. Per converso, il fatto che ai fini dell’abilitazione non siano valutate l’attività didattica, quella di terza missione/valorizzazione della conoscenza, quella amministrativo-gestionale, e, per le aree mediche, l’esperienza clinico-assistenziale, comporta un’asimmetria nei criteri di valutazione rispetto ai concorsi, dove invece queste attività cruciali per il profilo dei docenti sono valutate. I risultati della ASN, anche a causa delle diverse prassi adottate dalle singole Commissioni nazionali, hanno creato una forte disomogeneità nella percentuale di abilitati tra i vari settori concorsuali e tra le diverse tornate di abilitazione, compromettendo in maniera evidente l’idea stessa di un sistema unitario e tendenzialmente omogeneo per tutte le aree scientifiche. D’altro canto, l’intervento di modifica si rende necessario anche al fine di dare compiuta attuazione alla Riforma 1.5 (Missione 4, Componente 1) del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, di competenza MUR, che ha provveduto, tra l’altro, con decreto del Ministro dell’università e della ricerca 2 maggio 2024, n. 639, ad individuare i nuovi Gruppi scientifico-disciplinari (per un totale di n. 190, che hanno sostituito sia nell’inquadramento, sia per i compiti dei docenti che nei piani di studio, i Settori scientifico-disciplinari (SSD) e i Settori Concorsuali (SC). I Gruppi scientifico-disciplinari costituiscono una prerogativa necessaria per l’inquadramento dei professori di prima e seconda fascia e dei ricercatori e sono utilizzati per l’adempimento degli obblighi didattici da parte degli stessi. Trattasi di un’operazione di semplificazione per far sì che ciascun gruppo scientifico disciplinare possa contenere uno o più settori scientifico-disciplinari afferenti allo stesso, alla luce delle declaratorie indicate nel decreto sopra menzionato. In questo quadro, la proposta normativa ha l’obiettivo di semplificare radicalmente l’attuale sistema, garantendo il mantenimento di una soglia minima di requisiti di produttività e qualificazione scientifica, condivisi a livello nazionale, come condizione di accesso alla docenza universitaria di prima e di seconda fascia. In particolare, si propone l’introduzione di un sistema mediante cui si individuino, su proposta dell’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR), requisiti specifici, distinti per gruppo scientifico-disciplinare e, per ciascuno di essi, per la prima e per la seconda fascia. Il possesso dei citati requisiti, come chiarito al comma 3, è oggetto di dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà da parte dei singoli candidati, attraverso una piattaforma telematica messa a disposizione del Ministero, e, a differenza da quanto avviene oggi per gli indicatori quantitativi di produzione scientifica previsti dalle procedure ASN, il caricamento – recte, la dichiarazione sostitutiva del candidato – della documentazione attestante il relativo possesso non implica alcuna valutazione da parte del MUR. Non si tratta di una procedura automatizzata di valutazione, ma di una mera condizione di ammissibilità strumentale ai fini della partecipazione alle procedure di concorso per la chiamata come professori ordinari e associati da parte delle università, elevando i requisiti per l’ingresso in ruolo e, al contempo, fornendone una elencazione uniforme a livello nazionale come parametro di valutazione per le singole commissioni locali. Infine, differentemente dal sistema ASN, il nuovo modello di autodichiarazione non produrrà un certificato di abilitazione o altro tipo di esito documentale (“esito verde o rosso”), ma costituirà unicamente lo strumento e la condizione per lo svolgimento delle procedure locali, seppure alla luce dei nuovi (e più elevati ed uniformi) requisiti di partecipazione. In definitiva, il nuovo sistema, nella valorizzazione del principio di autonomia responsabile, affida alle università la gestione dei processi di selezione nelle procedure concorsuali per la chiamata di professori di prima e seconda fascia, pur garantendo – a livello centrale – una serie di requisiti di partecipazione, salvaguardando così l’autonomia garantita dall’art. 33 della Costituzione. Con il nuovo sistema si intendono responsabilizzare concretamente gli atenei circa le rispettive politiche di reclutamento. In quest’ottica la valutazione dei nuovi assunti diviene un elemento fondamentale al fine del riparto della quota premiale del FFO e del contributo destinato alle università non statali. Si intende introdurre un sistema premiale per le università che assumono i migliori, ossia coloro i quali nel periodo successivo all’assunzione dimostrano con i loro indicatori di produttività, con le loro pubblicazioni e con la loro attività complessiva, di aver contribuito al miglioramento della qualità delle attività dell’università che li ha reclutati. Oltre alle nuove modalità di reclutamento, al fine di favorire la circolazione dei professori e dei ricercatori già in ruolo, si prevede un meccanismo di mobilità orizzontale attraverso il “trasferimento” delle facoltà assunzionali (e delle relative risorse finanziarie), rendendo più attrattivo e conveniente il sistema di mobilità tra Atenei. Passando all’illustrazione dell’articolato, il presente disegno di legge, all’articolo 1, si pone l’obiettivo di semplificare radicalmente l’attuale sistema, garantendo al contempo il mantenimento di una fissazione ex ante di requisiti di produttività e qualificazione scientifica, condivisi a livello nazionale, come condizione di accesso alla docenza universitaria di prima e di seconda fascia. In particolare, si propone l’introduzione di un sistema mediante cui si individuino, su proposta dell’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR), requisiti specifici, distinti per gruppo scientifico-disciplinare e, per ciascuno di essi, per la prima e per la seconda fascia. Il possesso dei citati requisiti, come chiarito al comma 3, è oggetto di dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà da parte dei singoli candidati, attraverso una piattaforma telematica del Ministero e, a differenza da quanto avviene oggi per gli indicatori quantitativi di produzione scientifica previsti dalle procedure ASN, il caricamento – recte, la dichiarazione sostitutiva del candidato –  della documentazione attestante il relativo possesso non implica alcuna valutazione da parte del MUR. Si tratta, dunque, di una mera condizione di ammissibilità nonché di un mero strumento ai fini della partecipazione alle procedure di concorso per la chiamata come professori ordinari e associati da parte delle università, elevando i requisiti per l’ingresso in ruolo e, al contempo, fornendone una elencazione uniforme a livello nazionale come parametro di valutazione per le singole commissioni locali. Tali requisiti riprenderanno in parte gli attuali titoli richiesti per il conseguimento dell’ASN (l’organizzazione o la partecipazione come relatore a convegni scientifici, l’attribuzione di borse di ricerca o di incarichi di collaborazione all’attività di ricerca, la partecipazione a progetti di ricerca aggiudicati sulla base di bandi competitivi, il conseguimento di premi riconosciuti per l’attività scientifica, i risultati in sede di trasferimento tecnologico etc.) e comprenderanno una misurazione della produzione scientifica, integrandola con analisi della sua continuità e distribuzione temporale, sostituendo funzionalmente i cosiddetti “valori soglia”, individuati dal D.M. n. 589 del 2018. Si precisa che i requisiti previsti dal novellato articolo 16 della legge n. 240 del 2010, non costituiscono un elenco necessariamente tassativo per tutte le aree scientifiche, ma sarà il decreto del Ministro dell’università e della ricerca, su proposta dell’ANVUR, di cui al nuovo articolo 16, comma 1, a dettagliarne il contenuto per ciascun gruppo scientifico-disciplinare e ciascuna delle due fasce di docenza, delimitando quindi l’ambito entro il quale ciascuna università sarà chiamata a svolgere le valutazioni mediante commissioni giudicatrici formate come disciplinato nel prosieguo del testo. Differentemente dal sistema ASN, il nuovo modello di autodichiarazione non produrrà un certificato, un patentino o altro tipo di esito documentale, ma costituirà unicamente lo strumento per lo svolgimento delle procedure locali, seppure alla luce dei nuovi (e più elevati ed uniformi) requisiti di partecipazione. Dunque, nel nuovo sistema, al posto di un controllo centralizzato a valle del quale le singole università sono integralmente libere di gestire i singoli processi di selezione, si individuano – a livello centrale – una serie di requisiti, rimettendo poi la responsabilità delle procedure, in capo alle commissioni giudicatrici locali coinvolte nelle procedure concorsuali per la chiamata di professori di prima e seconda fascia, in relazione alle quali si fissano tuttavia una serie di vincoli di composizione e di funzionamento, ossia una pluralità di interventi di armonizzazione delle procedure di reclutamento a livello di ateneo, ferma restando l’autonomia garantita dall’art. 33 della Costituzione. La definizione ex lege di linee guida relativamente ai requisiti generali di accesso ai fini della partecipazione alle procedure di chiamata garantisce un’applicazione uniforme e trasparente delle singole procedure a livello locale, fornendo una cornice normativa generale in relazione alle regole e ai criteri da adottare da parte delle singole commissioni locali nell’ambito delle procedure di reclutamento di riferimento. Tali interventi di armonizzazione hanno operato su una pluralità di piani distinti. La finalità è quella di superare i picchi più marcati di disomogeneità a livello dei singoli Atenei, fonte di numerosi contenziosi e, al tempo stesso, di garantire che l’accesso effettivo al ruolo avvenga ovunque con requisiti minimali condivisi e rafforzati mediante l’obbligo del colloquio sui titoli da parte dei/delle candidati/e. A tal fine, vengono inseriti alcuni vincoli nella formazione delle commissioni giudicatrici, indicando una serie di requisiti qualitativi e di equilibrio di genere, nonché finalizzati alla rotazione tra i professori chiamati a farne parte, ai quali si aggiunge l’individuazione di una serie di categorie escluse al fine di elevare la qualità dei procedimenti di selezione. In secondo luogo, si prevede, per le procedure di chiamata di professori di prima e di seconda fascia, la necessità di una discussione pubblica dei contenuti delle pubblicazioni scientifiche dei candidati, delle esperienze didattiche, nonché delle modalità di svolgimento delle stesse, in modo da rafforzare i meccanismi di trasparenza delle procedure e innescare dinamiche virtuose di responsabilizzazione dei Dipartimenti, titolari già a legislazione vigente della decisione sulla proposta di chiamata. Inoltre, anche alla luce della più recente giurisprudenza amministrativa, si è ritenuto di fissare il principio che l’individuazione del candidato più meritevole debba essere rimessa in via esclusiva alla commissione giudicatrice, composta secondo i criteri di armonizzazione richiamati, al fine di assicurare che sia premiato il merito riconosciuto dalla comunità scientifica di riferimento, escludendo che le commissioni possano limitarsi a indicare “rose” di candidati idonei e lasciando poi la discrezionalità ai Dipartimenti in sede di proposta di chiamata. Tale problematica è emersa in maniera dirompente alla luce della recente sentenza del Consiglio di Stato, VII sez., 25 ottobre 2024, n. 8516 relativamente alle chiamate dei ricercatori, in cui è stata censurato la disciplina d’ateneo che consentiva la rimessione alla decisione del dipartimento, anche nel senso di sovvertire la graduatoria di merito definita dalla commissione giudicatrice. Quanto agli interventi di fissazione di principi circa la composizione delle Commissioni giudicatrici, oltre a richiedere il possesso dei requisiti per le funzioni di professore di prima fascia, si è ritenuto di inserire principi di afferenza al medesimo settore scientifico-disciplinare oggetto della procedura, nonché principi (finora rimessi all’autonomia del singolo ateneo) relativi alla provenienza interna o esterna all’università che ha indetto la procedura e di promozione dell’equilibrio di genere, nonché principi di imparzialità, trasparenza e rotazione. Al fine di rafforzare il rispetto dei principi di trasparenza ed imparzialità si prevede, in particolare, che la commissione giudicatrice sarà formata da cinque componenti, di cui almeno quattro esterni all’università che ha indetto la procedura, individuati dalla stessa, previo sorteggio tra i docenti disponibili a livello nazionale, afferenti al settore scientifico-disciplinare di cui al bando di concorso e almeno un componente interno all’università che ha indetto la procedura, afferente al settore scientifico-disciplinare di cui al bando di concorso. Si è altrettanto ritenuto di escludere una serie di categorie, quali, tra gli altri, i professori straordinari a tempo determinato ex art. 1, comma 12, della legge n. 230 del 2005, i professori che hanno ottenuto una valutazione negativa circa le attività svolte, i professori condannati, in via definitiva, per i reati nei confronti della pubblica amministrazione, i professori in aspettativa obbligatoria. Inoltre, anche per innescare dinamiche virtuose e disincentivare ricorsività e potenziali conflitti di interesse, è stato inserito anche un principio di limite alla partecipazione a commissioni giudicatrici in uno stesso periodo di tempo. Si è ritenuto di operate tale intervento di armonizzazione tanto in relazione alle procedure ex art. 18 della legge n. 240 del 2010, relative alla chiamata di professori di prima e di seconda fascia, quanto a quelle ex art. 24, concernenti il reclutamento di ricercatori a tempo determinato, pur con alcuni necessari adattamenti. In particolare, si è ritenuto opportuno procedere anche in relazione a quest’ultime, ancorché, in questo caso, la Commissione giudicatrice della procedura di reclutamento non sia chiamata a valutare l’effettivo possesso dei requisiti quali-quantitativi finalizzati alla successiva chiamata in qualità di professore associato (anche perché il loro possesso non è richiesto in sede di valutazione ai fini dell’assunzione in qualità di ricercatore a tempo determinato). Posta, infatti, la stretta strumentalità tra la procedura di reclutamento in qualità di ricercatore a tempo determinato (in c.d. tenure track) e la successiva valutazione ai fini della chiamata come professore associato, appare maggiormente coerente una armonizzazione anche dei criteri fondamentali di formazione delle commissioni giudicatrici relativi a queste procedure, tra i quali i principi che ne devono ispirare la composizione a garanzia dell’equilibrio di genere, nonché dei principi di imparzialità, trasparenza e rotazione. Si applicano, pertanto, alle commissioni giudicatrici per il reclutamento dei ricercatori universitari di cui all’articolo 24 gli stessi principi previsti dal novellato articolo 18, comma 1, lettera b-bis), precisando che le suddette commissioni saranno composte da tre professori, di cui almeno uno di prima fascia, di cui almeno due esterni all’università che ha indetto la procedura, individuati dalla stessa, previo sorteggio tra i docenti disponibili a livello nazionale, afferenti al settore scientifico-disciplinare di cui al bando di concorso e almeno un componente interno all’università che ha indetto la procedura, afferente al settore scientifico-disciplinare di cui al bando di concorso. A tale parallelismo sulla composizione delle commissioni locali fa poi seguito, in relazione ai ricercatori a tempo determinato, l’applicazione dei requisiti di qualificazione scientifica fissati ai sensi dell’art. 16 al momento della valutazione per il passaggio a professore associato (ai sensi dell’art. 24, comma 5). Oltre all’intervento di armonizzazione delle procedure di reclutamento a livello locale, ulteriore perno sul quale ruota la riforma contenuta nel presente disegno di legge è costituito dall’aggancio strettissimo del reclutamento effettuato, alla valutazione della ricerca, con conseguenze tangibili e a lungo termine sulla dinamica dei finanziamenti degli Aten. A tal fine, è prevista l’emanazione di linee-guida per la valutazione dei vincitori di tutte le procedure di reclutamento (effettuate ai sensi degli articoli 7, commi 5-bis e 5-ter, 18 e 24 della legge n. 240 del 2010), da svolgersi dopo due anni dalla presa di servizio e con cadenza biennale per la durata del rapporto di lavoro. La valutazione dovrà incidere, con modalità che possono essere definite in sede amministrativa, sul computo delle assegnazioni del Fondo per il finanziamento ordinario e del contributo erogato alle università non statali legalmente riconosciute di cui alla legge del 29 luglio 1991, n. 243, secondo principi di premialità e autonomia responsabile.   L’articolo 2 del presente disegno di legge disciplina specifiche azioni a sostegno della mobilità interuniversitaria e internazionale, anche al fine di migliorare in modo significativo l’indice relativo ai professori reclutati dall’esterno, prevedendo: un adeguamento delle norme vigenti a favore della mobilità, un incremento del numero effettivo di professori che ciascun ateneo deve reclutare dall’esterno, portandoli ad almeno uno su quattro reclutamenti, un conseguente adeguamento delle forme di incentivazione all’interno del finanziamento ordinario. È un dato di fatto che la circolazione e la mobilità dei docenti universitari negli ultimi anni sono risultate fortemente limitate a causa di una pluralità di fattori (l’eliminazione del terzo livello a tempo determinato, le dinamiche innescate dalla disciplina amministrativa dei c.d. punti-organico, etc.). Si propone, quindi, di estendere l’ambito di applicazione delle procedure di mobilità attualmente normate dall’articolo 7, comma 3, della legge n. 240 del 2010, aggiungendo, alla possibilità dello scambio contestuale di docenti fra due sedi distinte anche la possibilità di un trasferimento unidirezionale, con contestuale trasferimento delle risorse a copertura degli oneri stipendiali e delle conseguenti facoltà assunzionali. Al fine di incentivare la mobilità, nei decreti ministeriali di programmazione finanziaria adottati successivamente all’entrata in vigore della riforma potranno essere previste apposite premialità in favore degli Atenei “cedenti” facoltà assunzionali. Infine, l’articolo 3 detta disposizioni transitorie e finali, necessarie per assicurare la continuità delle procedure ASN e delle procedure locali in corso all’entrata in vigore del presente disegno di legge, nonché al fine di chiarire la perdurante validità delle abilitazioni già conseguite nel sistema precedente, sino al termine previsto dalla legislazione previgente. Inoltre, il comma 5 prevede il trasferimento al Consiglio Universitario Nazionale (CUN) del parere per le chiamate dirette dall’estero, attualmente previsto in capo alle commissioni nazionali ASN quanto alla congruenza con il gruppo scientifico-disciplinare, unitamente alla valutazione relativa all’inquadramento che lo stesso CUN già svolge all’interno della medesima procedura. L’articolo 4 reca la clausola di invarianza finanziaria.
Addio all’abilitazione scientifica nazionale. Il testo del disegno di legge del governo
Il Consiglio dei Ministri ha approvato da poche ore lo schema di disegno di legge che rivede le norme per l’accesso, la valutazione e il reclutamento del personale ricercatore e docente universitario. La novità più rilevante è l’addio all’abilitazione scientifica nazionale. In attesa di una lettura più meditata, ecco il testo completo del provvedimento.    SCHEMA DI DISEGNO DI LEGGE RECANTE «REVISIONE DELLE MODALITÀ DI ACCESSO, VALUTAZIONE E RECLUTAMENTO DEL PERSONALE RICERCATORE E DOCENTE UNIVERSITARIO» ART. 1 (Disposizioni in materia di reclutamento universitario)   1. L’articolo 16 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, è sostituito dal seguente: «Art. 16. – (Requisiti per l’ingresso nei ruoli universitari) – 1. L’ammissione alle procedure di chiamata di cui agli articoli 18 e 24, comma 5, è condizionata al possesso di specifici requisiti di produttività e di qualificazione scientifica, distinti per le funzioni di professore di prima e di seconda fascia, individuati, per ciascun gruppo scientifico-disciplinare, con decreto del Ministro dell’università e della ricerca, su proposta dell’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR), sentito il Consiglio universitario nazionale (CUN), da adottarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione. I requisiti di cui al primo periodo sono aggiornati, una prima volta, dopo due anni dalla individuazione e, successivamente, a intervalli non inferiori a cinque anni. 2. Nella fissazione dei requisiti di cui al comma 1, sono tenuti comunque in considerazione: 3. l’organizzazione o la partecipazione come relatore a convegni di carattere scientifico in Italia o all’estero; 4. la formale attribuzione di incarichi di insegnamento o di ricerca presso qualificati atenei e istituti di ricerca esteri o sovranazionali; 5. il raggiungimento degli indicatori minimi di quantità, continuità e distribuzione temporale dei prodotti della ricerca, definiti tenendo delle caratteristiche di ciascun gruppo scientifico-disciplinare, in diversa misura per la prima e per la seconda fascia, nonché della rilevanza nazionale e internazionale dei prodotti medesimi; 6. la partecipazione a progetti di ricerca di base e applicata, sulla base di bandi competitivi nazionali, europei e internazionali; 7. il conseguimento di premi riconosciuti come rilevanti nel gruppo scientifico-disciplinare di riferimento, inclusa l’affiliazione ad accademie di riconosciuto prestigio nel settore; 8. ove le specifiche caratteristiche del settore scientifico lo richiedano, i risultati ottenuti nel trasferimento tecnologico in termini di partecipazione alla creazione di nuove imprese (spin off), sviluppo, impiego e commercializzazione di brevetti. 9. Il possesso dei requisiti di cui al comma 1 è oggetto di dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, ai sensi degli articoli 47 e 48 del decreto del Presidente della Repubblica del 28 dicembre 2000, n. 445, da parte dei candidati, mediante procedura telematica predisposta dal Ministero. Il decreto di cui al comma 1 stabilisce le modalità mediante le quali sono effettuate le dichiarazioni di cui al primo periodo.» 10. All’articolo 18 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, sono apportate le seguenti modificazioni: 11. a) al comma 1: * alla lettera a), le parole: «settore concorsuale» sono sostituite dalle seguenti: «gruppo scientifico-disciplinare» e, dopo le parole: «esclusivamente tramite indicazione di uno o più settori scientifico-disciplinari», sono inserite le seguenti: «, nonché, per l’area medica, delle specifiche esigenze clinico-assistenziali»; * alla lettera b), le parole da: «studiosi in possesso dell’abilitazione» fino a «macrosettore e» sono sostituite dalle seguenti: «studiosi in possesso dei requisiti per il gruppo scientifico-disciplinare individuati ai sensi dell’articolo 16»; * dopo la lettera b), sono inserite le seguenti: «b-bis) nomina di una commissione giudicatrice formata da cinque professori appartenenti almeno alla fascia oggetto del procedimento, per quanto possibile, nel rispetto del principio dell’equilibrio di genere, nonché dei principi di imparzialità, trasparenza e rotazione, e comunque in possesso, al momento della nomina, dei requisiti di cui all’articolo 16 previsti per le funzioni di professore di prima fascia, scelti nel rispetto dei seguenti criteri: * almeno quattro componenti esterni all’università che ha indetto la procedura, individuati dalla stessa università, previo sorteggio tra i docenti disponibili a livello nazionale, afferenti al settore scientifico-disciplinare di cui al bando di concorso; * almeno un componente interno all’università che ha indetto la procedura, afferente al settore scientifico-disciplinare di cui al bando di concorso; * per le procedure relative alle chiamate di professori di seconda fascia, ameno tre componenti della commissione giudicatrice sono individuati tra i professori di prima fascia, fermo restando il rispetto dei criteri di cui ai numeri 1) e 2); b-ter) esclusione dalla nomina a componente della commissione di cui alla lettera b-bis) dei professori straordinari a tempo determinato di cui all’articolo 1, comma 12, della legge 4 novembre 2005, n. 230, dei professori collocati in aspettativa obbligatoria ai sensi dell’articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, dei professori che, nell’anno precedente, hanno ricevuto una valutazione negativa ai sensi dell’articolo 6, comma 7, secondo periodo, dei professori che sono stati condannati, in via definitiva, per i reati previsti dal Libro secondo, Titolo II, Capo I, del codice penale, nonché, ove la numerosità del gruppo scientifico-disciplinare lo consenta, dei professori che, nell’anno precedente alla data di pubblicazione del bando sono già stati componenti di due commissioni giudicatrici per la chiamata di professori relative a procedure del medesimo gruppo scientifico-disciplinare;»; * alla lettera d), sono anteposte le seguenti parole: «verifica della effettiva sussistenza dei requisiti di cui alla lettera b), valutazione delle modalità di svolgimento della didattica, nonché» e le parole da: «il numero massimo» a: «comma 3, lettera b), e» sono sostituite dalle seguenti: «il numero delle pubblicazioni, ricompreso tra un minimo di 10 e un massimo di 15,»; * dopo la lettera d), sono inserite le seguenti: «d-bis) discussione, alla presenza dei componenti della commissione giudicatrice, dei contenuti delle pubblicazioni scientifiche, nonché delle esperienze didattiche dei candidati; d-ter) ferma restando la proposta di chiamata in capo al Dipartimento di cui alla lettera e), la commissione giudicatrice conclude i propri lavori indicando il candidato più meritevole. Prima di procedere alle determinazioni di cui alla lettera e), il Dipartimento può invitare il candidato a tenere un seminario pubblico; nelle procedure relative all’area medica, qualora il bando indichi specifiche esigenze clinico-assistenziali, il Dipartimento può determinare l’àmbito tematico sul quale svolgere il seminario, dandone comunicazione con congruo anticipo ai candidati;»; 1. b) al comma 4, le parole: «un quinto» sono sostituite dalle seguenti: «un quarto» ed è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «I docenti di cui all’articolo 6, comma 11, contribuiscono al raggiungimento della quota di cui al periodo precedente.»; 2. c) al comma 4-ter, dopo le parole: «gruppo scientifico-disciplinare» sono aggiunte le seguenti: «, ovvero dei corrispondenti requisiti individuati ai sensi dell’articolo 16 per il gruppo scientifico-disciplinare e per le funzioni oggetto del procedimento»; 3. d) dopo il comma 4-ter è inserito il seguente: «4-quater. Con decreto del Ministro, da adottarsi entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della presente disposizione, sono definite le linee-guida per la valutazione, dopo due anni dalla presa di servizio e con cadenza triennale per la durata del rapporto di lavoro, dei vincitori delle procedure effettuate ai sensi del presente articolo, nonché degli articoli 7, commi 5-bis e 5-ter, e 24, ai fini del computo delle assegnazioni del Fondo per il finanziamento ordinario e del contributo di cui alle legge del 29 luglio 1991, n. 243, secondo principi di premialità e autonomia responsabile.». 3. All’articolo 24 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, sono apportate le seguenti modificazioni: 4. a) il comma 1-bis) è abrogato; 5. b) al comma 2: * alla lettera a), dopo le parole: «esclusivamente tramite indicazione di uno o più settori scientifico-disciplinari» sono inserite le seguenti: «, nonché, per l’area medica, delle specifiche esigenze clinico-assistenziali»; * dopo la lettera b), sono inserite le seguenti: «b-bis) nomina di una commissione giudicatrice formata da tre professori, di cui almeno uno di prima fascia, assicurando il rispetto del principio dell’equilibrio di genere, nonché dei principi di imparzialità, trasparenza e rotazione, in possesso, al momento della nomina, di tutti i requisiti di cui all’articolo 16 e scelti nel rispetto dei seguenti criteri: * almeno due membri esterni all’università che ha indetto la procedura, individuati dalla stessa università, previo sorteggio tra i docenti disponibili a livello nazionale, afferenti al settore scientifico-disciplinare di cui al bando di concorso; * almeno un componente interno all’università che ha indetto la procedura, afferente al settore scientifico-disciplinare di cui al bando di concorso; b-ter) esclusione dalla nomina a componente della commissione di cui alla lettera b-bis) dei professori straordinari a tempo determinato di cui all’articolo 1, comma 12, della legge 4 novembre 2005, n. 230, dei professori posti in aspettativa obbligatoria ai sensi dell’articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, dei professori che, nell’anno precedente, hanno ricevuto una valutazione negativa ai sensi dell’articolo 6, comma 7, secondo periodo, dei professori che sono stati condannati, in via definitiva, per i reati previsti dal Libro secondo, Titolo II, Capo I, del codice penale, nonché, ove la numerosità del gruppo scientifico-disciplinare lo consenta, dei professori che, nell’anno precedente alla data di pubblicazione del bando sono già stati componenti di due commissioni giudicatrici relative a procedure per il reclutamento di ricercatori a tempo determinato del medesimo gruppo scientifico-disciplinare;»; * alla lettera c), le parole da: «possibilità di prevedere» a: «pubblicazioni» sono sostituite dalle seguenti: «previsione nel bando del numero delle pubblicazioni, ricompreso tra un minimo di 10 e un massimo di 15,»; * dopo la lettera c), è inserita la seguente: «c-bis) ferma restando la procedura di chiamata di cui alla lettera d), la commissione giudicatrice conclude i propri lavori indicando il candidato più meritevole. Prima di procedere alle determinazioni di cui alla lettera d), il Dipartimento può invitare il candidato a tenere un seminario pubblico; nelle procedure relative all’area medica, qualora il bando indichi specifiche esigenze clinico-assistenziali, il Dipartimento può determinare l’àmbito tematico sul quale svolgere il seminario, dandone comunicazione con congruo anticipo ai candidati; 1. c) al comma 5, le parole: «che abbia conseguito l’abilitazione scientifica nazionale di cui all’articolo 16» sono sostituite dalle seguenti: «che risulti in possesso dei requisiti di produttività e qualificazione scientifica determinati ai sensi dell’articolo 16».     ART. 2 (Disposizioni in materia di mobilità interateneo e internazionale)   1. Al fine di incentivare la mobilità dei docenti universitari, all’articolo 7, comma 3, della legge 30 dicembre 2010, n. 240, l’ultimo periodo è sostituito dai seguenti: «È inoltre consentito, con l’assenso dell’interessato e delle università interessate, effettuare il trasferimento di un professore o ricercatore a tempo indeterminato in servizio da almeno cinque anni, unitamente alle risorse a copertura degli oneri stipendiali e le conseguenti facoltà assunzionali. Il Ministro, in sede di ripartizione annuale del fondo per il finanziamento ordinario delle università (FFO), può prevedere specifici interventi per incentivare i suddetti trasferimenti nonché altre forme di mobilità interateneo, ivi incluso il trasferimento di un docente all’esito delle procedure di cui all’articolo 18. I trasferimenti di cui al presente comma sono computati nella quota di un quarto dei posti disponibili, di cui all’articolo 18, comma 4. Analoghi trasferimenti possono essere disposti in favore di università non statali legalmente riconosciute. Il Ministro provvede alle determinazioni conseguenti in relazione alla quota di finanziamento ordinario della università statale dalla quale è disposto il trasferimento.». 2. All’articolo 1, comma 9, della legge 4 novembre 2005, n. 230, alla fine, sono aggiunte le seguenti parole: «Nel caso di eventuali interventi di incentivazione delle chiamate di cui al presente comma da parte del Ministero, questi restano esclusi dai meccanismi di riduzione operanti in sede di ripartizione del fondo di finanziamento ordinario.».     ART. 3 (Disposizioni transitorie e finali)   1. Fino alla definizione dei requisiti dei cui all’articolo 16 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, come sostituito dall’articolo 1 della presente legge, continuano ad applicarsi le disposizioni vigenti prima della data di entrata in vigore della presente legge. 2. Alle procedure di cui agli articoli 18 e 24 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, già bandite alla data di entrata in vigore della presente legge, continuano ad applicarsi le disposizioni vigenti prima della data di entrata in vigore della presente legge. 3. Coloro che sono in possesso dell’abilitazione scientifica nazionale secondo quanto previsto dalle disposizioni vigenti prima della data di entrata in vigore della presente legge si ritengono comunque in possesso dei requisiti di produttività e qualificazione scientifica individuati ai sensi dell’articolo 16 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, come sostituito dall’articolo 1 della presente legge, per le funzioni ed il gruppo scientifico-disciplinare di riferimento fino al termine di validità dell’abilitazione medesima. 4. Coloro che hanno ricevuto una valutazione negativa nell’ambito della abilitazione scientifica nazionale non sono ammessi alla partecipazione alle procedure di cui agli articoli 18 e 24, commi 5 e 6, per lo stesso settore o gruppo scientifico-disciplinare corrispondente, e per la stessa fascia o per la fascia superiore, nel corso dei dodici mesi successivi alla data di presentazione della domanda. 5. Fino al termine di cui all’articolo 24, comma 6, della legge 30 dicembre 2010, n. 240, possono partecipare alle procedure ivi previste i soggetti in possesso dell’abilitazione scientifica nazionale, fermo restando quanto previsto al comma 3, nonché coloro che risultino in possesso dei requisiti di cui all’articolo 16 della citata legge n. 240 del 2010, come sostituito dall’articolo 1 della presente legge. 6. All’articolo 1, comma 9, della legge 4 novembre 2005, n. 230, le parole: «della commissione nominata per l’espletamento delle procedure di abilitazione scientifica nazionale, di cui all’articolo 16, comma 3, lettera f), della legge 30 dicembre 2010, n. 240, e successive modificazioni, per il settore per il quale è proposta la chiamata,» sono sostituite dalle seguenti «del Consiglio universitario nazionale,» e le parole: «della commissione di cui al terzo periodo» sono sostituite dalle seguenti: «di cui al terzo periodo».   ART. 4 (Clausola di invarianza finanziaria) 1. Dall’attuazione delle disposizioni della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le amministrazioni interessate provvedono all’attuazione degli adempimenti ivi previsti con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.