Corte Costituzionale, potere legislativo e ruolo del potere esecutivo
La Corte costituzionale ha ritenuto “sussistente” il “vulnus denunciato con
riguardo alla riserva assoluta di legge”, in quanto, la disposizione censurata
in tema di convalida del trattenimento nei CPR (Centri per i rimpatri) “reca una
normativa del tutto inidonea a definire, con sufficiente precisione, quali siano
i ‘modi’ della restrizione, ovvero quali siano i diritti delle persone
trattenute nel periodo, che potrebbe anche essere non breve, in cui sono private
della liberta’ personale, disciplina rimessa, quasi per intero, a norme
regolamentari e a provvedimenti amministrativi discrezionali”. Tuttavia, le
questioni sollevate dal Giudice di pace di Roma in riferimento agli articoli 13,
secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione sono state, dichiarate
“inammissibili”. Secondo la Corte: “non è ad essa consentito porre rimedio al
riscontrato difetto, ricadendo sul legislatore il dovere ineludibile di
introdurre una normativa compiuta, la quale assicuri il rispetto dei diritti
fondamentali e della dignità della persona trattenuta”.
L’affermazione del principio di diritto non sorprende in quanto si colloca su
una linea recessiva di continuità con la più recente giurisprudenza della Corte,
come si rileva ad esempio a proposito delle questioni sollevate dopo
l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio, e trova un precedente specifico
nella sentenza n. 22 del 2022 in relazione alla limitazione della libertà
personale nelle cd. REMS (Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza)
a proposito delle quali la Corte aveva già affermato “La necessità che una fonte
primaria disciplini organicamente una misura di sicurezza limitativa della
libertà personale è stata ritenuta da questa Corte rispondente a ineludibili
esigenze di tutela dei diritti fondamentali dei suoi destinatari. Così come la
legge deve farsi carico della necessità di disciplinare, in modo chiaro e
uniforme per l’intero territorio italiano, il ruolo e i poteri dell’autorità
giudiziaria rispetto al trattamento degli internati nelle REMS e ai loro
strumenti di tutela giurisdizionale nei confronti delle decisioni delle relative
amministrazioni.” Anche in quel caso la Corte aveva evitato di pronunciare la
natura incostituzionale della norma impugnata, ed aveva rinviato la questione ad
un intervento del legislatore.
L’ultima decisione della Corte costituzionale in materia di trattenimento
amministrativo è un capolavoro di ipocrisia proprio perché si trattava di
intervenire su una situazione tragica nella quale versano tutti i centri di
detenzione per stranieri in Italia, con suicidi, trattamenti medici forzati e
numerosi casi di abusi, già all’attenzione della magistratura. Il rinvio ad un
futuro intervento legislativo, del quale non si indicano contenuti vincolanti in
conseguenza dei principi di diritto enunciati, rischia di mantenere ancora per
anni la situazione attuale. Se pensiamo alla giurisprudenza più risalente della
Corte che pure adottava sentenze di abrogazione di norme incostituzionali, con
l’indicazione di una normativa di riferimento, ed alla qualità degli ultimi
interventi legislativi in materia di immigrazione, non si vede davvero come la
definizione delle modalità del trattenimento per legge, magari sul modello
penitenziario, che la Corte respinge, ma che il governo potrebbe fare passare in
Parlamento, possa garantire maggiormente il rispetto dei diritti fondamentali e
della dignità della persona trattenuta” che la Corte richiama assai
genericamente.
In ogni caso la sentenza non dichiara la illegittimità dei CPR, ma si limita ad
enunciare la necessità che il Parlamento intervenga, come del resto si era già
verificato con la sentenza n.105 del 2001, ed in quelle che in materia di
detenzione amministrativa degli stranieri sono seguite, con i risultati infausti
che sono sotto gli occhi di tutti. Invece si dovrà riconoscere, prima o poi,
che la detenzione amministrativa prevista dall’art.14 del Testo unico
immigrazione n.286/98, per stranieri irregolari che non hanno commesso reati e
adesso persino per richiedenti asilo, risulta in insanabile violazione degli
articoli 3, 13, 24 della Costituzione, proprio per il suo carattere
generalizzato, peraltro in contrasto con la Direttiva rimpatri 2008/115/CE.
Anche per questa ragione il richiamo al precedente delle REMS, che riguarda
comunque persone in esecuzione penale, non appare del tutto appropriato.
In realtà proprio esaminando nello specifico la normativa stabilita con le
Direttive europee in materia di trattenimento amministrativo degli stranieri
irregolari e dei richiedenti asilo, la Corte avrebbe potuto rinvenire una
disciplina che poteva sostituire immediatamente le parti abrogate dell’art.14
del Testo Unico sull’immigrazione, magari tenendo conto anche dei principi
enunciati dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo su caso Khlaifia, che pure
la Consulta cita, senza però trarre tutte le conseguenze che se ne potevano
desumere per i casi sempre più numerosi di detenzione senza titolo all’interno
dei CPR o delle strutture assimilate a disposizione delle forze di polizia.
Del resto non si può neppure rimanere troppo sorpresi per la decisione di
compromesso adottata dalla Corte per la rilevanza politica della questione della
legittimità costituzionale della discplina che riguarda il trattenimento
amministrativo nei CPR, e comunque non la stessa esistenza dei centri di
detenzione, peraltro previsti con precise garanzie dalla Direttiva
2008/115/CE tuttora vigente. La giurisdizione si inchina al potere legislativo,
certo un riconoscimento dovuto nell’attuale quadro costituzionale, ma di fatto
si piega all’esecutivo perché, a fronte dell’uso spregiudicato della
decretazione d’urgenza, e dei possibili futuri interventi legislativi, alla fine
sembra accettare nei fatti una ricostruzione capovolta del sistema gerarchico
delle fonti, in materia di limitazioni della libertà personale nei CPR. Ormai e’
certo che il governo adotterà un nuovo decreto legge da fare ratificare al
Parlamento, a colpi di voti di fiducia, ma questo non esclude affatto che possa
continuare a far prevalere atti di legislazione secondaria, atti regolamentari,
fino ai decreti questorili, sui principi affermati in materia di garanzie della
libertà personale dalla Costituzione, dalla Cedu e dalla Carta dei diritti
fondamentali Ue. Come è avvenuto fino ad oggi, e come continuerà a verificarsi
anche dopo questa decisione della Corte Costituzionale, almeno fino ad ulteriori
rinvii per incostituzionalità delle nuove norme che verranno introdotte, ed a
future possibili pronunce di incostituzionalità. Non è affatto escluso, infatti,
anzi, a fronte degli orientamenti già espressi dalla maggioranza di governo è
molto probabile, che le nuove “modalità di trattenimento amministrativo da
stabilire per legge”, richieste dalla Corte costituzionale, continuino a violare
le garanzie previste in materia di diritti fondamentali dalla Costituzione, e
dagli articoli 3, 5, 6 della Convenzione europea a salvaguardia dei diritti
dell’Uomo. E dunque nei procedimenti di convalida del trattenimento si
moltiplicheranno le eccezioni di incostituzionalità.
In caso di dichiarazione di parziale incostituzionalità della norma il
Parlamento poteva intervenire in tempi brevi e con un limite più rigido rispetto
ai principi enunciati dalla Corte Costituzionale, che con una sentenza
“additiva” poteva fissare paletti ben precisi al legislatore ed eliminare da
subito quella parte dell’art. 14 del Testo unico 286/98 che appare in contrasto
con i principi costituzionali. L’invito rivolto dalla Corte al legislatore è
dunque una scelta pilatesca che già prelude ad un ulteriore intervento
normativo adottato per decreto legge dal governo in violazione delle garanzie
costituzionali. La decisione della Consulta non dà comunque nessuna ulteriore
copertura al modello Albania ed ai centri di detenzione di Schengjin e di
Gjader. Anzi, alcune motivazioni addotte dalla Corte costituzionale in questa
occasione dovrebbero portare già adesso alla declaratoria di incostituzionalità
delle norme relative al trattenimento amministrativo ed ai “trasferimenti
discrezionali” dai CPR italiani in Albania contenute nella legge 21 febbraio
2024, n. 14 attuativa del Protocollo Italia-Albania, ulteriormente peggiorate
con il decreto legge n. 37/2025 .
La seconda questione di costituzionalità posta dal Giudice di pace di Roma,
relativa agli articoli 2, 3, 10, secondo comma, 24, 25, primo comma, 32 e 111,
primo comma, Cost., è stata dichiarata inammissibile “per incompleta
ricostruzione del quadro normativo, riguardo all’operatività, a tutela dei
diritti della persona trattenuta, oltre che dello strumento risarcitorio
generale di cui all’articolo 2043 del codice civile, altresì del rimedio di cui
all’articolo 700 del codice di procedura civile. Il ricorso alla tutela
preventiva cautelare assicurata dall’articolo 700 del codice di procedura civile
ben può, infatti, giustificarsi contro le violazioni o le limitazioni dei
diritti fondamentali, subite da chi sia trattenuto presso un CPR, non oggetto di
puntuale disciplina da parte del testo unico dell’immigrazione”. Ma non si
esclude che questi rimedi possano comunque essere azionati su vasta scala. La
Corte sembra dimenticare che già nel caso del processo civile seguito al rogo
del centro di detenzione Vulpitta di Trapani, risalente al 1999, lo Stato venne
condannato nel 2008 sulla base dell’art.2043 del codice civile al pagamento di
ingenti somme in favore di due degli immigrati sopravvissuti che lamentavano
danni morali e patrimoniali in conseguenza delle carenze organizzative e per
omessa vigilanza. Da parte del giudice di pace di Roma, in sede di convalida del
trattenimento, non si vede davvero quale diversa prospettazione della ricorrenza
di azioni risarcitorie in sede civile si sarebbe potuto fornire. In ordine poi
alla tutela preventiva cautelare prevista dall’art.700 del codice di procedura
civile, anche questa già sperimentata in passato proprio da persone trattenute
all’interno di un CPR, anche in casi di rifiuto della questura a ricevere una
domanda di protezione, questa ha un carattere atipico che non si presta ad una
specifica ulteriore regolamentazione “per legge”, che nella prospettiva attuale
non potrebbe che ridurne la portata applicativa.
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Fulvio Vassallo Paleologo