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La narrativa cristiana della lotta non violenta contro le strutture di violenza (o di peccato)
Gandhi ha esteso l’antico insegnamento dello Jainismo (ahimsa) ad una capacità di lottare non violentemente contro ogni struttura negativa della società. Per ispirarsi alla tradizione millenaria dei testi sacri indù la sua lotta non violenta egli ha dato una nuova interpretazione alla Bagavad Gita: ha ribaltato il senso della guerra affrontata da Arjuna in una lotta non violenta con se stesso e con gli altri (Gandhi, Gandhi commenta la Bagavad Gita, Ed. Mediterranee, Roma, 2012).   A noi non violenti interessa sapere se ci sono altre tradizioni religiose che con particolari insegnamenti religiosi abbiano anticipato il senso spirituale della lotta non violenta. Per i cristiani, qual è la maniera di affrontare i conflitti senza “reagire al male senza fare il male” (Mt 5, 39; Rm 12, 17)?  Una risposta viene da una corretta interpretazione delle Beatitudini (Mt 5). Su di esse Lanza del Vasto (LdV) ha avuto un suggerimento fondamentale: le Beatitudini debbono essere lette in sequenza, una dopo l’altra (L’arca aveva una vigna per vela, Jaca book, Milano, pp. 242-243). Così esse esprimono un crescendo, dalla reazione intima o personale (vivere la povertà, piangere, restare miti, avere sete di giustizia) alla azione nella società (avere misericordia, darsi un impegno sociale, fare la pace, lottare per la giustizia sociale). Anche la ricompensa a questi impegni di lotta cresce in parallelo: da quelli di consolazione solo intima o personale (sentirsi in cielo, essere consolati, ricevere la propria terra, avere una soddisfazione di giustizia), al crescere spiritualmente nei rapporti sociali (ricevere misericordia, vedere Dio nelle persone, essere chiamati figli di Dio, realizzare qui la vita Trinitaria).  (Si noti però che questa sequenza è chiara se 1) si scambia l’ordine della seconda con la terza; 2) si rimedia alla mancanza di alcune parole nella sesta Beatitudine: “Beati coloro che hanno il cuore puro [invece: … che si impegnano nella vita sociale purificando il cuore] perché vedranno Dio [nelle persone]”e 3) si migliora l’ultima Beatitudine: “Beati coloro che combattono l’ingiustizia fino al sacrificio personale, perché con essi si rappresenta la vita della Trinità sulla Terra”).  Queste “reazioni al male senza ricorrere al male” sono ricompensate dallo Spirito Santo in quanto Lui fa leva sulla reazione umana per invertire i mali in beni trascendenti, cioè in quello che le corrispondenti Beatitudini promettono.   Un altro suggerimento fondamentale di LdV è che quando nella società il male diventa strutturale, si concretizza in uno tra quattro flagelli, tutti “fatti da mano d’uomo”: Miseria, Sedizione, Guerra e Servitù (Lanza del Vasto, Les quatre Fléaux, Denoël, Parigi, 1959; SEI, Torino, 1996, cap. 1, par. 1). Allora l’inizio di ogni beatitudine indica una sofferta reazione non tanto ad un male generico, ma soprattutto al male diventato strutturale, ad uno di questi quattro flagelli. Allora scopriamo che il testo delle beatitudini deve essere completato con una parte rimasta implicita: ognuna di esse deve dichiarare all’inizio a quale flagello si sta reagendo. Per questo occorre premettere ad ogni beatitudine, ad es. la prima: “Contro la Miseria, beati…” Ma i flagelli sono quattro e le Beatitudini sono otto. In effetti le Beatitudini sono le reazioni ai flagelli elencati due volte; le prime quattro indicano la politica delle reazioni personali, le seconde quattro la politica di intervento nella società. Pertanto, le Beatitudini nel complesso sono una precisa politica di azione non violenta contro tutti i principali casi del male strutturato nella società. Tutto quanto sopra era incomprensibile prima del XX secolo, quando è stata scoperta la non violenza e a sua prova Gandhi ha realizzato “tre miracoli storici (politici): una liberazione nazionale senza spargimento di sangue, una rivoluzione sociale senza rivolta, l’arresto di una guerra” (ibidem, cap. v, §§. 34, 46); ai quali  oggi si può aggiungere il miracolo storico delle rivoluzioni non violente delle popolazioni dell’Europa orientale negli anni 1989 e seguenti; le quali ci hanno liberato dall’antagonismo sordo dei Due Blocchi e dalla loro Guerra Fredda che minacciava una guerra di sterminio colossale.   Da tutto ciò ricaviamo un nuovo testo delle beatitudini che è pienamente significativo e aderente alla vita di oggi.  Nuovo Testo delle Beatitudini Contro la Miseria, beati quelli che sono poveri in virtù dello Spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Contro la Sedizione, beati quelli che piangono, perché saranno consolati. Contro la Guerra, beati quelli che sono miti, perché possederanno la terra.  Contro la  Servitù, beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati.  Contro la Miseria, beati quelli che si piegano alla misericordia, perché riceveranno misericordia. Contro la Sedizione, beati quelli che si impegnano nel sociale con cuore puro, perché vedranno Dio nelle persone. Contro la Guerra, beati quelli che fanno la pace nel prossimo, perché saranno chiamati figli di Dio. Contro la Miseria, beati quelli che lottano per la giustizia sociale fino al sacrificio personale, perché con essi si rappresenta la vita trinitaria di Dio sulla terra.   Ma in che cosa consiste la vita interiore di chi lotta non violentemente, così come è indicata da ogni Beatitudine? L’ha rappresentata in pittura e scultura una lunga tradizione popolare, che è nata nel basso medioevo (a mia conoscenza, la sua prima immagine è una scultura nella cattedrale di Compostela in cima alla colonna centrale del portico del paradiso (1211); la più famosa è quella della Trinità di Masaccio in S. Maria Novella a Firenze del 1427). E’ stata una lotta non violenta quella con cui il Figlio ha risolto il conflitto del peccato originale dell’umanità con Dio (cioè la massima violenza strutturale); questa sua lotta ha comportato la sua incarnazione, la sua lotta (contro sia il potere religioso dell’Ebraismo di allora, autoritario e formalista, che quello della dominazione politica dell’Impero Romano), la sua crocifissione e la sua resurrezione. L’immagine suddetta dice che tutto l’evento è stato sostenuto dalla volontà del Padre (che sostiene la croce) ed è stato assistito dallo Spirito Santo (che aveva progettato il tutto). In sintesi, questa immagine dice che il conflitto degli uomini con Dio è stato risolto dal Figlio, che, come esperienza compiuta, l’ha fatto entrare dentro la vita di Dio stesso.  Notiamo che la risoluzione del conflitto passa sì per la morte in croce, ma è data infine dalla risurrezione; senza di essa la fede cristiana è stolta. Il fatto che lui dopo la morte è risorto è la promessa dello Spirito Santo: chiunque combatte così come fece Gesù contro i peccati (o violenze) strutturali in modo non violento, vincerà sulla Terra o in Cielo. Quindi il Dio cristiano si pone come il Dio che essenzialmente fa la pace nei conflitti. E’ in questo senso preciso che il Dio cristiano è amore, non lo è in senso generico. Ma dovendo combattere strutture anche schiaccianti con la non violenza, cioè solamente con la forza dello spirito, dove si può trovare la forza spirituale per fare il Davide davanti al Golia di una struttura di violenza che nella società magari si impone come assoluta? La risposta del cristianesimo è: la comunione. Ma che cosa è in fondo la comunione? Per la Chiesa cattolica è dogma che con essa avviene una comunione dell’uomo con Gesù. La tradizione teologica dice che ciò avverrebbe in quanto c’è una “transustanziazione” (cioè con la trasformazione del pane e vino in Gesù). Questa parola indica una trasformazione materiale di oggetti materiali (pane e vino), la quale avverrebbe al di fuori di ogni relazione sociale. Però essa non è stata finora spiegata da alcuna dottrina filosofica o metafisica.  Ma ai non violenti non può interessare granché che cosa fanno nella comunione le sostanze materiali (pane e vino), se esse subiscano o no un processo di tramutazione alchemica o nucleare; Noi non violenti abbiamo una altra interpretazione da suggerire: a noi interessa che le persone che si impegnano con tutta la loro interiorità in una lotta non violenta potenzialmente schiacciante, si trasformino, per opera di Dio, nel massimo delle loro capacità spirituali; cioè si identifichino il più possibile con il Cristo per diventare sin nel profondo cristiani, cioè veri seguaci di Cristo. La comunione è il massimo aiuto che il Figlio di Dio poteva dare ad un cristiano che lotta non violentemente, anche al rischio della morte, contro un peccato strutturale: unirsi con lui mediante una compartecipazione di cose elementari concrete, pane e vino, in modo da agire assieme.  In passato alcuni nonviolenti hanno scoperto dalle idee che caratterizzano in maniera approssimata la trasformazione nonviolenta che si deve compiere dentro un conflitto: (a parte l’Aufhebung nella fuorviante, perché metafisica, dialettica di Hegel) l’”osare la pace” del pastore Dietrich Bonhoeffer; il saper “portare una libera aggiunta” di Aldo Capitini; il cercare il punto di conciliazione di due linee apparentemente parallele anche se esso è posto all’infinito (Lanza del Vasto), il “trascendere” di Johan Galtung. E’ anche interessante quanto diceva in proposito un grande riformatore del Cristianesimo: Martin Lutero (sermone del 1520, anno della sua scomunica):  … vi è un largo uso di questo sacramento, senza alcuna intelligenza del suo significato, né alcun esercizio in esso… Molte persone [che prendono la comunione, poi di fatto] non vogliono essere solidali, non vogliono aiutare i poveri, sopportare i peccati, aver cura dei miserabili, soffrire con i sofferenti, pregare per gli altri, e neppure vogliono difendere la verità e promuovere il miglioramento della Chiesa… Non sanno far altro, con questo sacramento, che temere e onorare, con le loro orazioncelle e le loro devozioni, il Cristo presente nel pane e nel vino… Gesù ha preferito queste forme del pane e del vino per esprimere più ampiamente [possibile] l’unità e la comunione che si compiono in questo sacramento; perché non v’è unione più intima, profonda e indivisa che l’unione del cibo con colui che ne viene nutrito, in quanto il cibo penetra e si trasforma nella natura stessa e diventa un essere solo con chi se ne ciba. Altri modi di unire, come con chiodi, colla, corda o altre cose simili, non fanno una unità indivisibile.  Alcuni esercitano la loro arte e le loro sottigliezze per cercare dove rimane il pane quando è trasformato nella carne di Cristo e il vino nel suo sangue, e anche come in una così piccola particella di pane e di vino possa essere contenuto tutto il Cristo, la sua carne e il suo sangue. Ma non importa nulla che tu non lo veda. Basta che tu sappia che è un segno divino, in cui la carne e il sangue di Cristo sono veramente contenuti; il come e il dove rimettilo a Lui… Allo stesso modo anche noi, nel sacramento, veniamo uniti con Cristo e incorporati con i suoi santi a tal punto che egli assume le nostre parti, [cosicché] egli fa o non fa per noi, come se egli fosse quello che siamo; e che quello che ci accade, [accada] anche a lui e più che a noi; affinché anche noi possiamo assumere le sue parti, come se fossimo quello che egli è… Così profonda e totale è la comunione di Cristo e di tutti santi con noi… Ma attenzione! Con questo aiuto formidabile, il massimo che un Dio può dare, un cristiano dovrebbe essere il primo a buttarsi nella lotta non violenta contro i flagelli che colpiscono una popolazione! Se non lo fa, resta “un pagano battezzato a metà…; o segue il suo battesimo o diventa doppiamente colpevole.” (ibidem, cap. V, par. 24 ) Antonino Drago
Appello di Suor Giovanna per Gaza
Riprendiamo l’appello lanciato un mese fa, ma purtroppo ancora attualissimo, dalla comunità della Piccola Famiglia dell’Annunziata di Ma’in, vicino al confine con la Cisgiordania. Appello al cuore di tutti i fratelli e le sorelle Perdonatemi se vi scrivo ancora — è la terza volta. Ma lo faccio con il cuore sempre più pesante. Le notizie che arrivano sono ogni giorno più dolorose, più atroci. Ieri sera Netanyahu ha approvato un nuovo attacco su Gaza, per “distruggere tutto”. Io non ce la faccio più a restare ferma. La mia coscienza mi tormenta, perché questo restare inerti — questo non fare nulla — ci rende complici. Complici di un genocidio. Mi è stato detto più volte: “Tanto non serve a nulla”. Ma questa frase è intrisa di una rassegnazione che non possiamo più permetterci. È un grido disperato che paralizza ogni possibilità di agire. E invece dobbiamo credere che ogni gesto di verità, ogni preghiera pubblica, ogni appello sincero possano rompere l’assuefazione, risvegliare le coscienze — e forse anche spingere chi ha potere a muoversi. Non possiamo cedere alla logica dell’impotenza. Non possiamo tacere. Mi addolora profondamente vedere una Chiesa quasi silente. Non mi do pace al pensiero che da parte delle comunità religiose non sia nata alcuna iniziativa concreta. Forse perché ci siamo abituati a pensare che la testimonianza debba essere “interiore”, “silenziosa”,  “nascosta”. Ma oggi, davanti a una tragedia di queste proporzioni, non c’è nulla di più scandaloso del silenzio religioso. Forse si teme di “esporsi troppo”, di “entrare nel politico”, di “rompere gli equilibri”… ma non può esserci neutralità davanti a un genocidio. O si è complici, o si sceglie la verità. E oggi, la verità urla dalle macerie di Gaza. Decine di migliaia di morti, bambini mutilati nel corpo e nell’anima, ospedali distrutti, famiglie cancellate. Tutto questo accade nel silenzio — o nella complicità — di molti poteri, anche religiosi. Non basta più dirsi “in preghiera”. Non basta condannare “la violenza in generale”. Dove siamo noi, mentre un popolo viene annientato? Dove sono le nostre comunità, le nostre diocesi? Dove sono le parole profetiche? Dove sono i gesti concreti? La Chiesa non è una un’organizzazione fra le altre, né un’istituzione neutrale: è il Corpo di  Cristo. E allora, forse è arrivato il momento di mettere il nostro corpo accanto a quello crocifisso dell’umanità. Non possiamo restare lontani dal pianto degli innocenti. Vi supplico ancora di prendere contatto con le comunità sorelle, con altre comunità religiose, E ancora vi ripropongo quello che da mesi mi sembra l’unico gesto possibile: radunare un centinaio tra religiose e religiosi e andare a Roma, davanti al Quirinale, a pregare giorno e notte, a leggere i Salmi e il Vangelo. A chiedere con la forza mite della preghiera che il governo italiano interrompa ogni vendita di armi a Israele, che si rompano i legami economici con chi porta avanti un’opera di annientamento. E poi, andiamo anche in piazza San Pietro, con cartelli semplici, diretti, che chiedano al Papa di muoversi, di andare a Gaza, di condannare pubblicamente Israele, di lanciare appelli incessanti perché i Paesi occidentali si mobilitino per fermare il genocidio. Stiamo lì, giorno e notte, a leggere i salmi e il Vangelo. Se la nostra arma è la preghiera, allora è il momento di usarla in modo visibile. Se qualcuno avesse un’idea migliore ben venga, ma non possiamo rimanere tranquilli nei nostri conventi. Forse anch’io mi sento stanca, scoraggiata, delusa, ma la mia coscienza non mi lascia in pace. E un giorno i nostri figli — o i bambini sopravvissuti di Gaza — ci chiederanno: «E tu, dov’eri?» Vi prego: fate girare questa lettera a tutti i fratelli e le sorelle e anche alle comunità sorelle. Pregate per me. Redazione Italia
Italia, Valdesi e metodisti: Sì allo Stato di Palestina, no all’apartheid, no ai suprematismi
(gc/ve) Un appello al governo italiano per riconoscere lo Stato di Palestina, interrompere la fornitura di armi e ogni sostegno alla politica genocidaria del governo israeliano di Netanyahu, ma anche la condanna di ogni forma di ideologia suprematista, delle violenze di Hamas e delle politiche israeliane che hanno portato all’apartheid e alla devastazione di Gaza, nonché il rifiuto del cosiddetto “sionismo cristiano” e di ogni uso distorto dei testi biblici per giustificare l’occupazione e la violenza: è quanto il Sinodo delle chiese metodiste e valdesi, che si conclude oggi a Torre Pellice, in Piemonte, ha votato in questi giorni nel corso dei lavori assembleari. Si tratta di due atti che ribadiscono l’impegno delle chiese per la pace e la giustizia in Medio Oriente. Riconoscendo il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese, il Sinodo ha chiesto con urgenza “la cessazione del fuoco, la fine dell’occupazione e la liberazione di tutti gli ostaggi israeliani e dei palestinesi detenuti senza processo nelle carceri israeliane. Esprime vicinanza alle comunità cristiane di Palestina e sostiene i costruttori di pace e i dissidenti che scelgono la via della nonviolenza. Tutto ciò, in linea con le posizioni espresse anche dal Consiglio ecumenico delle chiese (CEC) e della Comunione mondiale di chiese riformate (CMCR)”, si legge nel comunicato stampa dell’agenzia stampa nev-notizie evangeliche. Una decisione che nasce anche dal percorso di amicizia ebraico-cristiana e islamo-cristiana: il dialogo, il rispetto e la ricerca di ponti sono parte dell’identità della piccola minoranza protestante italiana. “Ci sono voci ebraiche critiche e coraggiose con cui possiamo avviare dialoghi profondi – ha dichiarato la teologa Letizia Tomassone nel corso di una conferenza stampa svoltasi ieri presso la “Casa Valdese” di Torre Pellice -. Il nostro atto riconosce inoltre la responsabilità storica dell’antigiudaismo cristiano: partiamo da una confessione di peccato, che ci pone davanti al mondo ebraico con umiltà e capacità di ascolto. Al tempo stesso non possiamo tacere di fronte all’orrore di ciò che accade a Gaza”. Per ulteriori approfondimenti rimandiamo al sito dell’agenzia nev-notizie evangeliche. Redazione Italia
L’appello della Conferenza di Chiese Europee e del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa per il Tempo del Creato
La Kek, Conferenza di Chiese europee, e il Ccee, Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa  hanno lanciato un appello per la “Pace con il Creato” mentre i cristiani di tutto il mondo si preparano a osservare il Tempo del Creato, che si terrà dal 1° settembre al 4 ottobre. La dichiarazione congiunta è firmata dall’Arcivescovo Nikitas di Thyatira e Gran Bretagna, Presidente della Kek, e dall’Arcivescovo Gintaras Grušas, Presidente del Ccee. Ecco il testo: Sin dall’inizio della sua missione, il profeta Isaia si rese conto del desiderio di Dio di inviare un messaggero al Suo popolo. Nonostante il suo senso di inadeguatezza, si impegnò a dare voce umana al disegno di Dio. Predicando a un popolo che viveva in una situazione disastrosa e fatiscente, sperimentò aspre resistenze e opposizioni; tuttavia, questa esperienza lo portò a una ferma determinazione per tutta la vita: era consapevole della frenetica esigenza di richiamare il suo popolo dall’orlo del pericolo e del declino. Nelle sue profezie, Isaia paragonava Dio a un agricoltore attento e diligente che, a volte adirato per i frutti selvatici dell’ingiustizia e della violenza che venivano prodotti, minacciava di togliere la sua cura e protezione. Ma, rafforzato dall’incontro con la santità di Dio, Isaia offrì anche un’alternativa alla catastrofe: la sopravvivenza dipendeva dal ritorno a uno stile di vita che riflettesse fiducia e devozione verso Dio. Questo è un impegno quotidiano che richiede una vita sobria e il rispetto di tutto ciò che viene offerto come dono del creato, senza alcuna forma di sfruttamento ingiusto delle persone o delle risorse naturali. Questo è per Isaia l’unico modo per vivere in pace e prosperare, ed è ciò che noi chiamiamo “pace con il creato”. In questa esperienza spirituale rivelatrice, abbiamo trovato l’ispirazione per la celebrazione ecumenica del Tempo del Creato di quest’anno, intorno al tema della «Pace con il creato», con il simbolo del “Giardino della Pace”, ispirato da Isaia 32, 14-18. Come Chiese Cristiane, questo è per noi un tempo di preghiera e di sincera conversione, che dà voce alla nostra professione di fede nel Dio che «ha creato il cielo e la terra», come ogni comunità cristiana proclama da secoli con le parole formulate dal Concilio di Nicea, di cui quest’anno celebriamo il 1700° anniversario. Mentre proclamiamo la nostra fede in Dio creatore, preghiamo anche per i nostri fratelli e sorelle che sono vittime di diverse forme di ingiustizia ambientale e umana. Al giorno d’oggi, il nostro mondo difficilmente può essere considerato un giardino di pace. Al contrario, la distruzione umana e la morte causate dalle guerre e dai disordini sociali in diversi Paesi e popoli influenzano le nostre esperienze quotidiane. Tuttavia, come il profeta Isaia, crediamo fermamente di essere chiamati a cercare la pace con il creato e che ognuno di noi sia chiamato a onorare i tratti distintivi del «datore di vita». Abbiamo plasmato questo impegno spirituale anche in ogni pagina della «Charta Oecumenica» riveduta, che sarà firmata entro la fine di quest’anno. Per oltre vent’anni questo accordo congiunto tra le Chiese cristiane in Europa ha ispirato le nostre riflessioni teologiche e il nostro lavoro pastorale. Ci auguriamo che la versione riveduta continui a dare forma al nostro ascolto della preghiera di Cristo, «perché tutti siano una sola cosa» (Gv 17, 21). Mentre si impegnano per la tutela del nostro clima, pregheremo per tutti i leader e i partecipanti alla 30° Conferenza dei Partner sui cambiamenti climatici (COP30), organizzata dalle Nazioni Unite a Belém (Brasile), dal 10 al 21 novembre. Crediamo che l’attuale crisi climatica rappresenti un’opportunità per riconfigurare le relazioni internazionali verso il bene comune e per creare uno stile di vita più equo e sostenibile per l’intera umanità. Auspichiamo inoltre che l’impatto delle politiche sui cambiamenti climatici sui poveri e sui vulnerabili rimanga ben presente nelle menti e nei cuori dei leader e degli esperti riuniti alla conferenza, considerando le sfide sociali e ambientali interconnesse del nostro tempo. Il Tempo del Creato ci chiama ad essere fedeli custodi di ciò che Dio ha creato e ci ha affidato, nelle nostre scelte quotidiane e nelle politiche pubbliche, affinché la nostra preghiera e il nostro stile di vita possano fare eco a ciò che crediamo e confessiamo: «I cieli narrano la gloria di Dio; l’opera delle sue mani annuncia il firmamento» (Sal 19, 2). Redazione Italia
Come cambia il panorama religioso globale
Secondo un’analisi condotta tra il 2010 e il 2020 dal Pew Research Center, un centro di informazione imparziale che conduce sondaggi di opinione, ricerche demografiche, analisi dei contenuti e altre ricerche di scienze sociali (https://www.pewresearch.org/), i cristiani sono rimasti il gruppo religioso più numeroso al mondo, aumentando di 122 milioni e raggiungendo i 2,3 miliardi. Anche se, in percentuale rispetto alla popolazione mondiale, i cristiani sono scesi di 1,8 punti percentuali, attestandosi al 28,8%. I musulmani sono quelli che hanno avuto invece la crescita più rapida nel corso del decennio, aumentando di 347 milioni. I buddisti sono stati l’unico grande gruppo religioso ad avere meno fedeli nel 2020 rispetto a un decennio prima, diminuendo di 19 milioni e scendendo a 324 milioni. Il numero degli indù è aumentato di 126 milioni, raggiungendo 1,2 miliardi. Quanto agli ebrei, il loro numero nel mondo è cresciuto di quasi 1 milione, raggiungendo i 14,8 milioni. Tutte le altre religioni (inclusi Bahá’í, Taoisti, Giainisti, Sikh, seguaci di religioni popolari e numerosi altri gruppi) sono rimaste stabili. Anche le persone senza alcuna affiliazione religiosa sono aumentate di 270 milioni, raggiungendo 1,9 miliardi. Nel complesso, nel 2020 il 75,8% della popolazione mondiale si identificava con una religione, mentre il 24,2% non si identificava con alcuna religione, rendendo le persone senza affiliazione religiosa il terzo gruppo più numeroso, dopo cristiani e musulmani. Anche se in questo periodo la quota della popolazione mondiale che ha una qualche affiliazione religiosa è diminuita di quasi 1 punto percentuale (dal 76,7%), mentre la quota senza affiliazione è aumentata della stessa quantità (dal 23,3%). L’Africa subsahariana ospita il maggior numero di cristiani, superando l’Europa: nel 2020, il 30,7% dei cristiani del mondo viveva nell’Africa subsahariana, rispetto al 22,3% che viveva in Europa. Questo cambiamento è stato alimentato dalle differenze nei tassi di crescita naturale delle due regioni (con tassi di fertilità molto più elevati in Africa che in Europa), nonché dalla diffusa disaffiliazione cristiana nell’Europa occidentale. Nel 2020, i cristiani erano la maggioranza in 120 paesi e territori, in calo rispetto ai 124 di un decennio prima. I cristiani sono scesi sotto il 50% della popolazione nel Regno Unito (49%), in Australia (47%), in Francia (46%) e in Uruguay (44%). In ognuno di questi luoghi, le persone senza affiliazione religiosa rappresentano ora il 40% o più della popolazione, mentre gruppi religiosi più piccoli come musulmani, indù, buddisti, ebrei o seguaci di altre religioni (insieme) rappresentano l’11% o meno. Anche la concentrazione regionale degli ebrei è cambiata: nel 2020, il 45,9% degli ebrei viveva nella regione del Medio Oriente e del Nord Africa, mentre il 41,2% risiedeva in Nord America, mentre nel 2010 il Nord America era la regione in cui viveva il maggior numero di ebrei. Questo cambiamento è stato principalmente dovuto alla crescita della popolazione ebraica di Israele da 5,8 milioni a 6,8 milioni tra il 2010 e il 2020, attraverso una combinazione di crescita naturale e migrazione. Lo studio si occupa anche del “cambio di religione”, sottolineando come sia un fenomeno diffuso. I cristiani hanno subito le perdite nette maggiori a causa del passaggio di religione (3,1 se ne sono andati per ogni 1,0 che si è iscritto). La maggior parte degli ex cristiani non si identifica più con alcuna religione, ma alcuni ora si identificano con una religione diversa. Anche tra i buddisti il numero di coloro che hanno abbandonato la religione è stato maggiore di coloro che ne hanno aderito (1,8 hanno abbandonato la religione, 1,0 si sono uniti). Stesso discorso per gli indù che hanno avuto più persone che hanno abbandonato la religione rispetto a quelle che vi hanno aderito, mentre vale il contrario per i musulmani. Tuttavia, il passaggio di religione è relativamente raro e, quindi, le modeste differenze nel rapporto tra coloro che abbandonano la religione e coloro che vi aderiscono hanno un impatto complessivo limitato sulle dimensioni delle popolazioni indù e musulmane . I cristiani rappresentano il gruppo più diffuso geograficamente: la quota maggiore di cristiani vive nell’Africa subsahariana (31%), seguita dalla regione dell’America Latina e dei Caraibi (24%) e dall’Europa (22%). Si tratta di un cambiamento geografico significativo rispetto ai primi anni del 1900, quando i cristiani nell’Africa subsahariana rappresentavano l’1% della popolazione cristiana mondiale e due terzi dei cristiani vivevano in Europa. Qui per approfondire la ricerca: https://www.pewresearch.org/religion/2025/06/09/how-the-global-religious-landscape-changed-from-2010-to-2020/. Giovanni Caprio
Gaza, il coraggio di una minoranza dà lezioni al mondo
Il conflitto asimmetrico che vede oggi l’invasione di terra di Gaza da parte delle forze armate israeliane, ormai palesemente volto alla pulizia etnica definita senza mezzi termini dal Segretario di Stato vaticano Parolin “una guerra senza limiti”, ci regala un esempio eccezionale e che assume un significato globale: la scelta dei cristiani della Striscia di Gaza di non abbandonare il territorio. Si tratta di una comunità drammaticamente ridotta rispetto al secolo scorso, quando nel 1948 contava circa 35.000 fedeli. Nonostante la marginalità numerica, pari allo 0,05% di oltre 2,3 milioni di abitanti, la loro presenza, legata ad attori meno marginali come il Vaticano o la Chiesa ortodossa, ha assunto una dimensione politica che certamente mette in ambasce Israele e più ancora i suoi alleati, non ultima la cattolica Italia. Le scuole cattoliche e ortodosse hanno offerto rifugio a migliaia di sfollati musulmani durante i bombardamenti del 2023–2024. La Chiesa di San Porfirio, tra le più antiche della città, è stata trasformata in rifugio comune per centinaia di persone e la condivisione di aiuti medici e alimentari ha dato supporto a tutta la comunità, cristiana o musulmana che fosse. In termini simbolici, ciò significa che una comunità apparentemente irrisoria è diventata una spina nel fianco per Israele: da piccola “debole” minoranza si è fatta moltiplicatore di protezione e solidarietà. Da quando l’aggressività colonica di Israele si è intensificata negli ultimi anni, i patriarchi delle tre principali Chiese cristiane di Gerusalemme – latino, greco-ortodosso e armeno – hanno pubblicato dichiarazioni congiunte per denunciare l’occupazione, difendere i luoghi santi e chiedere corridoi umanitari. Non è solo ecumenismo religioso, ma una scelta politica: di fronte a un conflitto che produce divisioni, comunità cristiane di tradizioni diverse hanno trovato un linguaggio comune. A Gaza ormai questa unità è diventata vita quotidiana: aprire spazi, condividere risorse, proteggere civili. È qui che il locale diventa globale: una metafora di un’altra via percorribile, dove le diversità possano cooperare anche in condizioni estreme. La stessa logica si riflette nell’approccio vaticano alla Cina. Con l’accordo provvisorio del 2018 sulla nomina dei vescovi, più volte rinnovato, la Santa Sede ha scelto di non interrompere il dialogo con Pechino, mantenendo un canale aperto. Non è il numero dei fedeli a contare, ma la scelta di restare come a testimoniare contro le logiche di blocco. Il Vaticano quindi si oppone de facto alla politica dei blocchi e all’uso strumentale della religione, particolarmente evidente nei discorsi del governo israeliano. In questo quadro va letto anche lo scisma delle Chiese ortodosse in Ucraina che trascina le chiese in guerra, con implicazioni dirette nel conflitto. In America Latina, la crescita delle chiese evangeliche, sostenute da reti nordamericane legate al conservatorismo trumpiano e alla galassia MAGA, ha modificato gli equilibri politici tradizionali, rafforzando in diversi Paesi il peso dei blocchi conservatori. Questo stesso circuito alimenta il legame con il governo israeliano, con il quale condivide le politiche liberticide e aggressive, e dove la religione viene usata come arma estrema, pilastro ideologico di politiche disumanizzanti che lasciano un retrogusto amaro, nero, fascista. Parallelamente, gli attori come Falun Gong e il suo braccio mediatico, l’Epoch Times, storici sostenitori del trumpismo, spostano il discorso sul fronte cinese, dipingendo Pechino come nemico assoluto. Così il cerchio si chiude: religione, geopolitica e informazione diventano un’unica trama di polarizzazione globale. È esattamente contro questa logica che il Vaticano sembra muoversi in direzione ostinata e contraria: diplomazia di pace, presenza silenziosa ma costante, resistenza all’uso strumentale della fede. In questo forse ci sarà un calcolo politico che riporti la fede cattolica al centro della scena, ma finché torna al centro della politica come elemento di unione in un mondo che sembra vivere solo di divisioni, anche da non praticanti, non possiamo che felicitarci di un attore di tale portata che muove in questa direzione. A Gaza quindi si sta scrivendo un capitolo importante della storia: i cristiani restano, i gazawi resistono, l’una si nutre dell’altra. Restare significa non farsi cancellare, resistere significa opporsi: due sfumature di un’etimologia comune, entrambe legate allo stesso etimo del verbo stare. Restare è la fermezza di chi rimane radicato, resistere è la forza di chi si oppone. Quando questa radice etimologica dello stare incontra la radice cum-, nascono le altre parole del vocabolario necessario: compatire, patire insieme, comprendere e comunità. La comunità sono palestinesi, cristiane e musulmane. Restano e resistono, e insieme sono già una comunità di destino. Una lezione grandissima – per l’Europa e per il mondo intero.   Redazione Italia
Se gli umani fossero così malvagi come ci viene detto, saremmo già estinti
Sapevate che gli omicidi, gli stupri e il caos violento a New Orleans durante l’uragano Katrina non si sono realmente verificati e che lo schema costante durante i grandi disastri è che le persone facevano di tutto per aiutarsi a vicenda? Sapevate che i media riportavano falsamente omicidi e caos e che le autorità, immaginando che la maggior parte delle persone fosse come loro,  inviavano truppe armate per creare un secondo disastro? Sapevate che il Signore delle Mosche è una storia inventata da un nazista disturbato e raffigura l’opposto di vari casi del mondo reale in cui i bambini si sono trattati l’un l’altro con grande gentilezza? Sapevate che l’esperimento carcerario di Stanford era una frode completa che aveva avuto origine da un test delle reazioni degli studenti prigionieri alle azioni sadiche delle guardie che erano state pilotate, e che la cosa è stata successivamente falsamente riportata come una prova degli studenti guardia che sono stati raffigurati come impegnati in crudeltà spontanee quando erano lasciati a se stessi? Sapevate che il precedente Esperimento di Robbers Cave era altrettanto fraudolento e seguiva un tentativo ancora precedente in cui i soggetti erano stati insufficientemente manipolati e avevano insistito per essere gentili l’uno con l’altro? Sapevate che anche l’esperimento di Milgram non ha mostrato nulla di simile a quanto affermato, che solo il 56% credeva che gli shock fossero reali, che la maggior parte di loro hanno smesso e si sono rifiutati di somministrare gli shock, che coloro che hanno creduto di somministrare shock e hanno continuato a farlo hanno detto che lo stavano facendo per aiutare la scienza e, si spera, per curare le malattie, che solo queste persuasioni hanno funzionato su di loro, mentre ordinare alle persone di somministrare gli shock ha provocato una disobbedienza universale? Sapevate che la popolazione dell’Isola di Pasqua non ha eccessivamente sfruttato il suo habitat, non diventava violenta, non si uccideva o si mangiava l’un l’altro, che in realtà erano in buona forma quando arrivarono gli europei ma non sopravvissero all’essere messi in schiavitù e all’arrivo di nuove malattie? Sapevate che la grande saggezza della “Tragedia dei beni comuni” è una bugia, che è falso il fatto che 38 persone avevano assistito all’omicidio di Kitty Genovese stando a guardare e non facendo nulla per aiutarla? Sapevate che la strategia delle finestre rotte non funziona ed è stata diffusa dallo stesso truffatore dietro la farsa della prigione di Stanford? Sapevate che — insieme a quasi tutto il resto del libro — The Better Angels of Our Nature (in italiano, “Il declino della violenza”) di Steven Pinker ha completamente travisato il carattere omicida dei gruppi di cacciatori-raccoglitori indigeni, che gli Yanomami non erano assassini come ci è stato detto? Sapevate che la guerra è una rarità che non era una parte comune dell’esistenza umana per la stragrande maggioranza di quell’ esistenza e che sono state studiate varie società alle quali il concetto stesso di omicidio era quasi sconosciuto? Sapevate che per gran parte dell’esistenza della nostra specie i nostri antenati hanno condotto vite egualitarie, sane, rilassate, giocose e piene di amicizia e cooperazione? Quanto sopra sono alcune delle correzioni alle credenze popolari discusse e documentate nel libro di Rutger Bregman Humankind: A Hopeful History. In italiano Una nuova storia (non cinica) dell’umanità. Non è realmente stabilito da questo libro se può essere utile o giustificato essere fiduciosi, se abbiamo buone possibilità di affrontare i pericoli nucleari o climatici o di malattie. Io continuo a insistere con Sartre sul fatto che gli umani possono scegliere di fare quello che vogliono, indipendentemente da ciò che gli altri umani hanno fatto oppure no. Ma ciò che questo libro fa alla perfezione è sfatare, per coloro che si rifanno a comportamenti passati, l’affermazione che gli umani sono generalmente malvagi e lo nascondono con una patina di civiltà. Bregman chiama la nostra specie cucciolo di homo perché in confronto ai Neanderthal sembra che ci siamo addomesticati, che sono stati selezionati per la sopravvivenza i più affettuosi allo stesso modo con cui vengono selezionati i lupi più amichevoli per avere cani affettuosi. La nostra specie ha perso la sua strada, sostiene Bregman, a partire dalla rivoluzione agricola. Non ci siamo evoluti per andare verso l’oligarchia, il duro lavoro, la proprietà privata e gli eserciti permanenti. Resta da vedere come affrontiamo il pasticcio in cui ci siamo messi. Ma sicuramente è importante se diciamo alla gente che può scegliere come comportarsi, o se ci uniamo a Bregman nel dire che le persone sono fondamentalmente buone e decenti, o se affermiamo invece, come fanno i notiziari televisivi serali, che la norma è il male e il cinismo. Il problema riguarda, come sostiene Bregman, gli effetti Placebo, Nocebo, Pigmalione e Golem. Se dici a qualcuno che viene curato, tende a guarire. Se dici a qualcuno che si sta ammalando, tende ad ammalarsi. Lo stesso vale per dire loro che sono gentili e generosi e che questi sono tratti ammirevoli e benefici, o dire loro il contrario. Se studi economia e impari che le persone sono stranamente egoiste, tendi a diventare più egoista. Allo stesso modo — gli effetti Pigmalione e Golem — se dici alle persone di aspettarsi che gli altri siano affidabili o nefasti, si comporteranno come se fosse così che sono gli altri. E quelle aspettative avranno un impatto su quelle altre persone. Quindi, se insistiamo sul fatto che le persone sono più o meno come sono sempre state, e abbiamo la scelta di credere che siano state gentili e generose come suggeriscono i fatti o di credere alle bugie dei racconti malvagi e degli esperimenti truccati, dobbiamo attenerci ai fatti. Bregman suggerisce come applicare questo approccio alle aziende, alle scuole, al governo locale, alla giustizia penale, al fanatismo e alla guerra. Applicarlo all’intero campo delle uccisioni di massa richiederebbe, credo, l’abbandono della nozione del nemico intrinsecamente malvagio e l’abolizione delle forze armate. Traduzione dall’inglese di Filomena Santoro. Revisione di Thomas Schmid. David Swanson
Parlare di “neutralità della scienza” significa ignorare la società che viviamo
Il recente caso Serravalle-Bellavite e la sua strumentalizzazione con gogna mediatica annessa, ci potrebbe far riflettere su molte cose, ma soprattutto su una cosa in particolare: la non-neutralità della scienza. La narrazione dominante propone la “scienza” come un’entità superpartes dogmatica portatrice di una verità imparziale e incontrovertibile che trascende le ideologie e i conflitti. Secondo tale visione, la scienza seguirebbe un cammino lineare e sarebbe il risultato di un processo unico, immutabile, deterministico, unidimensionale, astorico, vincolato sull’asse nuovo-vecchio/tradizionale-moderno e totalmente avulso dalla realtà sociale nella quale viene partorita. La scienza sarebbe capace di rimanere incontaminata dal contesto sociale in cui viene concepita, come se fosse mossa da una propria dinamica interna. Questa tesi fa emergere la profonda ignoranza epistemologica di chi la sostiene. Ogni accademico serio ed ogni epistemologo degno di nota smentirebbe questa concezione, a partire dal fatto che la scienza è un sapere pensato, discusso e come tale non può essere incontaminato. Oltre alla dinamiche epistemologiche, se dobbiamo ragionare su come procede la scienza in campo medico oggi, non si può negare che la ricerca biomedica proceda per dinamiche economiche, ovvero si sviluppa laddove c’è uno sviluppo di mercato. In questi trent’anni di globalizzazione neoliberista, di deregulation di mercato e di politiche di privatizzazione a discapito dei beni comuni, si è evidenziato che la ricerca biomedica è diventata sempre più uno strumento il cui fine ultimo non è il diritto alla salute, ma il mercato. La ricerca biomedica è diventata uno strumento del mercato, mentre la salute – da diritto umano – diventa sempre più una merce. Nel mio libro “La guerra all’idrossiclorochina al tempo della Covid-19” cerco di spiegare come un tempo l’investigazione scientifica consistesse principalmente nella ricerca disinteressata in tutte le direzioni, facendo della scienza l’oggetto principale della propria opera. I finanziamenti, per lo più pubblici e statali, non costringevano a investigare in una determinata direzione e necessariamente con un obiettivo. Quando si intraprendevano direzioni di ricerca che non erano realmente utili o non avevano alcun reale beneficio a servizio della collettività, tali rami venivano abbandonati per concentrarsi su altro. La scienza era ancora patrimonio di tutti e proprietà comune in quanto finanziata per la gran parte dallo Stato. Oggi il contesto in cui la “scienza” si sviluppa è radicalmente cambiato. Si è passati dal concetto di ricerca – finalizzato alla scienza e al suo insieme di scoperte – al concetto industriale di produzione di ricerca e sviluppo, ovvero contestualmente alla ricerca si deve per forza produrre qualcosa che abbia poi un ritorno economico. La scienza oggi non deve produrre per forza qualcosa di utile alla collettività, ma qualcosa di utile al profitto economico, soprattutto se privato. Coloro che oggi finanziano la ricerca sono per lo più privati, ovvero banche, fondi d’investimento, multinazionali, grandi aziende e grandi corporations di aziende e tutto ciò che viene finanziato nell’ambito della ricerca deve portare alla produzione di un prodotto vendibile e con un ritorno economico. Non sono più previsti i “rami morti” della ricerca e nemmeno è previsto fare marcia indietro qualora una certa direzione non porti a niente di utile o addirittura possa potenzialmente arrecare un danno. Fa impressione oggi l’ingenuità con cui gli scientisti dogmatici che parlano in difesa della scienza come “bene comune”, quando oggi la scienza è il deus ex machina del capitale finanziario, uno strumento tecnico – si parla sempre più di tecnoscienza – dipendente dall’accumulo capitalistico e, in quanto tale, finanziato per la gran parte da privati che vogliono un ritorno produttivo e proficuo. Poco importa se viene sviluppato un prodotto che poi, in definitiva, realizza più danno che beneficio – il famoso e ignorato principio di precauzione –, importa invece che il finanziamento in termini di ricerca porti comunque allo sviluppo di un prodotto vendibile e che in un modo o nell’altro sia accettato e abbia successo sul mercato. Ciò che sconvolge è che non importa se i mezzi per ottenere tale successo si incentrino su una rigorosità metodologica o su una obiettività dei dati disponibili. Oggi, queste ultime due componenti sono del tutto secondarie, poiché primario è lo sviluppo produttivo-industriale, mentre la ricerca scientifica si deve adeguare di conseguenza. Una volta finanziata una ricerca, questa deve per forza concretizzarsi in produzione e una volta avviata una determinata produzione, questa deve essere per forza “buona” a prescindere che lo sia veramente. Il sistema industriale è riuscito a sdoganare il più basso livello di rigorosità e di obiettività nella ricerca scientifica, soprattutto quella biomedica. La ricerca scientifica, dipendente dall’industria, ormai ha acquisito moltissime delle semplificazioni proprie del modo di operare industriale: viene meno il rigore, l’obiettività e la neutralità e lascia spazio alla grande produzione industriale e al marketing, dando poca importanza alla qualità del prodotto. Ciò che realmente importa è la percezione del prodotto che si riesce a ingenerare sul mercato e a livello mediatico. Su questo l’industria è imbattibile: può tranquillamente vendere qualsiasi cosa facendola passare per il suo contrario. Un documento ufficiale del Comitato Nazionale di Bioetica approvato in seduta plenaria l’8 giugno 2006, dal titolo Conflitto d’interessi nella ricerca biomedica e nella pratica clinica (1), ha definito la medicina come «una scienza polimorfa e complessa, che intrattiene rapporti di vario tipo, con la Società e con le istituzioni che questa produce», sottolineando come la ricerca biomedica moderna può essere effettuata, nel suo complesso, «soltanto con l’impiego dei capitali di enormi dimensioni». Nel documento addirittura si afferma come «la storia della scienza testimonia ampiamente come nell’ultimo secolo siano stati compiuti numerosi e cospicui falsi descrittivi». I falsi scientifici e le distorsioni metodologiche in medicina possono dipendere dal fatto che «gli orientamenti di un ricercatore possano essere diretti e motivati non solo dai problemi conoscitivi […], ma anche da interessi personali o da quelli connessi con le istituzioni di cui quel ricercatore fa parte». In sostanza viene descritto come le case farmaceutiche decidano il brutto e il cattivo tempo, essendo in grado di manipolare e falsificare studi al fine di un profitto privato e a discapito dell’interesse pubblico e del diritto alla salute. Il campo della salute, sia nei suoi aspetti reattivi sia nella prevenzione e promozione, così come nella ricerca, costituisce oggi un mercato gigantesco, che dà molto peso agli interessi finanziari (Stamatakis, 2013; Ioannidis, 2016) a discapito della medicina intesa come campo del sapere. Ce ne sarebbero tanti di esempi plateali, ma uno su tutti sicuramente è lo scandalo che coinvolse l’allora Ministro De Lorenzo che all’epoca ricevette una tangente di 600 milioni di lire – insieme a Poggiolini – dalla casa farmaceutica SmithKline per far diventare obbligatorio, con la legge 165 del 1991, il vaccino anti-epatite B già in uso dal 1981 in forma facoltativa. Nessuna prova scientifica – inesistente tuttora – che provasse la necessità dell’obbligatorietà del vaccino anti-epatite B, ma esistevano invece cause economiche che ancora oggi plasmano le scelte di medici che invece, in nome della “scienza” e di un ambiguo concetto di “prevenzione”, consigliano normalmente un vaccino reso obbligatorio tramite tangente. Ci viene da chiedere se di questo e di molto altro ne siano a conoscenza i membri del Patto Trasversale per la Scienza, o se ne siano a conoscenza tutti coloro che credono che la scienza sia un discorso puro sempre indipendente. Riflettere su questo ci potrebbe aiutare forse ad abbandonare qualunque tipo di fideismo scientifico fine a se stesso per capire che non è troppo diverso da qualunque altro fideismo religioso.   (1) Comitato Nazionale per la Bioetica, Conflitto d’interessi nella ricerca biomedica e nella pratica clinica: https://bioetica.governo.it/media/3118/p76_2006_conflitti_interessi-clinica_it.pdf   Ulteriori info: > Il mito della neutralità scientifica > Il velo della scienza neutrale https://ilmanifesto.it/la-scienza-non-e-neutrale-e-non-prova-la-verita > Gerardo Ienna (Università Ca’ Foscari di Venezia): “La scienza non è neutrale. > Il contributo dei fisici italiani all’idea della responsabilità sociale dello > scienziato” https://www.gssi.it/communication/news-events/item/21981-la-scienza-e-l-illusione-della-neutralita https://www.ilpost.it/2021/10/17/scienza-politica/ https://ilmanifesto.it/il-secolo-di-marcello-cini > Le “collaborazioni” delle Università: ma la scienza è neutrale?   Lorenzo Poli
Azione o non azione? Azione!
La luce della luna che si sta alzando profila la corona di montagne che ci circonda e l’aria inizia a farsi frescolina; penso che abbiamo fatto bene a staccare per una mezza giornata e salire quassù. In verità non siamo tanto in alto, a 600mt, e nemmeno in qualche valle austera e solenne: siamo in Val Seriana, siamo venute a trovare un’amica che lavora presso un festival dedicato ai popoli indigeni della Terra. Li abbiamo ascoltati attorno al fuoco sacro – una fiamma che per l’intera durata del progetto non si deve mai spegnere; l’amica ci ha raccontato che quest’anno a causa delle forti piogge è stato molto impegnativo tenerlo sempre vivo. Ogni delegato ha prima presentato la propria gente e poi raccontato sfide e successi che in questo momento storico stanno affrontando nella loro terra d’origine. Il piatto della bilancia continua a pesare molto di più sul negativo che sul positivo; a parte una buona notizia per gli Inca del Perù, la cui lingua quechua è stata riconosciuta come la prima del paese (lo spagnolo è passato secondo), tutti gli altri riferiscono quasi solo di prepotenze e abusi su di loro e sui loro territori. Le storie più tristi ancora oggi arrivano dall’icona di libertà che amiamo tutti: gli Indiani d’America. Tuttavia lo spirito è alto, e oserei quasi dire, battagliero. Di questo parliamo Laura ed io sedute una di fronte all’altra a una tavolata dove ognuno consuma la propria cena. Di fianco a noi una coppia. Mi accorgo che la donna, mia dirimpettaia di sbieco, mi guarda spesso con uno strano sorriso. Entrambi parlano a voce piuttosto alta, e in particolare lei sembra voler marcare certe parole: “canalizzazione” “energie alte” “vibrazioni angeliche” ecc. Noi continuiamo la nostra cena cercando di farci poco caso, senonchè al termine, proprio quando decidiamo di alzarci, veniamo incastrate con il classico attacca-bottone. Mi ritrovo a parlare con l’uomo e Laura con la donna. Capisco al volo che il loro interesse nei nostri confronti è stato suscitato dalla mia borsa palestinese con tanto di spilla “free Palestine”. Con esterrefatta incredulità intendo che “vogliono salvarci”. Non sono simpatizzanti sionisti, anzi lui si premura di prenderemi le mani e cercando di guardarmi fisso negli occhi mi rassicura che sono dalla nostra parte, ma mi spiega che quello che faccio, e milioni di altri esseri umani fanno, lottare nelle strade e in mille altri modi, non serve a niente, anzi abbassa la vibrazione e ritarda il processo. Tutto ciò che occorre è creare pace dentro di sè, che da sola viaggerà nel mondo e aggiusterà il male. Lei, rigorosamente vestita di bianco, sembra inorridita dall’apprendere che addirittura io sono una che va ancora in manifestazione. Un brutto dialogo che ha lasciato l’amaro in bocca, ma mi ha dato da riflettere. Rispetto e ammiro le persone che scelgono di vivere in clausura, in un monastero o in un bosco, cercando la purezza e la spiritualità. Pratico yoga da trent’anni e lo insegno da quasi altrettanti; quelle persone sono, dunque, fari che illuminano la mia strada. E, per quanto il mio approccio ai problemi e alle tragedie del mondo sia diverso, più concreto, più materiale, credo che anche loro diano un loro contributo, in modalità più sottili, alle cause per le quali mi batto andando in piazza o scrivendo e mostrando cartelli di protesta. Qui, però, non siamo di fronte a saggi eremiti. Lei vestita di bianco e lui che mi prendeva le mani sono venuti come noi a un festival, hanno mangiato accanto a noi e come noi si sono bevuti una birra. Se non fosse per il vestito bianco e per il tono ispirato, li si potrebbe scambiare per due comuni borghesi, complici dei problemi e delle tragedie che mi affliggono e che spingono tanti come me all’azione. E non sono i soli; anzi sono rappresentativi di un atteggiamento che caratterizza tutto il mondo “ufficiale” in cui mi muovo. Dove la wellness, la meditazione, il rebirthing e, sì, anche lo yoga sono ridotti a quarti di nobiltà per uomini e donne altrimenti annoiati, a scuse penose per il loro irrefrenabile, quanto ingiustificato, senso di superiorità. “Noi che capiamo queste cose”, “noi che riceviamo ed emaniamo bella energia” possiamo continuare a vivere il nostro privilegio e la nostra indifferenza verso quel che capita – quel che di orribile capita – con un sorriso di sufficienza. Non ho ricette da offrire; ho solo dubbi. Uno di questi è il seguente: perché in mezzo agli Incas e agli Indiani d’America, al festival, non c’era non dico una bandiera palestinese, ma neanche un riferimento al genocidio in atto? Dobbiamo aspettare che il genocidio sia arrivato a compimento per poter finalmente, fra qualche decennio, celebrarne le nuove vittime, le vittime di un’arroganza e di una violenza che sembrano non aver fine? Con tutti i miei dubbi, io non me la sento di aspettare, e continuerò ad andare in piazza. Mantenendo acceso, a fatica se è il caso, il fuoco della mia passione.   di Marina Serina Redazione Italia
Seminario Umanista dell’Africa Orientale: un incontro per la crescita e l’azione
Dal 15 al 22 agosto si terrà a Eldoret, in Kenya, un seminario regionale volto a contribuire alla formazione e al rafforzamento dell’azione umanista nelle comunità dell’Africa orientale. L’iniziativa, lanciata da attivisti umanisti del Kenya e dell’Islanda, riunirà delegazioni provenienti dalla Tanzania, dall’Uganda, dal Ruanda, dal Burundi, dal Sudan, dalla Repubblica Democratica del Congo, dall’Etiopia e da varie regioni del Paese ospitante. Questo importante evento si svolge nell’ambito delle attività del Forum Umanista Mondiale, uno spazio di convergenza permanente per organizzazioni e individui provenienti da diverse culture di tutto il pianeta. Il suo obiettivo è quello di studiare e sviluppare proposte sui problemi globali che affliggono il mondo odierno, promuovendo al contempo azioni collettive che diano impulso all’umanizzazione della Terra. La grande diversità e ampiezza della visione umanista troverà espressione nel programma previsto per l’incontro, che riunirà docenti provenienti da diversi Paesi per condividere conoscenze, esperienze e ispirazioni. Attività in programma Tra le attività in programma c’è un ciclo di formazione intensivo sulle idee dell’Umanesimo Universalista e sui principi dottrinali formulati dal suo fondatore, Silo. Le pratiche di sviluppo interiore derivate da questa scuola di pensiero e di azione saranno guidate da Antonio Carvallo, un esperto siloista proveniente da Londra, insieme a Julius Valdimarsson dall’Islanda e Michael Cameron dagli Stati Uniti. Durante le sessioni, ci saranno dibattiti sui fondamenti e la storia dell’umanesimo guidati da una delle organizzatrici del seminario, Tracey Kadada. Javier Tolcachier condurrà due sessioni di formazione sulle idee principali del Nuovo Umanesimo. Il senegalese N’Diaga Diallo parlerà dei Parchi di Studio e Riflessione costruiti in più di 50 località in tutto il mondo e dei Lavori della Scuola, che sistematizzano la possibilità umana di comprendere e di avanzare verso esperienze profonde di trasformazione personale. L’islandese Ragnar Sverrison, insieme a Tracey, presenterà gli obiettivi del Forum Umanista Mondiale e fornirà dettagli sui suoi 16 attuali gruppi di lavoro tematici. Una parte centrale del seminario sarà dedicata alle questioni sociali e comunitarie in cui sono coinvolti gli umanisti. Tra queste, ampio spazio sarà dedicato ai dibattiti e alla sensibilizzazione contro la violenza di genere guidati da Alice Saina, Rose Neema e Ragnar. Il tema dell’emancipazione femminile sarà affrontato da Synthia Gaede e Diana Rose, provenienti rispettivamente dall’Islanda e dagli Stati Uniti. Le importanti azioni del movimento “Me Too”, incentrato sulle donne vulnerabili e sulle sopravvissute alla violenza di genere, saranno presentate da Tracey e Alice che, insieme a Edwina Kisero, dialogheranno con le giovani madri single e offriranno loro consigli pratici. Herbert, presidente della comunità congolese in Uganda, condurrà una sessione sul genocidio e i rifugiati, dato il drammatico e persistente conflitto armato che colpisce le popolazioni nella regione del Nord Kivu, nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo. Donna Nyaboke dal Kenya terrà una presentazione sull’assistenza legale, mentre Anthony Oballah del Manyatta Youth Resource Center, membro del gruppo di lavoro Sport e Arte per la Pace e lo Sviluppo del Forum Umanista Mondiale, condurrà sessioni di esercizi fisici. Dorothy Adenga e Corazón, entrambe con una vasta esperienza nel campo dell’istruzione, coordineranno le sessioni su questo argomento. Un’altra parte del programma vedrà Dorothy insieme a Sharon e Jemeli tenere un discorso sulla salute sessuale e riproduttiva. Una tavola rotonda composta da Karina Lagdameo Santillán dalle Filippine, Pía Figueroa dal Cile, Javier Tolcachier dall’Argentina e altri condividerà i concetti del Giornalismo Nonviolento e presenterà l’esperienza dell’agenzia di stampa internazionale Pressenza con il suo focus sulla pace e la nonviolenza, invitando i partecipanti a unirsi come comunicatori da diversi punti dell’Africa orientale. La spiritualità e la religiosità popolare saranno fortemente presenti durante tutto il seminario. Ci saranno sessioni sullo sviluppo spirituale guidate dal vescovo Joseph Okiring, accompagnato dai pastori Silvanus Wafula, Muzungu e Stephen, oltre a cerimonie del Messaggio di Silo e momenti collettivi di preghiera, richieste e predicazione. Tra le numerose attività artistiche ci saranno esibizioni musicali di John Michael, Stephen Kalenga, il Coro della Tanzania e vari spettacoli con Sharon Kipruto dal Burundi e studenti della Moi University, la seconda università pubblica più importante del Kenya. L’americano David Blumenkrantz contribuirà con una mostra fotografica, mentre Diego Asensio dalla Spagna, Tracey Kadada e Maribel Núñez dall’Argentina condivideranno le testimonianze delle loro esperienze e azioni come umanisti. Le sessioni pomeridiane – ora del Kenya – saranno trasmesse in streaming online, consentendo la partecipazione virtuale da qualsiasi parte del mondo. Il seminario si concluderà con una cerimonia in cui interverranno i rappresentanti di tutte le delegazioni partecipanti, seguita da una festa di chiusura. L’organizzazione locale, coordinata da Alice Saina e Silvanus, sarà gestita da un team di 50 volontari che prepareranno gli spazi, si occuperanno del cibo, della logistica e assisteranno i partecipanti per rendere il seminario un’esperienza gratificante. Gli attivisti hanno in programma di organizzare seminari simili in diversi Paesi e invitano coloro che condividono la stessa sensibilità nel rifiutare ogni forma di violenza e discriminazione a unirsi a un movimento globale per un mondo più umano e nonviolento. Traduzione dall’inglese di Stella Maris Dante Revisione di Anna Polo     Javier Tolcachier