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Amnesty International Italia e altre 12 associazioni chiedono il rilascio di Shahin
L’iniziativa coinvolge la sezione locale della struttura internazionale insieme alle italiane ARCI e A Buon Diritto e alle europee ELSC ed LDSF, all’italo-egiziana EgyptWide e alle egiziane CIHRS, ECFR, EFHR, EHRF e RPE con il Centro contro la violenza El Nadeem e la tortura e la Sinai Foundation for Human Rights. Alla data della diffusione del proprio appello, martedì 2 dicembre scorso, non era ancora arrivara risposta alla lettera che avevano inviato alla presidenza del Consiglio dei ministri e al ministero dell’Interno italiano per perorare la sospensione del procedimento di espulsione e, a spiegazione della motivazione, fornendo la documentazione e reportistica sullo stato dei diritti umani in Egitto. APPELLO Tredici organizzazioni della società civile chiedono al governo e al ministero dell’Interno italiani di fermare l’espulsione verso l’Egitto di Mohamed Mahmoud Ebrahim Shahin, in conformità ai propri obblighi in materia di protezione dei diritti umani, incluso il principio di non-refoulement. Mohamed Mahmoud Ebrahim Shahin, cittadino egiziano residente a Torino, in Italia, da circa vent’anni, è stato sottoposto a un procedimento giudiziario ingiusto, fortemente viziato da evidenti irregolarità procedurali, a partire dal giorno 24 novembre 2025. Su iniziativa del ministero dell’Interno, al sig. Shahin è stato revocato il permesso di soggiorno europeo di lunga durata ai sensi dell’art.13, comma 1 del Testo unico sull’immigrazione (decreto n. 286/1998) che, insieme alle successive modifiche, introduce la possibilità di espellere i cittadini stranieri qualora presentino un profilo di pericolosità sociale o costituiscano una minaccia per la sicurezza nazionale. Le accuse rivolte al sig. Shahin, che sono alla base del decreto di espulsione, includono “l’appartenenza a un’ideologia estremista” e l’aver partecipato a un blocco stradale durante una manifestazione contro il genocidio del popolo palestinese a maggio 2025. Nel decreto, il ministero dell’Interno fa anche riferimento a una presunta dichiarazione in cui Mohamed Shahin avrebbe commentato gli attacchi del 7 ottobre 2023 nel corso di un’altra manifestazione in solidarietà con la Palestina, a Torino, nell’ottobre 2025. Dopo essere stato trattenuto presso una stazione di polizia, Mohamed Shahin è stato trasferito presso il Centro di permanenza per i rimpatri (CPR) di Caltanissetta, lontano dai suoi familiari, dalla sua comunità e dai legali che lavorano alla sua difesa. La richiesta di protezione internazionale che ha presentato a seguito della revoca del permesso di soggiorno è stata rigettata a seguito di un procedimento di esame fortemente accelerato, sul quale ha certamente pesato la classificazione dell’Egitto come “paese di origine sicuro” e che non ha attribuito la giusta importanza ai rischi in cui Mohamed Shahin incorrerebbe qualora fosse espulso in Egitto, un paese dove la tortura è endemica e le autorità sottopongono le persone ad arresti e detenzioni arbitrarie, spesso nell’ambito di processi iniqui, sulla base delle sole opinioni. «Le autorità italiane devono riconoscere pienamente i gravi rischi cui Mohamed Shahin andrebbe incontro se fosse rimpatriato in Egitto. Procedere con la sua espulsione metterebbe l’Italia in diretta violazione dei suoi obblighi internazionali in materia di diritti umani. Il trattamento riservato dall’Italia a Mohamed Shahin è un altro esempio dell’arretramento globale dello Stato di diritto e dei diritti umani a cui stiamo assistendo. Nessuno Stato può credibilmente dichiarare che un altro paese sia “sicuro per tutte/i”, come fa l’Italia classificando l’Egitto come “paese di origine sicuro”, e nessuno Stato può semplicemente ignorare i propri obblighi fondamentali in materia di diritti umani» ha dichiarato Sayed Nasr, direttore esecutivo dell’associazione EgyptWide for Human Rights. Al momento della revoca del permesso di soggiorno, Mohamed Shahin era un individuo incensurato, attivamente coinvolto nella vita socio-culturale della sua città e della comunità islamica torinese. Nel suo ruolo di imam è stato spesso promotore di iniziative nell’ambito dei percorsi locali di dialogo interreligioso, e nel contesto delle manifestazioni a sostegno del popolo palestinese è ricordato dai movimenti locali per il ruolo di mediatore a garanzia dello svolgimento pacifico delle manifestazioni. L’inconsistenza dei fatti contestati a Shahin per giustificare il procedimento di espulsione emesso contro di lui ai sensi dell’art.13, comma 1 del Testo unico sull’immigrazione rappresenta un caso allarmante di strumentalizzazione del diritto in chiave repressiva e di repressione del dissenso pacifico per mezzo della normativa in materia di sicurezza nazionale. «Nella vicenda di Mohamed Shahin preoccupa l’utilizzo dello strumento del decreto d’espulsione e del trattenimento in CPR, una procedura amministrativa che non prevede le garanzie di difesa del procedimento penale. L’applicazione di tale misura altamente restrittiva si basa peraltro su un sospetto riguardante una condotta che non configura una fattispecie penalmente rilevante e su alcune dichiarazioni poi rettificate. Emerge che le persone straniere in Italia rischiano troppo facilmente di essere allontanate dal tessuto sociale in cui vivono, dove intessono relazioni e di cui sono parte integrante, e che non godono delle piene garanzie che lo Stato di diritto prevede per tutte e tutti. Riteniamo che sia un fatto gravissimo, lesivo dei diritti fondamentali», ha dichiarato Luigi Manconi, presidente di A Buon Diritto. «Se espulso in Egitto, stato di cui conosciamo bene la propensione alla tortura e alle sparizioni forzate, Mohamed Shahin rischierebbe la vita. Ciò a causa di un provvedimento iniquo e sproporzionato emesso dalle autorità italiane, frutto di politiche repressive in materia di sicurezza nazionale, provvedimento che chiediamo sia annullato», ha dichiarato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia. Nel corso degli anni passati, le organizzazioni firmatarie hanno documentato numerosi casi in cui cittadini egiziani di rientro dall’estero, tanto volontariamente quanto a seguito di procedure di rimpatrio iniziate da Stati terzi, sono stati sottoposti a gravi violazioni dei diritti umani, compresi arresti arbitrari, sparizioni forzate, maltrattamenti e torture, per la loro reale o percepita opposizione al governo. Tra le vittime di queste pratiche rientrano oppositori politici, studenti universitari, attivisti e comuni cittadini senza una storia di attività politica o movimentista alle spalle. Esiste inoltre una pratica consolidata, da parte delle autorità egiziane, di ritorsioni e intimidazioni nei confronti dei familiari degli oppositori politici, che comprende arresti e processi arbitrari, detenzioni prolungate oltre i termini di legge, maltrattamenti, torture, sparizioni forzate. Dal momento che le autorità egiziane hanno già sottoposto la famiglia Shahin a procedimenti giudiziari iniqui a causa della loro opposizione pacifica al governo, abbiamo motivo di credere che egli andrebbe incontro a gravi violazioni dei diritti umani se rimpatriato in Egitto, tra cui detenzione arbitraria o sparizione forzata, maltrattamenti, torture, procedimenti penali ingiusti. Il provvedimento del ministero dell’Interno italiano che attribuisce al sig. Shahin un profilo di pericolosità sociale avrebbe inoltre l’effetto di aggravare notevolmente tali rischi. Alcune delle organizzazioni firmatarie hanno esposto preoccupazioni per le violazioni dei diritti umani in cui il sig. Shahin rischierebbe di essere sottoposto se venisse espulso in Egitto in una lettera alla presidenza del Consiglio dei ministri e al ministero dell’Interno italiano, chiedendo di sospendere il procedimento di espulsione e fornendo inoltre documentazione e reportistica sullo stato dei diritti umani in Egitto che illustra la serietà e la gravità di tali rischi, ma non abbiamo ad oggi ricevuto risposta. Chiediamo alle autorità italiane, in conformità ai propri obblighi in materia di diritti umani, ivi compresi il diritto di ogni persona a non essere sottoposta a trattamenti crudeli, inumani o degradanti, il diritto alla riservatezza familiare, e il principio di non-refoulement, di fermare l’espulsione di Mohamed Shahin verso l’Egitto, e di garantirgli il diritto a cercare protezione internazionale in Italia. ORGANIZZAZIONI FIRMATARIE: * Amnesty International Italia * ARCI * A Buon Diritto * European Legal Support Center (ELSC) * Law and Democracy Support Foundation (LDSF) * EgyptWide for Human Rights (EgyptWide) * Cairo Institute for Human Rights Studies (CIHRS) * Egyptian Commission for Rights and Freedoms (ECFR) * Egyptian Front for Human Rights (EFHR) * Egyptian Human Rights Forum (EHRF) * Refugees Platform in Egypt (RPE) * El Nadeem Center * Sinai Foundation AMNESTY ITERNATIONAL ITALIA, 2.11.2025 – Stop all’espulsione di Mohamed Shahin verso l’Egitto PRESSENZA, 2.11.2025 – Il ‘caso’ di Mohamed Shahin: dal suo rilascio dipende la tutela di tanti diritti  Amnesty International
L’azione legale promossa da 6 associazioni italiane e una donna palestinese
Il ricorso presentato al Tribunale di Roma il 29 settembre scorso è stato dettagliatamente illustrato al ‘lancio’ della mobilitazione che, all’insegna del motto “In nome della legge: Giù le armi, Leonardo!”, coinvolge tutti i cittadini italiani nel sostegno all’iniziativa. A citare in giudizio il gruppo industriale Leonardo SpA, il cui maggiore azionista è il Ministero dell’economia e delle finanze, e il governo italiano sono le associazioni A buon diritto, ACLI, ARCI, Attac Italia, Pax Christi Italia e Un ponte per e una giovane donna palestinese, Hala Abulebdeh, che risiede in Scozia, dove nel 2023 studiava farmacia e ha appreso della morte dei propri familiari, morti a Khan Younis assediata dalle forze armate israeliane. I ‘ricorrenti’ che hanno presentato l’esposto al Tribunale di Roma sono rappresentati dal team di avvocati – composto da Michele Carducci, Antonello Ciervo, Veronica Dini e Luca Saltalamacchia. In attesa degli sviluppi dell’iter procedurale, il 20 novembre le associazioni italiane hanno sollecitato l’attenzione degli italiani su questa loro azione legale, una delle prime di questo genere, mossa contro un’impresa e uno Stato membro dell’UE coinvolti nella fornitura di armi allo Stato israeliano mentre il suo governo conduce operazioni militari e interventi armati che fanno strage di civili nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, e non solo, anche altre nazioni. PRINCIPI ETICI E NORMATIVI ALLA BASE DEL RICORSO L’azione legale è finalizzata a ottenere che siano dichiarati nulli i contratti commerciali stipulati tra Leonardo SpA e le imprese controllate dal gruppo o ad esso associate e collegate con lo Stato di Israele per la fornitura di strumentazioni, apparecchi e ricambi di attrezzature che l’IDF / Israel Defense Forces (Forze Armate israeliane) e le milizie israeliane impiegano per compiere attività, azioni e interventi non conformi alle norme di diritto internazionale. Se il Tribunale civile di Roma riconoscerà la nullità dei contratti, Leonardo Spa dovrà interrompere ogni attività che coinvolge l’azienda, di riflesso il Governo e lo Stato italiani, nella fornitura allo Stato israeliano di materiali e servizi bellici. All’annullamento dei contratti conseguirà anche che dovrà cessare ogni collaborazione di Leonardo SpA con l’esercito israeliano e con le imprese italiane, israeliane e di qualsiasi altra nazionalità che producono o commercializzano armi e tecnologie militari usate dalle forze armate israeliane. Tali contratti commerciali infatti sono regolamentati dagli accordi bilaterali tra gli Stati, italiano e israeliano, ma devono essere conformi alle norme in materia sancite dalla Costituzione e dalle leggi italiane, che a loro volta sono conformi a quelle sancite nei trattati internazionali – come la Carta (Statuto) dell’ONU – ratificati nell’ordinamento italiano, che impongono divieti tassativi alla consegna di armi interamente o parzialmente fabbricate in Italia a nazioni ed eserciti stranieri che ne fanno un uso criminale. In specifico, l’art. 11 della Costituzione dichiara che: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa della libertà dei popoli e come mezzo per risolvere le controversie internazionali; riconosce, su un piano di uguaglianza con gli altri Stati, i limiti di sovranità necessari per un ordine che assicuri la pace e la giustizia tra le nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali volte a questo scopo”. E in particolare a disciplinare l’esportazione, il transito, il trasferimento intracomunitario e l’intermediazione di materiale militare è la legge 185/1990, il cui art. 1 stabilisce che: 1. L’esportazione, l’importazione, il transito, il trasferimento intracomunitario e l’intermediazione di materiale militare, nonché il trasferimento delle relative licenze di produzione e il trasferimento della produzione, devono essere conformi alla politica estera e di difesa dell’Italia. Tali operazioni sono regolate dallo Stato secondo i principi della Costituzione repubblicana che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. 2. L’esportazione, l’importazione, il transito, il trasferimento intracomunitario e l’intermediazione di materiali militari, di cui all’articolo 2, nonché il trasferimento delle relative licenze di produzione e il trasferimento della produzione, sono soggetti alle autorizzazioni e ai controlli dello Stato. 3. Il Governo predisporrà misure adeguate per sostenere la graduale differenziazione della produzione e la conversione delle industrie del settore della difesa a fini civili. 4. Le operazioni di esportazione, transito e intermediazione saranno consentite solo se effettuate con governi stranieri o con imprese autorizzate dal governo del paese destinatario. Le operazioni di trasferimento intracomunitario saranno consentite secondo le procedure di cui al capitolo IV, sezione I. 5. L’esportazione, il transito, il trasferimento intracomunitario e l’intermediazione di materiali militari, nonché il trasferimento delle relative licenze di produzione e il trasferimento della produzione, sono vietati quando sono contrari alla Costituzione, agli impegni internazionali dell’Italia, agli accordi di non proliferazione e agli interessi fondamentali della sicurezza dello Stato, alla lotta contro il terrorismo e al mantenimento di buone relazioni con gli altri paesi, nonché quando non vi sono adeguate garanzie sulla destinazione definitiva dei materiali di armamento. 6. Sono inoltre vietati l’esportazione, il transito, il trasferimento intracomunitario e l’intermediazione di materiale … b) verso paesi le cui politiche siano in contrasto con i principi dell’articolo 11 della Costituzione; d) verso paesi i cui governi siano responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali sui diritti umani, accertate dagli organi competenti delle Nazioni Unite, dell’Unione Europea o del Consiglio d’Europa…   I FATTI CHE INFICIANO I CONTRATTI Come accertato dagli “organi competenti delle Nazioni Unite”, il ‘cliente’ israeliano di Leonardo SpA, il cui maggiore azionista è il Ministero dell’economia e delle finanze, è un paese il cui governo è responsabile, e colpevole, dei crimini di guerra e dei crimini contro l’umanità. Il genocidio del popolo palestinese in particolare è stato accertato e condannato nel 2024 dalle sentenze di Corte di Giustizia Internazionale e Corte Penale Internazionale e nel 2025 dai rapporti di funzionari e relatori incaricati dall’ONU a riferire della situazione nei territori palestinesi e nelle risoluzioni dell’Assemblea Generale dell’ONU. In specifico, “gravi violazioni delle convenzioni internazionali sui diritti umani” sono state riscontrate nell’assedio della Striscia di Gaza e negli attacchi alle comunità palestinesi in Cisgiordania compiuti nel periodo tra il 7 ottobre 2023 e il 29 settembre 2025 e sono documentate dalle notizie diffuse in questi giorni. Ieri, 23 novembre, ricordando che “Israele ha violato il cessate il fuoco 497 volte” e che nella Striscia di Gaza l’esercito israeliano fa esplodere gli edifici, INFOPAL informava che il sabato precedente un’ondata di attacchi aerei israeliani ha ucciso almeno 24 palestinesi e nella stessa giornata (domenica 23 novembre) una nave da guerra israeliana ha bombardato la città di Rafah uccidendo un bambino e ferendone molti altri, nell’area a sud-est del campo profughi di Al-Bureij i droni israeliani hanno sganciato bombe e aperto il fuoco, nei pressi della moschea al-Abbas un missile israeliano ha bersagliato un’auto civile e ucciso 5 persone, nel quartiere an-Nasr della città di Gaza in una casa bombardata da un aereo da guerra israeliano sono state uccise 4 persone e negli assalti alle case nel campo profughi di an-Nuseirat e nei pressi di Deir al-Balah sono stati uccisi 11 loro abitanti. Contemporaneamente, il 23 novembre 5 persone venivano uccise da un raid israeliano a Beirut dopo che numerose altre lo erano state nelle incursioni israeliane in campi profughi e territori libanesi dei giorni precedenti, in cui inoltre i militari israeliani hanno aggredito i caschi blu della missione UNIFIL che il 14 novembre scorso avevano denunciato l’invasione del Libano. Questi ‘bollettini di guerra’ e molti altri più dettagliati resoconti delle recenti e attuali ‘operazioni’ dell’esercito israeliano riferiscono dell’uso di aerei, cannoni, bombe, missili, proiettili, droni, carri armati e mezzi d’assalto e distruzione fabbricati in molti impianti industriali, anche italiani. Hala Abulebdeh / Israel Killed My Entire Family E come in interviste e reportage pubblicati da Palestine Deep Dive, anche nel ricorso presentato al Tribunale di Roma insieme alle associazioni italiane la giovane palestinese Hala Abulebdeh testimonia l’uccisione dei propri genitori, entrambi insegnanti, e dei suoi cinque fratelli, due ingegneri, due medici e una fisioterapista che collaborava con MSF / Medici Senza Frontiere, colpiti da armi e tecnologie militari ‘made in Italy’. Evidenziando che, in base alle norme della Costituzione italiana e delle leggi nazionali e internazionali che disciplinano le transazioni di materiali e servizi bellici, “il 7 ottobre 2023 è la data ufficialmente conclamata come sospensiva delle forniture di armamenti e di apparecchi, strumenti e mezzi dual use (civile e militare) allo Stato di Israele“, le 6 associazioni italiane hanno presentato al Tribunale di Roma la richiesta di annullamento dei contratti tra Leonardo SpA e lo Stato di Israele documentando il nesso tra le cause di morte dei civili palestinesi con la feralità dei materiali e delle collaborazioni che il gruppo produttore di armi classificato primo nell’UE e 13° al mondo il cui maggiore azionista è il Ministero dell’economia e delle finanze, quindi lo Stato italiano, ha recentemente fornito ed è in procinto di consegnare all’esercito israeliano. In sintesi, il dossier dimostra che: * componenti per velivoli F-35 – prodotti forniti principalmente attraverso la filiale britannica di Leonardo; * velivoli Aermacchi M-346 – Leonardo effettua riparazioni e fornisce pezzi di ricambio per la flotta; * radar di difesa a corto raggio e anti-drone – nel luglio 2022 Leonardo ha acquisito la società israeliana RADA Electronic Industries, che ha partecipato allo sviluppo di Iron Fist, un sistema di protezione attiva montato sui nuovi veicoli corazzati da combattimento (AFV) dell’IDF, gli Eitan a otto ruote; * autocarri a due assi – il Gruppo Leonardo, attraverso le sue controllate con sede negli Stati Uniti, supporta la mobilità dei veicoli pesanti dell’IDF fornendo speciali autocarri a due assi, un nuovo modello di rimorchio per cisterne pesanti (HDTT) prodotto dalla DRS Sustainment Systems Inc., con sede a Bridgeton, nel Missouri, una società del Gruppo Leonardo; * cannoni navali 76/62 Super Rapido MF – sono prodotti negli stabilimenti dell’azienda controllata da Leonardo SpA, OTO Melara che ha sede a La Spezia, e vengono utilizzati per armare le nuove corvette della classe Sa’ar 6; * elicotteri AW119K – Leonardo ha iniziato a inviare gli elicotteri Agusta Westland AW119Kx Koala-Ofer di ultima generazione per addestrare i piloti dell’Aeronautica Militare Israeliana (IAF) presso la base aerea di Hatzerim nel deserto del Negev; * componenti per bombe GBU-39 – il consorzio MBDA (leader in Europa nella costruzione di missili e tecnologie di difesa per i settori aeronautico, navale e terrestre, di cui Leonardo SpA fa parte e al quale contribuisce con una quota del 25%) vende allo Stato di Israele alcuni componenti chiave per le bombe GBU-39, ovvero le ali che si dispiegano dopo il lancio, consentendo alla bomba GBU-39 di essere guidata con estrema precisione verso il suo obiettivo. IL DOSSIER SU LEONARDO SPA COMPONENTI DEGLI F-35 Gli “F-35” sono modernissimi aerei da combattimento prodotti principalmente dall’azienda americana Lockheed Martin; alcuni dei suoi componenti vengono, tuttavia, realizzati da altre aziende dislocate in altri paesi, come il Regno Unito e l’Italia. Israele dispone di 39 F-35 e ne ha ordinati altri 36. Questi aerei sono stati massicciamente utilizzati da Israele per bombardare Gaza con bombe di varia potenza, incluse quelle da 2000 libbre, responsabili di alcune delle peggiori atrocità commesse negli ultimi mesi. Nel giugno 2024, un rapporto delle Nazioni Unite ha rilevato come le bombe sganciate da questa tipologie di aerei sono state utilizzate in diversi casi di attacchi indiscriminati che “hanno portato a un alto numero di vittime civili e a una diffusa distruzione di oggetti civili” a Gaza. L’Italia è un partner chiave nel programma di fabbricazione e produzione degli F-35 (https://www.sldinfo.com/wp-content/uploads/2014/10/Program_F35_Italian_perspective1.pdf). Come accertato dal General Accounting Office (Ragioneria Generale) del Governo degli Stati Uniti, agli inizi degli anni 2000 per entrare nel mercato della produzione di componenti degli F-35 l’Italia ha pagato la somma di $ 1,028 miliardi di dollari (https://www.gao.gov/assets/gao04-554.pdf). Secondo il report Global Production of the Israeli F-35I Joint Strike Fighter (fol. H-63) pubblicato nel gennaio 2025 dall’Istituto di ricerca sulla pace canadese “Project Ploughshares” che si occupa di disarmo e sicurezza internazionale, Leonardo ha incassato quasi tre miliardi e mezzo di dollari per le commesse legate alla produzione dei componenti degli F-35. AEREI M-346 Per effetto del contratto stipulato in data 19.07.2012 (ed autorizzato dall’UAMA con nota 25708 del 1.10.2012), la Alenia Aermacchi – poi divenuta Leonardo – ha prodotto e consegnato all’Aeronautica militare israeliana 30 velivoli di addestramento M-346 e relativi simulatori di volo; gli aerei sono quelli sui cui si sono esercitati i piloti dei caccia F-16 e F-35 che dall’ottobre 2023 stanno bombardando la Striscia di Gaza. Questo accordo assume le forme di una triangolazione: da un lato, Leonardo ha venduto ad Israele i velivoli in oggetto, dall’altro lo Stato italiano si è impegnato ad acquistare velivoli da ricognizione e satelliti spia per la stessa cifra dalle industrie israeliane della difesa Elbit e Rafael; nel giugno 2023, Leonardo ha annunciato che avrebbe trasformato i velivoli da addestramento M-346 dell’aeronautica militare israeliana in aerei da combattimento – con la sigla M-346FA (Fighter Attack) –, installando un cannone “NEXTER” da 20 mm sull’aereo, molto utilizzato dall’IDF per la sua efficacia in contesti bellici.   ELICOTTERI AW119K Nel mese di febbraio 2019 Israele ha acquistato sette elicotteri AW119KX “Koala” d’addestramento avanzato dalla Agusta-Westland del valore di 350 milioni di dollari: anche in questo caso, l’operazione è stata realizzata attraverso una triangolazione in base alla quale l’Italia si è impegnata ad effettuare acquisti di valore equivalente di tecnologia militare israeliana; l’ambito della transazione comprende il supporto e la manutenzione per 20 anni. Nel mese di settembre del 2020, Israele ne ha ordinati altri cinque, per un totale di dodici elicotteri e due simulatori destinati alla Air Force Flight School, presso la base di Hatzerim, più il supporto logistico e manutentivo dei velivoli da parte italiana per vari anni. Nel mese di aprile 2022, Leonardo si è aggiudicata un contratto dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti per la fornitura ad Israele di velivoli AW119Kx per 29 milioni di dollari nell’ambito delle vendite militari all’estero. Nel mese di settembre 2020 l’IMOD (Israel Ministry of Defense) ha siglato un accordo integrativo per l’acquisto di un pacchetto di addestramento avanzato da Leonardo che includerà cinque ulteriori elicotteri da addestramento AW119KX e due addestratori per la scuola di volo dell’Aeronautica Militare; parte di questi veicoli, utilizzati nelle recenti azioni militare dell’IDF sulla Striscia di Gaza, sono stati consegnati anche successivamente al 7.10.2023.   CANNONI NAVALI 76/62 “SUPER RAPIDO-MF” Il gruppo Leonardo (attraverso la controllata OTO Melara) ha prodotto e consegnato in data 13.09.2022 alla Marina militare israeliana i cannoni navali 76/62 “Super Rapido-MF” (Multi-Feeding), in grado di sparare fino a 120 colpi al minuto: la commessa ha un valore di 450 milioni di dollari. I cannoni armano le nuove corvette della classe “Sa’ar 6” realizzate dalla società tedesca ThyssenKrupp Marine Systems, impiegate in questi mesi per attaccare via mare la Striscia di Gaza: la Marina israeliana è stata tra le prime al mondo a utilizzare i cannoni OTO Melara da 76 mm che hanno una cadenza di fuoco di 120 colpi al minuto e un sistema di caricamento ad alimentazione multipla, grazie alle differenti tipologie di munizioni utilizzate (perforanti, incendiarie, a frammentazione, ecc.), contro sistemi missilistici a corto raggio, aerei, navi e obiettivi terrestri. Le navi che dal 9.10.2023 hanno utilizzato i cannoni Leonardo nelle azioni contro la Striscia di Gaza sono le corvette Ins Magen ed Ins Oz, le unità navali più grandi e più moderne della Marina militare israeliana. Diverse testate giornalistiche e le stesse IDF hanno confermato l’impiego delle nuove corvette nei bombardamenti sulla Striscia di Gaza.   TECNOLOGIE PER CARRI ARMATI Nel 2018 Leonardo DRS (la controllata di Leonardo con sede ad Arlington, Virginia) ha sottoscritto con Rafael Defense Systems un accordo per fornire all’Esercito e al Corpo dei Marines USA le tecnologie avanzate da installare nei carri armati Abrams M1A1/A2 MBT (contratto del valore di 80 milioni di dollari). Nello specifico, Rafael Defense Systems si è impegnata a produrre il sistema Trophy APS per la protezione del veicolo terrestre da eventuali attacchi, mentre Leonardo DRS si è impegnata a produrre i caricatori automatici per il sistema Trophy. Il sistema Trophy, sviluppato anche grazie a Leonardo, è stato installato in tutti i carri armati delle forze armate israeliane, come ad esempio i Merkava 3 e 4 ed i Namer; e sin dall’autunno del 2023, proprio i tank Merkava 4, dotati per l’appunto del sistema Trophy, sono stati impiegati nelle azioni militari perpetrate dall’IDF nella Striscia di Gaza.   RADAR Nel giugno 2022, è stato firmato un accordo di fusione tra la controllata americana di Leonardo (Leonardo DRS) e la società israeliana RADA Electronic Industries Ltd. con sede a Netanya, nei pressi di Tel Aviv, il cui sito ora è reperibile all’interno di quello della stessa Leonardo: la RADA è una azienda specializzata nella produzione di radar tattici militari, software avanzati, sistemi di sorveglianza delle frontiere, sistemi di difesa anti-aerea e anti-drone. Il successo dei prodotti RADA è intrecciato alle azioni militari che l’IDF ha ripetutamente condotto nella Striscia di Gaza tant’è che – come riportato sul sito della Leonardo – “è stata premiata dalle Forze di Difesa Israeliane (IDF) per la sua rete Sense & Warn di radar Counter-Mortars, Artillery and Rockets (C-RAM) subito dopo l’operazione Protective Edge nel 2014”. Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (OCHA) l’operazione “Margine Protettivo” (Protective Edge) avrebbe provocato la morte di migliaia di palestinesi, dei quali la gran parte civili (tra di loro centinaia di bambini). I sistemi di protezione attiva e i radar tattici prodotti da Leonardo DRSRADA sono da anni in dotazione anche dei vari blindati quali i Caterpillar D9 – dai soldati israeliani soprannominati Doobi – che sistematicamente accompagnano le operazioni militari e che hanno provocato la morte per schiacciamento di diversi palestinesi (nonché della militante nonviolenta americana Rachel Corrie) e la distruzione delle abitazioni e delle infrastrutture palestinesi. Attraverso le forniture di RADA, di fatto, il Caterpillar D9 è dunque diventato una vera e propria “arma automatizzata e comandata a distanza”, fondamentale per l’esercito israeliano, impiegata in quasi tutte le attività militari dal 2000, per liberare le linee di incursione, neutralizzare il territorio e uccidere i palestinesi. Dall’ottobre 2023, è stato documentato l’uso di attrezzature Caterpillar per eseguire demolizioni di massa – tra cui case, moschee e infrastrutture di sostentamento – raid negli ospedali e schiacciare a morte i palestinesi”, come accertato (al par. 45) dal Rapporto della Relatrice Speciale sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967 “From economy of occupation to economy of genocide”.   DRONI MIRACH 100/5 «L’M-40 è l’ultimo arrivato nella famiglia di droni “Mirach” di Leonardo, progettata per simulare minacce nemiche e consentire alle forze aeree, navali e terrestri di addestrarsi con missili aria-aria e terra-aria come Stinger, Aster e Aspide. Osservando, tramite sensori, gli stessi bersagli di un aereo o di un missile guidato, l’M-40 consente agli operatori di armi e radar di addestrarsi contro un bersaglio realistico». Questo si legge nel comunicato di Leonardo del 16.04.2018. Questi droni bersaglio, come ammesso da Leonardo, sono stati venduti anche ad Israele, in relazione ai quali le forze armate israeliane hanno ricevuto anche il relativo training.   COMPONENTI PER LE BOMBE GBU-39 Leonardo è parte del consorzio MBDA che vende allo Stato di Israele alcuni componenti chiave per le bombe tipo “GBU-39”, prodotte dalla Boeing. Nel dettaglio, il consorzio produce in una fabbrica situata in Alabama (USA) le ali che si dispiegano dopo il lancio, consentendo alla bomba GBU-39 di essere guidata con estrema precisione verso il bersaglio. Secondo un’inchiesta svolta dal giornale britannico The Guardian, poi riportata da diverse testate giornalistiche, Israele, che ha ricevuto migliaia di queste bombe dal consorzio MBDA, in 24 casi le ha impiegate in attacchi che hanno causato la morte di civili, tra cui molti bambini. Gli attacchi in questione sono avvenuti di notte, senza preavviso, in edifici scolastici e campi tendati, dove si erano rifugiate famiglie sfollate, provocando vasti incendi in cui i civili sono arsi vivi o sono stati mutilati. In particolare, merita menzione l’attacco lanciato alle 2 del mattino del 26.05.2025, che squarciò il tetto della scuola Fahmi al-Jarjawi a Gaza mentre decine di famiglie, che vi avevano trovato rifugio, dormivano, provocando la morte di 36 persone, metà delle quali bambini. In un video diventato virale, si vede la figura della piccola Hanin al-Wadie, di soli 5 anni, che cerca di uscire dalla stanza in fiamme. Ma non meno disumano è stato l’attacco sferzato la notte del 26.05.2024, quando le bombe furono lanciate contro il Kuwait Peace Camp 1 a Rafah, innescando un incendio che ha incenerito decine di tende, provocando 45 morti e 249 feriti e dove un bambino e una donna furono decapitati dai frammenti dell’esplosivo.   RIFERIMENTI INFORMATIVI : * Genocidio nella Striscia di Gaza, giorno 779: decine di vittime in una serie di attacchi aerei israeliani. Israele ha violato il cessate il fuoco 497 volte / INFOPAL – 23.11.2025 * L’allarme di Unifil: Israele sta occupando i territori del Libano / CITTA’ NUOVA – 19.11.2025 * Le associazioni per la pace trascinano il governo italiano in tribunale / PRESSENZA – 22.11.2025 * In nome della legge, giù le armi: azione legale della società civile contro Leonardo e lo Stato italiano / ACLI – 20.11.2025 * “In nome della legge: Ricorso della società civile contro Leonardo e lo Stato Italiano”  (il video della presentazione del ricorso e dell’iniziativa)/ ASSOPACE PALESTINA – 21.11.2025 * In nome della legge giù le mani, Leonardo / ATTAC ITALIA – 20.11.2025 * “ In nome della legge! – Giù le armi, Leonardo!” / PAX CHRISTI – 21.11.2025 * Le associazioni della società civile portano Leonardo spa e lo Stato italiano in tribunale e chiedono di dichiarare nulli i contratti stipulati per la vendita e la fornitura di armi ad Israele / UN PONTE PER – 20.11.2025 Maddalena Brunasti
Condanna, e denuncia, dell’aggressione alla manifestazione del 24 ottobre a Roma
Con il comunicato congiunto, i promotori riferiscono i fatti avvenuti e chiedono al Questore della città di rispondere in merito alle azioni e alle dichiarazioni degli agenti delle forze dell’ordine intervenuti. ROMA NON SI PIEGA AI DIKTAT D’ISRAELE: IL DIRITTO A MANIFESTARE NON SI REPRIME Le realtà promotrici della manifestazione condannano con forza quanto accaduto venerdì 24 ottobre a Roma. Come reti palestinesi, Global Movement to Gaza, sindacato USB, movimento per il diritto all’abitare, ARCI e tante altre realtà sociali e politiche, eravamo in piazza per manifestare pacificamente in solidarietà con il popolo palestinese, come facciamo da due anni in tutta Italia. Già al nostro arrivo abbiamo assistito a un dispiegamento di forze dell’ordine senza precedenti: blindati, reparti antisommossa, idranti, droni e perfino fari di ricerca, cosa mai vista nemmeno nelle più grandi manifestazioni nazionali. Una presenza sproporzionata che lasciava intuire fin da subito la volontà di impedire qualsiasi forma di espressione libera. Era stata autorizzata una manifestazione statica a Piazza Verdi, con la possibilità di concordare successivamente un percorso di corteo verso la Festa del Cinema e l’Ambasciata israeliana. Ma fin dall’inizio la questura ha negato ogni possibilità di movimento, precludendo di fatto il diritto costituzionale a manifestare. Quando i manifestanti — tra cui famiglie, donne, bambini e anziani — hanno iniziato ad avvicinarsi pacificamente, la polizia ha risposto con cariche improvvise e indiscriminate. I partecipanti sono stati poi trattenuti per oltre due ore in via Monteverdi, bloccati senza poter andare né avanti né indietro. Ogni tentativo di dialogo è stato respinto, e la sola “condizione” imposta per muoversi è stata quella di abbassare le bandiere palestinesi e delle organizzazioni presenti: un atto grave, simbolicamente e politicamente. I manifestanti sono stati rilasciati solo dopo ulteriori e violenti getti d’idranti, a testimonianza di una gestione che ha scelto deliberatamente la provocazione e la forza. Le immagini e i video diffusi in rete lo dimostrano chiaramente: non c’è stata alcuna azione violenta da parte dei manifestanti, solo un uso gratuito e sproporzionato della forza da parte dello Stato. Quanto accaduto è il segno evidente di una volontà politica: il governo sta cercando di svuotare la grande mobilitazione che in questi mesi si è creata intorno alla Palestina, usando la paura e la repressione per intimidire chi scende in piazza. Si tenta di far passare l’idea che con un “piano di pace” tutto sia finito, mentre il massacro e l’occupazione a Gaza continuano ogni giorno. La verità è che il governo italiano, sempre più allineato agli interessi dell’ambasciata israeliana, sta seguendo un copione già visto in altre città come Milano, Torino, Bologna e Napoli, dove la gestione dell’ordine pubblico è diventata uno strumento di intimidazione politica. L’Italia sta accettando una deriva pericolosa, in cui la repressione diventa un laboratorio per limitare il diritto di dissenso. Non accetteremo mai che in una democrazia vengano vietate manifestazioni pacifiche o criminalizzati simboli di solidarietà con un popolo sotto assedio. Il diritto a manifestare non si reprime con gli idranti e i manganelli: si difende con il rispetto dei diritti, con il dialogo e con la libertà di espressione. Non possono esserci restrizioni autoritarie e antidemocratiche al diritto di manifestare. CONGIUNTAMENTE, VALUTANDO LE PROSSIME FUTURE AZIONI, CHIEDIAMO OGGI CHE IL QUESTORE DI ROMA SI ASSUMA LA RESPONSABILITÀ DELLA GESTIONE DELLA PIAZZA DEL 24 OTTOBRE E DELLE DICHIARAZIONI EMANATE IN PIAZZA DAI RESPONSABILI DELLE FORZE DELL’ORDINE, COLPEVOLI DI UNA PROVOCAZIONE GRAVE CONTRO UN MOVIMENTO CHE SI BATTE PER LA GIUSTIZIA, E CHE SI È VISTO INFINE REPRIMERE ESPLICITAMENTE ED IMPLICITAMENTE IL DIRITTO ALLA MANIFESTAZIONE PACIFICA DI DISSENSO.   Non ci fermeranno. Continueremo a manifestare, a bloccare e a mobilitarci finché continuerà l’occupazione e la violenza contro il popolo palestinese. Nessuna intimidazione e provocazione è accettabile per distogliere l’attenzione dal genocidio, dall’occupazione illegale a Gaza e dalle relative e palesi complicità del Governo italiano. Con la Palestina nel cuore, * Movimento Studenti Palestinesi * Global Movement to Gaza * USB – Unione Sindacale di Base * ARCI Roma * Movimento per il Diritto all’Abitare * Potere al Popolo Redazione Italia
Palermo, tra mare e terra “Fermiamo la barbarie, fermiamo il genocidio!”
Prosegue la mobilitazione a sostegno dell’operazione umanitaria internazionale Global Sumud Flotilla ed è un chiaro segnale, come ci ricordava Toni Casano a margine della manifestazione dello scorso 4 settembre, che la massa critica sta crescendo ed è destinata ad incidere con sempre maggiore forza sull’orientamento dell’opinione pubblica e sull’atteggiamento dei governi. Il corteo di barche della Lega Navale Italiana nel golfo di Palermo, di fronte al lungomare intitolato a Yasser Arafat, storico leader della resistenza palestinese e capo dell’OLP, ha aperto la manifestazione indetta il 6 settembre scorso dalla CGIL a livello nazionale in varie città italiane e che, nel capoluogo siciliano, si è svolta a partire dalle 17.00. Alla manifestazione, organizzata dalla CGIL di Palermo, hanno aderito diverse associazioni e movimenti, fra cui ARCI, UDU, il Presidio delle Donne per la Pace, l’UDIPalermo, l’Associazione Siciliana della Stampa, oltre alle diverse categorie del sindacato e ha visto la partecipazione di tante persone che spontaneamente hanno deciso di replicare la riuscitissima manifestazione di appena due giorni prima, facendo sentire sempre alta la voce contro il genocidio che lo stato di Israele sta perpetrando nei confronti del martoriato popolo palestinese. Il corteo, dispiegatosi lungo tutto il Foro Italico, è arrivato fino alla Cala al lungomare dei Migranti, altro luogo simbolo del messaggio multiculturale e internazionalista che Palermo ha sempre dimostrato di saper far proprio per rimettere al centro della storia l’autodeterminazione dei popoli contro la deriva sovranista e fascista che rischia di prendere il sopravvento in gran parte dell’occidente. “Fermiamo la barbarie, fermiamo il genocidio”, questo lo slogan scandito dalla manifestazione e scritto nello striscione di apertura del corteo su cui campeggiavano i colori della bandiera palestinese; “Israele uccide ancora. Basta! Gaza vuole vivere”, altro slogan accompagnato dalla richiesta di embargo contro le armi, e “Fuori la guerra dalla storia” scandito dalle Donne per la Pace, così come viene ormai ribadito da quando è esploso il conflitto russo-ucraino. A margine della manifestazione, mi preme fare alcune considerazioni su l’accresciuta presa di coscienza rispetto a quanto sta accadendo nell’area medio-orientale e su quanto questo sia conseguenza e al tempo stesso incida sul sistema geo-politico internazionale. Israele è riuscito, con la sua pervicace azione genocidiaria e suo malgrado, a ribaltare la condizione di vittima, nata a seguito della terribile vicenda dell’olocausto e con la quale in quasi ottant’anni di vita ha potuto giustificare ogni tipo di annessione e di espropriazione di territori al popolo palestinese con il conseguente tributo di sangue, senza che mai vi fosse una reale presa di posizione da parte delle principali potenze atta a contrastare tale politica. L’idea dei “due popoli, due stati”, nata a partire dagli Accordi di Oslo del 1988 in cui l’OLP ha riconosciuto unilateralmente lo Stato di Israele senza che, tuttavia, quest’ultimo abbia mai fatto altrettanto con lo Stato di Palestina, non è e, probabilmente, non è mai stata nell’agenda politica del governo israeliano il quale, invece, è ormai deliberato a riaffermare la visione messianica della terra promessa, cancellando una volta e per tutte il diritto del popolo palestinese alla sua autodeterminazione e ad avere il suo Stato. Cosa è cambiato, tuttavia, dal 7 ottobre 2023 ad oggi, dal momento in cui la violenza cieca di Hamas ha fornito l’alibi ad Israele per perpetrare il suo piano (da tempo congegnato) di estinguere Gaza ed il suo popolo? Per lunghi mesi a partire da quel giorno abbiamo assistito ad una sostanziale acquiescenza, per non dire aperto sostegno, dei principali governi occidentali, USA in testa, di fronte alla brutale rappresaglia israeliana che ogni giorno sommava decine e decine di morti fra uomini, donne e bambini; il cancelliere tedesco Merz, di fronte alla rappresaglia israeliana sull’Iran, intervenuto nel conflitto, è arrivato a dichiarare “Israele fa il lavoro sporco per conto nostro”. Il dissenso nei confronti di questa logica omicida, prima fortemente represso con inaudita violenza in tutti i paesi e bollato senza alcuna reale motivazione come antisemitismo, soprattutto in quei paesi che vivono il complesso di colpa legato storicamente all’olocausto, oggi è sempre più diffuso e va sempre più coinvolgendo anche istituzioni culturali, sociali e politiche che non possono più girare lo sguardo da un’altra parte, rischiando di essere messi di fronte alle proprie responsabilità in un futuro prossimo. Quando il cantante Ghali, dal palco del festival di Sanremo nel febbraio 2024, esclamò “Stop al genocidio”, fu una levata di scudi generale, a partire dai vertici della RAI, premuratisi ad assecondare le ire dell’ambasciatore israeliano; oggi, nessuno più può negare la realtà dei fatti, salvo poi riscontrare l’assoluta inconsistenza dell’azione dei governi, soprattutto quelli a guida destrorsa, per tentare di fermare Israele. L’UE è sempre più il fantasma di sé stessa, e ormai lo affermano anche i suoi principali fautori, fra cui ultimamente lo stesso Draghi; buona soltanto, insieme ai leader dei principali Stati europei, a far da scenografia secondaria intorno alla scrivania dello studio ovale del leader golpista statunitense. Ma l’onda ormai si è mossa, i popoli si mobilitano e questo può cambiare anche l’orientamento dei governi, come già sta accadendo in molti casi. Ormai non è più scontato che l’ordine mondiale debba essere governato esclusivamente da ovest e che Israele debba costituirne il braccio armato; Russia, Cina e India insieme agli altri partner al vertice SCO (l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai) ci danno l’idea che gli scenari sono in costante trasformazione e persino un ex Presidente del Consiglio italiano, D’Alema, non ha fatto mancare la sua presenza nella foto di gruppo per i festeggiamenti in Cina della ricorrenza della vittoria nel secondo conflitto mondiale. Dal cuore del Mediterraneo si leva forte un grido: Fermiamo la barbarie, fermiamo il genocidio! I soldati israeliani, che a quanto pare vengono accolti in Italia per smaltire lo stress dei massacri, si stanno preparando ad accogliere a loro volta la spedizione di Global Sumud Flotilla. Il sostegno deve essere sempre più forte e determinato. Nessuno può più girare lo sguardo dall’altra parte. Redazione Palermo
Stop Rearm Europe: Al via “Comuni per la Pace e contro il riarmo”
“Al via l’iniziativa ‘Comuni per la Pace e contro il riarmo”, la nuova fase della mobilitazione sui territori della campagna europea ‘Stop rearm europe’ volta ad attivare e coinvolgere, attraverso la presentazione di ordini del giorno e delibere d’iniziativa popolare, cittadini ed enti locali contro l’aumento delle spese militari previsto dal Piano di riarmo europeo e dalla decisione presa di in sede Nato di destinare il 5% del Pil degli Stati Ue alla Difesa e all’industria degli armamenti”. Lo annunciano i promotori italiani della Campagna europea “Stop Rearm Europe” (https://stoprearm.org/), Arci, Ferma il Riarmo (Sbilanciamoci, Rete Italiana Pace e Disarmo, Fondazione Perugia Assisi, Greenpeace Italia), Attac e Transform Italia, che lo scorso 21 giugno a Roma ha visto oltre 100mila persone in piazza con la manifestazione nazionale ‘No guerra, riarmo, genocidio, autoritarismo’. “L’attuazione del Piano di riarmo Ue e l’aumento al 5% del Pil per le spese militari indicato dalla Nato incideranno sulle risorse destinate ai Comuni con ulteriori tagli ai servizi pubblici e alla spesa sociale, fino a comprometterne la funzione pubblica e sociale. – spiegano – Proponiamo quindi che in ogni Comuna venga votata una delibera che schieri l’Ente Locale per la Pace e contro ogni politica di riarmo. Ogni investimento negli armamenti rende, in termini occupazionali, solo 3.000 posti per ogni miliardo, mentre, a parità di investimento, renderebbe 8.000 posti nel settore ambientale, 12.000 nel settore sanitario e 14.000 nel settore dell’istruzione. Ad oggi sono già 15 miliardi complessivi le risorse sottratte ai Comuni a causa del Patto di Stabilità, attraverso il blocco delle assunzioni di personale e l’azzeramento delle possibilità d’investimento, e la Legge di Bilancio 2025 ha già previsto un ulteriore taglio di complessivi 1,3 miliardi per il periodo 2025-2029. In vista della prossima legge di bilancio, l’autunno che verrà sarà il più ‘bollente’ degli ultimi decenni in termini di lotta e mobilitazione in Italia e in Europa”. https://stoprearmitalia.it/wp-content/uploads/2025/07/cs-Comuni-contro-riarmo.pdf   Roma, 10 luglio 2025   Leggi il testo dell’odg su https://stoprearmitalia.it/ https://stoprearmitalia.it/wp-content/uploads/2025/07/ODG_per_Consiglio_Comunale.pdf   Rete Italiana Pace e Disarmo
Mobilitazioni e manifestazioni internazionali per ribadire con forza “Stop Rearm Europe”
«In un mondo a pezzi, l’Europa reale dichiara di volersi preparare alla guerra e di voler preparare alla guerra la cittadinanza e le nuove generazioni. Nel frattempo l’Ue e il governo italiano continuano a partecipare e armare la guerra in Ucraina e sono complici di Israele, che si prepara all’invasione finale di Gaza e a portare a compimento il piano di eliminazione del popolo palestinese. Ma la maggioranza della popolazione italiana è contro la guerra, e ha diritto ad essere rappresentata». Recita così l’appello alla mobilitazione per la manifestazione nazionale contro la guerra, in programma a Roma il 21 giugno. Un appuntamento per dire no al riarmo, al genocidio e all’autoritarismo promosso da oltre 300 reti, organizzazioni sociali, sindacali e politiche che hanno sottoscritto l’appello della Campagna europea “Stop Rearm Europe”. Una campagna a cui hanno aderito circa mille sigle in 18 paesi diversi e che vede come promotori italiani Arci, Ferma il Riarmo (Sbilanciamoci, Rete Italiana Pace e Disarmo, Fondazione Perugia Assisi, Greenpeace Italia), Attac e Transform Italia. Controvertice NATO E finalmente il 21 giugno l’Europa pacifista scende in piazza per dire no al riarmo e alla complicità con Israele. Un’alternativa al riarmo, ai missili europei, al silenzio complice della NATO su Gaza. Il prossimo 21 giugno in tutta Europa migliaia di cittadine e cittadini europei scenderanno in piazza per un controvertice pacifista diffuso. Sarà la risposta nonviolenta e determinata al prossimo vertice NATO, che si terrà a L’Aia dal 24 al 26 giugno 2025, con al centro un’agenda sempre più incentrata sul rafforzamento bellico dell’Alleanza Atlantica che già ora dispone di un potenziale bellico enormemente superiore alla Russia dal punto di vista delle armi convenzionali. Nel cuore delle discussioni dei leader NATO ci saranno drammatici obiettivi * Il rilancio del programma di riarmo europeo (nonostante l’Europa abbia una superiorità militare sulla Russia pari a 3 volte). * L’approvazione dei piani per l’installazione di nuovi euromissili in Germania e altrove dal 2026. L’approvazione dei piani per l’installazione di nuovi euromissili in Germania e altrove dal 2026 Lo sviluppo del nuovo missile europeo ELSA (European Long-range Strike Asset), con una gittata tale da raggiungere profondamente il territorio russo. E, con un silenzio assordante, il prosieguo della collaborazione militare con Israele, nonostante le sempre più gravi denunce di crimini di guerra a Gaza. Contro tutto ciò, il movimento pacifista ha il compito di lanciare un messaggio chiaro e articolato. No al riarmo europeo. L’Europa ha bisogno di investimenti nella giustizia sociale, nella riconversione ecologica, nell’istruzione e nella salute, non in arsenali militari. Il cosiddetto “pilastro europeo della NATO” non può diventare la corsia preferenziale per le industrie belliche. No dunque ai nuovi euromissili Tornano gli spettri della Guerra Fredda. Le nuove testate tattiche statunitensi saranno ospitate in Germania e in altri Paesi europei dal 2026, rendendo il nostro continente il primo bersaglio in un eventuale conflitto nucleare. Rifiutiamo questa strategia suicida. No al missile ELSA. Un’arma capace di colpire Mosca in 8 minuti non può che innescare una corsa agli armamenti ancora più pericolosa. È un progetto destabilizzante, contrario a ogni logica di disarmo e sicurezza condivisa. Stop alla complicità con Israele. Le esercitazioni militari congiunte NATO-Israele sono uno scandalo. Chiediamo alla NATO una presa di posizione netta e pubblica contro i crimini di guerra commessi a Gaza, in linea con il diritto internazionale e con i rapporti ONU. Un autunno di mobilitazione: appuntamento ad ottobre contro l’esercitazione nucleare Steadfast Noon Durante l’autunno, il movimento pacifista non potrà ignorare la necessità di una nuova mobilitazione in vista di Steadfast Noon, l’annuale esercitazione nucleare della NATO che si svolgerà in ottobre. Data e luogo non sono per ora stati comunicati. In quella esercitazione che durerà più giorni, verranno simulate operazioni di attacco con ordigni nucleari. In quella esercitazione verranno verificate le procedure della guerra nucleare. Di come funzioni la guerra nucleare i parlamentari europei e nazionali non sanno praticamente nulla. Le procedure sono decise senza alcun coinvolgimento democratico dei Parlamenti e dei cittadini europei. Le procedure decisionali rimangono opache e centralizzate, lasciando ogni potere di scelta all’apparato militare statunitense. Il lancio delle armi nucleari non richiede il principio di unanimità su cui teoricamente si dovrebbe fondare la NATO. Resta poco chiaro se è come verrebbero consultati Mattarella e la Meloni in caso di uso delle bombe di Ghedi (per gli F35 di Amendola) e di Aviano (per gli F-16 USA). Ciò significa che anche Paesi non dotati di armi nucleari – ma membri della NATO – verrebbero trascinati in un conflitto nucleare globale, senza alcuna possibilità di dissentire, nel caso in cui il bottone venisse premuto. Un’Europa per la pace, non per la guerra Quello del 21 giugno non sarà solo un giorno di protesta: sarà un momento di proposta. Le reti pacifiste europee hanno il compito di lavorare a una piattaforma comune per costruire una sicurezza condivisa basata sulla negoziazione e non sul riarmo. Sarà importante dotare i movimenti pacifisti europei di strumenti comuni fra cui un calendario online per condividere le iniziative di mobilitazione. In un tempo segnato da nuove guerre e vecchie logiche di potenza, tocca ai movimenti civili indicare una via d’uscita. E lo stanno facendo nei diversi paesi. Voci di dissenso contro il riarmo europeo: un fronte eterogeneo La proposta di un significativo riarmo a livello europeo sta suscitando un acceso dibattito e un’ampia gamma di opposizioni. Tra le voci più autorevoli che si levano contro questa tendenza spicca la Santa Sede. Papa Francesco ha più volte espresso la sua preoccupazione per l’escalation della spesa militare, esortando a investire invece in iniziative di pace, sviluppo umano integrale e lotta alla povertà. La diplomazia vaticana tradizionalmente promuove il disarmo e la risoluzione pacifica dei conflitti, vedendo nel riarmo un pericoloso incentivo alla guerra e una sottrazione di risorse preziose per il benessere dell’umanità. Il giorno stesso della sua elezione e poi in almeno tre significativi interventi, il nuovo Pontefice, Leone XIV, ha fatto sue le parole del messaggio di Pasqua, vero testamento spirituale di Bergoglio, con la richiesta di un disarmo generalizzato. Questo stesso appello risuona ora in molte comunità cattoliche e tra leader religiosi di diverse fedi, che condividono una visione di pace e fratellanza universale. Oltre alle considerazioni etiche e spirituali, le opposizioni al riarmo europeo si fondano su diverse motivazioni. Movimenti pacifisti e antimilitaristi da tempo denunciano le spese militari come uno spreco di risorse che potrebbero essere destinate a sanità, istruzione, transizione ecologica e welfare. Essi sostengono che un aumento degli armamenti non garantisce maggiore sicurezza, ma anzi alimenta un clima di sospetto e tensione internazionale, incrementando il rischio di conflitti. Anche settori politici di sinistra e forze progressiste esprimono forti riserve. Essi criticano la priorità data alla difesa rispetto ad altre politiche sociali ed economiche, temendo che il riarmo possa portare a un’austerità ancora maggiore e a un depotenziamento dei servizi pubblici. Alcuni mettono in discussione l’efficacia di una corsa agli armamenti come risposta alle sfide geopolitiche attuali, privilegiando invece la via della diplomazia, della cooperazione internazionale e della risoluzione nonviolenta dei conflitti. Non mancano poi le voci più pragmatiche e legate a considerazioni economiche. Alcuni analisti sottolineano i costi proibitivi di un riarmo su vasta scala, mettendo in guardia sui potenziali impatti negativi sui bilanci nazionali e sulla stabilità economica dell’Unione Europea. Si evidenzia anche il rischio di una duplicazione degli sforzi e di una mancanza di coordinamento tra i diversi paesi membri, con conseguente inefficienza della spesa. Infine, una parte dell’opinione pubblica, pur riconoscendo la complessità dello scenario internazionale, manifesta scetticismo verso un aumento massiccio degli armamenti. Sondaggi recenti in diversi paesi europei mostrano una significativa percentuale di cittadini contrari a questa politica, preoccupati per le sue implicazioni sociali ed economiche. In conclusione, l’opposizione al riarmo europeo è un fenomeno molto ampio e radicato, destinato a rimanere vivo e acceso, influenzando le scelte politiche dei prossimi anni.   Laura Tussi
Referendum, il commento dell’Arci
«È mancato il #quorum, è un dato di fatto. C’è anche un po’ di amarezza, inutile nasconderlo, ma c’è anche la consapevolezza che oltre 14 milioni di cittadinɜ che si sono recatɜ alle urne meritano rispetto. Sembra persino strano doverlo dire ma di questi tempi, per quello che si sente, vale la pena ribadirlo. Non c’è delusione: l’#Arci, da nord a sud, si è mobilitata con forza e generosità, perché questi referendum non erano un punto d’arrivo, ma una tappa di un percorso collettivo di protagonismo politico, di partecipazione e di lotta per i diritti e la giustizia sociale. Quello che serve al nostro paese per ripartire. Sull’affluenza, che altro dire? È indubbio che abbiamo promosso i referendum all’interno di una grande crisi democratica e di sfiducia nel voto. Non si può poi negare il peso del silenzio complice dei media e il boicottaggio politico da parte del governo. Una presidente del Consiglio che va al seggio e si rifiuta di ritirare le schede, la seconda carica dello Stato che invita all’astensione, un partito di governo che ironizza dicendo “eravamo tutti al mare”. Sono gesti gravi, che rivelano il disprezzo per la democrazia e un’arroganza istituzionale che dovrebbe indignare chiunque creda nella partecipazione popolare. Eppure in queste settimane si è vista un’altra Italia. Il percorso promosso dalla CGIL e da una vasta alleanza sociale ha riportato al centro un’idea di politica che parte dal basso, si nutre di conflitto e mira a cambiare davvero la vita delle persone. Le nostre vite. Non è poco, soprattutto in un tempo in cui ci vorrebbero passivi e rassegnati. Il lavoro, la sua dignità, la dignità delle lavoratrici e dei lavoratori, il futuro dellɜ ragazzɜ sono un punto di partenza. Tutti temi che tornano con forza grazie a una mobilitazione diffusa e determinata, che parla a chi non si arrende e non accetta che i diritti vengano smantellati nel silenzio. Fare politica oggi vuol dire alzare la testa, istruirsi, organizzarsi e provare a cambiare lo stato attuale delle cose. E noi, da qui, non torniamo indietro.» Walter Massa, presidente nazionale Arci   Redazione Italia
Le bonifiche sempre più in stallo
Su 148.598 ettari di aree a terra inquinate ricadenti nei 41 Siti di Interesse Nazionale (SIN) perimetrati, solo il 24% di suolo è stato caratterizzato e solo il 6% è stato bonificato. Non va meglio per le falde, bonificate appena il 2%. Con l’attuale media di 11 ettari bonificati all’anno ci vorranno mediamente – per i SIN più virtuosi o fortunati – almeno 60 anni prima di vedere l’iter concluso. Gravi ritardi amministrativi che si accompagnano a gravissime omissioni: sono ben 35 i reati di omessa bonifica dal 2015 al 2023 con Sicilia, Lazio e Lombardia le regioni con più illeciti. Eppure, il giro d’affari del risanamento ambientale si aggirerebbe intorno ai 30 miliardi di euro. Sono alcuni dei dati del report che ACLI, AGESCI, ARCI, Azione Cattolica Italiana, Legambiente e Libera hanno presentato nei giorni scorsi sullo stato delle bonifiche dei siti di interesse nazionale, che dimostra come il Paese continui a fare fatica a dare ecogiustizia al popolo inquinato, alle 6,2 milioni di persone che vivono nei principali SIN e SIR monitorati, per gli aspetti sanitari, dal progetto “Sentieri” dell’Istituto superiore di sanità. I dati del report “Le bonifiche in stallo”, che ha concluso la campagna itinerante “Ecogiustizia subito: in nome del popolo inquinato”, parlano chiaro: dei 41 SIN  perimetrati sui 42 censiti dal MASE e che coprono un’area di 148.598 ettari (presenti in tutte le regioni, ad eccezione del Molise), ad oggi solo il 24% (pari a 29.266 ha) della matrice suolo è stato caratterizzato, definendo in questa prima fase tipologia e diffusione dell’inquinamento, uno step fondamentale per progettare gli interventi necessari. Inoltre, solo il 5% del terreno delle aree perimetrate (6.188 ha su 148.598) ha il progetto di bonifica o di messa in sicurezza approvato e solo il 6% dei suoli (7.972 ha su 148.598) ha raggiunto il traguardo della bonifica completa.  Non va meglio per le falde: solo il 23% delle acque sotterranee ha il piano di caratterizzazione eseguito e solo il 7% ha il progetto di bonifica o di messa in sicurezza approvato. Scende al 2% la percentuale che vede il procedimento di bonifica concluso. Preoccupa, poi, la media degli ettari bonificati all’anno, appena 11, una media troppo bassa rispetto agli oltre 140mila ha che restano da bonificare in Italia nei Siti di Interesse Nazionale. Con questo passo, in Italia ci vorranno mediamente, per i SIN più “virtuosi o fortunati”, almeno 60 anni ancora prima di vedere l’iter concluso. Se tutto va bene a partire quindi dal 2085. Per gli altri SIN meno fortunati, i tempi sono paragonabili a quelli per smaltire le scorie nucleari, centinaia di anni se non qualcosa di più in alcuni casi. Bicchiere mezzo pieno, invece, per i Siti di Interesse Regionale (SIR), dove secondo gli ultimi dati raccolti e pubblicati da ISPRA i siti interessati da procedimenti di bonifica nel 2023, sono complessivamente 38.556, dei quali 16.365 con procedimento in corso (42%) e 22.191 (58%) con procedimento concluso. In fatto di SIN e SIR, bisogna considerare anche gli impatti legati alla salute. Secondo lo studio Sentieri nelle aree inquinate oggetto di studio, si registra “un eccesso di mortalità e di ospedalizzazione rispetto al resto della popolazione, e mostrano come nei siti con caratteristiche di contaminazione simili si producano effetti comparabili”. L’altra spia rossa è rappresentata dai 241 controlli e dai 35 reati di omessa bonifica accertati dalle forze dell’ordine dal 1° giugno 2015 (anno dell’entrata in vigore della legge sugli ecoreati che prevede questo delitto specifico) al 31 dicembre 2023. Parliamo di un reato ogni 6,8 controlli, 50 denunce e 7 arresti.  A livello regionale, in questi nove anni la Sicilia risulta essere la prima regione con 17 reati, seguita a grande distanza da Lazio e Lombardia, a quota 5 reati a testa. Terzo posto per la Calabria con 3 reati e al quarto la Campania, con 2. La Sicilia è anche la regione con il maggior numero di denunce, 25 tra enti o imprese e persone fisiche e sequestri, che sono stati 6. Un dato positivo, rispetto ai controlli, è quello della Liguria, dove ne sono stati effettuati ben 141. Come si legge nel report, a livello nazionale sono due i talloni d’Achille: “Il primo riguarda il divario tra quanto previsto dalla normativa e quanto realizzato nella pratica. La tempistica stabilita dalla legge prevede una deadline di 18 mesi per completare le prime tre fasi (caratterizzazione del sito, analisi dei rischi associati alla presenza delle sostanze inquinanti rilevate, predisposizione del POB o di messa in sicurezza operativa/permanente) del processo amministrativo per procedere alle bonifiche dei SIN. Tempi però non rispettati, visto che ci si impiegano anni se non decenni. Il secondo tallone riguarda la mancanza in Italia di una strategia nazionale delle bonifiche, uno strumento fondamentale per velocizzare il risanamento ambientale il cui giro d’affari si aggirerebbe intorno ai 30 mld di euro tra investimenti pubblici e privati. Secondo stime di Confindustria, le risorse necessarie per bonificare i SIN presenti in Italia si aggirano intorno ai 10 miliardi di euro e se le opere partissero oggi, in 5 anni si creerebbero quasi 200.000 posti di lavoro con un ritorno nelle casse dello Stato di quasi 5 miliardi di euro fra imposte dirette, indirette e contributi sociali”. Qui il Report: https://www.legambiente.it/wp-content/uploads/2021/11/Ecogiustizia-report-bonifiche.pdf.  Giovanni Caprio