I portuali, la città e il traffico delle armi del genocidioDA MARSIGLIA A GENOVA, I BLOCCHI AL TRAFFICO DI ARMI VERSO I PAESI IN GUERRA,
COME ISRAELE, RICORDANO NON SOLO CHE LA GUERRA ORIENTA SEMPRE DI PIÙ QUALSIASI
SCELTA DEI GOVERNI BEN OLTRE LA PRODUZIONE, MA ANCHE CHE LA LOGISTICA HA DEI
PUNTI DEBOLI, INTORNO A CUI POSSONO EMERGERE MANIFESTAZIONE D’INTELLIGENZA
POPOLARE DI CUI ABBIAMO MOLTO BISOGNO IN QUESTO TEMPO
Sabato 7 giugno, c’è stata a Genova un’importante manifestazione organizzata dal
CALP (Collettivo Autonomo dei Lavoratori del Porto), con il blocco del varco di
Ponte Etiopia e un breve corteo nell’area portuale, con alcune centinaia di
partecipanti. La motivazione è quella di cui il CALP ha fatto una bandiera e
persegue con convinzione da anni: il blocco al traffico di armi verso i paesi in
guerra, in questo caso Israele. Vale la pena precisarlo, perché nel 2019 la
stessa azione ha avuto come obiettivo un’altra guerra. In quel caso il carico
era destinato all’Arabia Saudita, impegnata a massacrare la popolazione Huti
dello Yemen del Sud.
La collaborazione con i portuali organizzati di altre città è un punto di forza
di questa lotta. La nave della compagnia israeliana ZIM sarebbe dovuta arrivare
a Genova con un carico di quattro containers pieni di materiale bellico da
Marsiglia e destinata a Israele, ma i portuali di quella città si sono rifiutati
di caricarli. La nave è così arrivata a Genova con un giorno di ritardo rispetto
al previsto e senza il famigerato carico di morte. Tutto questo era già a
conoscenza del CALP e l’informazione era stata condivisa il giorno precedente in
una affollata assemblea a Music For Peace. Nonostante questo, si è deciso di
proseguire con la manifestazione in programma per sabato (personalmente, la
considero una scelta sacrosanta).
Provando a vedere le cose al di là del singolo evento, va ribadito un punto
fondamentale che ha a che vedere con la crescente forza strategica della
logistica e della finanza nei processi globali di creazione di valore. La
logistica ha dei punti deboli nella catena di approvvigionamento su scala
mondiale (ne ha anche la finanza, ma sono di altra natura). Sono quelli in cui
una forza organizzata riesce a bloccare temporaneamente o rendere problematico
il fluire di merci. Questo vale per i porti, per Amazon, per gli Steamers
americani. Mettersi con i propri corpi in quegli snodi, con il blocco di un
varco o il picchetto all’entrata di un magazzino, significa mettere in evidenza
la (parziale) vulnerabilità della supply chain, costringere a cambiamenti di
rotta marittima o autostradale le corporations che gestiscono quelle catene.
Viene in mente una domanda che ha fatto Foucault nel corso di due interviste
nella seconda metà degli anni Settanta: “Quando parliamo di lotta di classe, di
che lotta stiamo parlando?” Di queste azioni, non c’è dubbio.
Ciò che è accaduto nel porto di Genova ha una strettissima relazione con tutto
questo, ma con un valore aggiunto, anzi due. Il primo è quello già ricordato
della stretta collaborazione con i lavoratori di altri porti, che crea un
effetto moltiplicatore del danno prodotto dalla lotta. Il secondo è la forza
d’attrazione che il CALP riesce a emanare, producendo una variegata
partecipazione alle proprie iniziative. Rappresenta a Genova un punto di
riferimento importante, funziona come elemento attorno a cui si articolano altri
soggetti. Questo anche perché il CALP sa porsi non solo come collettivo di
lavoratori, ma come collettivo politico, nel senso più preciso del termine. La
lotta che conduce il CALP su questo fronte è una lotta che contribuisce a
definire, nel suo articolarsi con altre forze, l’essere di un soggetto politico
collettivo.
Da anni ormai, come ribadiscono con chiarezza sia Sandro Mezzadra, sia Maurizio
Lazzarato, la guerra è alla base del modello governamentale, quindi ben oltre
quello produttivo, che sta definendo il nuovo assetto globale. Le strategie
continentali, oltre che nazionali (il piano Von Der Layer da 800 mld, e il
processo di riarmo della Germania, ad esempio) stanno disegnando nuovi rapporti
ed equilibri, nuove priorità nella destinazione di risorse e di potere
decisionale. La finanza e la logistica (non dimentichiamoci che quest’ultima ha
una impostazione organizzativa che deriva dal modello bellico) divengono sempre
più strategiche nella costruzione di quel nuovo ordine. I grandi centri
d’investimento che muovono migliaia di trilioni di dollari hanno già scelto su
cosa puntare, come dimostrano le crescite vertiginose del valore delle grandi
multinazionali degli armamenti.
Senza sminuire il valore, che non può essere altro che simbolico, delle
manifestazioni in cui ci sdraia in piazza nei sudari, dell’esibizione di
gigantesche bandiere palestinesi negli stadi (non prendo neanche in
considerazione le ipocrite dichiarazioni di politici che, dopo oltre 50.000
morti, affermano che si sta passando il segno!), l’iniziativa del CALP e dei
lavoratori di altri porti assume una tonalità diversa. È una manifestazione
d’intelligenza operaia, popolare, che dimostra di aver capito bene dove si deve
intervenire se si vuole produrre un sia pur parziale ostacolo. Ma è soprattutto
un progetto politico che si manifesta in uno spazio pubblico (in questo caso del
porto, pubblico-privato), dove al danno materiale si somma la manifestazione
della “alleanza dei corpi” attorno a una lettura del mondo, dove si produce
senso vero di quale sia oggi l’agire politico.
Un caro amico e grande esperto di traffici marittimi-portuali, nonché
sostenitore della prima ora del CALP, con cui eravamo insieme alla
manifestazione (Riccardo degli Innocenti), mi ha detto indicando una nave che
caricava centinaia di container della ZIM: “Chi lo sa cosa può contenere
realmente anche solo il 2% di quei container?” Ha ragione, chiaro. Lui più di me
sa bene come possa essere facile aggirare i controlli.
Oltre a correre il rischio di divenire oggetto d’interesse delle nuove norme del
DDL Sicurezza, chi organizza e chi partecipa a queste forme di lotta sa bene
quali siano i loro limiti. L’estensione del fronte ad altri soggetti, anche di
categorie differenti, può consentire una maggiore efficacia di quelle lotte,
aggiungendo informazioni che consentano di mappare con maggior chiarezza i nodi
della rete logistica che devono essere presidiati. Informazioni, intelligenze,
reti e logistica: del resto, il nemico va affrontato e combattuto sul suo
terreno.
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Ricercatore indipendente e lavoratore nomade, Stefano Rota gestisce il blog di
“Transglobal”. La sua ultima pubblicazione collettiva è: La fabbrica del
soggetto. Ilva 1958-Amazon 2021 (Sensibili alle foglie, 2023). Collabora
saltuariamente con riviste online italiane e lusofone. Ha aderito alla campagna
Partire dalla speranza e non dalla paura
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