Tag - ACLI

Appello alle Amministrazioni pubbliche spezzine: revocate il patrocinio a Seafuture
Comunicato congiunto delle associazioni laicali cattoliche e chiese riformate spezzine, sotto elencate, che si rivolgono alla Regione Liguria e ai Comuni di La Spezia, Lerici, Sarzana e Portovenere chiedendo che revochino il proprio patrocinio alla fiera che promuove il commercio e l’esportazione di armamenti e alla cui edizione di quest’anno è invitao Israele e partecipano delegazioni di Stati esteri belligeranti e governati da regimi autoritari e autocratici.  La nona edizione di Seafuture, in programma dal 29 settembre al 2 ottobre prossimi all’Arsenale Militare Marittimo di La Spezia e organizzata da Italian Blue Growth in collaborazione con la Marina Militare con il sostegno del Segretariato Generale della Difesa – DNA / Direzione Nazionale degli Armamenti, si presenta come “una mostra internazionale che esibisce tecnologie innovative nei settori marittimo, della difesa e del duplice uso (civile e militare)”. Come Associazioni laicali cattoliche e Chiese Riformate crediamo nel desiderio di Dio di “ricapitolare tutte le cose in Cristo” (Ef. 1,10) e nella riconciliazione finale dell’umanità con il Padre in una fraternità definitiva della famiglia umana. Siamo per questo impegnati a vivere il Vangelo personalmente e comunitariamente macrediamo anche che sia necessario che tutto ciò si esprima nella convivenza sociale e politica, operando nel presente i passi concretamente possibili in questa direzione. Per questo vogliamo esprimere insieme il nostro pensiero critico * Seafuture: una fiera finalizzata all’esportazione di armi Seafuture, secondo le dichiarazioni degli organizzatori, si caratterizza per essere una “business opportunity” in cui “gli espositori avranno l’opportunità unica di partecipare a incontri con delegazioni governative estere (B2G) e rappresentanti delle Marine Militari provenienti da tutto il mondo”. Non si tratta, pertanto, di una iniziativa che si rivolge alle esigenze interne della Difesa, ma è finalizzata a presentare prodotti e servizi ad un pubblico globale di leader del settore navale e rappresentanti militari e governativi di diversi Paesi del mondo. In questo quadro, la presenza delle Marine Militari e delle Delegazioni Nazionali di paesi esteri viene considerata come un “fattore chiave” per “soddisfare le richieste del mercato estero della difesa”, favorendo processi di aggregazione e internazionalizzazione “per migliorare la competitività e accrescere la rilevanza complessiva del sistema industriale italiano sul mercato internazionale”. Un mostra, dunque, con spiccate caratteristiche commerciali finalizzata a promuovere l’esportazione di prodotti e tecnologie militari. Da ciò deriva una fondamentale criticità che riguarda la commistione dei settori che contrassegnano Seafuture tradendo l’originale impostazione. * Commistione dei settori civile e militare Sono settori con caratteri, compiti e finalità differenti che, per le loro specificità, dovrebbero essere mantenuti separati. Mentre, infatti, una delle caratteristiche principali del settore delle tecnologie civili è la competitività industriale e commerciale, concorrenza e competitività nonappartengono al settore della Difesa che, secondo il nostro dettato costituzionale, ha come compito specificola promozione della sicurezza e della pace. Consideriamo perciò inaccettabile la tendenza, già dalle scorseedizioni, ad assimilare nell’ambito militare anche le iniziative riguardanti la “Blue Economy” e la mancanza di attenzione al problema della transizione ecologica. Il settore militare e civile dovrebbero essere oggetto di eventi differenti e separati, regolamentati secondo le proprie normative anche in riferimento alle tecnologie a duplice uso (civile e militare) sottoposte alle norme europee e nazionali tra cui la legge 185 del1990, legge promossa dalla società civile per regolamentare l’esportazione di armamenti, che chiediamo venga applicata con rigore e trasparenza. * Le delegazioni dei Paesi invitati e partecipanti Gli organizzatori riportano di aver invitato 140 delegazioni di Paesi esteri e di queste, ad oggi, avrebbero confermato la partecipazione a Seafuture 46 delegazioni di cui 40 rappresentanze di Marine Militari (Navy) e 6 di Delegazioni Nazionali (NAD). Scorrendo la lista delle rappresentanze rileviamo che, oltre alle dodici tra Marine Militari e Delegazioni Nazionali dei Paesi dell’Unione Europea, figurano – le Marine Militari e Delegazioni Nazionali di 14 Stati esteri che l’Indice di Democrazia redatto dalla Intelligence Unit del settimanale “The Economist” (qui il Report; qui una sintesi) definisce “Regimi Autoritari” (Algeria, Camerun, Gibuti, Egitto, Etiopia, Mauritania, Azerbaijan, Iraq, Kuwait, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Vietnam, Pakistan e Arabia Saudita) – le Marine Militari di 8 Stati che l’Indice di Democrazia definisce “Regimi Ibridi”, cioè regimi autocratici e repressivi (Ecuador,Messico, Perù, Costa d’Avorio, Tanzania, Tunisia, Bangladesh e Turchia). La Somalia, presente a Seafuture con una rappresentanza della propria Marina, non è classificata dall’Economist in quanto fino al 2024 è stato considerata uno “Stato instabile” e dal 1992 al 2023 è stata sottopost a misure di embargo e restrizioni sulle importazioni di armi e materiali militari che sono state rimosse dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite solo nel dicembre del 2023. L’esatta metà delle delegazioni degli Stati esteri che parteciperanno a Seafuture è costituita da regimi autoritari e autocratici. Sono state inoltre invitate la Marina Militare e la Delegazione Nazionale di Israele: avrebbero rinunciato a partecipare, ma nei confronti delle rappresentanze di Israele – nonostante lo sterminio sistematico da parte delle forze armate israeliane perpetrato nei confronti della popolazione della Striscia di Gaza e del Territorio palestinese occupato – gli organizzatori di Seafuture non hanno mai revocato l’invito. Questo significa che, secondo gli organizzatori di Seafuture, i governi di questi Paesi sarebbero una controparte affidabile, rispettosa dei diritti umani e delle libertà democratiche, a cui esportare armamenti e sistemi militari. Riteniamo che questo sia inammissibile: nonostante questi Paesi nonsiano oggetto di misure restrittive sui trasferimenti di armi, tecnologie militari e a duplice uso, non dorrebberoessere invitati ad un mostra internazionale come Seafuture che è finalizzata al commercio di materiali militari. * La nostra visione di Seafuture Nelle nostre coscienze e nella nostra visione, il futuro dell’industria navale e del mare non possono continuare a dipendere dalla produzione e dal commercio di sistemi militari sostenuti sottraendo risorse al settore civile. Il Mediterraneo deve essere un ponte di incontro tra i popoli e le culture, tra i centri di ricerca e tuttele realtà interessate a promuovere la tutela del mare, la sostenibilità ambientale, il turismo responsabile e losviluppo sostenibile nel rispetto dei diritti delle persone e dei popoli. Rispetto che vediamo negato dalle morti dei migranti in quel mare di cui si vorrebbe tracciare il futuro e dai respingimenti che li riportano nei paesi dove i loro diritti vengono calpestati mettendone a rischio la loro incolumità e la loro stessa vita stessa. In considerazione di tutto questo, ci uniamo alle richieste espresse già in passato da diverse associazioni affinché Seafuture ritorni alla sua mission originaria: una manifestazione internazionale dell’area mediterranea dedicata a innovazione, ricerca, sviluppo delle tecnologie civili inerenti al mare, per promuovere la sostenibilità ambientale e sociale. * I PATROCINI A SEAFUTURE La lista, disponibile sul sito ufficiale fino al 17 agosto scorso, riportava tra le 140 rappresentanzenazionali invitate a Seafuture quelle di altri “Regimi Autoritari” (tra cui Libia, Bahrain, Cina, Giordania, Libano, Oman, Kazakistan, Turkmenistan, Mozambico, Repubblica del Congo e Togo). In considerazione di questa situazione che ha visto l’invito e vedrà l’ampia partecipazione di rappresentanze di regimi autoritari chiediamo alle Amministrazioni pubbliche che hanno concesso il proprio patrocinio a Seafuture (Regione Liguria, Comuni della Spezia, Lerici, Sarzana e Portovenere) di revocarlo. Riteniamo infatti che le Amministrazioni pubbliche dello Stato italiano non debbano in alcun modo promuovere eventi a cui partecipano rappresentanze militari, istituzionali e delle aziende militari di governi repressivi in modo particolare se questi eventi – come Seafuture – si caratterizzano per la promozione della vendita di armamenti e tecnologie militari. Esprimiamo inoltre forte contrarietà riguardo ad ogni eventuale coinvolgimento degli studenti delle scuole secondarie in Seafuture per la mancanza di un’informazione completa e pluralistica sul significato dell’evento tale da permettere loro di valutare la sua trasformazione in rassegna degli armamenti navali promossa dal comparto industriale-militare.   Come Associazioni laicali cattoliche e Chiese Riformate impegnate a vivere e testimoniare i valori evangelici di pace e riconciliazione deploriamo il ricorso alla forza per la risoluzione dei conflitti e l’aumento delle spese militari e ci adoperiamo per promuovere la riduzione degli armamenti, la solidarietà tra i popoli e la cultura della nonviolenza. * ACLI Provinciali (La Spezia) – Marco Formato (Presidente) * Associazione Mondo Nuovo Caritas (La Spezia) – don Luca Palei (Presidente) * Azione Cattolica (La Spezia) – Stefano Lorenzini (Presidente) * Betania Amici del Sermig Odv (La Spezia) – Giovanni Ricchetti (Presidente) * Chiesa Cristiana Evangelica Battista (La Spezia) – Sandra Spada (Pastora) * Chiesa Evangelica Metodista (La Spezia) – Massimo Marottoli (Pastore) * Movimento Adulti Scout Cattolici Italiani (La Spezia) – Matteo Pucci (Magister) * Movimento dei Focolari (La Spezia) – Alessandro Carrozzi (Referente)   comunicato divulgato il 10 SETTEMBRE 2025 : A proposito di Seafuture 2025. La Spezia dal 29 settembre al 2 ottobre  Maddalena Brunasti
Sovraindebitamento: mancano i fondi per i Servizi di Consulenza sul Debito
Il sovraindebitamento è la condizione di crisi o di insolvenza del debitore che non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni anche considerando le disponibilità economiche dei successivi dodici mesi. Questa situazione può riguardare privati, aziende, ma anche famiglie e singoli consumatori. La definizione normativa si trova nella legge n. 3 del 2012 “Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché, di composizione delle crisi da sovraindebitamento”. Nel 2022, secondo l’ultimo rapporto della Banca d’Italia pubblicato nel 2024, il 26% delle famiglie italiane era indebitato. A fronte di una sostanziale stabilità della percentuale di famiglie con debiti per finalità di consumo (circa il 10%), è cresciuta quella dei nuclei indebitati per immobili (al 13,9% dal 12,1% del 2020) o per ragioni professionali (al 2,5% dal 2,1%). Al contrario, si è ridotta l’incidenza delle famiglie con debiti per scoperto di conto corrente o su carta credito (al 4,6% dal 5,7%) e con debiti verso parenti e amici (all’1,4% dal 2,3%). Il debito è concentrato nelle famiglie con maggiore capacità di sopportarne gli oneri: nel 2022 la metà delle famiglie con redditi più elevati deteneva l’85% dei prestiti complessivi erogati da intermediari finanziari (https://www.bancaditalia.it/media/notizia/indagine-sui-bilanci-delle-famiglie-italiane-nell-anno-2022/). Secondo le proiezioni del modello di microsimulazione della Banca d’Italia diffuse ad aprile 2025, la vulnerabilità finanziaria delle famiglie peggiorerebbe di circa un decimo di punto (al 7,7%, dal 7,6% del debito delle famiglie) nel corso del 2025. Gli Organismi di Composizione della Crisi (OCC) sono enti che aiutano le persone a gestire il sovraindebitamento. Il Ministero della Giustizia gestisce il Registro degli Organismi di composizione della crisi da sovraindebitamento consultabile al https://crisisovraindebitamento.giustizia.it/registro.aspx. Nel 2023, ci sono state 7.748 richieste di aiuto agli OCC in Italia e le procedure più usate sono state: liquidazione controllata nel 55% delle richieste; ristrutturazione dei debiti del consumatore nel 34% delle richieste; concordato minore per l’ 11% delle richieste. Nel 2024, i dati di Milano e provincia mostrano un aumento delle richieste: 298 nuove domande, con un +7,7% rispetto al 2023. La Liquidazione Controllata è diventata ancora più dominante, rappresentando il 72% dei casi. Questo indica che sempre più persone cercano una soluzione definitiva ai loro problemi di debito. Un aspetto critico è che molte pratiche non vanno a buon fine: circa la metà viene abbandonata prima ancora di iniziare, e 3 su 4 di quelle che arrivano in tribunale vengono rifiutate. Il sovraindebitamento però non è un problema solo italiano, ma riguarda tutta l’Europa, anzi contrariamente a quanto si potrebbe pensare, le famiglie italiane sono tra le meno indebitate in Europa. Il nostro patrimonio netto è infatti solido, e ci posizioniamo al terzo posto in Europa per ricchezza netta delle famiglie. Paesi come Svizzera, Paesi Bassi, Lussemburgo e Danimarca hanno un indebitamento familiare molto più alto rispetto all’Italia. E’ quanto si legge nel Report “Oltre il Debito, Osservatorio Semestrale sul Sovraindebitamento. Primo Semestre 2025”, messo a punto da Clinica del Debito, un’iniziativa nata per offrire un punto di riferimento concreto a tutte le persone e famiglie in difficoltà finanziaria, che si pone l’obiettivo di aiutare chi si trova in una condizione di sovraindebitamento a ritrovare equilibrio, serenità e soluzioni, grazie a strumenti legali accessibili e a un approccio umano e personalizzato (https://clinicadeldebito.it/).  Ma perché ci si indebita troppo? Le cause del sovraindebitamento sono diverse e spesso si combinano tra loro. Queste le tipologie più frequenti: 1. Perdita di lavoro o riduzione del reddito: un evento inaspettato come la perdita del lavoro o una malattia può far crollare le entrate. 2. Spese impreviste: un guasto all’auto, una spesa medica urgente o un problema in casa possono mettere in crisi il bilancio familiare. 3. Troppi prestiti: a volte, si prendono troppi prestiti senza valutare bene la propria capacità di restituirli, magari per comprare beni non essenziali o per coprire altri debiti. 4. Aumento del costo della vita: l’inflazione e l’aumento dei prezzi di beni e servizi rendono più difficile arrivare a fine mese, spingendo le persone a indebitarsi. 5. Aumento dei tassi di interesse: se si hanno prestiti a tasso variabile, un aumento dei tassi può rendere le rate insostenibili. La “Clinica del Debito” avanza alcuni consigli pratici, come: puntare sulla prevenzione, offrendo corsi e materiali per migliorare l’educazione finanziaria, aiutando le persone a gestire il budget e a creare un fondo di emergenza; offrire un supporto su misura, ascoltando attentamente le storie delle persone e offrire soluzioni personalizzate, tenendo conto della loro situazione familiare, lavorativa e geografica; monitorare i l’andamento del sovraindebitamento in Italia e in Europa, prestando attenzione alle differenze regionali e all’impatto delle nuove leggi; collaborare con gli esperti, lavorando a stretto contatto con gli Organismi di Composizione della Crisi (OCC) e altri professionisti del settore per guidare al meglio i clienti verso le soluzioni più efficaci; informare e sensibilizzare, promuovendo la consapevolezza sui rischi del sovraindebitamento e sulle possibilità di aiuto, per rompere il silenzio e la vergogna che spesso accompagnano questa condizione. Il 15 giugno 2025, la Camera dei Deputati ha approvato la Legge Comunitaria che recepisce, tra le altre, la direttiva UE 2023/2225 sui contratti di credito ai consumatori e prevede servizi di consulenza sul debito gratuiti e indipendenti per i consumatori per prevenire il sovraindebitamento. Adiconsum, Movimento Consumatori e Acli hanno avanzato alcune perplessità e due richieste al Governo Meloni: un intervento immediato per individuare le risorse necessarie e garantire un servizio efficiente, capace di assicurare un dignitoso tenore di vita ai cittadini in difficoltà; l’apertura di un tavolo di confronto con il Governo per rappresentare le esigenze dei consumatori indebitati, auspicando soluzioni concrete per un problema che non può più essere rimandato. Qui per approfondire: https://adiconsum.it/sovraindebitamento-approvata-la-legge-comunitaria-ma-senza-fondi-per-i-servizi-di-consulenza-sul-debito-rischia-di-essere-unarma-spuntata/.  Giovanni Caprio
La “sostenibilità” delle famiglie, il ceto medio impoverito e il “mito” della fuga all’estero dei giovani
Si è concluso ed è stato presentato di recente il percorso di ricerca “Abitare un mondo sostenibile”, promosso dalle ACLI per indagare il rapporto tra famiglia e stili di vita sostenibili. L’iniziativa ha restituito uno spaccato prezioso e articolato di come le famiglie italiane vivano e interpretino la sostenibilità nelle proprie scelte quotidiane. Condotta nella primavera del 2024 su un campione rappresentativo di 1.052 famiglie italiane, l’indagine – di natura quantitativa – ha esplorato abitudini, comportamenti, motivazioni e ostacoli legati alla sostenibilità ambientale, economica e sociale nel contesto familiare. I risultati sono stati raccolti in un volume edito da Rubbettino. Dall’analisi emerge una diffusa sensibilità alla sostenibilità: per oltre il 70% del campione, gli stili di vita sostenibili rappresentano una scelta necessaria e quotidiana. Le pratiche indagate – dalla raccolta differenziata al consumo responsabile, dalla mobilità alternativa alla produzione di energia domestica – sono ormai parte integrante della quotidianità familiare, seppur con intensità differenti. La ricerca identifica tre profili familiari rispetto all’approccio alla sostenibilità: le famiglie eco-minimali (14,7%), che si attengono alle pratiche obbligatorie; le famiglie eco-realiste (50%), che conciliano sostenibilità e praticità; le famiglie eco-radicali (35,3%), che adottano uno stile di vita integralmente sostenibile. Particolare attenzione è stata riservata alle motivazioni psicologiche e culturali che guidano l’adozione di pratiche sostenibili, nonché alla relazione tra condizione economica e comportamenti ambientali. Contro ogni aspettativa, la sostenibilità si è rivelata più diffusa tra le famiglie economicamente vulnerabili, che sembrano riconoscervi una strategia di autodifesa e riscatto sociale. Al contrario, i ceti più abbienti appaiono più riluttanti verso cambiamenti strutturali dello stile di vita. Un dato importante che emerge riguarda l’eco-ansia e l’emotività associata alla crisi ambientale: è il mix di preoccupazione e fiducia a spingere le famiglie italiane ad agire con maggiore consapevolezza verso un futuro più sostenibile (https://www.acliroma.it/presentazione-volume-e-ricerca-acli-iref-abitare-un-mondo-sostenibile/).  Tra le conclusioni della ricerca vi è, tra l’altro, un riferimento all’impoverimento del ceto medio, che l’IREF, l’istituto di ricerca delle ACLI,  aveva già indagato con un report presentato a maggio scorso dal titolo “Sempre meno ceto medio”, dal quale emergeva uno scivolamento del ceto medio, ben il 10%, e quindi di coloro che hanno anche un lavoro, verso la povertà. “Tra il 2020 e il 2024, si sottolineava nella ricerca, la percentuale di famiglie appartenenti al ceto medio (reddito tra il 70% e il 200% del reddito mediano) è scesa dal 59,6% al 54,9%. In particolare, oltre 55.000 famiglie sono passate dal ceto medio al ceto inferiore. In sostanza il 10% delle famiglie del panel è passata dal ceto medio al ceto inferiore mentre solo lo 0,8% è riuscito a salire al ceto superiore” (https://www.acli.it/giornata-internazionale-della-famiglia-acli-iref-sempre-meno-ceto-medio-il-10-scivola-verso-il-basso/). E al ceto medio è dedicato anche un recente Rapporto Censis-Cid dal titolo “Rilanciare l’Italia dal ceto medio. Riconoscere competenze e merito, ripensare fisco e welfare”. “Non è più maggioranza, si legge nel Report, la quota di famiglie del ceto medio che si sente con le spalle coperte ed è significativa la quota che dichiara di avere reti di tutela molto o abbastanza fragili, alla mercé della moltiplicazione dei rischi e delle nuove incertezze. E questa instabilità economica, proiettata in avanti nel tempo, contribuisce a spiegare il nuovo mito nazionale dei genitori di ceto medio per i propri figli: che si trasferiscano all’estero per trovare un’attività professionale all’altezza del proprio livello culturale, su cui le famiglie investono con impegno sin dalle scuole dell’obbligo”. In estrema sintesi, il mito italiano tipico delle famiglie di ceto medio del nostro tempo è quello di  investire nella formazione dei figli per poi sperare in una loro buona collocazione in un paese diverso dall’Italia. E la voglia di fuga riguarda anche giovani di ceto medio senza alta qualificazione o elevato titolo di studio, per i quali i genitori sono convinti troverebbero più facilmente all’estero un lavoro qualsiasi e che, pertanto, sperano decidano di giocare il proprio progetto di vita in paesi più ospitali dell’Italia. In particolare, il 51,3% dei genitori di ceto medio è convinto che i propri figli e in generale i giovani farebbero meglio a cercare all’estero il lavoro per cui hanno studiato e/o che gli piace. Il 27,8% dei genitori che si autodefiniscono di ceto medio pensa anche che sarebbe opportuno per i figli, e in generale per i giovani italiani, trasferirsi all’estero per cercare un lavoro qualsiasi. Inoltre, il 35,1% dei genitori di ceto medio pensa che ai propri figli e ai giovani italiani converrebbe provare a realizzare all’estero il proprio progetto di vita perché l’Italia non è un Paese per giovani. Il 24,5% dei genitori di ceto medio apprezzerebbe poi che i propri figli frequentassero le scuole superiori all’estero, il 52,8% che i figli frequentassero l’università all’estero e il 71,6% ritiene positivo per i giovani laureandi un periodo in Erasmus, cioè un periodo di studio in una università di altri Paesi membri dell’UE. Qui per scaricare il Rapporto: https://www.censis.it/economia/rapporto-cida-censis.  Giovanni Caprio
Le bonifiche sempre più in stallo
Su 148.598 ettari di aree a terra inquinate ricadenti nei 41 Siti di Interesse Nazionale (SIN) perimetrati, solo il 24% di suolo è stato caratterizzato e solo il 6% è stato bonificato. Non va meglio per le falde, bonificate appena il 2%. Con l’attuale media di 11 ettari bonificati all’anno ci vorranno mediamente – per i SIN più virtuosi o fortunati – almeno 60 anni prima di vedere l’iter concluso. Gravi ritardi amministrativi che si accompagnano a gravissime omissioni: sono ben 35 i reati di omessa bonifica dal 2015 al 2023 con Sicilia, Lazio e Lombardia le regioni con più illeciti. Eppure, il giro d’affari del risanamento ambientale si aggirerebbe intorno ai 30 miliardi di euro. Sono alcuni dei dati del report che ACLI, AGESCI, ARCI, Azione Cattolica Italiana, Legambiente e Libera hanno presentato nei giorni scorsi sullo stato delle bonifiche dei siti di interesse nazionale, che dimostra come il Paese continui a fare fatica a dare ecogiustizia al popolo inquinato, alle 6,2 milioni di persone che vivono nei principali SIN e SIR monitorati, per gli aspetti sanitari, dal progetto “Sentieri” dell’Istituto superiore di sanità. I dati del report “Le bonifiche in stallo”, che ha concluso la campagna itinerante “Ecogiustizia subito: in nome del popolo inquinato”, parlano chiaro: dei 41 SIN  perimetrati sui 42 censiti dal MASE e che coprono un’area di 148.598 ettari (presenti in tutte le regioni, ad eccezione del Molise), ad oggi solo il 24% (pari a 29.266 ha) della matrice suolo è stato caratterizzato, definendo in questa prima fase tipologia e diffusione dell’inquinamento, uno step fondamentale per progettare gli interventi necessari. Inoltre, solo il 5% del terreno delle aree perimetrate (6.188 ha su 148.598) ha il progetto di bonifica o di messa in sicurezza approvato e solo il 6% dei suoli (7.972 ha su 148.598) ha raggiunto il traguardo della bonifica completa.  Non va meglio per le falde: solo il 23% delle acque sotterranee ha il piano di caratterizzazione eseguito e solo il 7% ha il progetto di bonifica o di messa in sicurezza approvato. Scende al 2% la percentuale che vede il procedimento di bonifica concluso. Preoccupa, poi, la media degli ettari bonificati all’anno, appena 11, una media troppo bassa rispetto agli oltre 140mila ha che restano da bonificare in Italia nei Siti di Interesse Nazionale. Con questo passo, in Italia ci vorranno mediamente, per i SIN più “virtuosi o fortunati”, almeno 60 anni ancora prima di vedere l’iter concluso. Se tutto va bene a partire quindi dal 2085. Per gli altri SIN meno fortunati, i tempi sono paragonabili a quelli per smaltire le scorie nucleari, centinaia di anni se non qualcosa di più in alcuni casi. Bicchiere mezzo pieno, invece, per i Siti di Interesse Regionale (SIR), dove secondo gli ultimi dati raccolti e pubblicati da ISPRA i siti interessati da procedimenti di bonifica nel 2023, sono complessivamente 38.556, dei quali 16.365 con procedimento in corso (42%) e 22.191 (58%) con procedimento concluso. In fatto di SIN e SIR, bisogna considerare anche gli impatti legati alla salute. Secondo lo studio Sentieri nelle aree inquinate oggetto di studio, si registra “un eccesso di mortalità e di ospedalizzazione rispetto al resto della popolazione, e mostrano come nei siti con caratteristiche di contaminazione simili si producano effetti comparabili”. L’altra spia rossa è rappresentata dai 241 controlli e dai 35 reati di omessa bonifica accertati dalle forze dell’ordine dal 1° giugno 2015 (anno dell’entrata in vigore della legge sugli ecoreati che prevede questo delitto specifico) al 31 dicembre 2023. Parliamo di un reato ogni 6,8 controlli, 50 denunce e 7 arresti.  A livello regionale, in questi nove anni la Sicilia risulta essere la prima regione con 17 reati, seguita a grande distanza da Lazio e Lombardia, a quota 5 reati a testa. Terzo posto per la Calabria con 3 reati e al quarto la Campania, con 2. La Sicilia è anche la regione con il maggior numero di denunce, 25 tra enti o imprese e persone fisiche e sequestri, che sono stati 6. Un dato positivo, rispetto ai controlli, è quello della Liguria, dove ne sono stati effettuati ben 141. Come si legge nel report, a livello nazionale sono due i talloni d’Achille: “Il primo riguarda il divario tra quanto previsto dalla normativa e quanto realizzato nella pratica. La tempistica stabilita dalla legge prevede una deadline di 18 mesi per completare le prime tre fasi (caratterizzazione del sito, analisi dei rischi associati alla presenza delle sostanze inquinanti rilevate, predisposizione del POB o di messa in sicurezza operativa/permanente) del processo amministrativo per procedere alle bonifiche dei SIN. Tempi però non rispettati, visto che ci si impiegano anni se non decenni. Il secondo tallone riguarda la mancanza in Italia di una strategia nazionale delle bonifiche, uno strumento fondamentale per velocizzare il risanamento ambientale il cui giro d’affari si aggirerebbe intorno ai 30 mld di euro tra investimenti pubblici e privati. Secondo stime di Confindustria, le risorse necessarie per bonificare i SIN presenti in Italia si aggirano intorno ai 10 miliardi di euro e se le opere partissero oggi, in 5 anni si creerebbero quasi 200.000 posti di lavoro con un ritorno nelle casse dello Stato di quasi 5 miliardi di euro fra imposte dirette, indirette e contributi sociali”. Qui il Report: https://www.legambiente.it/wp-content/uploads/2021/11/Ecogiustizia-report-bonifiche.pdf.  Giovanni Caprio
DECRETO SICUREZZA: CONTINUA IL DIGIUNO A STAFFETTA. “UNA CATENA DI SOLIDARIETÀ PER I DIRITTI DI TUTTE E TUTTI”
Il 29 aprile scorso diverse associazioni e organizzazioni della società civile hanno lanciato un’azione collettiva di disobbedienza e resistenza civile contro il decreto Sicurezza. Si tratta di un digiuno a staffetta, una “catena di solidarietà per i diritti di tutte e tutti” che questa mattina, mercoledì 14 maggio, è stata portata in Senato. L’iniziativa – promossa e organizzata da A Buon Diritto, Acli, Antigone, Arci, Cgil, Cnca – Coordinamento nazionale comunità accoglienti, Forum Droghe, L’Altro Diritto, La società della Ragione e Ristretti Orizzonti – vuole offrire uno strumento di lotta in più per denunciare e ribadire “l’illegalità costituzionale, la prepotenza e la violenza istituzionale del decreto legge sicurezza approvato dal governo con un bliz l’11 aprile 2025”. “Attraverso il digiuno – sottolineano nel comunicato le realtà promotrici – vogliamo solidarizzare con tutte e tutti coloro che stanno già subendo le conseguenze violente del DL sicurezza, e allargare al massimo il fronte della protesta contro un provvedimento che limita gravemente lo spazio civico, criminalizza il dissenso pacifico e mette a rischio i diritti fondamentali di cittadine e cittadini”. La campagna ha già superato i 300 partecipanti e proseguirà fino al 30 maggio, vigilia della manifestazione nazionale a Roma contro il DL sicurezza chiamata dall’Assemblea Nazionale Rete No DDL Sicurezza – A Pieno Regime. Qui tutte le informazioni e il link al modulo predisposto per l’adesione. Ai microfoni di Radio Onda d’Urto il segretario di Forum Droghe, Leonardo Fiorentini, con cui siamo entrati nel dettaglio di questa azione di protesta, delle sue finalità e della sua presentazione al Senato proprio mentre alla Camera era in corso una riunione di maggioranza sul DL sicurezza durante la quale sarebbe stata data l’indicazione, secondo quanto si apprende, di procedere in maniera blindata sul provvedimento. Ascolta o scarica