In Tunisia mi hanno venduto ai libici per meno di una capra: le testimonianze della tratta di statoUna realtà comincia ad emergere con chiarezza dai racconti dei sopravvissuti
soccorsi dalla nave di SOS MEDITERRANEE, la Ocean Viking: esiste una tratta di
esseri umani facilitata e gestita anche da apparati statali tunisini verso le
milizie libiche; attraverso il confine nel deserto, le persone intercettate in
mare dalle autorità di Tunisi sarebbero vendute a bande di trafficanti libiche.
Sono gli stessi Stati che l’Europa e l’Italia finanziano con denaro pubblico,
propagandando il contributo come “contrasto al traffico di esseri umani”
Dopo essere stati intercettati dalle autorità tunisine, tre migranti provenienti
dall’Africa occidentale, soccorsi da SOS MEDITERRANEE, raccontano come sono
stati consegnati alle milizie libiche, detenuti ed estorti. Le loro
testimonianze rivelano l’inquietante realtà della tratta di esseri umani tra
Tunisia e Libia, resa possibile dalla complicità statale.
VENDUTI, NON DEPORTATI – “IO, VENDUTO PER MENO DI UNA CAPRA”
Quando il gommone su cui viaggiavano è stato soccorso il 20 gennaio 2025 nella
zona SAR libica, molte delle persone a bordo avevano già affrontato ripetuti
viaggi, arresti e detenzioni. Alcuni dei sopravvissuti, tra cui Charly*, Ivanna*
e Aïssa*, hanno condiviso racconti particolarmente drammatici, una volta a bordo
della Ocean Viking. Tutti e tre hanno raccontato di essere stati intercettati
dalle autorità tunisine, per poi essere venduti alle milizie libiche oltre
confine, nel deserto.
“La polizia tunisina ci ha venduto a rapitori, a banditi libici”, ha detto
Charly, un pittore del Camerun. “Il prezzo di vendita era di 150 dinari [circa
25 euro], meno del prezzo di una capra”.
Charly è stato intercettato per la prima volta al largo della Tunisia dopo aver
tentato di raggiungere Lampedusa in barca. Era tra le circa 200 persone fermate
in mare e riportate con forza a Sfax, dove lui e gli altri sono stati picchiati,
legati e caricati su autobus. I veicoli hanno viaggiato per ore senza fermarsi,
senza fornire cibo o acqua.
“Ci hanno trasportato su questi autobus dove non c’erano posti a sedere. Ci
siamo seduti per terra con le mani legate dietro la schiena e ci hanno
picchiato. Abbiamo trascorso 10 ore sugli autobus. Ci hanno torturato e ci hanno
detto che i neri non dovevano venire in Tunisia”, ha raccontato. “Quando siamo
arrivati nel deserto, abbiamo visto i pick-up libici e i tunisini ci hanno
venduto a rapitori, a banditi libici”.
RAID E RAPIMENTI – “RAPITI DALLA FINTA POLIZIA”
Ivanna, 26 anni, viveva in una casa con circa 100 altri migranti a El Jem, in
Tunisia, quando è stata arrestata in un raid notturno della polizia locale.
“Ci hanno ammanettato e messo in macchina, portandoci nel deserto”, ha
raccontato. “Siamo arrivati in un posto dove c’era scritto ‘centro di
deportazione’. Erano uomini armati provenienti dalla Libia. Ci hanno caricato su
un camion con la scritta ‘polizia’, ma non era la polizia: erano i trafficanti.
Le loro armi erano puntate contro di noi e i libici hanno dato alla polizia
tunisina dei soldi in una borsa”.
È stata rinchiusa in una prigione gestita da un uomo di Tripoli. Per ottenere il
suo rilascio, ha dovuto chiamare sua sorella in Camerun, che si è indebitata per
pagare 450.000 franchi CFA centrafricani [circa 690 euro].
“Sono rimasta in prigione per un mese, mangiando pochissimo: pane e formaggio,
solo questo. Faceva molto caldo”.
Una volta rilasciata, ha lavorato per otto mesi senza paga, come serva, per una
famiglia libica che le avrebbe pagato la traversata del Mediterraneo centrale.
MORIRE IN DETENZIONE – “LA MIA AMICA È MORTA APPOGGIATA ALLE MIE GINOCCHIA”
Aïssa, 22 anni, della Guinea Conakry, ha raccontato di aver vissuto fatti
simili. Nell’estate del 2023 è stata intercettata dalla guardia costiera
tunisina mentre tentava di attraversare il Mediterraneo da Sfax.
“Ci hanno maltrattato, picchiato e trasferito in un autobus. Dentro era come
essere in un frigorifero, tutto chiuso. Ci hanno legato le mani e ci hanno
spostato. Non sapevo dove stavo andando”.
L’autobus l’ha portata al confine libico, dove è stata consegnata a uomini in
uniforme militare. È stata portata a Zawiya, in un sito gestito da un uomo di
nome Osama – un uomo di cui ha parlato anche Charly. Il sito fungeva sia da
centro di detenzione che da punto di partenza per le traversate in barca.
“Due dei miei amici sono morti in prigione. Una è morta sulle mie ginocchia.
Quando hanno portato fuori il suo corpo, stavo piangendo. Mi hanno colpito per
farmi smettere e calmare. Per uscire, ho chiamato la mia famiglia in Guinea.
Sono rimasta in quella prigione per otto mesi. Mi hanno mandato 4.000 dinari
[circa 650 euro] per farmi uscire”.
IL TRAFFICO DI ESSERI UMANI FACILITATO DALLO STATO
Le testimonianze di Charly, Ivanna e Aïssa sono in linea con i risultati di
altre indagini, che evidenziano il diretto coinvolgimento delle autorità
tunisine nella vendita e nel trasferimento forzato di migranti a gruppi armati
in Libia. Il rapporto State Trafficking, pubblicato nel gennaio 2025 dal
collettivo di ricercatori RRX, documenta una pratica sistematica: i migranti
subsahariani in Tunisia vengono presi di mira in raid di larga scala, detenuti
senza un regolare processo e poi consegnati ad attori libici noti per la
gestione di reti di traffico ed estorsione. Durante la presentazione del
rapporto al Parlamento dell’Unione europea il 29 gennaio 2025, SOS MEDITERRANEE
ha condiviso alcune di queste testimonianze. Lucille Guenier, responsabile della
comunicazione dell’organizzazione e autrice delle interviste a Charly, Ivanna e
Aïssa, ha riferito che molte altre persone a bordo della Ocean Viking avevano
vissuto esperienze simili, ma hanno preferito non esporsi per timore di
ritorsioni. Queste pratiche non sono però isolate. In diversi casi documentati,
le autorità tunisine hanno condotto espulsioni collettive con il pretesto della
sicurezza delle frontiere o dell’espulsione. In pratica, però, hanno trasportato
i migranti in zone desertiche remote, dove sono stati consegnati a gruppi armati
libici in cambio di denaro.
Queste testimonianze trovano riscontro anche in una comunicazione diffusa
dall’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani
(OHCHR) nell’ottobre 2024, in cui venivano espresse gravi preoccupazioni per le
numerose segnalazioni ricevute riguardo alla vendita di migranti, rifugiati e
richiedenti asilo da parte delle forze di sicurezza tunisine a gruppi armati non
statali attivi in Libia. Tali pratiche costituiscono una chiara violazione del
diritto internazionale, incluso il principio di non respingimento, che proibisce
il trasferimento forzato di persone verso Paesi dove potrebbero subire torture o
trattamenti inumani e degradanti.
IL CICLO DI ABUSI IN LIBIA
Una volta entrati in Libia, tutti e tre i sopravvissuti hanno parlato di abusi
sistematici, che vanno dal lavoro forzato alla detenzione arbitraria e alla
violenza fisica. Carceri come Bir Al Ghanam e Zawiya, di cui sia Charly che
Aïssa hanno parlato, fanno parte di una vasta rete di luoghi di detenzione dove
i migranti sono tenuti in ostaggio per ottenere un riscatto.
“C’è un uomo di nome Osama che dice di essere una ONG e di voler aiutare le
persone ad attraversare”, ha detto Charly. “Ha le sue barche. Ha allestito un
campo a Zawiya, una sua prigione dove raduna le persone”.
Mentre Charly alla fine è riuscito a guadagnarsi la via d’uscita dipingendo
case, altri – come Ivanna e Aïssa – sono stati costretti a lavorare per mesi per
assicurarsi il rilascio o per finanziare un altro tentativo di attraversamento.
Charly ha anche spiegato perché il mare è l’unica via d’uscita dal ciclo di
sfruttamento e abusi in Libia. “Quando sono arrivato in Libia, non avevo
documenti d’identità e non avevo modo di far riconoscere la mia nazionalità”, ha
raccontato. “Non c’è un consolato camerunese in Libia. La Libia non è più un
Paese governato. Ognuno fa quello che vuole”.
“IO SONO AL SICURO, MA QUESTO È PER GLI ALTRI”
Alla fine, tutti e tre sono riusciti a lasciare la Libia e sono stati salvati in
mare. Ma sanno che molti altri non sono stati così fortunati. “Era la prima
volta che tentavo la traversata dalla Libia quando mi avete salvato”, ha detto
Charly, che però aveva già tentato di attraversare il Mediterraneo dalla
Tunisia. “È stato Dio a mandarvi.” Le loro testimonianze – e il crescente numero
di prove che documentano la natura sistematica di questi abusi – ricordano
ancora una volta che il partenariato dell’UE e dell’Italia con la Libia e la
Tunisia in materia di migrazione è indifendibile. Attraverso accordi come il
Memorandum d’intesa Italia-Libia e l’accordo UE-Tunisia, gli Stati europei hanno
finanziato, equipaggiato e legittimato autorità e attori responsabili di gravi
violazioni dei diritti umani. All’inizio di aprile, in un preoccupante
inasprimento della repressione nei confronti della società civile e del supporto
alle persone in movimento, l’Agenzia per la sicurezza interna libica ha sospeso
le attività di quasi tutte le principali organizzazioni umanitarie
internazionali presenti nel Paese, accusandole di compromettere la sovranità
nazionale e di promuovere valori considerati incompatibili con l’identità
libica.
Queste sospensioni, insieme agli interrogatori, alla chiusura degli uffici e al
congelamento dei conti, privano di fatto migliaia di persone vulnerabili
dell’accesso a cure mediche vitali e all’assistenza umanitaria. “Vi sto parlando
perché siete una ONG e questo può aiutare i miei fratelli, sollevando
l’attenzione internazionale sul trattamento dei neri, perseguitati nei Paesi del
Maghreb”, ha detto Charly. “Io sono arrivato, sono in salvo… ma è per gli
altri”. La Libia e la Tunisia non sono luoghi sicuri per le persone soccorse in
mare. Entrambi i Paesi sono stati ripetutamente documentati come luoghi di
violenza razziale, estorsione e abusi diffusi contro migranti e rifugiati. SOS
MEDITERRANEE chiede con urgenza alle autorità europee e italiane di interrompere
ogni forma di sostegno ai sistemi che intrappolano le persone in movimento in
cicli di abusi e sfruttamento.
SOS MEDITERRANEE
*Tutti i nomi sono stati cambiati per proteggere l’identità dei sopravvissuti.
La testimonianza di Charlie è stata raccolta a bordo della Ocean Viking dal
giornalista freelance Robert Prosser.
¹ https://statetrafficking.net/
²https://spcommreports.ohchr.org/TMResultsBase/DownLoadPublicCommunicationFile?gId=29320
Redazione Italia