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Cronaca di una distruzione invisibile
di Orazio Grasso Repressione istituzionale, cyberbullismo, e violazioni dei diritti costituzionali. Sono passati più di vent’anni da quando ho iniziato a interagire con le persone su internet. All’inizio era curiosità, …
Ti conosco, mascherina!
Riceviamo e pubblichiamo comunicato dal caos Turba di Perugia, su quello che è accaduto alla manifestazione del 4 ottobre 2025 a Roma Una trama avvincente con crackers, macchine in fiamme …
A Napoli il Capability Festival: La forza di essere fragili
IV EDIZIONE 15 – 19 OTTOBRE 2025 NAPOLI | Maschio Angioino e altri luoghi della città Si apre il countdown per la quarta edizione del Capability Festival, un importante evento che accende i riflettori sulle disabilità per parlarne in chiave contemporanea e fuori dagli stereotipi. Dal 15 al 19 ottobre 2025, il festival si svolgerà a Napoli, al Maschio Angioino, quartier generale della manifestazione, e in altri luoghi emblematici della città. La tematica principale selezionata per questa quarta edizione è la fragilità psicologica, in particolare modo degli adolescenti. L’Assessorato alle Politiche sociali è stato in questi anni un osservatorio privilegiato dell’universo giovanile e non ha potuto non constatare quanto questa specifica difficoltà sia diventata una vera e propria disabilità che investe i ragazzi, le famiglie, la scuola, i servizi sociali e sociosanitari, la comunità tutta. Il formato è ormai collaudato. Influencer e personalità del mondo della cultura, esperti, giornalisti, artisti che partecipano a incontri nelle scuole ( Serra ,  Casanova ,  Caccioppoli ) per agganciare espressamente i più giovani e conducono talk pomeridiani aperti alla cittadinanza. Quest’anno saranno ospiti del Capability  Lorenzo Tosa,  giornalista professionista, da anni si occupa di comunicazione politica e social. Nel gennaio del 2019 ha lanciato il suo blog, “Generazione Antigone”: una piazza virtuale in cui racconta le vite di donne e uomini noti e meno noti che, con atti di eroismo o piccoli gesti quotidiani, contribuiscono a costruire un’Italia e un mondo antirazzista, antifascista, antisessista, in difesa dei diritti umani e civili. Con oltre 350mila follower e 18 milioni di persone raggiunte ogni mese, la sua è la terza pagina Facebook personale più seguita in Italia e la prima per trend di crescita, il che lo rende uno degli influencer più seguiti, apprezzati e discussi del web; il professore  Adolfo Ferraro , psichiatra e docente universitario, primo premio con l’opera “Materiali dispersi – Storie dal Manicomio Criminale” per la Sezione Racconti;  Matteo Grimaldi , maestro, influencer, scrittore. Il suo ultimo romanzo Alias si rivolge agli adolescenti, raccontando le vicende di Ian. Gea, Chloe e Pietro, delle loro fragilità nell’affrontare semplicemente quello che sono, da cui non possono sottrarsi, che a volte può voler dire dover scalare una montagna sotto gli occhi giudicanti di tutti;  Alessandro Coppola , content creator, fotomodello, divulgatore, autore del libro “Le mie orecchie parlano”;  Sophie Bertocchi,  divulgatrice e attivista sul tema della salute mentale, autrice del libro  Sempre a un passo da te. La storia di rinascita di una ragazza grazie al suo cane , dove condivide in modo narrativo la storia del suo rapporto con Rose, il primo cane specializzato in assistenza psichiatrica in Italia certificato ADI (assistance Dog International); e con tanti rappresentanti di realtà associative importanti, che con le loro esperienze e buone pratiche amplieranno i dibattiti e il confronto: Luciana Cappabianca per  Telefono Amico Napoli , Rosetta Cappelluccio per la  Fondazione Figli degli Altri , Rita Mastrullo per  AppBenessere Proben-Unina , Alessandra Bocchino per il  Progetto Itaca . «L’idea del Capability Festival – ha spiegato l’assessore Luca Trapanese, questa mattina nel corso della presentazione a Palazzo San Giacomo – è trasformare la disabilità da tema sociosanitario a tema culturale. Quest’anno abbiamo scelto di soffermarci sul disagio mentale: ansia, depressione, schizofrenia, bipolarismo e tutte quelle fatiche dell’essere umano che colpiscono in particolare i giovani devono essere visti in modo completamente diverso. Troppi ragazzi, di fronte a piccoli fallimenti, compiono scelte estreme, come quella di immaginare di porre fine alla propria vita. Di questi temi dobbiamo parlare, per adottare un approccio nuovo anche dal punto di vista culturale: non dobbiamo partire dalle fragilità, ma imparare a comprendere e aiutare». «La conoscenza e la cultura dell’integrazione – ha evidenziato il presidente della Commissione consiliare Politiche Sociali, Massimo Cilenti – fanno sì che la disabilità non sia più qualcosa che fa paura. Su questo tema, l’assessore trapanese e il Consiglio Comunale stanno lavorando molto bene. Abbiamo bisogno di una rappresentazione diversa, anche con il sorriso, della disabilità, e il Capability Festival serve proprio a questo. Saranno giorni molto intensi, con il coinvolgimento delle scuole, incontri e dibattiti, proiezioni cinematografiche e tante occasioni per coinvolgere tutti coloro che vogliono contribuire a questa visione nuova». «Porteremo scena il Pinocchio, uno spettacolo con 32 tra ragazzi e ragazze ed i loro genitori e caregiver per riprendere la favola dal punto in cui Geppetto e Pinocchio sono dentro la pancia della Balena, la candela si sta per spegnere e Pinocchio chiede al padre “e ora cosa succede?”. Questa è la domanda che tutti noi genitori di figli extra-ordinari ci facciamo ogni giorno – ha affermato il drammaturgo e regista Davide Iodice –. Il nostro Pinocchio vuole affermare con forza che il “dopo” deve essere collettivo, che la responsabilità delle fasce più fragili è di tutta la società». «Presenteremo  Ugualmente diversi , un film che racconta di tre adolescenti autistici che, grazie ad un progetto, lavorano come camerieri in una pizzeria. Il film – ha spiegato il presidente di Arci Movie, Roberto D’Avascio – ribalta il punto di vista tradizionale sull’autismo e sui ragazzi che vivono questa condizione perché i protagonisti diventano a loro volta insegnanti degli studenti delle scuole superiori, ai quali insegnano a servire ai tavoli ea lavorare in pizzeria. Arci Movie ha scelto questo film perché parla con molta delicatezza, attenzione e puntualità di questi temi e ha dimostrato come con le immagini si possa raccontare una storia difficile, ma dal lieto fine». Le giornate del Capability Festival saranno arricchite da aperitivi preparati e serviti da enti che lavorano con persone con disabilità (Argo, A Ruota libera, La bottega dei semplici pensieri) e si chiuderanno con performance artistiche di altissimo valore culturale e inclusivo. Al Maschio Angioino,  dal 15 al 17 , ogni pomeriggio sono previsti, inoltre, per la sezione  Capability Kids , attività ludico e laboratoriali per i bambini curate dalla  Ludoteca CittadiNA  del  Servizio Politiche per l’infanzia e l’adolescenza e sostegno alla genitorialità del Comune di Napoli – Assessorato alle Politiche Sociali . Il programma sarà aggiornato in tempo reale sul sito  comune.napoli.it . Su  comune.napoli.it  saranno esplicitate altresì le modalità di prenotazione per gli eventi gratuiti dove è obbligatoria la prenotazione. Redazione Napoli
Awdah, la voce resistente di Masafer Yatta
I ricordi di chi, in questi anni, ha conosciuto e amato Awdah Hathaleen, giovane attivista palestinese di Umm al-Kheir, ucciso lunedì da un colono israeliano Awdah Hathaleen aveva appena 31 anni, tutti trascorsi sotto occupazione militare, in quel pezzo di terra che è Masafer Yatta, il sud della Cisgiordania occupata. Aveva tre figli e viveva […]
Online la Sezione Mali del sito Missing at the borders
Dopo la pubblicazione della Sezione Senegal nel febbraio scorso, anche la Sezione Mali del sito www.missingattheborders.org è online dopo sette mesi d’intenso lavoro! Sezione Mali e fotogallery: https://missingattheborders.org/mali Testimonianze delle famiglie: https://missingattheborders.org/testimonials Un altro importante traguardo reso possibile dal progetto “Dalla testimonianza al protagonismo: le madri dei migranti dispersi nel Mediterraneo promotrici di diritti e di attività generatrici di reddito in Mali e in Senegal”, promosso dalle associazioni Abarekà Nandree ODV, Todo Cambia e Énergie pour les Droits de l’Homme Sénégal e finanziato dall’Otto per Mille della Chiesa Valdese. Il progetto ha l’obiettivo di promuovere l’autonomia e la partecipazione democratica delle famiglie dei migranti dispersi, mediante attività generatrici di reddito portate avanti dalle donne appartenenti a queste famiglie e con il sostegno alla loro mobilitazione per perseguire verità e giustizia sulla sorte dei loro cari. La Sezione Mali del sito vuole dare voce a queste donne e dignità alle tragiche storie di migrazione dei loro parenti morti o dispersi nel tentativo di raggiungere l’Europa dal Mali, alla ricerca di una vita migliore per se stessi e per le loro famiglie. La sezione si compone, infatti, di 10 video-interviste ad alcune delle 42 donne parti attive del progetto e di una fotogallery che raccoglie le immagini dei loro parenti scomparsi, vittime delle frontiere. Mariam Kanta, Houlale Baniele, Sara Diabate, Aoua Sangare, Tah Coulibaly, Aminata Kone, Niele Samake, Fatoumata Aba Toure, Ami Konate e Kadia Cisse. Per noi, forse, sono solo dei nomi non sempre facili da pronunciare. Ascoltando le loro testimonianze e connettendoci emotivamente agli effetti che la tragica scomparsa dei loro cari ha avuto sulle loro famiglie – in termini psicologici, sociali ed economici – appare evidente che queste donne siano, invece, esempio di resilienza e di lotta quotidiana affinché la memoria dei loro parenti non si perda nell’indifferenza e nel cinismo dei governi europei e di quelli locali. La raccolta delle foto dei dispersi maliani che compongono la fotogallery e le 10 video-interviste della sezione sono frutto del prezioso lavoro di supporto svolto in Mali dai partner locali, GRAM (Groupe de Recherche et d’Actions sur les Migrations) e ADEM (Association pour la Défense des Emigrés Maliens) che da anni operano nel  Paese e in rete con altre associazioni europee, per la difesa dei diritti dei migranti e per denunciare la strage dei morti e dispersi alle frontiere. “I bianchi vanno e vengono dal nostro Paese a loro piacimento (e in sicurezza). Al contrario, quando i nostri parenti decidono di partire, li aspetta la morte. Mi piacerebbe vedere tutti trattati equamente!”, afferma con forza nella sua intervista Aminata Koné, che ha perso il marito nel disperato tentativo di arrivare in Europa. Alla sua voce si aggiunge quella di Sara Diabaté, che sa di aver perso la madre e la sorellina ingoiate dalle onde del Mar Mediterraneo: “Siamo stufe di vedere i nostri genitori, fratelli, sorelle che lasciano il Paese e muoiono. Vogliamo giustizia!”.   Questa sezione è un modo per dare voce alle migliaia di famiglie maliane rimaste in un limbo senza scadenza e per amplificare la loro richiesta di Verità, Giustizia e Dignità affinché superi il Mediterraneo e arrivi in Europa, restituendoci ciò che ormai facciamo fatica ricordare: i morti alle frontiere non sono numeri, ma vite umane! Infoline: info@abareka.org | tc@todocambia.net | edh.senegal@gmail.com In Mali, Paese dell’Africa subsahariana, il 43,6% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà e migrare diventa una scelta quasi obbligata. Il Paese non è solo un luogo di partenze, ma anche di transito e destinazione per donne, giovani e bambini vittime della tratta di esseri umani. Oggi a fuggire sono soprattutto i più giovani: il 94,5% di chi emigra ha tra i 20 e i 39 anni. Tra questi, quasi la metà si trova nella fascia di età compresa tra i 25 e i 29 anni. Attualmente, il tasso di disoccupazione giovanile è quasi del 17% in tutto il Paese. Dietro la partenza di coloro che non arrivano a destinazione c’è una famiglia che sperimenta una perdita incompleta e ambigua, poiché la persona cara è psicologicamente presente, ma fisicamente assente (non c’è un corpo su cui piangere). A livello sociale, le famiglie delle persone disperse possono andare incontro all’emarginazione e allo stigma sociale e a livello economico all’assenza dell’unico sostentamento che la persona dispersa garantiva o avrebbe garantito. In particolare, sono le donne a pagare il prezzo più alto per questa perdita, poiché rimaste a dover assicurare un sostentamento e un futuro alla propria famiglia.       Redazione Italia
In Tunisia mi hanno venduto ai libici per meno di una capra: le testimonianze della tratta di stato
Una realtà comincia ad emergere con chiarezza dai racconti dei sopravvissuti soccorsi dalla nave di SOS MEDITERRANEE, la Ocean Viking: esiste una tratta di esseri umani facilitata e gestita anche da apparati statali tunisini verso le milizie libiche; attraverso il confine nel deserto, le persone intercettate in mare dalle autorità di Tunisi sarebbero vendute a bande di trafficanti libiche. Sono gli stessi Stati che l’Europa e l’Italia finanziano con denaro pubblico, propagandando il contributo come “contrasto al traffico di esseri umani” Dopo essere stati intercettati dalle autorità tunisine, tre migranti provenienti dall’Africa occidentale, soccorsi da SOS MEDITERRANEE, raccontano come sono stati consegnati alle milizie libiche, detenuti ed estorti. Le loro testimonianze rivelano l’inquietante realtà della tratta di esseri umani tra Tunisia e Libia, resa possibile dalla complicità statale. VENDUTI, NON DEPORTATI – “IO, VENDUTO PER MENO DI UNA CAPRA” Quando il gommone su cui viaggiavano è stato soccorso il 20 gennaio 2025 nella zona SAR libica, molte delle persone a bordo avevano già affrontato ripetuti viaggi, arresti e detenzioni. Alcuni dei sopravvissuti, tra cui Charly*, Ivanna* e Aïssa*, hanno condiviso racconti particolarmente drammatici, una volta a bordo della Ocean Viking. Tutti e tre hanno raccontato di essere stati intercettati dalle autorità tunisine, per poi essere venduti alle milizie libiche oltre confine, nel deserto. “La polizia tunisina ci ha venduto a rapitori, a banditi libici”, ha detto Charly, un pittore del Camerun. “Il prezzo di vendita era di 150 dinari [circa 25 euro], meno del prezzo di una capra”. Charly è stato intercettato per la prima volta al largo della Tunisia dopo aver tentato di raggiungere Lampedusa in barca. Era tra le circa 200 persone fermate in mare e riportate con forza a Sfax, dove lui e gli altri sono stati picchiati, legati e caricati su autobus. I veicoli hanno viaggiato per ore senza fermarsi, senza fornire cibo o acqua. “Ci hanno trasportato su questi autobus dove non c’erano posti a sedere. Ci siamo seduti per terra con le mani legate dietro la schiena e ci hanno picchiato. Abbiamo trascorso 10 ore sugli autobus. Ci hanno torturato e ci hanno detto che i neri non dovevano venire in Tunisia”, ha raccontato. “Quando siamo arrivati nel deserto, abbiamo visto i pick-up libici e i tunisini ci hanno venduto a rapitori, a banditi libici”. RAID E RAPIMENTI – “RAPITI DALLA FINTA POLIZIA” Ivanna, 26 anni, viveva in una casa con circa 100 altri migranti a El Jem, in Tunisia, quando è stata arrestata in un raid notturno della polizia locale. “Ci hanno ammanettato e messo in macchina, portandoci nel deserto”, ha raccontato. “Siamo arrivati in un posto dove c’era scritto ‘centro di deportazione’. Erano uomini armati provenienti dalla Libia. Ci hanno caricato su un camion con la scritta ‘polizia’, ma non era la polizia: erano i trafficanti. Le loro armi erano puntate contro di noi e i libici hanno dato alla polizia tunisina dei soldi in una borsa”. È stata rinchiusa in una prigione gestita da un uomo di Tripoli. Per ottenere il suo rilascio, ha dovuto chiamare sua sorella in Camerun, che si è indebitata per pagare 450.000 franchi CFA centrafricani [circa 690 euro]. “Sono rimasta in prigione per un mese, mangiando pochissimo: pane e formaggio, solo questo. Faceva molto caldo”. Una volta rilasciata, ha lavorato per otto mesi senza paga, come serva, per una famiglia libica che le avrebbe pagato la traversata del Mediterraneo centrale. MORIRE IN DETENZIONE – “LA MIA AMICA È MORTA APPOGGIATA ALLE MIE GINOCCHIA” Aïssa, 22 anni, della Guinea Conakry, ha raccontato di aver vissuto fatti simili. Nell’estate del 2023 è stata intercettata dalla guardia costiera tunisina mentre tentava di attraversare il Mediterraneo da Sfax. “Ci hanno maltrattato, picchiato e trasferito in un autobus. Dentro era come essere in un frigorifero, tutto chiuso. Ci hanno legato le mani e ci hanno spostato. Non sapevo dove stavo andando”. L’autobus l’ha portata al confine libico, dove è stata consegnata a uomini in uniforme militare. È stata portata a Zawiya, in un sito gestito da un uomo di nome Osama – un uomo di cui ha parlato anche Charly. Il sito fungeva sia da centro di detenzione che da punto di partenza per le traversate in barca. “Due dei miei amici sono morti in prigione. Una è morta sulle mie ginocchia. Quando hanno portato fuori il suo corpo, stavo piangendo. Mi hanno colpito per farmi smettere e calmare. Per uscire, ho chiamato la mia famiglia in Guinea. Sono rimasta in quella prigione per otto mesi. Mi hanno mandato 4.000 dinari [circa 650 euro] per farmi uscire”. IL TRAFFICO DI ESSERI UMANI FACILITATO DALLO STATO  Le testimonianze di Charly, Ivanna e Aïssa sono in linea con i risultati di altre indagini, che evidenziano il diretto coinvolgimento delle autorità tunisine nella vendita e nel trasferimento forzato di migranti a gruppi armati in Libia. Il rapporto State Trafficking, pubblicato nel gennaio 2025 dal collettivo di ricercatori RRX, documenta una pratica sistematica: i migranti subsahariani in Tunisia vengono presi di mira in raid di larga scala, detenuti senza un regolare processo e poi consegnati ad attori libici noti per la gestione di reti di traffico ed estorsione. Durante la presentazione del rapporto al Parlamento dell’Unione europea il 29 gennaio 2025, SOS MEDITERRANEE ha condiviso alcune di queste testimonianze. Lucille Guenier, responsabile della comunicazione dell’organizzazione e autrice delle interviste a Charly, Ivanna e Aïssa, ha riferito che molte altre persone a bordo della Ocean Viking avevano vissuto esperienze simili, ma hanno preferito non esporsi per timore di ritorsioni. Queste pratiche non sono però isolate. In diversi casi documentati, le autorità tunisine hanno condotto espulsioni collettive con il pretesto della sicurezza delle frontiere o dell’espulsione. In pratica, però, hanno trasportato i migranti in zone desertiche remote, dove sono stati consegnati a gruppi armati libici in cambio di denaro. Queste testimonianze trovano riscontro anche in una comunicazione diffusa dall’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (OHCHR) nell’ottobre 2024, in cui venivano espresse gravi preoccupazioni per le numerose segnalazioni ricevute riguardo alla vendita di migranti, rifugiati e richiedenti asilo da parte delle forze di sicurezza tunisine a gruppi armati non statali attivi in Libia. Tali pratiche costituiscono una chiara violazione del diritto internazionale, incluso il principio di non respingimento, che proibisce il trasferimento forzato di persone verso Paesi dove potrebbero subire torture o trattamenti inumani e degradanti. IL CICLO DI ABUSI IN LIBIA Una volta entrati in Libia, tutti e tre i sopravvissuti hanno parlato di abusi sistematici, che vanno dal lavoro forzato alla detenzione arbitraria e alla violenza fisica. Carceri come Bir Al Ghanam e Zawiya, di cui sia Charly che Aïssa hanno parlato, fanno parte di una vasta rete di luoghi di detenzione dove i migranti sono tenuti in ostaggio per ottenere un riscatto. “C’è un uomo di nome Osama che dice di essere una ONG e di voler aiutare le persone ad attraversare”, ha detto Charly. “Ha le sue barche. Ha allestito un campo a Zawiya, una sua prigione dove raduna le persone”. Mentre Charly alla fine è riuscito a guadagnarsi la via d’uscita dipingendo case, altri – come Ivanna e Aïssa – sono stati costretti a lavorare per mesi per assicurarsi il rilascio o per finanziare un altro tentativo di attraversamento. Charly ha anche spiegato perché il mare è l’unica via d’uscita dal ciclo di sfruttamento e abusi in Libia. “Quando sono arrivato in Libia, non avevo documenti d’identità e non avevo modo di far riconoscere la mia nazionalità”, ha raccontato. “Non c’è un consolato camerunese in Libia. La Libia non è più un Paese governato. Ognuno fa quello che vuole”. “IO SONO AL SICURO, MA QUESTO È PER GLI ALTRI” Alla fine, tutti e tre sono riusciti a lasciare la Libia e sono stati salvati in mare. Ma sanno che molti altri non sono stati così fortunati. “Era la prima volta che tentavo la traversata dalla Libia quando mi avete salvato”, ha detto Charly, che però aveva già tentato di attraversare il Mediterraneo dalla Tunisia. “È stato Dio a mandarvi.” Le loro testimonianze – e il crescente numero di prove che documentano la natura sistematica di questi abusi – ricordano ancora una volta che il partenariato dell’UE e dell’Italia con la Libia e la Tunisia in materia di migrazione è indifendibile. Attraverso accordi come il Memorandum d’intesa Italia-Libia e l’accordo UE-Tunisia, gli Stati europei hanno finanziato, equipaggiato e legittimato autorità e attori responsabili di gravi violazioni dei diritti umani. All’inizio di aprile, in un preoccupante inasprimento della repressione nei confronti della società civile e del supporto alle persone in movimento, l’Agenzia per la sicurezza interna libica ha sospeso le attività di quasi tutte le principali organizzazioni umanitarie internazionali presenti nel Paese, accusandole di compromettere la sovranità nazionale e di promuovere valori considerati incompatibili con l’identità libica. Queste sospensioni, insieme agli interrogatori, alla chiusura degli uffici e al congelamento dei conti, privano di fatto migliaia di persone vulnerabili dell’accesso a cure mediche vitali e all’assistenza umanitaria. “Vi sto parlando perché siete una ONG e questo può aiutare i miei fratelli, sollevando l’attenzione internazionale sul trattamento dei neri, perseguitati nei Paesi del Maghreb”, ha detto Charly. “Io sono arrivato, sono in salvo… ma è per gli altri”. La Libia e la Tunisia non sono luoghi sicuri per le persone soccorse in mare. Entrambi i Paesi sono stati ripetutamente documentati come luoghi di violenza razziale, estorsione e abusi diffusi contro migranti e rifugiati. SOS MEDITERRANEE chiede con urgenza alle autorità europee e italiane di interrompere ogni forma di sostegno ai sistemi che intrappolano le persone in movimento in cicli di abusi e sfruttamento. SOS MEDITERRANEE *Tutti i nomi sono stati cambiati per proteggere l’identità dei sopravvissuti. La testimonianza di Charlie è stata raccolta a bordo della Ocean Viking dal giornalista freelance Robert Prosser. ¹ https://statetrafficking.net/ ²https://spcommreports.ohchr.org/TMResultsBase/DownLoadPublicCommunicationFile?gId=29320 Redazione Italia