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SOS Humanity condanna la fine dei finanziamenti alle ONG di ricerca e soccorso da parte del governo federale tedesco
Il direttore generale di SOS Humanity, Till Rummenhohl, commenta l’interruzione del sostegno finanziario per la ricerca e il salvataggio civile da parte del Ministero degli Esteri tedesco e il riutilizzo da parte dei media di una falsa affermazione fatta dal Ministro degli Esteri Johann Wadephul nel 2023, in cui accusa le organizzazioni non governative di ricerca e salvataggio di permettere alle “bande di contrabbandieri di fare i loro affari”: “È allarmante e pericoloso quando le false affermazioni di politici tedeschi di primo piano, come l’attuale Ministro degli Esteri Johann Wadephul, diffamano senza fondamento il lavoro di salvataggio delle organizzazioni della società civile. È stato più volte dimostrato scientificamente che non c’è alcun legame tra i movimenti dei rifugiati e la presenza di navi di soccorso nel Mediterraneo. Le persone scappano attraverso il Mediterraneo centrale perché non hanno alternative per sfuggire alla guerra, alla violenza, alla discriminazione, alla mancanza di prospettive e ai cambiamenti climatici nei loro Paesi d’origine, nonché alle violazioni dei diritti umani e alle torture in Libia o in Tunisia. Il cosiddetto “fattore di attrazione” è un mito. L’affermazione di Johann Wadephul del 2023, secondo cui le organizzazioni di soccorso permettono alle “bande di trafficanti di fare i loro affari”, è fondamentalmente sbagliata. Forniamo aiuti umanitari di emergenza in base al diritto internazionale e salviamo vite umane laddove gli Stati europei non riescono ad agire. Lo sfruttamento e la violenza sono piuttosto la conseguenza della mancanza di percorsi migratori legali e sicuri verso l’Europa. Tali affermazioni diffamano – contro ogni evidenza – gli aiuti umanitari e la società civile, che da dieci anni è impegnata nella ricerca e nel salvataggio e nei diritti umani in mare. Soprattutto ora, in tempi di continuo rafforzamento dell’estremismo di destra in Europa e in Germania, abbiamo bisogno di una politica migratoria basata sui fatti e di una retorica da parte di tutti i partiti democratici che non sia basata su narrazioni di estrema destra e non promuova travisamenti ed emotività”. Informazioni sull’interruzione del sostegno finanziario da parte del Ministero degli Esteri federale  “Come SOS Humanity, non siamo sorpresi, ma indignati per il fatto che questo già modesto sostegno di 2 milioni di euro all’anno per le organizzazioni di ricerca e soccorso sia stato prematuramente cancellato dal nuovo governo federale tedesco”, afferma Till Rummenhohl, direttore generale di SOS Humanity. “In questo modo, il governo tedesco ignora una decisione del Parlamento federale tedesco del 2022,  concordata per quattro anni fino al 2026. Questo si inserisce nella tendenza europea di lasciare alla società civile il compito di salvare vite in mare e di proteggere i diritti dei rifugiati nel Mediterraneo centrale. Da dieci anni a questa parte, le organizzazioni non governative hanno colmato il vuoto di salvataggio lasciato dagli Stati europei. Più di 175.000 vite sono state salvate grazie agli impressionanti sforzi della società civile europea, con 21 ONG di soccorso che operano nel Mediterraneo centrale, 10 delle quali provengono dalla Germania. Tuttavia, nello stesso periodo, più di 21.700 vite sono state perse su questa rotta migratoria mortale. Siamo testimoni del fatto che le persone in movimento vengono continuamente lasciate morire. L’UE ha finanziato le sue politiche a porte chiuse spendendo 242 milioni di euro in dieci anni per le cosiddette Guardie Costiere libiche e tunisine e per i Centri di Coordinamento dei soccorsi, che sistematicamente conducono respingimenti illegali e commettono violazioni dei diritti umani. È assurdo che si spendano così tanti soldi per sigillare l’Europa, mentre i fondi per il salvataggio degli esseri umani sono apparentemente ancora troppo pochi. Ora servono un programma europeo di ricerca e salvataggio e percorsi migratori sicuri e legali per le persone in cerca di protezione”. Redazione Italia
La CEDU legittima i respingimenti collettivi delegati ai libici
1. Obiettivo raggiunto. E’ bastato rifornire i libici di motovedette e garantire loro formazione congiunta e assistenza operativa. Si completa il circuito di aggiramento della sentenza di condanna dell’Italia sul caso Hirsi per i respingimenti collettivi illegali verso la Libia operati nel 2009 dalla motovedetta Bovienzo della Guardia di finanza. Dopo il Trattato di amicizia firmato da Berlusconi e Gheddafi nel 2008, che dava effetto al Protocollo tecnico-operativo, sottoscritto dal capo della polizia Manganelli con il ministro Amato al Viminale, nel dicembre 2007, durante il governo Prodi, sono risultati decisivi gli accordi stipulati con il governo di Tripoli da Gentiloni e Minniti nel 2017 e poi mantenuti da tutti i successivi governi.  La Corte europea dei diritti dell’uomo ha respinto il ricorso sul caso del gommone intercettato da una motovedetta libica nel novembre 2017. Secondo i giudici di Strasburgo, “le autorità italiane non avevano il controllo effettivo dell’area”. Il capitano e l’equipaggio della nave libica avrebbero agito in modo autonomo e non vi sarebbero prove che suggeriscano che il Centro di Soccorso di Roma avesse “il controllo sull’equipaggio di questa nave e fosse in grado di influenzarne in alcun modo il comportamento”, dunque, “La Corte conclude che i ricorrenti non rientravano nella giurisdizione italiana (…) Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile“. Nel corso della intercettazione violenta, operata in acque internazionali da una motovedetta libica prima che le autorità di Tripoli dichiarassero all’IMO una zona SAR (di ricerca e salvataggio) di propria competenza, come denunciato da Amnesty International, alcune persone finivano in mare e perdevano la vita, tra queste due bambini, figli dei ricorrenti, mentre il Ras Jadir dopo il richiamo giunto da un elicottero italiano si allontanava a grande velocità, trascinandosi un uomo appeso fuori bordo ad una fune. Come si legge nella sentenza, ricorrenti R.J. e E.R.O., rimasti a bordo della Ras Jadir con circa altri quarantacinque sopravvissuti, sarebbero stati legati con delle corde dall’equipaggio libico, che li avrebbe anche picchiati e minacciati; sono stati portati in un campo di detenzione a Tajura, in Libia, dove avrebbero subito maltrattamenti e violenze. In una data imprecisata, sono stati rimpatriati in Nigeria nell’ambito del programma di rimpatrio umanitario volontario assistito dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM). I giudici di Strasburgo richiamano la loro precedente giurisprudenza secondo cui “Anche nei casi in cui sia accertato che le presunte violazioni si sono verificate in un’area sotto il controllo effettivo dello Stato convenuto (e che quindi rientravano nella sua giurisdizione ratione loci), lo Stato convenuto sarà ritenuto responsabile delle violazioni della Convenzione solo se aveva anche la giurisdizione ratione personae. Ciò significa che gli atti o le omissioni in questione devono essere stati commessi da autorità statali o essere altrimenti attribuibili allo Stato convenuto (par.81). La Corte osserva poi “che le prove contenute nel fascicolo dimostrano che il comandante e l’equipaggio della nave libica hanno agito in modo autonomo, rifiutandosi di rispondere alle chiamate fatte loro dalle altre imbarcazioni presenti sul posto e dall’elicottero della Marina italiana per coordinare le manovre di salvataggio (cfr. paragrafi 9 e 12). Inoltre, nulla fa pensare che gli agenti dell’MRCC di Roma avessero un qualche controllo sull’equipaggio della Ras Jadir e fossero in grado di influenzarne in qualche modo il comportamento. In questo modo la Corte ignora quanto emerso nel corso del procedimento, che il coordinamento effettivo delle operazioni di soccorso era effettuato in quel tempo da bordo di una nave italiana che stazionava nel porto militare di Abu Sittah a Tripoli, nel quadro dell’operazione Nauras, e che dalla stessa centrale provvisoria di coordinamento provenivano le intimazioni dirette alla Sea Watch 3 della omonima ONG tedesca, di allontanarsi dal luogo del soccorso. Lo stesso governo italiano aveva affermato nel corso della causa che “la Ras Jadir era stata la prima ad arrivare sul luogo del naufragio ed era stata prontamente designata dal JRCC di Tripoli come OSC” (coordinatrice dei soccorsi). Il centro di coordinamento dei soccorsi (JRCC) di Tripoli a quel tempo operava in stretto collegamento con la centrale di coordinamento (MRCC) della Guardia costiera italiana con sede a Roma. Come emerge anche dalle comunicazioni intercorse tra la motovedetta libica e l’elicottero italiano presente sulla scena dei soccorsi, che intimava inutilmente alla Ras Jadir di spegnere i motori per la presenza di persone in acqua. Sarebbe stato questo il profilo dirimente che i giudici di Strasburgo avrebbero dovuto affrontare, non certo quello del “sostegno economico e logistico fornito dall’Italia alla Libia nella gestione dell’immigrazione”. La Corte si arrocca sul principio della giurisdizione esclusiva (par.96), un principio già utilizzato nel caso Hirsi per affermare la responsabilità extraterritoriale dell’Italia, che non trova corrispondenza nella successiva evoluzione dei rapporti tra autorità italiane e governo di Tripoli, proprio a partire dal 2017, e nella dinamica dei fatti occorsi durante il respingimento collettivo su delega italiana del 6 novembre 2017. Si può avere “controllo effettivo” di un area marittima anche senza esercitare una giurisdizione esclusiva, e le zone SAR sono aree di responsabilità e non certo spazi di giurisdizione che in acque internazionali non si possono riconoscere ad una entità statale, come il governo di Tripoli, che non rispetta gli obblighi di soccorso ed i diritti fondamentali dei naufraghi. Non si vede come si possa escludere nell’occasione giunta all’esame della Corte, che le autorità italiane avessero fornito un concorso, assumendone la responsabilità, per aver contribuito a porre in essere atti contrari alle disposizioni della Convenzione, come quelli sanciti con il divieto di tortura (art.3 CEDU) e con il divieto di respingimenti collettivi (art.4, Quarto Protocollo allegato alla CEDU). La decisione operativa assunta dall’autorità marittima italiana di trasferire la competenza esclusiva dei soccorsi ai libici, quando ancora non era stata neppure dichiarata una zona SAR “libica”, ha comportato la successiva lesione dei diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione EDU. Non solo per quanto concerne il diritto ala vita e il diritto al soccorso in mare. Di fronte alla nota situazione di violazione dei diritti umani dei migranti intercettati in acque internazionali e ricondotti in Libia, esisteva un preciso obbligo giuridico per l’Italia di rispondere alla richiesta di soccorso che aveva tempestivamente ricevuto, e di cooperare nelle attività di salvataggio in mare ai sensi dell’UNCLOS, della Convenzione SAR, e del Regolamento adottato ai sensi della Convenzione SOLAS. In modo da garantire lo sbarco in un porto sicuro (place of safety). Obbligo che radicava una giurisdizione italiana, rientrando tra i doveri delle autorità italiane, le prime ad essere investite da una chiamata di soccorso, assumere decisioni tali da incidere sulla vita e sulla libertà di persone che si trovavano in acque internazionali, al di fuori di una giurisdizione nazionale. Non si vede poi come la Corte di Strasburgo possa affermare che l’elicottero della Marina italiana presente sulla scena dei soccorsi non abbia preso parte alle operazioni di salvataggio (par.100). La sentenza appare contraddittoria, quando poi al paragrafo 102 “la Corte osserva che le prove contenute nel fascicolo dimostrano che il comandante e l’equipaggio della nave libica hanno agito in modo autonomo, rifiutandosi di rispondere alle chiamate fatte loro dalle altre imbarcazioni presenti sul posto e dall’elicottero della Marina italiana per coordinare le manovre di salvataggio (cfr. paragrafi 9 e 12). Non si vede come si possa parlare di una giurisdizione esclusiva libica, escludendo la concorrente giurisdizione italiana, quando si ammette che un mezzo della nostra Marina militare partecipava direttamente “per coordinare le operazioni di salvataggio”, tanto da inviare richiami di fermare i motori al comandante della Ras Jadir che questo non rispettava. 2. Nel luglio del 2017, una Deliberazione del Consiglio dei Ministri italiano prevedeva la partecipazione alla missione in supporto alla Guardia costiera libica richiesta dal Consiglio presidenziale del Governo di accordo nazionale. Tra gli obiettivi da raggiungere con l’operazione Nauras , “fornire supporto alle forze di sicurezza libiche per le attività di controllo e contrasto dell’immigrazione illegale e del traffico di esseri umani mediante un dispositivo aeronavale e integrato da capacità I SR (Intelligence, Surveillance, Reconaissance). In particolare, la missione ha i seguenti compiti, che si aggiungono a quelli già svolti dal dispositivo aeronavale nazionale apprestato per la sorveglianza e la sicurezza nell’area del Mediterraneo centrale: – protezione e difesa dei mezzi del Consiglio presidenziale / Governo di accordo nazionale libico (GNA) che operano per il controllo/contrasto dell‘immigrazione illegale, distaccando, una o più unità assegnate al dispositivo per operare nelle acque territoriali e interne della Libia controllate dal Consiglio presidenziale / Governo di Accordo Nazionale (GNA) in supporto a unità navali libiche; – ricognizione in territorio libico per la determinazione delle attività di supporto da svolgere; – attività di collegamento e consulenza a favore della Marina e Guardia costiera libica; – collaborazione per la costituzione di un centro operativo marittimo in territorio libico per la sorveglianza, la cooperazione marittima e il coordinamento delle attività congiunte. Secondo il Gip di Catania a marzo del 2018 (caso Open Arms), pochi mesi dopo il respingimento collettivo delegato ai libici nel novembre del 2017, “la circostanza che la Libia non abbia definitivamente dichiarato la sua zona SAR non implica automaticamente che le loro navi non possano partecipare ai soccorsi, soprattutto nel momento attuale, in cui iI coordinamento è sostanzialmente affidato alle forze della Marina Militare Italiana, con i propri mezzi navali e con quelli forniti al libici (sulla costituzione della zana SAR da parte della Libia si veda quanto comunicato dal Comando Generale del Carpo delle Capitanerie di Porto Italiane con II rapporto di data 23.03.201 8, allegata in atti; dal quale si rileva che la Libia non sembra avere abbandonato ii percorso per dichiarare la detta zona SAR, ma solamente essersi attardata in pastoie burocratiche, al pari di altri Paesi, che comunque operano i soccorsi”. In precedenza la Corte di Strasburgo era stata molto attenta rispetto alle Convenzioni internazionali che oggi finge di ignorare. La Corte europea dei diritti dell’Uomo (caso Hirs), richiamata dalla Corte di cassazione sul caso ASSO 28, aveva affermato che “il divieto di respingimento  costituisce un principio di diritto internazionale consuetudinario che vincola tutti gli Stati, compresi quelli che non sono parti alla Convenzione delle Nazioni Unite relativa allo status dei rifugiati o a qualsiasi altro trattato di protezione dei rifugiati. È inoltre una norma di jus cogens: non subisce alcuna deroga ed è imperativa, in quanto non può essere oggetto di alcuna riserva” (articolo 53 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, articolo 42 § 1 della Convenzione sullo status dei rifugiati e articolo VII§1 del Protocollo del 1967). Il principio di non respingimento, dettato dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati, non può essere dunque oggetto di alcuna riserva, ma non dovrebbe neppure essere aggirato con il ricorso ad accordi bilaterali, e con la delega alle autorità libiche di operare respingimenti collettivi sotto coordinamento europeo, senza fare esporre direttamente unità navali italiane o maltesi. 3. La Corte europea dei diritti dell’uomo delimita adesso la propria giurisdizione in modo da non intralciare le intese operative tra Italia e Libia per sequestrare i naufraghi in acque internazionali e deportarli nei lager dai quali sono fuggiti. Anche per la Corte di Strasburgo, evidentemente, le Convenzioni internazionali di diritto del mare ormai non valgono nulla. E non rileva neppure il ruolo criminale di comandanti libici come Bija o come Abdel Ghani al-Kikli, uccisi in faide tra milizie, dopo essere stati, per conto del governo di Tripoli, interlocutori privilegiati delle autorità italiane e protagonisti di respingimenti collettivi su delega e di sequestri di persone migranti intercettate in acque internazionali. Il riconoscimento della giurisdizione esclusiva libica in acque internazionali, prima ancora che nel 2018 fosse istituita la zona Sar “libica” con l’esclusione totale della giurisdizione italiana, in un caso nel quale, nel novembre del 2017, era presente un nostro elicottero sopra il barcone intercettato, con un preciso ruolo di assistenza affidato dall’IMRCC di Roma (Centrale di coordinamento della Guardia costiera), è un precedente gravissimo che conferma come la Corte europea dei diritti dell’Uomo, sulle questioni di maggiore “spessore politico”, sia ormai condizionata da governi xenofobi che cancellano i diritti umani ed il rispetto della vita e degli obblighi di soccorso in mare. Risulta assai inquietante, per i possibili sviluppi futuri, la considerazione finale dei giudici di Strasburgo, secondo cui “La Corte sottolinea, tuttavia, di essere competente solo a controllare il rispetto della Convenzione. Il compito della Corte è quello di interpretare e applicare la Convenzione. La Corte non è quindi competente a verificare il rispetto di altri trattati internazionali o obblighi internazionali che non derivano dalla Convenzione. Pertanto, ha sottolineato che, anche se altri strumenti possono offrire una protezione più ampia della Convenzione, non è vincolata dalle interpretazioni di strumenti simili adottate da altri organismi, poiché le disposizioni di tali altri strumenti internazionali e/o il ruolo degli organismi incaricati di controllarne l’applicazione possono differire dalle disposizioni della Convenzione e dal ruolo della Corte (par.113). La vergognosa decisione di irricevibilità per carenza di giurisdizione adottata dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo non permetterà al governo italiano di proseguire impunemente la collaborazione con le autorità libiche nelle intercettazioni e nel sequestro in acque internazionali dei naufraghi fuggiti dai campi di detenzione ancora gestiti dalle milizie che, come dimostrano il caso Almasri, sul quale dovrà pronunciarsi la Corte Penale internazionale, e gli scontri più recenti a Tripoli, continuano ad essere responsabili di gravi crimini contro l’umanità e non costituiscono un soggetto legittimo per le operazioni di ricerca e soccorso. Come ha recentemente affermato la Corte d’Appello di Catanzaro che lo scorso 11 giugno ha respinto il ricorso del governo italiano contro una sentenza che aveva dichiarato illegittimo il fermo della nave di soccorso Humanity 1, motivato proprio con il riconoscimento della “giurisdizione esclusiva” della sedicente guardia costiera libica in acque internazionali. Fulvio Vassallo Paleologo
Rapporto di Medici Senza Frontiere denuncia violenze e blocchi all’azione salvavita nel Mediterraneo
La rimozione orchestrata delle navi di ricerca e soccorso, come la Geo Barents, dal Mediterraneo centrale toglie un’ancora di salvezza per i sopravvissuti in fuga dalle orrende violenze in Libia. È la denuncia di Medici Senza Frontiere (MSF) pubblicata oggi nel rapporto “Manovre mortali: ostruzionismo e violenza nel Mediterraneo Centrale”, che contiene dati operativi e medici, oltre a testimonianze di sopravvissuti raccolte a bordo della Geo Barents tra il 2023 e il 2024. Il rapporto descrive come, dopo più di due anni di attività con leggi e politiche italiane restrittive, in particolare il decreto Piantedosi e la pratica di assegnazioni di porti lontani, la capacità delle navi di ricerca e soccorso di fornire assistenza salvavita sia stata gravemente limitata, costringendo MSF a cessare le operazioni della Geo Barents a dicembre scorso. MSF chiede alle autorità italiane di smettere di ostacolare le operazioni di salvataggio in mare e di imporre sanzioni alle navi di ricerca e soccorso delle ONG. Invita, inoltre, l’UE e i suoi Stati membri a sospendere immediatamente il sostegno finanziario e materiale alla Guardia Costiera libica (LCG) e a smettere di incentivare intenzionalmente i rimpatri forzati di persone in Libia. “Le testimonianze, i dati e le prove raccolte in questi anni dimostrano la collusione dell’Italia e dell’UE con la LCG e altri attori armati nell’effettuare intercettazioni che riportano forzatamente le persone ad un giro di estorsioni e abusi” afferma Juan Matias Gil, responsabile per le attività di ricerca e il soccorso in mare di MSF. Se nel 2023 MSF ha assistito a incidenti che coinvolgevano operatori libici durante il 38% delle rotazioni della Geo Barents, questa percentuale è salita al 65% nel 2024. Nel 2023 e 2024 MSF ha documentato 30 intercettazioni confermate o sospette di imbarcazioni di migranti da parte di navi libiche. A causa delle restrizioni, il numero di persone soccorse dalla Geo Barents è diminuito drasticamente da 4.646 nel 2023 fino 2.278 nel 2024. Nonostante ciò, è aumentato del 14% il numero complessivo dei ricoveri medici, in particolare quelli urgenti, dimostrando che una percentuale notevolmente più elevata di persone soccorse era in uno stato critico e necessitava di cure specialistiche salvavita a terra. “Il decreto Piantedosi è un meccanismo strutturato e istituzionalizzato senza precedenti per bloccare le attività di ricerca e salvataggio di persone in pericolo” aggiunge Gil di MSF. “L’impatto di queste sanzioni è peggiorato nel corso degli anni e la capacità di salvataggio della nostra nave è stata significativamente ridotta e compromessa”. Secondo i dati medici di MSF, nel 2024, tutti i 124 pazienti visitati dal team di psicologi sulla Geo Barents hanno riferito di aver subito violenze fisiche e/o psicologiche durante il viaggio, e metà di questi pazienti hanno identificato la detenzione come luogo principale in cui hanno avuto luogo gli abusi. Il rapporto riporta anche le testimonianze di persone che sono riuscite a fuggire dalla Libia, documentando le violente intercettazioni subite in mare e il ritorno forzato in Libia, come parte del più ampio sforzo di esternalizzazione per impedire gli arrivi in Europa. “Abbiamo trascorso 5 ore di navigazione in mare, finché non siamo stati catturati da un’imbarcazione libica. Ci hanno tenuti a bordo per circa 53 ore mentre continuavano a cercare altre imbarcazioni. Non ci hanno dato né cibo né acqua, né ci hanno permesso di usare il bagno, abbiamo dovuto urinarci addosso. Mio fratello era così spaventato perché aveva perso la sensibilità delle gambe e non poteva muoversi per tanto tempo, piangeva e vomitava. Da allora soffre di incontinenza. Li abbiamo pregati di riportarci indietro, vomitavamo, eravamo disidratati, ma non hanno mai avuto pietà di noi. Mangiavano pesce, bevevano, ma non ci hanno mai dato nulla. Solo a un certo punto hanno avuto pietà di mia figlia e le hanno dato un pacchetto di biscotti, che è stata l’unica cosa che abbiamo mangiato in quei giorni” racconta una donna siriana salvata dalla Geo Barents nel febbraio del 2024. MSF nel Mediterraneo centrale  MSF è presente nel Mediterraneo centrale con attività di ricerca e soccorso dal 2015, lavorando su 8 diverse imbarcazioni, da sola o in collaborazione con altre ONG, e salvando più di 94.000 persone. I team di MSF a bordo della Geo Barents, attiva da giugno 2021 a dicembre 2024, hanno soccorso 12.675 persone, concluso 190 operazioni, recuperato i corpi di 24 persone, organizzato l’evacuazione medica di 18 persone e assistito la nascita di un bambino. Dall’entrata in vigore del Decreto Piantedosi, la Geo Barents è stata sanzionata 4 volte, per un totale di 160 giorni di detenzione forzata. Tra dicembre 2022 e dicembre 2024, le misure restrittive hanno inoltre imposto alla Geo Barents di percorrere altri 64.966 chilometri e di trascorrere altri 163 giorni in mare per raggiungere porti lontani del nord Italia per lo sbarco dei sopravvissuti dopo il salvataggio, anziché nei vicini porti della Sicilia.   Medecins sans Frontieres
Il gorgo trumpiano
Mentre la retorica politica non nasconde la verità sulla funzione dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio, la demagogia propagandistica sulla loro gestione invece ne cela l’aberrante realtà, recentemente testimoniata da un giovane recluso e nel 2024 dettagliatamente descritta nel “libro bianco” pubblicato da Altrɘconomia. Gli autori dell’inchiesta sono Lorenzo Figoni, consulente dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione e policy advisor per ActionAid Italia, e il reporter di Altrɘconomia, Luca Rondi, che i redattori di PRESSENZA avevano intervistato nel gennaio scorso 1 e hanno interpellato all’incontro organizzato il 6 maggio a Casale Monferrato da alcune associazioni locali e il 13 maggio interverrà a un’iniziativa organizzata da Como Senza Frontiere insieme a Igor Zecchini della Rete Mai Più Lager – No ai CPR. Quali implicazioni ha la dichiarazione con cui Donald Trump ha messo in dubbio il diritto dei migranti al due process che la Costituzione degli USA garantisce a cittadini e residenti nella nazione americana? Luca Rondi : “Trump è l’esasperazione di un modello messo in pratica anche altrove. Mostrare le catene ai piedi delle persone rimpatriate serve a fare scalpore. Invece con questa affermazione Trump ha sollevato il velo che ammanta una verità: siccome la tutela giuridica dei migranti è lacunosa, i diritti dei rimpatriati non sono riconosciuti dagli ordinamenti di molte nazioni, degli USA come di tanti altri paesi, tra cui anche l’Italia”. Infatti nel vortice di ingiustizie generato dalla collisione tra le lacune nella tutela dei diritti umani con una sequela di leggi e decreti italiane infatti ogni anno viene spezzata la vita di da 7 a 8 mila persone recluse nei Centri di Permanenza per il Rimpatrio “ex art. 14 D. Lgs. 286/1998 istituiti per consentire l’esecuzione del provvedimento di espulsione” 2 . I CPR sono dove i migranti vengono trattenuti in detenzione amministrativa per il periodo di tempo che intercorre dall’arresto all’accertamento delle loro identità e del loro status e nell’organizzazione del loro ritorno al paese di provenienza. Le statistiche però mostrano che una metà di loro sia destinata al rimpatrio, l’altra metà invece no, perciò che molti vengano reclusi nei CPR per errore. I video diffusi da un giovane arrestato nel febbraio scorso 3 provano che i detenuti sono ammassati in spazi angusti e malsani, malnutriti, maltrattati e sedati con psicofarmaci e, come Luca Rondi ha sottolineato presentando l’inchiesta a Casale Monferrato, costretti a subire condizioni che un magistrato ha definito peggiori del “41bis”, cioè del famigerato regime carcerario italiano più restrittivo possibile. Ciascun CPR è amministrato dalle prefetture locali applicando le direttive del Ministero degli Interni, che nel 2016 ne aveva pianificato l’apertura di uno in ognuna delle 20 regioni. Attualmente sono in funzione una decina di strutture, fatiscenti, a Bari, Brindisi, Caltanissetta, Gradisca d’Isonzo (GO), Macomer (NU), Milano, Palazzo San Gervasio (PZ), Roma, Torino e Trapani e il complesso adibito allo scopo a Gjader, in Albania. Nei dati e documenti raccolti da Luca Rondi insieme a Lorenzo Figoni inoltre emerge che la gestione dei CPR sfugge a ogni controllo da, ormai, numerosi anni e tanti governi di vari “colori”. Nell’incontro a Casale Monferrato Luca Rondi ha riferito di molti sperperi in cui, palesemente, si riscontrano le evidenze di lucri. Ad esempio l’eclatante fornitura di servizi affidata a una società “fantasma”, estinta molto prima dell’assegnazione dell’appalto e confermata persino dopo che tale incongruenza era stata segnalata. Inoltre, l’assurdità di un programma di attività ricreative e, in particolare, di un gioco ludo-didattico su cui Luca Rondi ha soffermando l’attenzione della platea monferrina. Palesemente infatti il passatempo di cui il programma spiega con enfasi che è stato appositamente congeniato per intrattenere e, al contempo, educare i detenuti nei CPR perché per insegnare loro la regola aurea “non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te” ha la stessa funzione dell’insegna Arbeit macht frei (il lavoro rende liberi) apposta sul cancello del campo di concentramento di Auschwitz. E che questa analogia sia aderente alla realtà italiana storica e attuale lo confermano molti fatti inconfutabili. Prima dei nazisti in Europa, campi di concentramento in cui deportare civili in massa furono allestiti in Africa da Pietro Badoglio, il generale italiano responsabile di molti crimini di guerra e contro l’umanità, che consegnò le colonie al regime fascista e a cui in Monferrato è dedicato un museo in cui sono esposti i cimeli delle sue imprese decantate nelle rime di Faccetta Nera che nei giorni scorsi al raduno nazionale degli alpini è stata “sfacciatamente” cantata in risposta alle proteste contro il Remigration Summit. 1 – Chiusi i manicomi. Aperti i CPR – Luca Rondi con Ettore Macchieraldo e Valentina Valle, PRESSENZA / 11.01.2025 2 – Ministero dell’Interno / sistema accoglienza sul territorio/ centri per l’immigrazione 3 – La storia di M. che su TikTok documenta la vita dentro i Centri di permanenza per il rimpatrio – Aurora Mocci, Altrɘconomia / 09.05.2025 * Luca Rondi e Lorenzo Figoni – GORGO CPR. TRA VITE PERDUTE, PSICOFARMACI E APPALTI MILIONARI * Luca Rondi e altri – Chiusi dentro. I campi di confinamento nell’Europa del XXI secolo * Luca Rondi e Duccio Facchini – Respinti. Le “sporche frontiere” d’Europa, dai Balcani al Mediterraneo   Il prossimo incontro con Luca Rondi è a Como, martedì 13 maggio alle h 21, presso l’Oratorio di Rebbio (via Lissi 11). Delle funzioni repressive del sistema carcerario si parlerà anche a Torino, venerdì 16 maggio alle 18:30, alla Libreria Belgravia (via Vicoforte 14), un appuntamento nel calendario del Salone del Libro che coinvolge l’Associazione Editoriale Multimage insieme alla redazione di PRESSENZA.   Redazione Piemonte Orientale