Sciopero dell’università contro la precarietà
Lunedì 12 maggio, le assemblee precarie delle università italiane hanno indetto
uno sciopero, con l’adesione di diverse sigle sindacali.
Rivendicano la fine dei tagli e del precariato, il riconoscimento della loro
condizione di lavoratrici e lavoratori, il rifinanziamento dell’università –
oggi ben al di sotto della media europea – invece che quello agli armamenti.
Richieste ragionevoli che, in tempi straordinari, possono sembrare assurde. E
tempi straordinari, questi, lo sono davvero.
Il precariato universitario è ai massimi storici, rappresenta oltre il 35% del
personale accademico. [si veda qui]
Nel 2022 la riforma del preruolo universitario ha abolito gli assegni
di ricerca, riconoscendo finalmente a chi dopo il dottorato fa ricerca di
mestiere la condizione di lavoratore dipendente, tramite l’introduzione dei
contratti di ricerca.
La transizione ai nuovi contratti non è però avvenuta. La possibilità di aprire
nuove posizioni da assegnista è stata prorogata ad oltranza. E così l’afflusso
di fondi del PNRR, che sarebbe potuto servire a facilitare questa transizione
ammortizzando i costi, è stato invece impiegato per aprire una cascata di nuove
posizioni precarie. Tra il 2023 e il 2024 il numero di persone titolari di
assegni di ricerca è aumentato del 51%, arrivando alla cifra record di 24.000
[si veda ancora qui]. Nello stesso periodo è cresciuto in maniera importante
anche il numero di RTDA ed il numero di borse di dottorato erogate.
Invece di preoccuparsi di un reclutamento pianificato e del futuro occupazionale
delle migliaia di nuovi precari, il governo Draghi (ministra Messa) e, in
perfetta continuità, il governo Meloni (ministra Bernini), con il consenso dei
rettori delle università, sono riusciti nel miracolo di usare una montagna di
soldi per creare un problema più grave di quello di partenza.
La riforma Bernini, che avrebbe reintrodotto diverse nuove forme di lavoro
precario non riconosciuto, è stata bloccata da un ricorso in sede europea. Di
recente sono stati depositati due nuovi emendamenti di segno equivalente a
quello della naufragata riforma. Uno, di parte governativa, presentato da
Adriano Galliani e firmato anche dalla senatrice a vita Elena Cattaneo, è in
sostanza la riproposizione delle figure precarie della riforma Bernini,
senza nemmeno la dignità di un contratto di lavoro [lo si legge qua] . Il
secondo, a firma Francesco Verducci per il PD, mira a ridurre la durata minima
del contratto di ricerca da due ad un anno per ridurne i costi [lo si legge
qua].
Entrambe le alternative sembrano andare incontro alle preoccupazioni espresse
dalla CRUI e dagli interessi che questa rappresenta. Il problema che mirano a
risolvere è quello di avere abbastanza forza lavoro, flessibile (ovvero
precaria), al minor costo possibile, non
certo quello di garantire un futuro in accademia alle migliaia di persone
precarie che pure, l’accademia, contribuiscono a tenerla in piedi.
Per questo il 12 scioperiamo, contro tagli, guerra e precarietà, per
il rifinanziamento dell’università pubblica.