No Pride in Genocide
La notizia è che, mentre centomila persone sfilavano a Roma contro la guerra e
il riarmo, a Palermo una marea colorata ha attraversato il centro della città in
un Pride di lutto, di lotta e di festa che ha fatto da eco alle rivendicazioni
della capitale già nello striscione di apertura dove spiccava la scritta “NO
PRIDE IN GENOCIDE” richiamando le parole chiave di quest’anno: “Le vostre guerre
non sono le nostre lotte”.
C’era tutta la città dei diritti stretta attorno a Massimo nel ricordo intenso
del suo compagno Gino Campanella, fondatore di Arci Gay, e della sua vita di
impegno e lotta; ricordo ravvivato proprio dalle sue parole lasciate
inconsapevolmente come un testamento e lette da Massimo, alla fine della parata,
dal carro rivolto verso una Piazza Politeama ancora gremita soprattutto di
giovani.
Da quello stesso carro la festa di colori, che ancora una volta ha dato a tutti
e tutte l’opportunità di rappresentarsi ed essere fuori da ogni convenzione
liberɘ di dirsi, si è fatta parola chiara e dura contro le oppressioni nella
rivendicazione dei diritti di tutte le famiglie, delle comunità migranti, dei
popoli oppressi, contro la violenza esercitata su ogni singola persona, che sia
etero, omo, trans, nel porre ancora una volta l’attenzione alla cultura del
consenso e alla necessità di introdurre nelle scuole l’educazione sessuale e
all’affettività.
In testa al corteo il Disability Pride e il trenino delle Famiglie Arcobaleno,
nella cura condivisa che ha previsto accessibilità per tutti e tutte lungo
l’intero percorso. E c’erano le bandiere della Palestina sventolate dai carri e
sulla strada. C’erano i bambini nei passeggini, i gruppi di amici, le coppie che
si tenevano per mano. C’erano gli abiti succinti e quelli imponenti di merletti
e paillettes.
C’erano i corpi che occupavano lo spazio e in quella condivisione, nella folla,
ogni singolo passo si è fatto azione politica. Il Pride, a Palermo come in tutte
le altre città d’Italia, non è solo una festa di un giorno dove una volta
all’anno è lecito impazzire, ma l’espressione di una consapevolezza costruita in
modo collettivo attorno ad un progetto di società libera, equa, solidale.
Proprio per poter essere “orgogliosamente dissidente, senza compromessi e
ambiguità” il Pride di Palermo non ha avuto finanziamenti dagli enti locali né
sponsor e ha potuto alzare la sua voce contro il governo e le sue leggi
repressive. Resta aperta la domanda: se centomila e più persone possono
manifestare contro guerra e riarmo sventolando la bandiera palestinese, perché
al giro d’Italia e il 25 aprile quella stessa bandiera diventa motivo di
repressione?
Pubblicando stamane, dopo il bombardamento USA di stanotte contro l’Iran, la
risposta di luci suoni colori del Pride ci appare come un cantico di vita contro
l’ossessione disumana di continuare a infliggere morte (ndr)
Maria La Bianca