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SIRIA: ANCORA VIOLENZE SULLA COMUNITÀ DRUSA A SUWAYDA. DIVISIONI E SCONTRI FAVORISCONO LE INTERFERENZE DI ISRAELE E LE ALTRE POTENZE INTERNAZIONALI
La provincia meridionale di Suwayda, in Siria, è nuovamente un campo di battaglia. A scatenare gli ultimi scontri sono stati gli attacchi di alcuni gruppi tribali beduini contro una fazione armata drusa, accusata di abusi e violenze contro la popolazione civile dopo il ritiro delle truppe governative siriane all’inizio della settimana. Il Ministero dell’Interno siriano ha dichiarato che le forze di sicurezza si preparano a rientrare nell’area per “ristabilire l’ordine”. Intanto, in rete circolano nuovi video in cui si vedono miliziani jihadisti tagliare i baffi (importante simbolo religioso) agli uomini drusi per umiliarli e uccidere persone a sangue freddo. Nei giorni scorsi, col pretesto di “proteggere la minoranza drusa”, Israele ha bombardato la stessa Suwayda, la città di Dara’a e il cuore della capitale Damasco, lanciando missili a due passi da diversi edifici governativi. Tel Aviv ha ribadito di non tollerare la presenza dell’esercito siriano nella Siria meridionale. L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, Volker Türk, ha chiesto “indagini indipendenti, tempestive e trasparenti” sulle uccisioni e sulle gravi violazioni dei diritti umani avvenute negli ultimi giorni nella zona, dove il bilancio delle vittime è già drammaticamente alto. L’autoproclamato presidente siriano Ahmad al-Sharaa – salito al potere con il putsch anti-Assad di dicembre 2024 e con l’appoggio di Stati Uniti, Turchia e paesi arabi del Golfo – sta tentando di ristabilire l’autorità dello Stato sul territorio attraverso logiche autoritarie e militari. Gli scontri settari nel sud fanno eco ai massacri di civili alawiti sulla costa a dicembre 2024 e a marzo 2025. L’intervista di Radio Onda d’Urto a Lorenzo Trombetta, analista di Limes e Ansa, che per 25 anni ha lavorato come corrispondente dal Medio Oriente con base a Beirut. Ascolta o scarica. L’Amministrazione autonoma democratica della Siria del nord e dell’est, cioè l’autogoverno di un terzo del territorio siriano – da 13 anni – secondo il modello del confederalismo democratico, ha condannato le violenze ai danni della comunità drusa, alla quale si è detta pronta a offrire il proprio aiuto umanitario, ma ha condannato anche i bombardamenti israeliani. “La soluzione non è la guerra, ma una Siria decentralizzata, costruita a partire dall’autodeterminazione delle comunità locali”, dicono le istituzioni confederali. Ai microfoni di Radio Onda d’Urto è intervenuto anche Jacopo Bindi, dell’Accademia della Modernità Democratica e tra gli internazionalisti italiani che sono stati a lungo nei territori della Siria del nord-est. Ascolta o scarica.
MEDIO ORIENTE: NON SI FERMA IL GENOCIDIO A GAZA, CONTINUANO ANCHE GLI ATTACCHI ISRAELIANI IN SIRIA
Non si ferma il genocidio per mano israeliana a Gaza. Questa mattina, almeno 22 palestinesi sono stati uccisi o feriti durante nuovi attacchi aerei israeliani su diverse zone della Striscia. Un’intera famiglia, composta da cinque figli, è stata sterminata dai bombardamenti israeliani a Jabalia, nel nord della Striscia. A Gaza City, un attacco aereo ha ucciso quattro persone e ne ha ferite decine in un raid su una casa, mentre un altro bombardamento ha colpito un edificio a ovest della città, con un morto e numerosi feriti. Un altro attacco ha colpito un raduno di cittadini vicino alla stazione di servizio Bahloul, nel quartiere di al-Nasr, uccidendo un’altra persona. Nel campo profughi di al-Nuseirat, almeno quattro palestinesi sono morti in un bombardamento di artiglieria che ha preso di mira un gruppo di cittadini vicino a un frantoio Abu Odeh, a est del campo. Altri quattro sono stati uccisi, mentre numerosi sono rimasti feriti nell’attacco israeliano su una tenda che ospitava sfollati all’interno della scuola Abu Helou, nel campo profughi di al-Bureij, nella Striscia centrale. Infine è stata colpita da un attacco la chiesa della Sacra Famiglia a Gaza. Ci sarebbero 8 feriti gravi ed anche padre Gabriel Romanelli, il parroco, è rimasto leggermente ferito ad una gamba. Dall’inizio dell’aggressione israeliana la comunità cristiana si è dimezzata, passando da mille persone e cinquecento: circa 300 sono riusciti ad uscire dalla Striscia quando era ancora aperto il valico con di Rafah, 54 sono morti, 16 uccisi dai bombardamenti. I colpi di oggi sulla chiesa svegliano dal torpore Giorgia Meloni: “Sono inaccettabili gli attacchi contro la popolazione civile che Israele sta dimostrando da mesi. Nessuna azione militare può giustificare un tale atteggiamento” ha detto stamattina la Presidente del Consiglio dopo aver appreso la notizia. La segue Tajani, anche lui concentrato sul raid alla chiesa, definito dal Ministro degli esteri come un “atto grave contro un luogo di culto cristiano” e affermando che “gli attacchi dell’esercito israeliano contro la popolazione civile a Gaza non sono più ammissibili”. L’intervista di Radio Onda d’Urto a Eliana Riva, giornalista e caporedattrice di Pagine Esteri. Ascolta o scarica. Bombe israeliane non solo in Palestina. Dopo che la sera di martedì 15 luglio gli Usa avevano chiesto all’alleato israeliano di fermare i raid in Siria, per qualche ora non ci sono stati attacchi. I bombardamenti sono però ripresi ieri pomeriggio, mercoledì 16 luglio 2025, e hanno colpito le vicinanze del Ministero della Difesa, il quartier generale dell’esercito e del Palazzo presidenziale, nel cuore della capitale Damasco. L’Idf, inoltre, starebbe ritirando truppe di terra dal nord di Gaza per spostarle sulle alture del Golan, parte del territorio siriano occupato da Israele. Quindici soldati governativi siriani sono stati uccisi nei raid, che hanno colpito non solo la capitale, ma anche Sweida e la vicina regione di Daraa. Mosca ha condannato questi attacchi, definendoli una “violazione aperta della sovranità siriana”. Intanto, in Siria, l’esercito siriano ha iniziato il ritiro da Sweida, con il presidente Al Shaara che ha delegato ai leader locali drusi la responsabilità della sicurezza nella città meridionale. Oggi la situazione a Damasco è descritta da Marco Magnano, cooperante internazionale e giornalista indipendente, che si trova attualmente nella capitale siriana. Ascolta o scarica.
SIRACUSA: PARTITA L’IMBARCAZIONE HANDALA PER TENTARE NUOVAMENTE DI INFRANGERE IL BLOCCO DI ISRAELE AGLI AIUTI PER GAZA
È salpata domenica 13 luglio a Siracusa l’imbarcazione Handala della Freedom Flotilla Coalition. Farà tappa a Gallipoli, in Puglia e poi si dirigerà in Palestina carica di aiuti umanitari, sfidando nuovamente il blocco imposto dallo Stato sionista. Il natante espone bandiera inglese mentre l’equipaggio proviene da numerosi paesi tra i quali, Italia, Stati Uniti e Sud Africa. Numerosi i solidali da tutta la Sicilia che si sono recati al porto in occasione della partenza per esprimere la loro vicinanza. Tra di loro anche diversi sindaci. Sono alti i rischi che corrono la nave e il suo equipaggio, date le precedenti esperienze di altre imbarcazioni della Freedom Flotilla Coalition, che sono state attaccate dall’esercito israeliano. Nel 2010 durante un blitz sulla nave Mavi Marmara le forze armate di Tel Aviv uccisero 10 attivisti turchi. Zaher Darwish, coordinatore per l’italia della Freedom Flotilla, ci racconta la partenza di Handala e ricorda il significato politico della missione. Ascolta o scarica
PALESTINA: GI USA SANZIONANO FRANCESCA ABANESE PER AVER DENUNCIATO LE AZIENDE COMPLICI DEL GENOCIDIO A GAZA
Usa e Israele definiscono a Washington la loro idea di “tregua” tra campi di concentramento – come quello con il quale vogliono confinare 600mila palestinesi a Rafah – e riconoscimento di fatto dell’occupazione totale della Palestina, dalla Striscia di Gaza a gran parte della Cisgiordania. Hamas vuole che nel documento vi siano un impegno esplicito per la fine permanente dei combattimenti, il ritiro totale delle truppe di Tel Aviv dalla Striscia e l’esclusione della finta ong israelo-statunitense GHF dalla lista delle organizzazioni che gestiranno gli aiuti umanitari. Le trattative non sembrano quindi vicine alla firma di un accordo come vorrebbe, almeno nelle dichiarazioni, Trump. Nel frattempo, l’esercito israeliano prosegue il genocidio: almeno altri 13 palestinesi sono stati uccisi in un raid che ha colpito Deir el Balah. Altre 4 persone sono state uccise in un attacco sul campo profughi di Al Bureij. In totale sono almeno 24 i palestinesi massacrati dai bombardamenti israeliani soltanto nelle prime ore di stamattina. L’Ufficio Onu per il coordinamento degli affari umanitari fa sapere che dal 7 ottobre 2023 sono stati uccisi più di 15.000 studenti a Gaza. Secondo un conteggio effettuato dalle autorità educative della Striscia il 1° luglio, “almeno 15.811 studenti e 703 membri del personale educativo sono stati uccisi, mentre 23.612 studenti e 315 membri del personale educativo sono stati feriti, molti dei quali con conseguenze fisiche o psicologiche permanenti”. Raid, aggressioni e demolizioni da parte delle forze di occupazione israeliane continuano anche in Cisgiordania, dov’è ogni giorno più esplicita la volontà di espandere gli insediamenti dei coloni, cacciare la popolazione locale e annettere i territori allo stato di Israele. Stamattina i coloni hanno aggredito una donna a Masafer Yatta, nell’area di Hebron. Demolite poi dai bulldozer israeliani due case a Salfit. A Betlemme invece gli israeliani hanno sottratto altra terra ai palestinesi per costruire una strada tra diversi insediamenti coloniali. L’esercito occupante, infine, ha assaltato il quartiere di Al-Hadaf di Jenin facendo irruzione in alcune abitazioni. I militari hanno perquisito e danneggiato alcune case ed effettuato arresti, tra intimidazioni e spari. Gli Usa, infine, imporranno sanzioni a Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite per i Territori Palestinesi occupati. Lo ha annunciato il segretario di stato Usa Rubio, che farnetica di “illegittimi e vergognosi sforzi di Albanese per fare pressione sulla Corte Penale Internazionale affinché agisca contro funzionari, aziende e leader statunitensi e israeliani”. La “colpa” di Albanese – per statunitensi e israeliani – è quella di aver presentato un dettagliato rapporto sulle aziende coinvolte nel business del genocidio in Palestina, molte delle quali sono statunitensi, da Amazon ad Alphabet, da Microsoft a Palantir e Lockheed Martin. Il collegamento con Meri Calvelli cooperante in Palestina per ACS Associazione di Cooperazione e Solidarietà e direttrice del Centro Vik. Ascolta o scarica
PALESTINA: IL GENOCIDIO NORMALIZZATO TRA COMPLICITÀ, PROFITTI E SILENZI. L’INTERVISTA AL PROFESSOR IAIN CHAMBERS
A quasi due anni dall’inizio del genocidio in corso da ottobre 2023 a Gaza, i massacri israeliani contro il popolo palestinese si moltiplicano, non solo nell’indifferenza ma con la complicità esplicita dei governi occidentali e delle grandi aziende, non solo belliche. Iain Chambers, sociologo, già docente di studi culturali e postcoloniali all’Università Orientale di Napoli, oggi esperto presso l’ufficio del consigliere speciale delle Nazioni Unite per la prevenzione del genocidio, intervenuto ai microfoni di Radio Onda d’Urto, offre una chiave di lettura che cerca di andare oltre la cronaca. Chambers propone di leggere quanto accade in Palestina non “come un’eccezione, ma come uno specchio della storia occidentale: “La Palestina oggi è una forma di laboratorio della modernità, nel senso che è un archivio di tutte le formazioni della modernità occidentale, soprattutto delle sue radici coloniali”. Ciò che sta avvenendo, spiega, non è che la ripetizione, in forme nuove e tecnologicamente avanzate, di logiche storiche che affondano le radici nell’imperialismo europeo e il colonialismo israeliano come prosecuzione di un paradigma globale: “È il ritorno della nostra storia, che siamo abituati a considerare passata, chiusa nei capitoli del colonialismo europeo. Invece questa realtà coloniale continua a interrogarci nel nostro presente”. Uno degli aspetti centrali dell’intervento riguarda anche la complicità delle potenze occidentali – non solo a livello diplomatico e militare, ma anche finanziario e industriale. Chambers commenta il recente rapporto della relatrice ONU Francesca Albanese, che denuncia il coinvolgimento delle principali aziende tecnologiche statunitensi e delle banche europee nel supporto all’occupazione israeliana: “Le guerre sono sempre state grandi affari. Ma qui non si tratta solo dell’industria bellica: è coinvolto tutto il tessuto finanziario occidentale. Banche, industrie tecnologiche, sicurezza digitale, si produce profitto dalla distruzione, dalle menomazioni, dalle uccisioni”. Ai microfoni di Radio Onda d’Urto, l’intervento di Iain Chambers, sociologo, già docente di studi culturali e postcoloniali all’Università Orientale di Napoli, oggi esperto presso l’ufficio del consigliere speciale ONU per la prevenzione del genocidio. Ascolta o scarica.
EXPORT MILITARE: I DATI SMENTINSCONO IL GOVERNO, ISRAELE CONTINUA A RICEVERE ARMI DALL’ITALIA
L‘Italia non ha mai  interrotto l’export militare verso Israele, anzi, secondo fonti ufficiali, le forniture sono aumentate. A confermarlo l’analisi di Archivio Disarmo, condotta incrociando dati ufficiali del SIPRI, dell’ISTAT (portale di Coeweb per le statistiche sul commercio estero) e della Relazione governativa sull’export di armamenti, che smentisce le dichiarazioni pubbliche del Governo italiano circa la sospensione delle forniture dopo il 7 ottobre 2023. “I numeri parlano chiaro” spiega ai microfoni d Radio Onda d’Urto il giornalista freelance Luciano Bertozzi “dal 2019 al 2024, l’Italia è stata il terzo paese esportatore di armi verso Israele, dopo Stati Uniti e Germania. Solo nel settore aerospaziale, comprendente droni, radar e componenti per aerei, parliamo di esportazioni per 34 milioni di euro.” Mentre il governo italiano dichiara pubblicamente il proprio impegno umanitario – come l’accoglienza di bambini feriti da Gaza – la linea politica e commerciale resta saldamente a sostegno di Tel Aviv. Un esempio è l’accordo militare bilaterale firmato nel 2003, rinnovato automaticamente ogni cinque anni e che prevede cooperazione in ricerca, esercitazioni e scambio di tecnologie belliche. Ai microfoni di Radio Onda d’Urto, l’intervista a Luciano Bertozzi, giornalista freelance. Ascolta o scarica
PALESTINA: ISRAELE PROSEGUE IMPUNITO IL GENOCIDIO, MENTRE IL MONDO DISTOGLIE LO SGUARDO
Mentre gli occhi del mondo sono rivolti all’Iran, Israele continua impunito il genocidio in Palestina. Questa mattina all’alba i militari israeliani hanno di nuovo sparato, con droni e carri armati, alle persone in coda per ricevere aiuti umanitari a Wadi Gaza, nord di Nuseirat, nella Striscia di Gaza centrale. 15 i morti, circa 100 i feriti. Altri palestinesi sono stati uccisi stamattina in bombardamenti che hanno colpito il campo profughi di al-Shati, a Gaza city. Le forze di occupazione israeliane hanno anche fatto esplodere delle abitazioni a est di Jabalia, nel nord. Il bilancio delle vittime nella Striscia di Gaza dall’alba di oggi è di almeno 22. Dal 7 ottobre 2023 gli israeliani hanno ucciso più di 55.639 persone a Gaza, mentre il numero dei feriti è di oltre 130mila. Per quanto riguarda la Cisgiordania occupata ieri sera un uomo palestinese è stato ferito dagli spari dell’esercito israeliano nella città di Ya’bad, a sud di Jenin. Un altro palestinese è stato ferito stamattina dai coloni israeliani che lo hanno aggredito nella regione di Marj Si’, a nord-est di Ramallah. Sempre oggi le forze di occupazione israeliane hanno fatto irruzione nel campo profughi di Al-Am’ari, nei quartieri di Al-Masyoun a Ramallah e Sateh Marhaba ad Al-Bireh. I militari stanno anche continuando le loro incursioni nel campo profughi di Jalazone, a nord di Ramallah. Ai microfoni di Radio Onda d’Urto, l’intervento di Shukri Hroub dell’UDAP, l’Unione democratica arabo-palestinese. Ascolta o scarica.
IRAN-ISRAELE: ALTRA NOTTE DI ATTACCHI INCROCIATI. L’ANALISI DELLA GIORNALISTA LEILA BELHADJ MOHAMED SU SITUAZIONE INTERNAZIONALE E SCENARI INTERNI AI DUE STATI
Proseguono da sei giorni gli attacchi incrociati tra Israele e Iran, iniziati nelle prime ore di venerdì 13 giugno 2025 con l’aggressione e i bombardamenti israeliani. Ai microfoni di Radio Onda d’Urto Leila Belhadj Mohamed, giornalista esperta di Nord Africa e Asia occidentale, sottolinea che “Non c’è un unico motivo per cui Israele ha deciso di attaccare in questo momento l’Iran”. Belhadj Mohamed evidenzia un aspetto interno allo stato di Israele spesso sottovalutato, cioè il “processo per corruzione a Benjamin Netanyahu”, che viene posticipato ogni volta che il gabinetto di guerra israeliano decide un’azione militare. Questo, spiega la giornalista, suggerisce l’ennesimo tentativo di Netanyahu di “evitare la sua fine politica continuando a portare avanti conflitti armati”. Questo offre una prospettiva sulle motivazioni interne israeliane che va oltre le dichiarazioni ufficiali. Nella notte appena trascorsa, i jet israeliani hanno bombardato diverse aree della Repubblica islamica. Le autorità iraniane hanno confermato l’intensificarsi delle operazioni militari israeliane, che hanno colpito anche il reattore nucleare di Arak. In sei giorni di attacchi sono già centinaia le vittime in Iran, almeno 650, in larga parte civili. L’Idf, infatti, non prende di mira solo obiettivi militari come racconta, ma di tutto, come in Palestina e come già in Libano. Da parte sua, l’Iran ha risposto con lanci di missili che hanno bucato un’altra volta le difese israeliane in diverse zone del centro e del sud. Colpito l’ospedale Soroka a Beer Sheva, le città di Gush Dan, Holon e Ramat Gan, nonché diversi edifici a Tel Aviv. Ci sarebbero 129 feriti di cui alcuni molto gravi. Da Teheran, il governo ribadisce che queste azioni sono solo una forma di “autodifesa”, contestando il ruolo di aggressore attribuito loro dalle autorità israeliane. Sempre le autorità iraniane, secondo il The Guardian, avrebbero arrestato 18 uomini, definiti “agenti stranieri”, impegnati nella costruzione di droni per gli attacchi israeliani dall’interno del Paese. Nei giorni scorsi il Mossad aveva diffuso in un video immagini di propri agenti, dentro l’Iran, mentre assemblavano missili e droni. Sul lato diplomatico i ministri degli Esteri di Germania, Francia, Gran Bretagna e l’Alta rappresentante Ue Kallas incontreranno domani a Ginevra il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi, con il quale dovranno discutere di programma nucleare. L’incontro, secondo fonti diplomatiche tedesche, sarebbe stato concordato con gli Usa, che però non parteciperanno. Secondo i media statunitensi, Trump starebbe ancora valutando l’idea di attaccare e distruggere il sito nucleare di Fordow con una serie di attacchi, ma ricordano che – senza un attacco diretto da parte dell’Iran – non si tratterebbe di un’operazione speciale, bensì di una vera e propria guerra. Dunque, sottolineano dal Nyt, “il congresso deve prima autorizzare l’uso della forza militare”. “Trump sta un po’ ritrattando perché – ricordiamolo – per la legge statunitense un attacco a un governo o un paese straniero deve passare dal Congresso e si sta già parlando di una mozione bipartisan che vieti l’entrata in guerra degli Stati Uniti contro l’Iran”, commenta Leila Belhadj Mohamed ai nostri microfoni. “Quindi questo è un altro passaggio da tenere a mente. Noi sappiamo che Trump pensa di poter decidere tutto da solo con i suoi consiglieri, ma comunque esiste ancora uno stato di diritto, per ora”, aggiunge Belhadj Mohamed. Ai microfoni di Radio Onda d’Urto, l’analisi e il commento di Leila Belhadj Mohamed, giornalista che si occupa di Nord Africa e Asia occidentale. Ascolta o scarica.
PALESTINA: ANCHE IN ITALIA LA CAMPAGNA PER L’EMBARGO MILITARE CONTRO ISRAELE. 20 GIUGNO SCIOPERO GENERALE CONTRO GUERRA E RIARMO
La lotta per fermare il flusso di armamenti verso Israele sta assumendo una nuova dimensione in Italia, grazie alla campagna “Mask off Maersk”. Lanciata su scala internazionale da diverse organizzazioni palestinesi, tra cui il Palestinian Youth Movement (PYM), la campagna chiede l’immediato blocco delle spedizioni di armi, come i caccia F-35, destinate a Israele. Questo appello è stato rilanciato anche in Italia dai Giovani Palestinesi, in collaborazione con cinque sindacati di base (ADL Cobas, SCUB, Sicobas, SGB, USB), che da tempo lottano contro la complicità occidentale nei crimini commessi contro il popolo palestinese. La campagna contro l’invio degli F-35 e altre armi verso Israele non è solo una battaglia contro l’industria militare, ma anche una lotta per denunciare la complicità del governo italiano. L’Italia è  il terzo paese esportatore di armamenti verso Israele, dopo Stati Uniti e Germania, e la Leonardo S.p.A. è una delle aziende chiave nella produzione degli F-35, che vengono utilizzati nei bombardamenti e nelle operazioni militari in Palestina. Uno degli appuntamenti cruciali di questa campagna è lo sciopero generale del 20 giugno, che vedrà i sindacati di base scendere in piazza per protestare contro il genocidio e la guerra e chiedere un cambiamento radicale nelle politiche economiche e militari del governo italiano. Se ne parla ai microfoni di Radio Onda d’Urto con Youssef di Giovani Palestinesi d’Italia e Josè Nivoi, del Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali di Genova e di Usb – Unione Sindacale di Base. Ascolta o scarica ________ Di seguito la dichiarazione della campagna #MaskOffMaersk: “Fermare le spedizioni di F-35 a Israele – Porre fine alla complicità di Maersk nel Genocidio – Porre fine all’impunità per Leonardo S.p.A 16 Giugno 2025 Noi, rappresentanti dei movimenti e organizzazioni sottoscritte, siamo uniti nell’opposizione ai continui trasferimenti illegali di forniture militari a Israele, che consentono il genocidio in corso contro 2,3 milioni di palestinesi a Gaza, ai brutali attacchi e alla pulizia etnica nella Cisgiordania occupata e al regime di apartheid coloniale contro i palestinesi. Chiediamo urgente azione di mobilitazione contro le correnti spedizioni di equipaggiamento per la catena di approvvigionamento degli F-35 e di altro materiale militare (inclusi prodotti a duplice uso civile/militare) trasportato dalle navi della compagnia Maersk dallo stabilimento n.4 dell’aeronautica militare statunitense, gestito da Lockheed Martin, a Fort Worth in Texas, alla base aerea di Nevatim. Questa base ospita la flotta dell’aeronautica militare israeliana che sta conducendo una campagna genocida contro il popolo palestinese a Gaza e contro altre popolazioni nella regione araba. La prima struttura è l’appaltatore principale del consorzio internazionale che produce i jet F-35; la seconda è specializzata nella produzione, manutenzione e riparazione degli F-35 israeliani lungo tutta la catena della logistica. Sappiamo che l’Italia ha un ruolo centrale nella produzione degli F-35: dal 2019 la compagnia Leonardo S.p.a. ha effettuato 165 spedizioni di componenti di questi velivoli dall’Italia alla Lockheed Martin Aeronautics – tutte trasportate dalla Maersk. È sempre in Italia, nello specifico a Cameri, dove avviene la fase finale di assemblamento degli F-35. Invitiamo tutti i movimenti, le organizzazioni, i singoli individui e i lavoratori a: – fare pressione su Maersk affinché interrompa immediatamente tutti i trasporti di carichi militari diretti al Ministero della Difesa israeliano e di altri carichi che possano contribuire o favorire i crimini di guerra e il genocidio israeliani;. – mobilitarsi contro la produzione, commercializzazione e trasporto di F-35 e altre componenti militari della società Leonardo;. – mobilitarsi e organizzarsi affinché la catena di approvvigionamento degli F-35 si interrompa, a cominciare dall’Italia: non possiamo più accettare che le istituzioni italiane, locali e nazionali, siano direttamente complici nel genocidio;. – esercitare pressioni sulle autorità interessate affinché neghino a Maersk Detroit e Nexoe Maersk l’ingresso nei porti del Mediterraneo e interrompano ogni partecipazione al trasbordo di carichi militari destinati all’esercito israeliano, come già accaduto in Francia e in Marocco. Facilitare queste spedizioni rende qualunque Stato vi partecipi complice di un genocidio, violando la chiara volontà dei popoli, che rifiutano a larga maggioranza la normalizzazione e il crescente consenso internazionale contro i trasferimenti di armi a Israele;. – attuare mobilitazioni popolari nei porti di transito della Maersk Detroit e della Nexoe Maersk;. – fare pressione su governi, autorità portuali e aziende della logistica affinché blocchino il flusso di armi verso Israele e interrompano qualsiasi complicità nel trasferimento di carichi militari e di altro tipo che favoriscano o facilitino gli atroci crimini israeliani. Ci uniamo alla stragrande maggioranza dei sindacati palestinesi che hanno invitato i lavoratori di tutto il mondo ad agire per intensificare le campagne #BlocktheBoat e #MaskOffMaersk e fermare le spedizioni illegali che consentono i crimini atroci israeliani. Facciamo inoltre eco alla Federazione Generale Palestinese dei Sindacati di Gaza, che ha chiamato i lavoratori di tutto il mondo ad agire per fermare il flusso di armi verso Israele. Invitiamo i sindacati a essere solidali con il popolo palestinese e a proteggere i lavoratori nei porti, sulle navi, nelle aziende e negli uffici governativi dal coinvolgimento in trasferimenti criminali, il più delle volte a loro insaputa e/o senza il loro consenso. Esortiamo i sindacati, i lavoratori portuali e le organizzazioni della società civile a organizzarsi contro la vergognosa normalizzazione e complicità dei loro governi. Questo è il momento di resistere agli attacchi di Stati Uniti e Israele alla lotta palestinese. Dobbiamo intensificare le azioni e chiarire che il popolo rifiuta la normalizzazione e la complicità nel genocidio come un tradimento della lotta di liberazione palestinese. Il popolo sta con Gaza! Embargo sulle armi ora!”
MEDIO ORIENTE: QUARTA NOTTE DI ATTACCHI TRA ISRAELE E IRAN. ANCORA MASSACRI A GAZA
Al termine della quarta notte di bombardamenti israeliani in Iran e missili iraniani sulle città israeliane, l’esercito di Tel Aviv ha affermato di avere preso il controllo dello spazio aereo di Teheran. Nelle ultime ore sono continuati i bombardamenti di Israele sull’Iran. Le autorità iraniane parlano di diversi obiettivi civili colpiti, compreso un ospedale pediatrico nella capitale. Forti esplosioni sono state segnalate anche nei pressi del sito nucleare di Fordow. Due enormi boati sono stati uditi a nord della capitale, mentre Tel Aviv dice di avere assassinato alcuni alti funzionari della Repubblica islamica. Anche nell’ovest dell’Iran i missili israeliani hanno colpito un ospedale. Secondo i dati del ministero iraniano sono almeno 244 le vittime dei bombardamenti israeliani da venerdì 13 giugno a oggi, lunedì 16 giugno 2025. A Teheran sono stati arrestati due agenti del Mossad, i servizi d’intelligence esteri israeliani. Con loro avevano 200 kilogrammi di esplosivo e un equipaggiamento di 23 droni. In manette sono finiti però anche militanti o attivisti dell’opposizione iraniana. Nel fine settimana sono state arrestate alcune decine di persone accusate di “collaborazionismo” e di seminare “agitazione” nell’opinione pubblica. Teheran ha risposto lanciando una serie di missili balistici su Israele. Colpiti due grattacieli residenziali nel centro di Tel Aviv, esplosioni anche nel nord e nel sud del paese, mentre droni armati sono stati segnalati al confine con il Libano. Un missile lanciato dallo Yemen è stato intercettato, insieme ad altri droni diretti a Tel Aviv. “Abbiamo colpito con successo Israele” ha affermato l’esercito iraniano annunciando nuovi attacchi a obiettivi vitali. Le vittime di questa notte sono 8, 24 in tutto dall’inizio dei bombardamenti tra Israele e Iran. Di queste, diverse sono palestinesi con passaporto israeliano, in particolare quelle decedute nella città di Tamra sabato. I rifugi antiaerei scarseggiano nelle città israeliane a maggioranza araba. Mentre infuriano i bombardamenti Trump parla di “buone chance” per un accordo tra Israele e Iran, ma dice anche di non escludere il coinvolgimento degli Stati Uniti nella guerra. Secondo una portavoce del ministero degli Esteri di Teheran, citata da Sky News Uk, l’Iran starebbe preparando un disegno di legge per formalizzare la sua ucita dal Trattato di non proliferazione nucleare che attualmente lo impegna a non sviluppare armi atomiche. Il trattato è in vigore dagli anni Settanta e Israele non vi aderisce. Il fatto che Israele abbia deciso di aprire il fronte con l’Iran non ha interrotto il genocidio che l’esercito israeliano porta avanti ai danni dei palestinesi nella Striscia di Gaza. Nelle ultime ore più di 70 persone sono state uccise. Ancora una volta, 20 vittime sono state uccise dai militari israeliani che hanno aperto il fuoco contro persone in cerca di aiuti umanitari nel sud della Striscia. Le aggressioni di esercito e coloni israeliani proseguono anche nella Cisgiordania occupata. Il punto sulla cronaca, su Radio Onda d’Urto, con Eliana Riva, caporedattrice di Pagine Esteri. Ascolta o scarica. Sulle frequenze di Radio Onda d’Urto è intervenuta per un commento anche Cinzia Nachira, redattrice della rivista R-Project. Ascolta o scarica.