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20 anni dopo l’8 dicembre NoTav a Venaus: in mostra a Susa quell’epica stagione
Nell’ambito delle iniziative per il ventennale dei fatti avvenuti in Valsusa dal 31 ottobre all’8 dicembre 2005, si è inaugurata lo scorso week end al Castello della Contessa Adelaide di Susa una ricca mostra per rievocare non solo quell’epica giornata, ma tutto ciò che successe in Valle prima e anche dopo. Un racconto per immagini (oltre 80 le foto che il Movimento NoTav ha recuperate dagli archivi delle testate Luna Nuova e Valsusa che ringraziamo) ma non solo, perché aggirandosi tra i pannelli esposti sarà possibile rivedere quelle straordinarie “creature” con cui l’artista Piero Gilardi espresse tutta la sua solidarietà e partecipazione al nostro movimento. Il percorso della mostra segue un tragitto cronologico partendo dall’epica battaglia del Seghino (31ottobre 2005), quando popolazioni e sindaci da una parte e forze dell’ordine dall’altra si fronteggiarono: i primi per impedire l’installazione di una trivella che avrebbe significato l’avvio dei cantieri della linea TAV Torino-Lione, i secondi per scortare la trivella stessa. Quel giorno segnò una prima vittoria per il fronte della cittadinanza che insieme ai suoi amministratori si era compattamente opposta all’abuso di una decisione imposta dall’alto e in disaccordo con l’intero territorio. Ma nella notte, centinaia di mezzi di Polizia tornarono sul luogo per militarizzare il comune di Mompantero e completare l’opera. La mostra prosegue quindi con le immagini delle proteste del giorno successivo, con l’occupazione di strade e ferrovie. Fino a quella grande marcia che il 16 novembre disegnò uno straordinario serpentone da Bussoleno fino a Susa, con oltre 50.000 persone, tra loro parecchi parlamentari, esponenti politici, delegazioni da tutt’Italia… ma soprattutto noi, studenti, vigili del fuoco, medici, semplici cittadini, abitanti della Valle. Le foto documentano poi l’escalation di tensione, quando alla fine di novembre le FFOO si attestarono a Venaus per permettere a LTF (oggi TELT) di installare il cantiere per l’inizio degli scavi del tunnel di base. Di nuovo ci fu una vera e propria insurrezione popolare, che creò una situazione di stallo e presidi permanenti per alcuni giorni e notti seguenti, fino a che, nella notte fra il 5 ed il 6 dicembre, i reparti speciali della Polizia diedero l’assalto alla tendopoli dei presidianti, ferendo decine di inermi cittadini, alcuni in modo grave. Su quella notte e sui giorni che seguirono la documentazione fotografica è particolarmente emozionante, soprattutto per quell’epica giornata dell’8 dicembre, quando una moltitudine di persone, si parlerà di 60.000, marciò verso il cantiere, occupandolo e costringendo le forze dell’ordine a battere in ritirata. La mostra si conclude infine con le immagini della grande e festosa manifestazione che si tenne anche a Torino il 17 dicembre: un altro bel serpentone di 50.000 persone, tra loro anche Dario Fo, Franca Rame, Marco Paolini, che arrivati al Parco della Pellerina presero la parola. Fu quello il momento che proiettò l’opposizione al TAV a livello nazionale. Manifestazione a Torino, 17 dicembre 2005 | Foto di Enzo Gargano A corredo di questa ricca carrellata di immagini, volti e ricordi, la mostra offre una rara occasione di rivedere alcune opere ritenute disperse (e che per fortuna siamo riusciti a recuperare) del compianto Piero Gilardi, artista, ambientalista e da sempre vicino alle istanze del Movimento NOTAV. Una foto datata proprio 8 dicembre 2005 lo immortala mentre si porta sulle spalle la “nostra Talpa”, in contrarietà con “la Talpa LTF” che avrebbe dovuto scavare il tunnel nelle viscere della montagna. Oppure nella scultura intitolata Le tre scimmie, ecco rappresentata la connivenza che sostiene il potere politico, insieme a quello finanziario, per non dire della mafia. Ed ecco anche il mitico Giacu, creatura mitica e notturna, con cui per anni il “folletti” del Movimento NOTAV continuarono a disturbare il personale TELT oltre le reti, che nel 2012 Gilardi tradusse in scultura, per una marcia da Susa a Bussoleno. Molto efficace anche un lungo striscione che occupa quasi un intero muro, concepito in collaborazione con alcuni giovani NOTAV, che seguendo una linea del tempo dal ‘93 ad oggi, rievoca con molta efficacia i momenti chiave di 32 anni del Movimento. Dopo l’inaugurazione dello scorso week end, la mostra sarà nuovamente visitabile dal 5 dicembre fino al giorno 8, dalle 14,30 alle 18.00. L’ingresso è gratuito e il visitatore potrà portarsi a casa, con un’offerta volontaria, il libro riccamente illustrato dal titolo L’autunno contro, che la testata Luna Nuova pubblicò pochi mesi dopo quell’epica stagione: con testi di Tiziano Picco, Massimiliano Borgia, Claudio Rovere, Andrea Spessa, Daniele Fenoglio, Paola Meinardi, Davide Chiarbonello e oltre 300 foto a colori di Gabriele Basso, Danilo Calonghi, Alessandro Contaldo, Luca Croce, Marco Giavelli, Claudio Giorno, Renzo Miglio, Eva Monti, Norma Raimondo, Stefano Snaidero. Giorgio Mancuso
Il progresso non può essere costruito sulle macerie delle case dei residenti
Continua a far discutere in Val di Susa la “presa di possesso” delle case destinate alla demolizione nella Piana di San Giuliano, poco prima di Susa, per far posto (chissà quando) alla Stazione Internazionale della Grande Opera. Sui modi a dir poco sbrigativi che hanno caratterizzato la penosa procedura alla presenza degli ex proprietari è già intervenuta “a caldo” Nicoletta Dosio nei giorni scorsi su questo sito. E oggi riceviamo e volentieri pubblichiamo questo contributo dei Cattolici per la Vita della Valle, con le firme elencate alla fine. -------------------------------------------------------------------------------- Alla luce del Vangelo e della Dottrina Sociale della Chiesa, l’esproprio e l’abbattimento delle case in frazione San Giuliano di Susa per i cantieri TAV pongono gravi interrogativi: non si tratta solo di procedure tecniche o urbanistiche, ma di scelte che incidono sulla carne viva delle persone. Nel Vangelo, la casa è il luogo in cui Dio incontra l’uomo: Gesù vi entra, la benedice, la difende: «La casa costruita sulla roccia» (Mt 7,24) non è solo immagine spirituale, ma simbolo del luogo dove l’uomo vive e cresce. La Dottrina Sociale della Chiesa afferma che la casa è un’estensione della famiglia e che privarne qualcuno è un atto estremamente serio, ammissibile solo se strettamente necessario, proporzionato e mai compiuto con leggerezza o indifferenza e un esproprio è ammissibile solo quando serve al bene comune autentico, dimostrabile, partecipato, proporzionato e non ridotto a vantaggio economico o tecnologico di pochi. Ma quando un’opera viene giustificata con un concetto astratto di progresso, senza ascolto reale dei cittadini e senza una trasparenza convincente, allora non si tratta più di bene comune, ma di imposizione. La signora Ines Riosecht, 88 anni, residente a San Giuliano dal 1959, non è riuscita a trattenere le lacrime di dolore, salutando per sempre il luogo in cui ha trascorso 55 anni della sua vita. | Foto Notav.info Il bene comune, secondo la Chiesa, non è la somma degli interessi, ma la condizione che permette a tutti — soprattutto ai più deboli — di vivere dignitosamente (Compendio DSC, nn. 164–170). Per questo la Chiesa considera la casa un bene umano primario, non un semplice “immobile”. Quando un’abitazione viene demolita senza reale necessità o con motivazioni sproporzionate, si compie una ferita grave: si strappa a famiglie e persone una parte della loro identità, un luogo che spesso ha radici generazionali. Come credenti che vedono il nostro territorio e le persone che lo abitano sempre più vandalizzato, distrutto, calpestato, avvertiamo che in questo caso il bene comune è stato invocato come paravento, mentre gli interessi economici e geopolitici hanno avuto il sopravvento sulla giustizia sociale. La Chiesa ricorda che non tutto ciò che è tecnicamente possibile è moralmente lecito. Papa Francesco, in Laudato si’ e Laudate Deum, richiama un principio fondamentale: nessuna decisione che incide profondamente sul territorio e sulla vita delle persone può essere presa ignorando il dialogo con la comunità. La vicenda di San Giuliano di Susa- e di tutta la Valle, rientra tristemente in questo schema: dialogo insufficiente, consultazioni solo formali, scarsa o nulla attenzione alle alternative, una comunità locale trattata più come ostacolo che come soggetto. Anche Papa Leone XIV ha ribadito che la terra, la casa e il lavoro sono diritti sacri, che vale la pena lottare per essi, dicendo “Ci sto!”, “sono con voi”! Questa triade è il contrario della “trinità moderna” del profitto, del consumo e dell’indifferenza. Leone XIV invita a un cambiamento strutturale — non caritativo — della società: la giustizia non nasce dalla beneficenza, ma dalla trasformazione delle cause dell’ingiustizia. Il Papa ha sostenuto i rappresentanti dei “movimenti popolari”, affermando che: «Le vostre numerose e creative iniziative possono trasformarsi in nuove politiche pubbliche e diritti sociali», ringraziandoli per “camminare insieme (che) testimonia la vitalità dei movimenti popolari come costruttori di solidarietà nella diversità. La Chiesa deve essere con voi: una Chiesa povera per i poveri, una Chiesa che si protende, una Chiesa che corre dei rischi, una Chiesa coraggiosa, profetica e gioiosa!” Quanto avvenuto è contrario al criterio evangelico del “camminare insieme”. Quando lo Stato tratta i cittadini come intralci, tradisce la sua missione di custode del bene comune. L’uso massiccio di procedure coercitive, forze dell’ordine, cantieri blindati e misure eccezionali rivela un problema serio: se un’opera per essere realizzata deve ricorrere alla forza, allora essa non gode del consenso sociale necessario per definirsi bene comune. La Chiesa, per Papa Leone, non è spettatrice della storia, ma soggetto attivo di liberazione, accompagnando i movimenti popolari, nonostante in passato “sono stati spesso guardati con sospetto e persino perseguitati”, perché queste “lotte sotto la bandiera della terra, della casa e del lavoro per un mondo migliore, meritano incoraggiamento; oggi la Chiesa deve accompagnare i movimenti popolari e ciò significa accompagnare l’umanità, camminare insieme nel rispetto condiviso della dignità umana e nel desiderio comune di giustizia, amore e pace. E la Chiesa sostiene le giuste lotte per la terra, la casa e il lavoro”.   Gli operai di Telt mettono le griglie alle finestre | Foto Notav.info La Chiesa è alleata delle lotte per la dignità, perché “i dinamismi del progresso vanno sempre gestiti attraverso un’etica della responsabilità, superando il rischio dell’idolatria del profitto e mettendo sempre l’uomo e il suo sviluppo integrale al centro”, per prendere sul serio il dramma dei “popoli spogliati, derubati, saccheggiati e costretti alla povertà”. Se un’opera è necessaria, deve essere accompagnata da massima giustizia, compensazioni adeguate, rispetto, dialogo e cura delle famiglie coinvolte; se invece i costi umani, economici, ambientali superano il beneficio reale, allora l’opera diventa moralmente problematica. Il Vangelo ci chiede di stare dalla parte delle persone più vulnerabili, non dell’efficienza a ogni costo. Gesù non ha esitato a denunciare i poteri che opprimono, quando “mettono pesi sulle spalle della gente” (Mt 23,4). E oggi quei pesi sono concretissimi: case abbattute, comunità sradicate, territorio ferito. La Chiesa, fedele al Vangelo e alla sua Dottrina Sociale, è chiamata ad alzare la voce profetica: quando un’opera divide la società, impoverisce i piccoli, ignora il dialogo e ferisce il territorio, allora non serve all’uomo, e dunque non è secondo Dio. La comunità cristiana è chiamata a essere prossima a chi vive momenti di precarietà e sradicamento, perché il volto ferito delle persone è sempre il primo luogo in cui il Vangelo chiede di essere incarnato e alla luce della fede come Gruppo Cattolici per la Vita della Valle non possiamo tacere. Esprimiamo la nostra solidarietà alle famiglie che hanno perso la casa, alzando la nostra preghiera al Dio Creatore del Cielo e della Terra: Il progresso non può essere costruito sulle macerie delle case dei residenti. La modernità non può passare sopra la dignità delle famiglie. Lo Stato non può chiedere sacrifici umani travestiti da opere pubbliche. Gruppo Cattolici per la vita della Valle Paolo Anselmo (Bruzolo), Laura Favro Bertrando (Sant’Antonino), Rosanna Bonaudo (Caprie), Elisa Borgesa (Chiusa San Michele), Eugenio Cantore (Sant’Ambrogio), Maria Grazia Cabigiosu, Donatella Giunti, Mira Mondo (Condove), Roberto Perdoncin (Susa), Giorgio Perino (Bussoleno), Gabriella Tittonel, Paolo Perotto (Villar Dora), Don Paolo Mignani (Settimo T.se), Marisa Ghiano (San Didero). Centro Sereno Regis
Di case sacrificate al TAV, agavi resistenti, alberi in catene, bandiere
Case di San Giuliano. Case amate e difese, che hanno sfidato il tempo e accolto vite e storie, nell’avvicendarsi delle generazioni. Ora sono vuote, forzatamente espropriate e a breve saranno abbattute. Proprio qui, alle porte di Susa, in questa frazione condannata a morire di TAV, è previsto lo sbocco del tunnel ferroviario di base e la trasformazione del territorio in discarica a cielo aperto per lo stoccaggio del materiale di scavo, pietrisco velenoso di amianto e uranio. La tristezza di questa piovosa domenica pomeriggio pesa come un macigno su questi luoghi che già hanno conosciuto l’impatto dei cantieri autostradali ed ora sono a rischio di devastazione ad opera dell’ennesima grande, mala, inutile opera. Angoscia delle abitazioni silenziose, abbandonate. Muri che cominciano a scrostarsi, finestre come orbite vuote, rottami di traslochi forzati. Negli orti resiste qualche cespo d’insalata insieme a ciuffi di menta e piante di rosmarino. Una bellissima, rigogliosa agave si appoggia alla facciata a sud di una delle case, quasi a sostenerla. Le sue dimensioni, le grandi foglie carnose, testimoniano della sua vita lunga e tenace, capace di sfidare venti, gelo, siccità. Si prepara fiduciosa al lungo inverno. Nulla sa della ruspa in agguato. La casa più vecchia è anche la più cara al cuore del movimento NO TAV. L’abitavano una anziana signora e i suoi figli. Si opposero fino all’ ultimo, tenacemente, all’esproprio. Infine furono costretti a cedere, per disperazione. Sulla facciata sopravvive il murale di Blu: un mostro ferrigno dalle cento pale avanza contro un grande albero. I rami dell’albero sono braccia possenti che spezzano le manette strette intorno alla verde chioma. Dal tronco spuntano mani arboree che brandiscono tronchesine, tagliano reti, impugnano mattarelli, reggono maschere antigas, sventolano bandiere: sono gli attrezzi della nostra lotta, la metafora di una ribellione che dura, della natura che con noi si difende. Ormai si fa sera. la pioggia è cessata. da uno squarcio tra le nubi si affaccia la luce rossa del tramonto. Anche la vecchia casa sorride: all’improvviso, quasi per magia, ai balconi, finestre, cancello sono fiorite le bandiere NO TAV. Centro Sereno Regis
Dieci anni dopo il Tribunale Permanente dei Popoli: in ricordo di quella storica sentenza
8 novembre 2015, Teatro Magnetto di Almese. Qui, dieci anni fa in una sala gremita, ascoltavo la lettura della sentenza del Tribunale Permanente dei Popoli (TPP) su “diritti fondamentali, partecipazione delle comunità locali e grandi opere”. (https://permanentpeoplestribunal.org/) Una sentenza che a dieci anni di distanza andrebbe riletta con attenzione (qui il testo integrale) e la cui lettura in quel memorabile giorno, in particolare le raccomandazioni ai gruppi di interesse che a tutti i costi volevano la costruzione della NLTL (Nuova Linea AV Torino Lione) aveva rappresentato per me e per tutto il Movimento No Tav un momento di profondo orgoglio, la riprova della fondatezza della nostra lotta e il sigillo sulla verità dei suoi presupposti. Sin da marzo del 2015, Il TPP aveva condotto una fase istruttoria densa di contatti con gruppi rappresentativi delle realtà italiane ed europee che si opponevano alle grandi opere. La sua segreteria aveva visitato i territori minacciati incontrando le comunità resistenti. Come il Movimento No Tav, anche le controparti indicate nell’atto di accusa erano state invitate a partecipare alla sessione pubblica. Ma i proponenti della NLTL, in particolare Paolo Foietta e Mario Virano (rispettivamente Presidente dell’Osservatorio Tecnico Torino-Lione, e Direttore Generale di TELT) avevano risposto che le loro posizioni erano chiare, scritte su documenti pubblici, a dimostrazione dell’assoluta correttezza assunta nella questione TAV in Val Susa. La correttezza di Foietta e Virano nell’iter decisionale circa la NLTL, era stata invece smentita dall’istruttoria del TPP. Si era infatti dimostrato che nessuna informazione puntuale e adeguata era stata data alle comunità e alle amministrazioni locali sulle caratteristiche e sugli effetti dell’opera prima dell’accordo Italia-Francia del 2001, che ancora oggi (2025) costituisce la base normativa per la costruzione della nuova linea ferroviaria AV. Le testimonianze raccolte erano unanimemente d’accordo sul fatto che l’informazione istituzionale si era limitata a mera propaganda, a slogan e previsioni mirabolanti, a menzogne e incontri “di facciata”, organizzati dai promotori con la partecipazione di un’esigua rappresentanza del movimento No TAV. La scarsa o deformata informazione sull’opera veniva perciò presentata dal TPP come una chiara violazione della Convenzione di Aarhus che dal 2001 stabilisce tre principi fondamentali, preliminarmente a qualsiasi grande progetto con rilevanti impatti sull’ambiente: 1) l’accesso alle informazioni, 2) la partecipazione dei cittadini al processo decisionale e 3) l’accesso alla giustizia in materia ambientale sono i tre capisaldi che definiscono le condizioni di continuo scambio di informazioni fra proponenti l’opera e comunità locali, all’interno di un quanto mai ampio processo collaborativo e in condizioni di uguali poteri e pari dignità. La scarsità, la non veridicità e l’inadeguatezza delle informazioni denunciate dal Movimento No Tav avevano permesso, secondo il TPP, una progressiva estromissione delle amministrazioni locali dall’iter decisionale, culminata nell’inserimento della linea TAV Torino–Lione fra le infrastrutture di preminente interesse nazionale (Legge Obiettivo del 2001), e trasferendo ogni decisione in tema di compatibilità ambientale al Presidente del Consiglio dei Ministri. Anche l’Osservatorio che era stato istituito con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri nel 2006 e propagandato come esempio di corretto rapporto tra istituzioni e cittadini, e come opportunità di partecipazione delle amministrazioni locali alle decisioni sull’opera, non ha retto alla prova dei fatti. L’istruttoria del TPP ha smontato anche quel teatrino, per il fatto di aver “eluso il confronto sul punto centrale – decisivo ai fini di un reale coinvolgimento della comunità locale – circa l’effettiva necessità di una nuova linea ovvero dell’opportunità di ammodernare e utilizzare quella storica”. In altre parole l’Osservatorio, fortemente orientato alla promozione e alla tutela degli interessi dei proponenti l’opera, non ha mai preso in considerazione la cosiddetta “opzione zero”, ovvero la non necessità di costruire una nuova linea AV fra Italia e Francia. Nello sminuire e degradare le istanze dei territori, l’Osservatorio ha “ridefinito le rappresentanze locali” ammettendo alla partecipazione “i soli Comuni dichiaratamente favorevoli […] alla miglior realizzazione dell’opera». Già nel 2015 si paventava, quale presupposto per la costruzione della nuova linea ferroviaria la “prossima saturazione della linea storica”. Il TPP, anche attraverso documenti di fonte governativa (quaderni dell’Osservatorio), dava ragione al movimento No Tav e rilevava che la saturazione dell’attuale linea ferroviaria “era ben lungi dal realizzarsi ed era anzi destinata a non realizzarsi affatto”, essendo la linea storica utilizzata al 20 – 30 per cento delle proprie potenzialità. Ciò che era vero nel 2015 è ancora più vero oggi, come prova la chiusura dell’AFA (Autostrada Ferroviaria Alpina, aprile 2025) fra Bourgneuf (Lione) e Orbassano (Torino) con il licenziamento di 18 addetti. Dopo due anni di interruzione del servizio per la frana che aveva chiuso la linea ferroviaria a La Praz, il servizio intermodale non è più stato riattivato per la pretesa del gestore (Mercitalia) di sovvenzioni statali a copertura della costante perdita economica della tratta. Nonostante gli oltre 40.000 camion all’anno trasportati attraverso il servizio AFA e tolti dalle direttrici stradali, i contributi nazionali di Italia e Francia per la gestione del servizio sono stati sospesi nel 2023 (Ministero dei trasporti guidato da Matteo Salvini), a riprova di quanto le politiche economiche e dei trasporti abbiano scarso interesse al trasferimento modale del trasporto merci dalla strada alla ferrovia, altro presupposto strombazzato a giustificazione della NLTL. Le “informazioni scarse e inadeguate” hanno quindi “inciso in modo significativo sui processi democratici, sia sulla definizione dell’interesse generale (sacrificabile a favore di interessi particolaristici), sia sui processi decisionali e sulla partecipazione agli stessi (che deve fondarsi su informazioni attendibili)”. Anche il ricorso alla giustizia amministrativa o ordinaria del Movimento No Tav per ottenere risposte e tutele (ricorsi, esposti, denunce) ha svelato una fortissima cointeressenza delle istituzioni intorno al TAV in Val Susa al punto che la Magistratura ha trasformato l’accusatore nella sua nemesi. L’esposto, presentato nel 2013 dal presidente di Pro Natura Piemonte sul pericolo cagionato da una frana attiva incombente sull’area della Maddalena a Chiomonte, è diventato il pretesto per un procedimento penale nei confronti dei ricorrenti per “procurato allarme”! La restrizione dell’area di manifestazione e la non tutela di alcuni diritti fondamentali hanno determinato, secondo la requisitoria del TPP, una “elevata e talora aspra conflittualità”, che ha determinato risposte istituzionali oltre “la soglia fisiologica del mantenimento dell’ordine democratico e dell’equilibrato perseguimento dei reati”, inducendo per modalità, distorsioni o eccessi, significative violazioni di diritti costituzionalmente garantiti quali quello alla circolazione, alla manifestazione e all’espressione del pensiero. Tenere la collettività all’oscuro delle decisioni e delle loro conseguenze, modificare, mentendo o distorcendo le informazioni sulla grande opera, delegittimare le domande provenienti da un’opinione pubblica giustamente allarmata e criminalizzare il dissenso erano i tratti comuni di “uno stato di eccezione, di un modus operandi” che accoglieva la progressiva istituzionalizzazione del sistema economico e finanziario internazionale e che accettava l’instaurazione di un sistema di regole parallele, alle quali piano piano ci si piegava e ci si adeguava. Affermazioni propagandistiche e prive di fondamenti oggettivi e scientifici quali “Treno ad alta velocità, si deve fare, costi quel che costi”, “il progresso non va fermato”, “il TAV come occasione per sviluppare strumenti sociali, economici e culturali capaci di unire territori e generazioni”, avevano creato un “anti-modello” e motivato le severe raccomandazioni del TPP rivolte ai promotori della NLTL. Se già nel 2015 erano le ragioni economiche delle lobbies ad imporsi e a indirizzare scelte, strategie e investimenti verso l’unico obiettivo della crescita economica, è ancor più evidente oggi che a venir meno sono le ragioni di quella parte di società che accetta di veder sacrificati beni comuni e “valori di più lungo periodo”. Altre collettività, altre comunità sono invece diventate, usando le parole del TPP, quelle “sentinelle che lanciano l’allarme”, costantemente in grado di smascherare e opporsi a quelle “violazioni del diritto che possono avere un grave impatto sociale ed ambientale”. Smascherando l’anti-modello globale delle grandi opere il Tribunale Permanente dei Popoli riconosceva al Movimento No Tav “la legittimità, il vigore e la qualità di una lotta che riflette la coscienza etica dell’umanità, una coscienza che le permette e le dà la possibilità di vivere in pace con sé stessa e con la natura”. “Ovunque vi sia un territorio, in Val di Susa come in America Latina, minacciato da una grande opera, si assiste alla devastazione ambientale, alla distruzione delle specificità sociali, culturali, economiche, all’irreparabilità del danno e al deturpamento dell’utilità pubblica”. A tutt’oggi il popolo No Tav non ha mai tradito quell’esortazione del TPP a continuare nell’impegno di sorveglianza, intensificando anzi la sua solidarietà e la sua indignazione di fronte all’ingiustizia e (riprendendo le parole pronunciate dieci anni fa da Nicoletta Dosio) affermandosi in resistenza. > Perché resistere non è solo un diritto. È un dovere dell’amore. (NdR: per una dettagliata ricostruzione della quattro giorni del TPP, dal 5 all’8 novembre 2015, e delle varie fasi del processo istrutturio che culminò con il pronunciamento della sentenza al Teatro Magnetto di Almese, si rimanda a questo link del Controsservatorio Valsusa, che riporta anche tutti gli interventi:  Giorgio Mancuso
Bussoleno, il giorno della trivella
 Il giorno temuto della prima trivellazione funzionale al Tav a Bussoleno è arrivato. Di buon mattino compare il messaggio: “zona ex scalo ferroviario, camion carico di materiale compatibile con il montaggio trivella”. Mi sono precipitata sul luogo a rischio, lo stesso della mia passeggiata quotidiana lungo la Dora. Questa volta sono sola, il mio cane Gigio l’ho lasciato a casa, a scanso pericoli…. Sul fiume, sui boschi di sempre pesa la foschia della giornata piovosa: oggi l’autunno ha perso l’aura dorata dell’anno che serenamente declina, per coprirsi dell’uggiosa tristezza che sa già d’inverno. Invece di imboccare il solito sentiero nel bosco, salgo lungo il terrapieno della ferrovia, che offre una visuale dall’alto, complessiva. Non sembra esserci nulla lungo il greto del fiume, nulla nella fascia dei prati che le mappe segnalano come a rischio sondaggi. Respiro di sollievo: forse non è ancora il momento, c’è ancora spazio per la quotidianità ‘buona’ che anche la precarietà della vecchiaia può donare…. Poi la vedo, la trivella, alta, ai margini dell’area che, fino a trent’anni fa, prima della privatizzazione delle Ferrovie dello Stato, era il fiorente scalo merci della stazione di Bussoleno. La zona è inaccessibile, bloccata da un muro di blindati e figure in assetto antisommossa. Ci torno nel pomeriggio insieme ad un gruppetto di compagni. Il rapporto numerico non ci è favorevole: uno di noi contro almeno tre di loro. Tentiamo invano di avvicinarci. Alla fine ce ne andiamo sotto la pioggia, tra il freddo e la tristezza della sera, mentre le torri-faro si accendono ad illuminare l’ennesima ferita, l’ennesima prepotenza ai danni di questa terra e di chi l’abita. Oggi, in quello che è diventato per me il “posto delle fragole”, là dove era stata posta a monito e a difesa la bandiera NO TAV, è piantata la trivella e intorno si allargano acqua e fango. Sono arrivata con Gigio e mi ha colpita di lontano un rumore insolito di ferraglia, di pietra frantumata. Poi l’ho scorta, tra gli alberi, al fondo del sentiero, contro gli spalti boscosi del ponte ferroviario, nel punto in cui esiste un breve accesso al fiume, una piccola spiaggia dalla quale una mattina vidi alzarsi in volo, elegante e solitario, un airone cinerino. Intorno alla trivella l’affaccendarsi degli operai e la presenza inquietante, più che mai fuori luogo, delle “ forze dell’ordine”, in divisa e in borghese. Non so se in me sia maggiore la rabbia o il senso d’impotenza; sento la mia voce che protesta e mi sembra una voce nel deserto. Di fronte ho un muro di gomma: solo il rumore delle carrucole contro il silenzio delle foglie che continuano a cadere. Esco dal bosco verso i prati aperti: di fronte, sull’alto dei terrapieni, ancora mezzi blindati, divise, camion in attesa, figure che si muovono sui pendii. In mezzo, un mare di erba e di tarassaco fiorito e, sopra di tutti, il cielo e stracci di nuvole in fuga. Di lontano arriva il suono delle campane di mezzogiorno. Impotenza, insensatezza…. Gigio trotterella tranquillo sulla via del ritorno. Centro Sereno Regis
Grandi Opere – Storie di Opacità. Convegno del 18 ottobre 2025 organizzato da Presidio Europa ad Avigliana
I molteplici, interessanti e documentati interventi che si sono succeduti nella giornata hanno ancora una volta messo in evidenza l’inutilità delle Grandi Opere, la loro insostenibilità economica, finanziaria ed ambientale e l’accumulo di follia ad esse sottese. L’incontro pubblico è stata un’ulteriore occasione per fare il punto sui diritti della cittadinanza ad intervenire sulle proposte di costruzione di Grandi Opere, in particolare TAV e Ponte sullo stretto di Messina, e, soprattutto, ad accedere agli atti e ai documenti. Proprio i dinieghi di accesso agli atti, nonostante la legislazione nazionale ed europea, sono un’emblematica fotografia dell’opacità, della mancanza di trasparenza e conseguentemente di democrazia. Varie richieste di sapere le date di apertura dei lavori, dei costi e della loro attualizzazione, quali imprese lavorano per i proponenti, il cronoprogramma e i lotti costruttivi sono tutte cadute nel vuoto, sia in Italia che in Europa, con le motivazioni più disparate. ALCUNE: * Segreto commerciale e finanziario per evitare il “pregiudizio concreto” che subirebbe Telt ove comunicasse tali informazioni essendo le stesse di carattere strategico * Tutela della privacy delle imprese appaltatrici * Pregiudizio concreto per ordine e sicurezza, se fosse conosciuto il cronoprogramma dei lotti costruttivi “la tutela dell’interesse pubblico in ordine alla sicurezza pubblica è a rischio, date le violente proteste che hanno accompagnato l’attuazione del progetto in passato e che hanno indotto le autorità italiane ad adottare misure volte a garantire la sicurezza dei cantieri” * Società di diritto francese (TELT) che, oltre a dichiarare di non essere tenuta a consentire l’accesso agli atti, nega anche il ricorso a questa decisione sempre con la medesima motivazione (ma se è società di diritto francese, come può espropriare terreni in Italia, di cittadini e cittadine italiane???) Viene quindi ribadito che l’accesso alle informazioni, il ricorso al FOIA e la capacità di leggere e interpretare i documenti sono strumenti fondamentali per la difesa dei diritti e la tutela dell’ambiente in un tempo di crisi climatica e il continuo diniego sia un “furto di democrazia”. A questo, si aggiunge l’inosservanza di alcune norme previste dal Codice dell’Ambiente (D Lgs 152/2006*) che prevedono che i pareri dei vari soggetti che concorrono all’Autorizzazione Integrata Ambientale (Istituto Superiore di Sanità, ARPA, ASL…) siano tempestivamente pubblicati dall’autorità competente sul proprio sito internet istituzionale. Questo non avviene e nuovamente vengono a mancare gli elementi di conoscenza, trasparenza e democrazia, finalizzati a *proteggere la salute umana, contribuire con un miglior ambiente alla qualità della vita, provvedere al mantenimento delle specie e conservare la capacità di riproduzione degli ecosistemi in quanto risorse essenziali per la vita. Le grandi opere sono imposte, spesso inutili e dannose, con ricadute negative su ambiente, economia, salute. Deve essere anche considerato come l’opposizione alle G.O. abbia avuto una risposta repressiva, militarizzando i territori, inasprendo le pene e introducendo nuove ipotesi di reato per condannare ogni forma di dissenso, con impiego sproporzionato dei poteri legittimi della forza, anche nei confronti di forme di resistenza passiva. In questo scenario, le grandi opere sono predeterminate al fallimento, sono tra le realizzazioni più complesse della “tecnica senza limiti invalicabili”, determinando crimini ecologici e la dominazione della tecnica sul diritto, sull’etica e sulla politica, negando con i fatti l’urgenza della conversione ecologica indispensabile per garantire il futuro all’umanità. Una giornata, come si diceva all’inizio, ricca di interventi, competenze, studi e di riferimenti normativi nazionale ed europei: chi volesse ulteriori approfondimenti li può trovare al link https://www.presidioeuropa.net/blog/grandi-opere-storie-di-opacita-documentazione/ . Segnalo in particolare https://www.presidioeuropa.net/blog/la-banalita-degli-atti-di-alcuni-servitori/ Andrea Zanzotto, il più grande poeta italiano vivente, ha lanciato il suo SOS per una natura che ogni giorno viene saccheggiata, stuprata, spremuta da una miriade di orrori ambientali a vantaggio di una speculazione edilizia dissennata in assoluto spregio dell’impatto ambientale. «Una volta avevo orrore dei campi di sterminio, oggi provo lo stesso orrore per lo sterminio dei campi». E, parafrasando Albert Einstein, ha aggiunto che soltanto due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana, e che non è ancora certissimo della prima. Si riferiva a una stupidità verace e cioè a quella che l’uomo, con il suo antropocentrismo, rivela quasi ogni giorno sfregiando una natura che, nonostante gli scempi, sopravvive. Centro Sereno Regis
Il posto delle fragole e la scure del TAV
LA VOCE DEL FIUME E DEL VENTO, UN LENTO CADERE DI FOGLIE, IL ROSSO, L’ORO, LE TINTE BRUNITE DELL’AUTUNNO E LO SPLENDORE DEI PRATI ANCORA VERDI, DISSEMINATI DI GIALLO TARASSACO, IN QUESTA MATTINA CHE SA DI PRIMAVERA. COME OGNI GIORNO, INSIEME A GIGIO, IL MIO VECCHIO, AMATO CANE, CAMMINO LUNGO IL SENTIERO CHE SI DIRAMA IN MILLE VARIANTI TRA LA FITTA VEGETAZIONE DEL BOSCO FLUVIALE. In questo che per me è diventato “il posto delle fragole”, ho visto, giorno dopo giorno, avvicendarsi le stagioni con i loro doni di fiori, frutti ed erbe. Ho colto la presenza furtiva degli animali della selva, la vita delle tane scavate in alto sopra il fiume, nella sabbia pietrificata. Dal folto dei rami le voci degli uccelli mi hanno raccontato di amori, nidi e addii; piccole, alate creature, merli, passeri, cinciallegre, tornate come sempre a svernare nei pruneti del fondovalle…. Accanto alla selva, oltre il confine dei boschi, la campagna con i lavori agricoli, l’irrigazione dei prati nella canicola d’agosto, le fienagioni e il profumo del fieno, i voli dei corvi ed ora, dopo l’ultimo taglio dell’erba, le mucche al pascolo, ritornate dagli alpeggi alle stalle di pianura. Bellezza, tenerezza che consola, e rabbia al pensiero che tutto questo può finire, inghiottito dalla grande, mala, inutile, costosissima opera che si chiama TAV. Qui, proprio qui, su questa terra amata è previsto il raccordo tra la linea ferroviaria storica e la progettata linea ad Alta velocità Torino – Lyon, con un mastodontico ponte, nuovi fasci di binari, l’ennesima desertificazione, la stessa che ha devastato i castagneti e le foreste della Clarea ed ora scende lungo la Valle con i suoi cantieri di morte. Oggi ho con me le mappe (reperite a fatica, da privati, perché neppure ai Comuni vengono avvertiti dell’inizio ed entità degli interventi) dei futuri sondaggi geognostici, propedeutici all’inizio dei lavori sul territorio di Bussoleno. HO PORTATO ANCHE LA BANDIERA NO TAV, PER PIANTARLA SUI TERRENI MINACCIATI. La bandiera sarà un grido, un segno di ribellione: la rassegnazione non abita questa Valle, perché nella resistenza del movimento NO TAV continuano a vivere la ragione e la forza della lotta partigiana e ridiventano attuali le istanze delle lotte operaie, sociali e ambientali del passato. Lo sventolio della bandiera col treno crociato mi segue di lontano per un lungo tratto, mentre percorro la via del ritorno. Intorno, lo sguardo si allarga alle case lungo la ferrovia e si alza alle frazioni – Falceagna, Pietrabianca, Lorano, Meisonetta – che costellano i pendii, fino alla cima del Rocciamelone già imbiancato dalla prima neve. Le montagne sembrano abbracciare, assorte e protettive, questo lembo di mondo che per noi è casa e vita. Centro Sereno Regis
Riflessioni, interrogativi, dubbi dopo il Festival Alta Felicità
La “convergenze” degli incontri e delle riflessioni dimostrano la capacità, la volontà, la testardaggine di chi vuole ancora spendersi per un mondo più giusto, per abbattere le diseguaglianze, per smettere di riarmarsi, per lottare contro le gradi devastazioni e rimettere la persona umana e la difesa del Creato al centro del dibattito pubblico e delle scelte politiche. Dobbiamo continuare a far finta di niente, a girare la testa dall’altra parte, a lasciare che scelte scellerate continuino a rovinare la vita delle persone e siano solamente occasioni di speculazioni finanziarie? Tra gli spunti di riflessione presentati al Festival Alta Felicità, mi pare importante dare risalto al primo appuntamento che ha aperto il Festival venerdi 25 luglio alle ore 10.00 con la presentazione del libro “Sotto il cielo di Gaza” di Don Nandino Capovilla e di Betta Tusset e con Enzo Infantino. Don Nandino è parroco di Marghera, Venezia, da anni impegnato in progetti di inclusione sociale per migranti e senza fissa dimora. Ha ricoperto il ruolo di coordinatore nazionale di Pax Christi Italia dal 2009 al 2013, ed è particolarmente noto per la campagna “ponti e non muri” sulla questione israelo‑palestinese. Betta Tusset, veneziana, consigliera nazionale di Pax Christi Italia, laureata in lettere moderne, è attiva nel mondo del volontariato sociale; dal 2018 al 2020 ha coordinato nella sua città un progetto di inclusione sociale, abitativa e lavorativa per persone migranti in situazioni di vulnerabilità. Enzo Infantino, cooperante calabrese e attivista per i diritti umani, è impegnato da oltre vent’anni nelle missioni di solidarietà e riflessione sui conflitti contemporanei. Originario di Palmi, in Calabria, ha lavorato in contesti difficili come i campi profughi in Grecia, Siria, Libano, Cisgiordania e Gaza. Enzo è stato protagonista di numerose missioni nei campi profughi di Grecia e Medio Oriente, compresi i campi di Idomeni, in Grecia al confine con la Macedonia, dove per mesi sono rimasti bloccati oltre sedicimila esseri umani. Il libro “Sotto il cielo di Gaza”, pubblicato l’11 marzo 2025 da Edizioni La Meridiana, è un libro-inchiesta realizzato attraverso una serie di conversazioni con Andrea De Domenico, funzionario dell’OCHA, l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari, attivo nei territori palestinesi occupati e si presenta come “raccoglitore di storie, testimonianze e dati”, descrivendo il dramma vissuto quotidianamente a Gaza per il genocidio in corso: perdita della casa, della terra, della libertà di movimento, di pane, acqua, salute, istruzione con statistiche aggiornate all’inizio del 2025,  che riportano numeri drammatici: decine di migliaia di morti, la maggioranza donne e bambini, infrastrutture distrutte, tra cui scuole, case, strutture sanitarie; emergenza alimentare e malnutrizione diffusa tra la popolazione di Gaza. Il libro denuncia quella che Don Nandino definisce il genocidio del popolo palestinese come criminale e mette al centro la responsabilità internazionale di ridurre il massacro di civili inermi a soli dati numerici, dimenticandosi dei “volti e dei nomi” di ogni vittima, a cui è negata da decenni di occupazione militare ogni diritto. “Sotto il cielo di Gaza” è anche un libro di preghiera e di supplica, quelle che a partire dai testi biblici ha scritto Michel Sabbah, patriarca emerito di Gerusalemme, chiedendo al Signore di “fermare la morte e la guerra e di convertire all’umanità quelli che hanno piani di morte nei loro cuori”. L’incontro con Don Nandino, Betta ed Enzo ha rappresentato delle voci autentiche, radicate nei propri contesti di vita ma rivolte al mondo, dove ogni gesto quotidiano può essere seme di cambiamento e resistenza. Gli interrogativi nascono dagli altri dibattiti ed eventi culturali: il Festival ha presentato un’ampia proposta di incontri, presentazioni e confronti, dal tema dell’Intelligenza Artificiale alla precarietà e al lavoro in “zone di sacrificio” (Ilva Taranto e  GKN di Campi Bisenzio); dal dibattito “Liberi tuttu: rappresentazione, cura e diritti” su disabilità, autodeterminazione e resistenza, al focus su nucleare, agrivoltaico, riarmo, riconversione ambientale; dall’assemblea “Guerra alla guerra” contro riarmo europeo e genocidio in Palestina al dialogo tra Patrick Zaki e Ilaria Salis su democrazia, repressione e diritti. A tutte queste occasioni – alle quali si sono affiancate altre presentazioni di libri nell’area autogestita –  la partecipazione è stata massiccia con tantissimi giovani interessati ad approfondire i vari temi toccati, dimostrandosi giustamente preoccupati per il futuro loro e del pianeta. La “convergenze” degli incontri che, per chi vuole, sono tutti disponibili sul sito del festival , dimostrano la capacità, la volontà, la testardaggine di chi vuole ancora spendersi per un mondo più giusto, per abbattere le diseguaglianze, per smettere di riarmarsi, per lottare contro le gradi devastazioni e rimettere la persona umana e la difesa del Creato al centro del dibattito pubblico e delle scelte politiche. Dobbiamo continuare a far finta di niente, a girare la testa dall’altra parte, a lasciare che scelte scellerate continuino a rovinare la vita delle persone e siano solamente occasioni di speculazioni finanziarie? Così arriviamo ai dubbi: davvero l’incendio di alcune sterpaglie e di alcuni manufatti sono solo segno di violenza? Non possono essere considerati sabotaggi? Qualcuno ha scritto che in questo modo si passa dalla parte del torto, che così non si è ascoltati, che non si riesce a dialogare… Sono 30 anni che si cerca il dialogo nel merito dell’opera, non degli slogan, sono 30 anni che si prova in tutti i modi ad avere degli incontri con i tecnici di LTF prima e Telt adesso, non vi è MAI stata data un’occasione che sia una di confrontarsi. Ricordo solo due occasioni: “Ascoltateci” digiuno a staffetta nel 2012 in Piazza Castello a Torino e in Valle, che non ha prodotto alcun risultato; un incontro pubblico in una parrocchia a Torino presente Virano, all’epoca presidente dell’Osservatorio sul TAV, e quando abbiamo fatto alcune domande precise e puntuali, siamo stati gentilmente accompagnati fuori con la motivazione che quello non era né il luogo né il momento: eravamo solo in 2 mio marito ed io. E potrei andare avanti ancora a lungo con tanti e tanti esempi di come la voluta mancanza di confronto sia sempre stata da parte dei proponenti l’opera. Le nostre argomentazioni non sono mai state considerate, saliamo agli onori della cronaca solo quando avvengono fatti “violenti” come quelli di sabato a margine della manifestazione ma nessuno ha dato risalto al comunicato di Amnesty International: > ”La manifestazione del 26 luglio in Val di Susa, organizzata a margine del > festival dell’Alta Felicità dal movimento “No Tav”, è stata caratterizzata da > fasi del tutto pacifiche e da momenti di tensione. Gli osservatori di Amnesty > International Italia erano presenti alla manifestazione e hanno potuto > monitorare due delle azioni realizzate dal gruppo di manifestanti, presso il > cantiere di San Didero e Traduerivi. Nella zona da loro monitorata a San > Didero, gli osservatori hanno documentato un uso sproporzionato e > indiscriminato di gas lacrimogeni da parte delle forze di polizia: tra i 180 e > i 200 in poco più di un’ora contro circa 500 manifestanti, in risposta al > lancio di oggetti. Le forze di polizia hanno utilizzato i gas lacrimogeni > anche contro persone che si stavano allontanando e che non rappresentavano > alcuna minaccia per l’incolumità altrui. In diversi casi, anziché essere > diretti verso l’alto, le granate contenenti gas lacrimogeni sono state > lanciate ad altezza persona: ne è stato testimone diretto anche uno degli > osservatori di Amnesty International Italia, che nonostante indossasse la > pettorina, è stato colpito sulla schiena. Sono state ferite altre due persone, > rispettivamente alla nuca e alla fronte.  Come già emerso in precedenti > osservazioni in Val di Susa, anche quest’anno le forze di polizia hanno dunque > fatto un uso dei gas lacrimogeni non rispettoso degli standard internazionali > sui diritti umani. Amnesty International Italia ricorda che, secondo i > medesimi standard, una protesta pacifica, seppur attraversata da circoscritti > atti di violenza, resta pacifica e le forze di polizia devono garantire che > possa proseguire, tutelando le persone che vi stanno partecipando; la forza > dovrebbe essere utilizzata come ultima risorsa, solamente laddove non esistano > altri mezzi per raggiungere obiettivi legittimi e solo quando sia necessaria e > proporzionata alla situazione.” Da oltre trent’anni le ragioni di critica e di opposizione sono sempre le stesse: la Torino-Lione è inutile, è costosissima, è devastante per l’ambiente, è un’opera vecchia, superata dai tempi e dalla storia, la cantierizzazione produrrà polveri sottili e movimenterà sostanze potenzialmente inquinanti e insalubri. Soprattutto è certificata la sottrazione di enormi quantità di acqua dalla montagna ed all’ambiente naturale, spreco dimostrato fin dal 2008 dalle decine di litri al secondo drenate ogni giorno dalle gallerie di servizio già realizzate. Cosa altro dobbiamo inventarci per far comprendere queste ingiustizie trasportistiche, economiche, climatiche, ambientali e sociali e far sì che l’enorme inutile investimento economico sia dirottato verso settori più necessari, a partire dalla messa in sicurezza dei territori? Centro Sereno Regis
Guerra alla guerra: dal Festival dell’Alta Felicità in Val Susa il più deciso NO al riarmo e al Genocidio in Palestina
Tra i momenti più importanti all’interno del programma del Festival dell’Alta Felicità che si è concluso pochi giorni fa a Venaus, merita senz’altro una menzione speciale l’assemblea in tema di Guerra alla Guerra, Stop Riarmo, Stop Genocidio, bella e partecipata sotto il tendone-dibattiti di domenica 27 luglio. Guerra alla Guerra  sarebbe in realtà il titolo di un libro che un certo Ernest Friedrich – cittadino prussiano, anarco-pacifista, reduce da un buon numero di anni di prigione per essersi rifiutato di partecipare alla 1ma Guerra Mondiale – decise di pubblicare un centinaio di anni fa per documentare quegli orrori che lui era riuscito a schivare, ma non la maggior parte dei suoi coetanei: i corpi trucidati in trincea senza possibilità di soccorso, le amputazioni, la sofferenza inflitta alle popolazioni, impressionante raccolta di 180 immagini rintracciate in vari archivi militari, che rilegò e pubblicò a sue spese con il titolo appunto Krieg del Kriegel (Guerra alla Guerra),  Riferimento e titolo quanto mai perfetto, dunque, per questa assemblea che era stata per tempo convocata tra il maggior numero di realtà territoriali, in forma di appello “per tutt* coloro che sentono la necessità di sviluppare un percorso il più possibile largo e partecipato contro la guerra, contro il riarmo dell’Europa e per dire NO al genocidio in Palestina; tutt* coloro che già si mobilitano e vogliono condividere i loro percorsi, mettersi in dialogo e convergere, per curvare un destino che sembra ormai ineluttabile (…) confidando nella capacità di far confluire e moltiplicare le occasioni che si potranno aprire nell’accelerazione degli eventi.” Assemblea che si è aperta con il messaggio di solidarietà all’equipaggio della nave Handale della Freedom Flotilla, che solo la notte prima era stata arrestata dall’esercito israeliano, e con gli applausi per la liberazione dell’attivista libanese George Ibrahim Abdullah, dopo una detenzione di 40 anni nelle carceri francesi. Il microfono è passato poi a Nicoletta Dosio che rievocando alcuni momenti cruciali nella storia del Movimento Notav, ha sottolineato il valore della solidarietà e della resistenza “soprattutto nei momenti di sconforto: voglio qui esprimere la gioia di vedere tanti volti giovani, in questo luogo, la piana di Venaus, che è stato il teatro di quell’epica vittoria per il nostro Movimento all’interno di una lotta che all’inizio sembrava impossibile. Un percorso che, a partire dalla fine degli anni ’80, è stato lungo ma è stato soprattutto di crescita collettiva, mentre la guerra ci arrivava in casa, letteralmente. Con i militari reduci dalle guerre in Afghanistan, con i loro strumenti di morte, con i primi Lince che abbiamo visto in Clarea, le zone rosse a interdire il passaggio in territori che erano nostri. E questa è la grande lezione del Movimento No Tav: il territorio è una prima cellula di una realtà che si allarga, che abbraccia tanti problemi. Lo abbiamo detto tante volte. La nostra non è solo una lotta contro un treno, ma l’opposizione a tutto un sistema, che è lo stesso che vuole le guerre. E quindi l’unica possibile risposta a questa aggressione è la ricomposizione delle lotte: mettere insieme i temi del lavoro con le proteste per la casa, nelle università, nelle piazze, contro le solitudini. La lotta contro il Tav è andata avanti per tutti questi anni anche perché è stata una risposta alla sensazione di impotenza, se non di sconfitta, a quella ‘pigrizia del cuore’ che ci fa prende, a volte. (…) E noi dobbiamo imparare a resistere attingendo anche agli esempi del passato, non solo alla lotta partigiana, ma alla storia di continui scioperi dei ferrovieri, delle Officine Moncenisio che ebbe luogo non lontano da qui, nel comune di Condove, come rifiuto di tutti i lavoratori compati nei confronti di una produzione mortifera. La nostra è una Guerra alla Guerra perché come ben sappiamo quel treno è stato progettato come vettore di morte, lungo uno dei tanti corridoi militari che sono stati previsti da chi ci governa, precorrendo i tempi…” Dopo di lei è stata la volta di Marta Collot (Potere al Popolo) che ha ribadito la necessità di andare oiltre il No Rearm Europe: “dobbiamo dire con chiarezza che siamo contrari a qualsiasi progetto di riarmo europeo che ci venga proposto all’insegna della sicurezza, e la lotta alla NATO dovrà essere un elemento centrale della nostra opposizione alla guerra, non solo per la richiesta di aumento delle spese militari, che comporteranno un massacro sociale, ma perché le basi militari nei nostri territori rappresentano già un problema enorme per la sicurezza di tutti noi!”. Dal Movimento No Base di Pisa, da anni in lotta contro l’ennesima base militare, è arrivata una chiara consapevolezza circa l’irreversibilità del progetto “non perché debba considerarsi battaglia persa, ma perché qualunque sia l’opposizione la macchina sta andando avanti, ingenti investimenti sono stati fatti nella crescente cooptazione delle istituzioni comprese scuole e università, in un clima di segretezza che conferma quello che non è uno slogan ma una realtà: le guerre non scoppiano, piuttosto si preparano“. E tuttavia, anche in questo clima di crescente militarizzazione, ecco palesarsi delle opportunità: di reagire, organizzarci, darci degli obiettivi, mobilitarci insieme, nella sempre più capillare conoscenza delle problematiche che caratterizzano i nostri territori e dell’urgenza di costruire alleanze in grado di incidere. Per esempio recentemente abbiamo scoperto un accordo quadro da un miliardo di euro per la realizzazione di 29 infrastrutture militari !!! tra cui la nostra, oltre che in Piemonte, Puglia, Emilia Romagna, nei pressi di Bolzano… su questa traccia intendiamo lavorare, a più mani e a più voci.” Tantissimi gli interventi da parte delle realtà presenti, che per esigenze di spazio ci limiteremo ad elencare. Da Roma è intervenuto Quarticciolo Ribelle che ha ribadito l’importanza di dare voce alla società civile, intesa come realtà di collettivi e movimenti. Tra le realtà che in Italia si sono maggiormente impegnati per la Palestina, sono intervenuti i Giovani Palestinesi, Intifada studentesca, Udap. Per il movimento dei lavoratori portuali che concretamente si oppongono al transito di armi sono intervenuti i GAP di Livorno e i CALP di Genova. E poi le realtà transfemministe di Non Una di Meno, oltre a Extinction Rebellion, il Movimento Disoccupati 7 novembre  da Bagnoli e da Vincenza il movimento Notav e vari centri sociali dal Nord Est d’Italia. Della campagna Stop ReARM ha parlato la portavoce di Arci Nazionale che ha ribadito la necessità di una mobilitazione europea: Stop Rearm Europe! E poi ancora la Rete No DL Sicurezza che ha ricordato l’appuntamento del 21 settembre; Reset; gli operi della Tubiflex e di USB; i Movimenti di lotta per la casa di Roma, Militant… Una lunga, densa, ottimamente condotta e davvero importante assemblea che, ha posto le basi per un percorso collettivo che punti alla ricomposizione delle differenze e alla costruzione di un’unità il più possibile ampia e incisiva, con obiettivi condivisi, e in una prospettiva di lungo periodo. E “senz’altro tutti in convergenza” come ha concluso Dario Salvetti della GKN di Firenze, riprendendo il loro storico slogan. Prossimo appuntamento di mobilitazione nazionale: 8 novembre a Roma- E sarà un’ennesima data tra le tante già annunciate di questo molto prossimo autunno che, tra l’Altra Cernobbio (5-6 settembre), la Università Estiva di Attac (12-14 settembre) e vari altri appuntamenti andando verso la Marcia Perugia-Assisi (12 ottobre) si preannuncia bello caldo davvero. Centro Sereno Regis
Festival Alta Felicità IX edizione: molto più di un festival
Con un lungo, fragoroso, emozionante intermezzo di rumore alle 22 in punto di ieri sera per lo Sciopero dal Silenzio per Gaza indetto da Paola Caridi, Tomaso Montanari & Co, è trascorsa anche la terza serata del Festival dell’Alta Felicità che quest’anno ancor più della scorsa edizione ha registrato un’affluenza superiore a ogni aspettativa. Tantissimi gli spunti di riflessione emersi dalla quantità di incontri e dibattiti che non mancheremo di riprendere i prossimi giorni. Intanto vi proponiamo queste OSSERVAZIONI IN MARGINE DI LUCIA MALENGO Quest’anno al Festival Alta Felicità, organizzato dai NO TAV e giunto alla sua nona edizione, sono arrivati, in numero mai visto prima, giovani e meno giovani da tante parti d’Italia e da alcuni paesi europei. Questo fatto, oltre ad essere una buona notizia per chi da anni si oppone al TAV, rappresenta un interesse del tutto naturale per l’opera, che infatti è  stata definita dai proponenti “strategica” per l’Italia e per l’Europa tutta. Non per nulla i costi in continuo aumento del tunnel che dovrebbe unire Saint Jean de Maurienne con la piana di Susa sono sostenuti, oltre che da Francia e Italia, anche dalla Comunità Europea. Dunque non si tratta affatto solo di un problema della Valle di Susa ed è giusto che tutti i cittadini europei che ritengono ingiustificato questo dispendio abnorme di denaro pubblico, possano venire sul posto a rendersi conto della situazione e a manifestare il proprio dissenso. Del resto i tecnici TELT, a cui è affidata la realizzazione del tunnel di base, nella conferenza tenutasi a Susa il primo luglio scorso, hanno chiarito bene il ruolo strumentale della valle: essendo  attraversata da due strade statali, una ferrovia internazionale e un’autostrada, presenta aree già compromesse, come appunto la piana di Susa, a cui si può aggiungere qualche ettaro ulteriore per calare questa ennesima opera di interesse nazionale ed europeo, eliminando o spostando le “interferenze”, termine forse tecnico, che però suona vagamente sprezzante poiché riguarda case, strade, ferrovia locale, canali ecc. Foto di Marioluca Bariona E dunque il Festival Alta Felicità nasce come luogo di discussione  innanzitutto sull’opportunità di ampliare la compromissione del territorio,  ma estende  l’attenzione alla sostenibilità del modello di sviluppo sotteso, tenendo conto dell’attuale situazione economica, politica e ambientale nazionale e globale. Questo spiega un programma ogni anno ricco certo di musica e di spettacoli, ma soprattutto di conferenze, dibattiti, presentazione di libri e interviste su temi non immediatamente riconducibili al progetto TAV. Tutto ciò presuppone un’organizzazione piuttosto attenta e precisa, curata da intere squadre di volontari di ogni età. E in questo contesto, fin dal lancio del programma, si è annunciata,  con orari e destinazioni molto precise, una serie di “passeggiate” nei luoghi dei cantieri e in particolare è stata programmata una marcia con partenza dal campeggio del Festival per raggiungere l’area dell’attuale autoporto nella frazione Traduerivi di Susa: qui è  attivo un cantiere per lo smantellamento degli impianti di “Guida sicura” e la trasformazione della zona in luogo di stoccaggio e lavorazione dello smarino. Ebbene,  sabato 26 luglio la marcia è avvenuta come da programma e un’intera ondata di  manifestanti è entrata bellamente nel cantiere super recintato, sorvegliato e normalmente difeso dalle forze dell’ordine. Dopodiché qualcuno ha dato fuoco ad un’attrezzatura incustodita provocando una colonna di fumo nero durata un’ora circa; mentre servendosi tranquillamente del treno di linea, un altro gruppo di manifestanti ha raggiunto il cantiere più a valle, a San Didero, dove è in costruzione il nuovo autoporto e dove, pare, si erano concentrate le forze dell’ordine in tenuta antisommossa, che hanno respinto un tentativo di assalto. Durante la notte, poi, quando i manifestanti avevano ormai fatto ritorno al campeggio, qualcun altro, mettendo a rischio il boschetto circostante, ha dato fuoco alla struttura che (prima dei sigilli) ospitava il presidio No TAV di San Didero, posto esattamente davanti al cantiere attentamente sorvegliato  dalle citate truppe… L’impressione è ovviamente che si sia trattato  di una ripicca;  se fosse dimostrata,  sarebbe la prova di una situazione ampiamente sfuggita di mano. Intanto sui social fioccano post, per la verità piuttosto sgangherati, che alimentano confusione e sospetti: come mai il cantiere di Traduerivi, meta dichiarata della manifestazione, non era presidiato? Chi erano realmente i personaggi mascherati che hanno appiccato l’incendio? Chi ha incendiato (e non per la prima volta!) la casetta del presidio NO TAV di San Didero? Ci si può ancora definire No TAV considerando che nel movimento si annidano dei violenti? Come mai la statale percorsa dal corteo annunciato non era presidiata da polizia urbana o da altre forze dell’ordine? Ma, soprattutto, chi trarrà maggior vantaggio da questa confusione? Foto di Marioluca Bariona Foto di Marioluca Bariona Foto di Marioluca Bariona Foto di Marioluca Bariona Foto di Marioluca Bariona Foto di Marioluca Bariona Centro Sereno Regis