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20 anni dopo l’8 dicembre NoTav a Venaus: in mostra a Susa quell’epica stagione
Nell’ambito delle iniziative per il ventennale dei fatti avvenuti in Valsusa dal 31 ottobre all’8 dicembre 2005, si è inaugurata lo scorso week end al Castello della Contessa Adelaide di Susa una ricca mostra per rievocare non solo quell’epica giornata, ma tutto ciò che successe in Valle prima e anche dopo. Un racconto per immagini (oltre 80 le foto che il Movimento NoTav ha recuperate dagli archivi delle testate Luna Nuova e Valsusa che ringraziamo) ma non solo, perché aggirandosi tra i pannelli esposti sarà possibile rivedere quelle straordinarie “creature” con cui l’artista Piero Gilardi espresse tutta la sua solidarietà e partecipazione al nostro movimento. Il percorso della mostra segue un tragitto cronologico partendo dall’epica battaglia del Seghino (31ottobre 2005), quando popolazioni e sindaci da una parte e forze dell’ordine dall’altra si fronteggiarono: i primi per impedire l’installazione di una trivella che avrebbe significato l’avvio dei cantieri della linea TAV Torino-Lione, i secondi per scortare la trivella stessa. Quel giorno segnò una prima vittoria per il fronte della cittadinanza che insieme ai suoi amministratori si era compattamente opposta all’abuso di una decisione imposta dall’alto e in disaccordo con l’intero territorio. Ma nella notte, centinaia di mezzi di Polizia tornarono sul luogo per militarizzare il comune di Mompantero e completare l’opera. La mostra prosegue quindi con le immagini delle proteste del giorno successivo, con l’occupazione di strade e ferrovie. Fino a quella grande marcia che il 16 novembre disegnò uno straordinario serpentone da Bussoleno fino a Susa, con oltre 50.000 persone, tra loro parecchi parlamentari, esponenti politici, delegazioni da tutt’Italia… ma soprattutto noi, studenti, vigili del fuoco, medici, semplici cittadini, abitanti della Valle. Le foto documentano poi l’escalation di tensione, quando alla fine di novembre le FFOO si attestarono a Venaus per permettere a LTF (oggi TELT) di installare il cantiere per l’inizio degli scavi del tunnel di base. Di nuovo ci fu una vera e propria insurrezione popolare, che creò una situazione di stallo e presidi permanenti per alcuni giorni e notti seguenti, fino a che, nella notte fra il 5 ed il 6 dicembre, i reparti speciali della Polizia diedero l’assalto alla tendopoli dei presidianti, ferendo decine di inermi cittadini, alcuni in modo grave. Su quella notte e sui giorni che seguirono la documentazione fotografica è particolarmente emozionante, soprattutto per quell’epica giornata dell’8 dicembre, quando una moltitudine di persone, si parlerà di 60.000, marciò verso il cantiere, occupandolo e costringendo le forze dell’ordine a battere in ritirata. La mostra si conclude infine con le immagini della grande e festosa manifestazione che si tenne anche a Torino il 17 dicembre: un altro bel serpentone di 50.000 persone, tra loro anche Dario Fo, Franca Rame, Marco Paolini, che arrivati al Parco della Pellerina presero la parola. Fu quello il momento che proiettò l’opposizione al TAV a livello nazionale. Manifestazione a Torino, 17 dicembre 2005 | Foto di Enzo Gargano A corredo di questa ricca carrellata di immagini, volti e ricordi, la mostra offre una rara occasione di rivedere alcune opere ritenute disperse (e che per fortuna siamo riusciti a recuperare) del compianto Piero Gilardi, artista, ambientalista e da sempre vicino alle istanze del Movimento NOTAV. Una foto datata proprio 8 dicembre 2005 lo immortala mentre si porta sulle spalle la “nostra Talpa”, in contrarietà con “la Talpa LTF” che avrebbe dovuto scavare il tunnel nelle viscere della montagna. Oppure nella scultura intitolata Le tre scimmie, ecco rappresentata la connivenza che sostiene il potere politico, insieme a quello finanziario, per non dire della mafia. Ed ecco anche il mitico Giacu, creatura mitica e notturna, con cui per anni il “folletti” del Movimento NOTAV continuarono a disturbare il personale TELT oltre le reti, che nel 2012 Gilardi tradusse in scultura, per una marcia da Susa a Bussoleno. Molto efficace anche un lungo striscione che occupa quasi un intero muro, concepito in collaborazione con alcuni giovani NOTAV, che seguendo una linea del tempo dal ‘93 ad oggi, rievoca con molta efficacia i momenti chiave di 32 anni del Movimento. Dopo l’inaugurazione dello scorso week end, la mostra sarà nuovamente visitabile dal 5 dicembre fino al giorno 8, dalle 14,30 alle 18.00. L’ingresso è gratuito e il visitatore potrà portarsi a casa, con un’offerta volontaria, il libro riccamente illustrato dal titolo L’autunno contro, che la testata Luna Nuova pubblicò pochi mesi dopo quell’epica stagione: con testi di Tiziano Picco, Massimiliano Borgia, Claudio Rovere, Andrea Spessa, Daniele Fenoglio, Paola Meinardi, Davide Chiarbonello e oltre 300 foto a colori di Gabriele Basso, Danilo Calonghi, Alessandro Contaldo, Luca Croce, Marco Giavelli, Claudio Giorno, Renzo Miglio, Eva Monti, Norma Raimondo, Stefano Snaidero. Giorgio Mancuso
Il progresso non può essere costruito sulle macerie delle case dei residenti
Continua a far discutere in Val di Susa la “presa di possesso” delle case destinate alla demolizione nella Piana di San Giuliano, poco prima di Susa, per far posto (chissà quando) alla Stazione Internazionale della Grande Opera. Sui modi a dir poco sbrigativi che hanno caratterizzato la penosa procedura alla presenza degli ex proprietari è già intervenuta “a caldo” Nicoletta Dosio nei giorni scorsi su questo sito. E oggi riceviamo e volentieri pubblichiamo questo contributo dei Cattolici per la Vita della Valle, con le firme elencate alla fine. -------------------------------------------------------------------------------- Alla luce del Vangelo e della Dottrina Sociale della Chiesa, l’esproprio e l’abbattimento delle case in frazione San Giuliano di Susa per i cantieri TAV pongono gravi interrogativi: non si tratta solo di procedure tecniche o urbanistiche, ma di scelte che incidono sulla carne viva delle persone. Nel Vangelo, la casa è il luogo in cui Dio incontra l’uomo: Gesù vi entra, la benedice, la difende: «La casa costruita sulla roccia» (Mt 7,24) non è solo immagine spirituale, ma simbolo del luogo dove l’uomo vive e cresce. La Dottrina Sociale della Chiesa afferma che la casa è un’estensione della famiglia e che privarne qualcuno è un atto estremamente serio, ammissibile solo se strettamente necessario, proporzionato e mai compiuto con leggerezza o indifferenza e un esproprio è ammissibile solo quando serve al bene comune autentico, dimostrabile, partecipato, proporzionato e non ridotto a vantaggio economico o tecnologico di pochi. Ma quando un’opera viene giustificata con un concetto astratto di progresso, senza ascolto reale dei cittadini e senza una trasparenza convincente, allora non si tratta più di bene comune, ma di imposizione. La signora Ines Riosecht, 88 anni, residente a San Giuliano dal 1959, non è riuscita a trattenere le lacrime di dolore, salutando per sempre il luogo in cui ha trascorso 55 anni della sua vita. | Foto Notav.info Il bene comune, secondo la Chiesa, non è la somma degli interessi, ma la condizione che permette a tutti — soprattutto ai più deboli — di vivere dignitosamente (Compendio DSC, nn. 164–170). Per questo la Chiesa considera la casa un bene umano primario, non un semplice “immobile”. Quando un’abitazione viene demolita senza reale necessità o con motivazioni sproporzionate, si compie una ferita grave: si strappa a famiglie e persone una parte della loro identità, un luogo che spesso ha radici generazionali. Come credenti che vedono il nostro territorio e le persone che lo abitano sempre più vandalizzato, distrutto, calpestato, avvertiamo che in questo caso il bene comune è stato invocato come paravento, mentre gli interessi economici e geopolitici hanno avuto il sopravvento sulla giustizia sociale. La Chiesa ricorda che non tutto ciò che è tecnicamente possibile è moralmente lecito. Papa Francesco, in Laudato si’ e Laudate Deum, richiama un principio fondamentale: nessuna decisione che incide profondamente sul territorio e sulla vita delle persone può essere presa ignorando il dialogo con la comunità. La vicenda di San Giuliano di Susa- e di tutta la Valle, rientra tristemente in questo schema: dialogo insufficiente, consultazioni solo formali, scarsa o nulla attenzione alle alternative, una comunità locale trattata più come ostacolo che come soggetto. Anche Papa Leone XIV ha ribadito che la terra, la casa e il lavoro sono diritti sacri, che vale la pena lottare per essi, dicendo “Ci sto!”, “sono con voi”! Questa triade è il contrario della “trinità moderna” del profitto, del consumo e dell’indifferenza. Leone XIV invita a un cambiamento strutturale — non caritativo — della società: la giustizia non nasce dalla beneficenza, ma dalla trasformazione delle cause dell’ingiustizia. Il Papa ha sostenuto i rappresentanti dei “movimenti popolari”, affermando che: «Le vostre numerose e creative iniziative possono trasformarsi in nuove politiche pubbliche e diritti sociali», ringraziandoli per “camminare insieme (che) testimonia la vitalità dei movimenti popolari come costruttori di solidarietà nella diversità. La Chiesa deve essere con voi: una Chiesa povera per i poveri, una Chiesa che si protende, una Chiesa che corre dei rischi, una Chiesa coraggiosa, profetica e gioiosa!” Quanto avvenuto è contrario al criterio evangelico del “camminare insieme”. Quando lo Stato tratta i cittadini come intralci, tradisce la sua missione di custode del bene comune. L’uso massiccio di procedure coercitive, forze dell’ordine, cantieri blindati e misure eccezionali rivela un problema serio: se un’opera per essere realizzata deve ricorrere alla forza, allora essa non gode del consenso sociale necessario per definirsi bene comune. La Chiesa, per Papa Leone, non è spettatrice della storia, ma soggetto attivo di liberazione, accompagnando i movimenti popolari, nonostante in passato “sono stati spesso guardati con sospetto e persino perseguitati”, perché queste “lotte sotto la bandiera della terra, della casa e del lavoro per un mondo migliore, meritano incoraggiamento; oggi la Chiesa deve accompagnare i movimenti popolari e ciò significa accompagnare l’umanità, camminare insieme nel rispetto condiviso della dignità umana e nel desiderio comune di giustizia, amore e pace. E la Chiesa sostiene le giuste lotte per la terra, la casa e il lavoro”.   Gli operai di Telt mettono le griglie alle finestre | Foto Notav.info La Chiesa è alleata delle lotte per la dignità, perché “i dinamismi del progresso vanno sempre gestiti attraverso un’etica della responsabilità, superando il rischio dell’idolatria del profitto e mettendo sempre l’uomo e il suo sviluppo integrale al centro”, per prendere sul serio il dramma dei “popoli spogliati, derubati, saccheggiati e costretti alla povertà”. Se un’opera è necessaria, deve essere accompagnata da massima giustizia, compensazioni adeguate, rispetto, dialogo e cura delle famiglie coinvolte; se invece i costi umani, economici, ambientali superano il beneficio reale, allora l’opera diventa moralmente problematica. Il Vangelo ci chiede di stare dalla parte delle persone più vulnerabili, non dell’efficienza a ogni costo. Gesù non ha esitato a denunciare i poteri che opprimono, quando “mettono pesi sulle spalle della gente” (Mt 23,4). E oggi quei pesi sono concretissimi: case abbattute, comunità sradicate, territorio ferito. La Chiesa, fedele al Vangelo e alla sua Dottrina Sociale, è chiamata ad alzare la voce profetica: quando un’opera divide la società, impoverisce i piccoli, ignora il dialogo e ferisce il territorio, allora non serve all’uomo, e dunque non è secondo Dio. La comunità cristiana è chiamata a essere prossima a chi vive momenti di precarietà e sradicamento, perché il volto ferito delle persone è sempre il primo luogo in cui il Vangelo chiede di essere incarnato e alla luce della fede come Gruppo Cattolici per la Vita della Valle non possiamo tacere. Esprimiamo la nostra solidarietà alle famiglie che hanno perso la casa, alzando la nostra preghiera al Dio Creatore del Cielo e della Terra: Il progresso non può essere costruito sulle macerie delle case dei residenti. La modernità non può passare sopra la dignità delle famiglie. Lo Stato non può chiedere sacrifici umani travestiti da opere pubbliche. Gruppo Cattolici per la vita della Valle Paolo Anselmo (Bruzolo), Laura Favro Bertrando (Sant’Antonino), Rosanna Bonaudo (Caprie), Elisa Borgesa (Chiusa San Michele), Eugenio Cantore (Sant’Ambrogio), Maria Grazia Cabigiosu, Donatella Giunti, Mira Mondo (Condove), Roberto Perdoncin (Susa), Giorgio Perino (Bussoleno), Gabriella Tittonel, Paolo Perotto (Villar Dora), Don Paolo Mignani (Settimo T.se), Marisa Ghiano (San Didero). Centro Sereno Regis
31 ottobre di 20 anni fa: là dove tutto è cominciato
C’era un cielo pieno di stelle nelle prime ore del 31 ottobre di vent’anni fa, quando salimmo al Seghino, la frazione più alta di Mompantero, sulla via del Rocciamelone, il luogo scelto per l’inizio dei sondaggi geognostici funzionali al TAV. Si aspettava l’arrivo della trivella, decisi ad impedire quello che sarebbe stato il primo, concreto atto di guerra contro il territorio. Non eravamo in molti, una ventina di persone. Avevamo scelto di anticipare i tempi rispetto all’appuntamento dato dai sindaci, per le sette del mattino, giù in basso all’entrata del paese: immaginavamo che la trivella non sarebbe arrivata da sola, ma protetta dalle truppe della repressione e sapevamo che le operazioni repressive avvengono all’alba, quando le strade sono deserte e le case ancora immerse nel sonno. E all’alba arrivarono… Dal nostro punto di osservazione alto sulla Valle vedemmo uscire dall’autostrada e inerpicarsi sui fianchi della montagna un’infinita fila di lampeggianti blu. Quel pulsare artificiale, quel colore elettrico, innaturale, che appariva e scompariva lungo i tornanti, non era solo una minaccia per noi, ma un’aggressione aperta al dolce lucore del primo mattino, alla fantasmagoria dei colori autunnali che a poco a poco emergevano dal buio. Fu per rabbia e per amore che, nonostante la schiacciante sproporzione numerica, decidemmo di resistere. Sorse così la prima barricata e fioccarono le prime manganellate… Poi la montagna si ribellò, aprì i suoi sentieri nascosti, si animò di passi, volti, voci che salivano verso di noi per le vie dei boschi. Presto la barricata di tronchi divenne barricata di corpi. Arrivarono anche i sindaci indossando la fascia tricolore. In quel mattino radioso la valle si riconobbe e ridivenne collettività resistente, famiglia di lotta. Nacque così il Movimento NO TAV. La “battaglia del Seghino” durò un’intera giornata. A sera, dopo una laboriosa trattativa tra sindaci e prefettura, la trivella fu ritirata e vedemmo con sollievo ridiscendere a valle tutto l’apparato di truppe in assetto antisommossa, autoblindo e mezzi meccanici. Per i resistenti il ritorno fu festante, una festa che continuò a valle, tra abbracci e canti partigiani. Solo in tarda serata arrivò la notizia che, rompendo i patti e col favore delle tenebre, la trivella era risalita ed aveva iniziato il suo sporco lavoro. Da quel momento e per un mese e mezzo il Comune di Mompantero divenne “zona rossa”, inaccessibile ai non residenti, con ben quattro posti di blocco che i residenti potevano valicare solo esibendo i documenti di identità. In quel periodo accadde di tutto: sequestrate accette e motoseghe a chi andava nei boschi per legna, controllate le cartelle agli studenti che rientravano da scuola. Arrivarono a perquisire un carro funebre. Era la vendetta del potere, lo strumento per incutere paura e rimandare a casa chi aveva osato ribellarsi. Ottenne l’effetto opposto: sulla via dell’indignazione il movimento rifiutò l’interiorizzazione della sconfitta, crebbe di numero e in consapevolezza, imparò ad organizzarsi e a non delegare. Da allora sono passati vent’anni: vent’anni di resistenza attiva, in Val Cenischia, in Val Clarea, lungo tutta la Valle di Susa e oltre i monti, insieme ai Movimenti francesi. Richiamato dalle ragioni di un conflitto che non è solo contro un treno di morte, ma contro il sistema guerrafondaio ed ecocida che lo genera, in Valle è transitato il mondo, si sono stretti legami con altre realtà e altre mobilitazioni. Vent’anni e sembra ieri. In questa che per il povero consumismo del tempo di crisi è la “notte di Halloween”, ma che per noi è anniversario di lotta, siamo tornati con una fiaccolata che si è snodata lentamente per le vie di Mompantero e si è conclusa infine a Susa, davanti al Municipio. Qualcuno di noi non c’è più, ma a ricevere l testimone sono arrivati ragazze e ragazzi giovanissimi, la conferma che il viaggio continua, che le ragioni della nostra ribellione sono giuste e vive, capaci di risarcire il passato, garantire il presente, immaginare il futuro. L’insolita fatica del camminare e il freddo della notte che si fa pungente mi dicono che l’inverno è alle porte, ma dalle reti dei giardini si affacciano, delicate, testarde e dolcissime, le ultime rose d’autunno. Nicoletta Dosio Centro Sereno Regis
Grandi Opere – Storie di Opacità. Convegno del 18 ottobre 2025 organizzato da Presidio Europa ad Avigliana
I molteplici, interessanti e documentati interventi che si sono succeduti nella giornata hanno ancora una volta messo in evidenza l’inutilità delle Grandi Opere, la loro insostenibilità economica, finanziaria ed ambientale e l’accumulo di follia ad esse sottese. L’incontro pubblico è stata un’ulteriore occasione per fare il punto sui diritti della cittadinanza ad intervenire sulle proposte di costruzione di Grandi Opere, in particolare TAV e Ponte sullo stretto di Messina, e, soprattutto, ad accedere agli atti e ai documenti. Proprio i dinieghi di accesso agli atti, nonostante la legislazione nazionale ed europea, sono un’emblematica fotografia dell’opacità, della mancanza di trasparenza e conseguentemente di democrazia. Varie richieste di sapere le date di apertura dei lavori, dei costi e della loro attualizzazione, quali imprese lavorano per i proponenti, il cronoprogramma e i lotti costruttivi sono tutte cadute nel vuoto, sia in Italia che in Europa, con le motivazioni più disparate. ALCUNE: * Segreto commerciale e finanziario per evitare il “pregiudizio concreto” che subirebbe Telt ove comunicasse tali informazioni essendo le stesse di carattere strategico * Tutela della privacy delle imprese appaltatrici * Pregiudizio concreto per ordine e sicurezza, se fosse conosciuto il cronoprogramma dei lotti costruttivi “la tutela dell’interesse pubblico in ordine alla sicurezza pubblica è a rischio, date le violente proteste che hanno accompagnato l’attuazione del progetto in passato e che hanno indotto le autorità italiane ad adottare misure volte a garantire la sicurezza dei cantieri” * Società di diritto francese (TELT) che, oltre a dichiarare di non essere tenuta a consentire l’accesso agli atti, nega anche il ricorso a questa decisione sempre con la medesima motivazione (ma se è società di diritto francese, come può espropriare terreni in Italia, di cittadini e cittadine italiane???) Viene quindi ribadito che l’accesso alle informazioni, il ricorso al FOIA e la capacità di leggere e interpretare i documenti sono strumenti fondamentali per la difesa dei diritti e la tutela dell’ambiente in un tempo di crisi climatica e il continuo diniego sia un “furto di democrazia”. A questo, si aggiunge l’inosservanza di alcune norme previste dal Codice dell’Ambiente (D Lgs 152/2006*) che prevedono che i pareri dei vari soggetti che concorrono all’Autorizzazione Integrata Ambientale (Istituto Superiore di Sanità, ARPA, ASL…) siano tempestivamente pubblicati dall’autorità competente sul proprio sito internet istituzionale. Questo non avviene e nuovamente vengono a mancare gli elementi di conoscenza, trasparenza e democrazia, finalizzati a *proteggere la salute umana, contribuire con un miglior ambiente alla qualità della vita, provvedere al mantenimento delle specie e conservare la capacità di riproduzione degli ecosistemi in quanto risorse essenziali per la vita. Le grandi opere sono imposte, spesso inutili e dannose, con ricadute negative su ambiente, economia, salute. Deve essere anche considerato come l’opposizione alle G.O. abbia avuto una risposta repressiva, militarizzando i territori, inasprendo le pene e introducendo nuove ipotesi di reato per condannare ogni forma di dissenso, con impiego sproporzionato dei poteri legittimi della forza, anche nei confronti di forme di resistenza passiva. In questo scenario, le grandi opere sono predeterminate al fallimento, sono tra le realizzazioni più complesse della “tecnica senza limiti invalicabili”, determinando crimini ecologici e la dominazione della tecnica sul diritto, sull’etica e sulla politica, negando con i fatti l’urgenza della conversione ecologica indispensabile per garantire il futuro all’umanità. Una giornata, come si diceva all’inizio, ricca di interventi, competenze, studi e di riferimenti normativi nazionale ed europei: chi volesse ulteriori approfondimenti li può trovare al link https://www.presidioeuropa.net/blog/grandi-opere-storie-di-opacita-documentazione/ . Segnalo in particolare https://www.presidioeuropa.net/blog/la-banalita-degli-atti-di-alcuni-servitori/ Andrea Zanzotto, il più grande poeta italiano vivente, ha lanciato il suo SOS per una natura che ogni giorno viene saccheggiata, stuprata, spremuta da una miriade di orrori ambientali a vantaggio di una speculazione edilizia dissennata in assoluto spregio dell’impatto ambientale. «Una volta avevo orrore dei campi di sterminio, oggi provo lo stesso orrore per lo sterminio dei campi». E, parafrasando Albert Einstein, ha aggiunto che soltanto due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana, e che non è ancora certissimo della prima. Si riferiva a una stupidità verace e cioè a quella che l’uomo, con il suo antropocentrismo, rivela quasi ogni giorno sfregiando una natura che, nonostante gli scempi, sopravvive. Centro Sereno Regis
Grandi opere – Storie di opacità
Succede oggi ad Avigliana, dalle 9,30 alle 18 all’Auditorio Bertotto in Via Martiri della Libertà: un’intera giornata di studio e autorevoli contributi, in tema di diritti e Grandi Opere, prima che il danno sia fatto. Due grandi opere simbolo a confronto: il TAV in Val Susa e il ponte sullo Stretto di Messina, analizzate come esempio di imposizione alle popolazioni e ai territori, secondo una logica di colonialismo interno, furto di democrazia, e conseguente inevitabile tangibile osservabile devastazione dell’ambiente.   L’opacità delle decisioni governative quasi sempre “imposte”, la banalità e irresponsabilità delle azioni messe in atto dai “decisori politici” insieme  agli “esecutori”: se ne parlerà con Sergio Foà (professore di Diritto amministrativo), Alberto Ziparo (professore di Urbanistica), con i giuristi  Aurora Notarianni e Livio Pepino (già magistrato) che esamineranno gli aspetti più contraddittori e violenti dell’imposizione delle Grandi Opere e la torsione interpretativa delle leggi nazionali ed europee per realizzarle. Alberto Poggio (ingegnere e membro della Commissione tecnica Torino-Lione), Gianmarco Cantafio (pianificatore SdT ed esponente Rete No Ponte) e Roberto Vela (ingegnere civile progettista di infrastrutture), illustreranno il ciclo della realizzazione delle Grandi Opere. La giornalista e documentarista Rosy Battaglia, autrice tra l’altro del docufilm Taranto Chiama, illustrerà la forza delle comunità in lotta contro la devastazione dell’ambiente e come accedere a dati e documenti di interesse pubblico, così spesso occultati. Completeranno il quadro le testimonianze di Fiorenza Arisio (Comitato No Tav Avigliana), Sabine Bräutigam (PresidioEuropa No Tav), Tiziano Cardosi (No tunnel Tav Firenze), Mario Cavargna (Pro Natura Piemonte), Michela Galliani (Movimento No Tav), Paolo Prieri (PresidioEuropa No Tav), dalla loro esperienza sul campo nell’opposizione alle Grandi Opere e per l’affermazione dei diritti di cittadinanza. Nel corso dei lavori sarà proiettato un intervento dell’ing. Ivan Cicconi sulla finanziarizzazione delle grandi opere: datato 2012 è ancora attualissimo. IL CONVEGNO È DEDICATO ALLA MEMORIA DI IVAN CICCONI, OSVALDO PIERONI, STEFANO LENZI, ALBERTO PERINO. A titolo di inquadramento circa le tematiche che verranno affrontate, e in particolare circa la concezione e genesi delle Grandi Opere come ‘icone della modernità’, rimandiamo al sito Presidio Europa curato da Paolo Prieri e in particolare ai seguenti link: * https://www.presidioeuropa.net/blog/grandi-opere-storie- di-opacita-documentazione/ * https://www.presidioeuropa.net/blog/imporre-le-grandi-opere/ * https://www.presidioeuropa.net/blog/il-ponte-sullo-stretto-e-solo-imbroglio- propagandistico-finanziario/ * https://www.presidioeuropa.net/blog/la-banalita-degli- atti-di-alcuni-servitori/ * https://www.presidioeuropa.net/blog/il-progresso-la-hybris-il-dominio-della- tecnica/ * https://www.presidioeuropa.net/blog/lo-sterminio-dei-campi-o-dellecocidio/ Centro Sereno Regis
Il posto delle fragole e la scure del TAV
LA VOCE DEL FIUME E DEL VENTO, UN LENTO CADERE DI FOGLIE, IL ROSSO, L’ORO, LE TINTE BRUNITE DELL’AUTUNNO E LO SPLENDORE DEI PRATI ANCORA VERDI, DISSEMINATI DI GIALLO TARASSACO, IN QUESTA MATTINA CHE SA DI PRIMAVERA. COME OGNI GIORNO, INSIEME A GIGIO, IL MIO VECCHIO, AMATO CANE, CAMMINO LUNGO IL SENTIERO CHE SI DIRAMA IN MILLE VARIANTI TRA LA FITTA VEGETAZIONE DEL BOSCO FLUVIALE. In questo che per me è diventato “il posto delle fragole”, ho visto, giorno dopo giorno, avvicendarsi le stagioni con i loro doni di fiori, frutti ed erbe. Ho colto la presenza furtiva degli animali della selva, la vita delle tane scavate in alto sopra il fiume, nella sabbia pietrificata. Dal folto dei rami le voci degli uccelli mi hanno raccontato di amori, nidi e addii; piccole, alate creature, merli, passeri, cinciallegre, tornate come sempre a svernare nei pruneti del fondovalle…. Accanto alla selva, oltre il confine dei boschi, la campagna con i lavori agricoli, l’irrigazione dei prati nella canicola d’agosto, le fienagioni e il profumo del fieno, i voli dei corvi ed ora, dopo l’ultimo taglio dell’erba, le mucche al pascolo, ritornate dagli alpeggi alle stalle di pianura. Bellezza, tenerezza che consola, e rabbia al pensiero che tutto questo può finire, inghiottito dalla grande, mala, inutile, costosissima opera che si chiama TAV. Qui, proprio qui, su questa terra amata è previsto il raccordo tra la linea ferroviaria storica e la progettata linea ad Alta velocità Torino – Lyon, con un mastodontico ponte, nuovi fasci di binari, l’ennesima desertificazione, la stessa che ha devastato i castagneti e le foreste della Clarea ed ora scende lungo la Valle con i suoi cantieri di morte. Oggi ho con me le mappe (reperite a fatica, da privati, perché neppure ai Comuni vengono avvertiti dell’inizio ed entità degli interventi) dei futuri sondaggi geognostici, propedeutici all’inizio dei lavori sul territorio di Bussoleno. HO PORTATO ANCHE LA BANDIERA NO TAV, PER PIANTARLA SUI TERRENI MINACCIATI. La bandiera sarà un grido, un segno di ribellione: la rassegnazione non abita questa Valle, perché nella resistenza del movimento NO TAV continuano a vivere la ragione e la forza della lotta partigiana e ridiventano attuali le istanze delle lotte operaie, sociali e ambientali del passato. Lo sventolio della bandiera col treno crociato mi segue di lontano per un lungo tratto, mentre percorro la via del ritorno. Intorno, lo sguardo si allarga alle case lungo la ferrovia e si alza alle frazioni – Falceagna, Pietrabianca, Lorano, Meisonetta – che costellano i pendii, fino alla cima del Rocciamelone già imbiancato dalla prima neve. Le montagne sembrano abbracciare, assorte e protettive, questo lembo di mondo che per noi è casa e vita. Centro Sereno Regis
Riflessioni, interrogativi, dubbi dopo il Festival Alta Felicità
La “convergenze” degli incontri e delle riflessioni dimostrano la capacità, la volontà, la testardaggine di chi vuole ancora spendersi per un mondo più giusto, per abbattere le diseguaglianze, per smettere di riarmarsi, per lottare contro le gradi devastazioni e rimettere la persona umana e la difesa del Creato al centro del dibattito pubblico e delle scelte politiche. Dobbiamo continuare a far finta di niente, a girare la testa dall’altra parte, a lasciare che scelte scellerate continuino a rovinare la vita delle persone e siano solamente occasioni di speculazioni finanziarie? Tra gli spunti di riflessione presentati al Festival Alta Felicità, mi pare importante dare risalto al primo appuntamento che ha aperto il Festival venerdi 25 luglio alle ore 10.00 con la presentazione del libro “Sotto il cielo di Gaza” di Don Nandino Capovilla e di Betta Tusset e con Enzo Infantino. Don Nandino è parroco di Marghera, Venezia, da anni impegnato in progetti di inclusione sociale per migranti e senza fissa dimora. Ha ricoperto il ruolo di coordinatore nazionale di Pax Christi Italia dal 2009 al 2013, ed è particolarmente noto per la campagna “ponti e non muri” sulla questione israelo‑palestinese. Betta Tusset, veneziana, consigliera nazionale di Pax Christi Italia, laureata in lettere moderne, è attiva nel mondo del volontariato sociale; dal 2018 al 2020 ha coordinato nella sua città un progetto di inclusione sociale, abitativa e lavorativa per persone migranti in situazioni di vulnerabilità. Enzo Infantino, cooperante calabrese e attivista per i diritti umani, è impegnato da oltre vent’anni nelle missioni di solidarietà e riflessione sui conflitti contemporanei. Originario di Palmi, in Calabria, ha lavorato in contesti difficili come i campi profughi in Grecia, Siria, Libano, Cisgiordania e Gaza. Enzo è stato protagonista di numerose missioni nei campi profughi di Grecia e Medio Oriente, compresi i campi di Idomeni, in Grecia al confine con la Macedonia, dove per mesi sono rimasti bloccati oltre sedicimila esseri umani. Il libro “Sotto il cielo di Gaza”, pubblicato l’11 marzo 2025 da Edizioni La Meridiana, è un libro-inchiesta realizzato attraverso una serie di conversazioni con Andrea De Domenico, funzionario dell’OCHA, l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari, attivo nei territori palestinesi occupati e si presenta come “raccoglitore di storie, testimonianze e dati”, descrivendo il dramma vissuto quotidianamente a Gaza per il genocidio in corso: perdita della casa, della terra, della libertà di movimento, di pane, acqua, salute, istruzione con statistiche aggiornate all’inizio del 2025,  che riportano numeri drammatici: decine di migliaia di morti, la maggioranza donne e bambini, infrastrutture distrutte, tra cui scuole, case, strutture sanitarie; emergenza alimentare e malnutrizione diffusa tra la popolazione di Gaza. Il libro denuncia quella che Don Nandino definisce il genocidio del popolo palestinese come criminale e mette al centro la responsabilità internazionale di ridurre il massacro di civili inermi a soli dati numerici, dimenticandosi dei “volti e dei nomi” di ogni vittima, a cui è negata da decenni di occupazione militare ogni diritto. “Sotto il cielo di Gaza” è anche un libro di preghiera e di supplica, quelle che a partire dai testi biblici ha scritto Michel Sabbah, patriarca emerito di Gerusalemme, chiedendo al Signore di “fermare la morte e la guerra e di convertire all’umanità quelli che hanno piani di morte nei loro cuori”. L’incontro con Don Nandino, Betta ed Enzo ha rappresentato delle voci autentiche, radicate nei propri contesti di vita ma rivolte al mondo, dove ogni gesto quotidiano può essere seme di cambiamento e resistenza. Gli interrogativi nascono dagli altri dibattiti ed eventi culturali: il Festival ha presentato un’ampia proposta di incontri, presentazioni e confronti, dal tema dell’Intelligenza Artificiale alla precarietà e al lavoro in “zone di sacrificio” (Ilva Taranto e  GKN di Campi Bisenzio); dal dibattito “Liberi tuttu: rappresentazione, cura e diritti” su disabilità, autodeterminazione e resistenza, al focus su nucleare, agrivoltaico, riarmo, riconversione ambientale; dall’assemblea “Guerra alla guerra” contro riarmo europeo e genocidio in Palestina al dialogo tra Patrick Zaki e Ilaria Salis su democrazia, repressione e diritti. A tutte queste occasioni – alle quali si sono affiancate altre presentazioni di libri nell’area autogestita –  la partecipazione è stata massiccia con tantissimi giovani interessati ad approfondire i vari temi toccati, dimostrandosi giustamente preoccupati per il futuro loro e del pianeta. La “convergenze” degli incontri che, per chi vuole, sono tutti disponibili sul sito del festival , dimostrano la capacità, la volontà, la testardaggine di chi vuole ancora spendersi per un mondo più giusto, per abbattere le diseguaglianze, per smettere di riarmarsi, per lottare contro le gradi devastazioni e rimettere la persona umana e la difesa del Creato al centro del dibattito pubblico e delle scelte politiche. Dobbiamo continuare a far finta di niente, a girare la testa dall’altra parte, a lasciare che scelte scellerate continuino a rovinare la vita delle persone e siano solamente occasioni di speculazioni finanziarie? Così arriviamo ai dubbi: davvero l’incendio di alcune sterpaglie e di alcuni manufatti sono solo segno di violenza? Non possono essere considerati sabotaggi? Qualcuno ha scritto che in questo modo si passa dalla parte del torto, che così non si è ascoltati, che non si riesce a dialogare… Sono 30 anni che si cerca il dialogo nel merito dell’opera, non degli slogan, sono 30 anni che si prova in tutti i modi ad avere degli incontri con i tecnici di LTF prima e Telt adesso, non vi è MAI stata data un’occasione che sia una di confrontarsi. Ricordo solo due occasioni: “Ascoltateci” digiuno a staffetta nel 2012 in Piazza Castello a Torino e in Valle, che non ha prodotto alcun risultato; un incontro pubblico in una parrocchia a Torino presente Virano, all’epoca presidente dell’Osservatorio sul TAV, e quando abbiamo fatto alcune domande precise e puntuali, siamo stati gentilmente accompagnati fuori con la motivazione che quello non era né il luogo né il momento: eravamo solo in 2 mio marito ed io. E potrei andare avanti ancora a lungo con tanti e tanti esempi di come la voluta mancanza di confronto sia sempre stata da parte dei proponenti l’opera. Le nostre argomentazioni non sono mai state considerate, saliamo agli onori della cronaca solo quando avvengono fatti “violenti” come quelli di sabato a margine della manifestazione ma nessuno ha dato risalto al comunicato di Amnesty International: > ”La manifestazione del 26 luglio in Val di Susa, organizzata a margine del > festival dell’Alta Felicità dal movimento “No Tav”, è stata caratterizzata da > fasi del tutto pacifiche e da momenti di tensione. Gli osservatori di Amnesty > International Italia erano presenti alla manifestazione e hanno potuto > monitorare due delle azioni realizzate dal gruppo di manifestanti, presso il > cantiere di San Didero e Traduerivi. Nella zona da loro monitorata a San > Didero, gli osservatori hanno documentato un uso sproporzionato e > indiscriminato di gas lacrimogeni da parte delle forze di polizia: tra i 180 e > i 200 in poco più di un’ora contro circa 500 manifestanti, in risposta al > lancio di oggetti. Le forze di polizia hanno utilizzato i gas lacrimogeni > anche contro persone che si stavano allontanando e che non rappresentavano > alcuna minaccia per l’incolumità altrui. In diversi casi, anziché essere > diretti verso l’alto, le granate contenenti gas lacrimogeni sono state > lanciate ad altezza persona: ne è stato testimone diretto anche uno degli > osservatori di Amnesty International Italia, che nonostante indossasse la > pettorina, è stato colpito sulla schiena. Sono state ferite altre due persone, > rispettivamente alla nuca e alla fronte.  Come già emerso in precedenti > osservazioni in Val di Susa, anche quest’anno le forze di polizia hanno dunque > fatto un uso dei gas lacrimogeni non rispettoso degli standard internazionali > sui diritti umani. Amnesty International Italia ricorda che, secondo i > medesimi standard, una protesta pacifica, seppur attraversata da circoscritti > atti di violenza, resta pacifica e le forze di polizia devono garantire che > possa proseguire, tutelando le persone che vi stanno partecipando; la forza > dovrebbe essere utilizzata come ultima risorsa, solamente laddove non esistano > altri mezzi per raggiungere obiettivi legittimi e solo quando sia necessaria e > proporzionata alla situazione.” Da oltre trent’anni le ragioni di critica e di opposizione sono sempre le stesse: la Torino-Lione è inutile, è costosissima, è devastante per l’ambiente, è un’opera vecchia, superata dai tempi e dalla storia, la cantierizzazione produrrà polveri sottili e movimenterà sostanze potenzialmente inquinanti e insalubri. Soprattutto è certificata la sottrazione di enormi quantità di acqua dalla montagna ed all’ambiente naturale, spreco dimostrato fin dal 2008 dalle decine di litri al secondo drenate ogni giorno dalle gallerie di servizio già realizzate. Cosa altro dobbiamo inventarci per far comprendere queste ingiustizie trasportistiche, economiche, climatiche, ambientali e sociali e far sì che l’enorme inutile investimento economico sia dirottato verso settori più necessari, a partire dalla messa in sicurezza dei territori? Centro Sereno Regis
Festival Alta Felicità IX edizione: molto più di un festival
Con un lungo, fragoroso, emozionante intermezzo di rumore alle 22 in punto di ieri sera per lo Sciopero dal Silenzio per Gaza indetto da Paola Caridi, Tomaso Montanari & Co, è trascorsa anche la terza serata del Festival dell’Alta Felicità che quest’anno ancor più della scorsa edizione ha registrato un’affluenza superiore a ogni aspettativa. Tantissimi gli spunti di riflessione emersi dalla quantità di incontri e dibattiti che non mancheremo di riprendere i prossimi giorni. Intanto vi proponiamo queste OSSERVAZIONI IN MARGINE DI LUCIA MALENGO Quest’anno al Festival Alta Felicità, organizzato dai NO TAV e giunto alla sua nona edizione, sono arrivati, in numero mai visto prima, giovani e meno giovani da tante parti d’Italia e da alcuni paesi europei. Questo fatto, oltre ad essere una buona notizia per chi da anni si oppone al TAV, rappresenta un interesse del tutto naturale per l’opera, che infatti è  stata definita dai proponenti “strategica” per l’Italia e per l’Europa tutta. Non per nulla i costi in continuo aumento del tunnel che dovrebbe unire Saint Jean de Maurienne con la piana di Susa sono sostenuti, oltre che da Francia e Italia, anche dalla Comunità Europea. Dunque non si tratta affatto solo di un problema della Valle di Susa ed è giusto che tutti i cittadini europei che ritengono ingiustificato questo dispendio abnorme di denaro pubblico, possano venire sul posto a rendersi conto della situazione e a manifestare il proprio dissenso. Del resto i tecnici TELT, a cui è affidata la realizzazione del tunnel di base, nella conferenza tenutasi a Susa il primo luglio scorso, hanno chiarito bene il ruolo strumentale della valle: essendo  attraversata da due strade statali, una ferrovia internazionale e un’autostrada, presenta aree già compromesse, come appunto la piana di Susa, a cui si può aggiungere qualche ettaro ulteriore per calare questa ennesima opera di interesse nazionale ed europeo, eliminando o spostando le “interferenze”, termine forse tecnico, che però suona vagamente sprezzante poiché riguarda case, strade, ferrovia locale, canali ecc. Foto di Marioluca Bariona E dunque il Festival Alta Felicità nasce come luogo di discussione  innanzitutto sull’opportunità di ampliare la compromissione del territorio,  ma estende  l’attenzione alla sostenibilità del modello di sviluppo sotteso, tenendo conto dell’attuale situazione economica, politica e ambientale nazionale e globale. Questo spiega un programma ogni anno ricco certo di musica e di spettacoli, ma soprattutto di conferenze, dibattiti, presentazione di libri e interviste su temi non immediatamente riconducibili al progetto TAV. Tutto ciò presuppone un’organizzazione piuttosto attenta e precisa, curata da intere squadre di volontari di ogni età. E in questo contesto, fin dal lancio del programma, si è annunciata,  con orari e destinazioni molto precise, una serie di “passeggiate” nei luoghi dei cantieri e in particolare è stata programmata una marcia con partenza dal campeggio del Festival per raggiungere l’area dell’attuale autoporto nella frazione Traduerivi di Susa: qui è  attivo un cantiere per lo smantellamento degli impianti di “Guida sicura” e la trasformazione della zona in luogo di stoccaggio e lavorazione dello smarino. Ebbene,  sabato 26 luglio la marcia è avvenuta come da programma e un’intera ondata di  manifestanti è entrata bellamente nel cantiere super recintato, sorvegliato e normalmente difeso dalle forze dell’ordine. Dopodiché qualcuno ha dato fuoco ad un’attrezzatura incustodita provocando una colonna di fumo nero durata un’ora circa; mentre servendosi tranquillamente del treno di linea, un altro gruppo di manifestanti ha raggiunto il cantiere più a valle, a San Didero, dove è in costruzione il nuovo autoporto e dove, pare, si erano concentrate le forze dell’ordine in tenuta antisommossa, che hanno respinto un tentativo di assalto. Durante la notte, poi, quando i manifestanti avevano ormai fatto ritorno al campeggio, qualcun altro, mettendo a rischio il boschetto circostante, ha dato fuoco alla struttura che (prima dei sigilli) ospitava il presidio No TAV di San Didero, posto esattamente davanti al cantiere attentamente sorvegliato  dalle citate truppe… L’impressione è ovviamente che si sia trattato  di una ripicca;  se fosse dimostrata,  sarebbe la prova di una situazione ampiamente sfuggita di mano. Intanto sui social fioccano post, per la verità piuttosto sgangherati, che alimentano confusione e sospetti: come mai il cantiere di Traduerivi, meta dichiarata della manifestazione, non era presidiato? Chi erano realmente i personaggi mascherati che hanno appiccato l’incendio? Chi ha incendiato (e non per la prima volta!) la casetta del presidio NO TAV di San Didero? Ci si può ancora definire No TAV considerando che nel movimento si annidano dei violenti? Come mai la statale percorsa dal corteo annunciato non era presidiata da polizia urbana o da altre forze dell’ordine? Ma, soprattutto, chi trarrà maggior vantaggio da questa confusione? Foto di Marioluca Bariona Foto di Marioluca Bariona Foto di Marioluca Bariona Foto di Marioluca Bariona Foto di Marioluca Bariona Foto di Marioluca Bariona Centro Sereno Regis
10 maggio, marcia NoTav in Val di Susa…
Sabato 10 maggio sarà il giorno in cui tutti coloro che hanno a cuore la Valle e la città di Susa, “vecchi e nuovi abitanti di questa valle”, potranno marciare al fianco di tante compagne e tanti compagni di lotta per affermare che la valle non è disposta a farsi “ricattare e sfruttare dal sistema delle grandi opere”. …E SE I GRILLI NON CANTASSERO PIÙ? Con l’inizio di maggio, sul finire delle prime giornate di sole, accade qualcosa di cui fa esperienza chi vive all’aperto le ore dell’imbrunire o porzioni di tiepide notti. È il frinire dei grilli, quel suono che in Giappone è atteso e ammirato come meraviglia e piacere della natura, presagio di buona fortuna. Così come è iniziato, il canto di un grillo può interrompersi improvvisamente. È la conseguenza della percezione di un’invasione di campo, del farsi avanti di una minaccia. Nel subitaneo silenzio il grillo sa che è arrivato il momento di difendersi, forse di lottare per la propria sopravvivenza. Un po’ come i grilli il Movimento No Tav, insieme a tutti coloro che hanno coscienza e timore del danno e del rischio ambientale in una piccola valle alpina già martoriata dai cambiamenti climatici, si allarma nel vedere gli spazi naturali progressivamente invasi e distrutti dai cantieri TAV Torino – Lione. Dopo Chiomonte e San Didero è arrivato il momento della Piana di Susa. Al silenzio allarmato dei grilli si affiancano le parole pesate e precise, spese dai tecnici No Tav dell’Unione Montana, per mettere in allarme i valligiani, per svegliare le coscienze e presentare, senza falsa retorica, quel che accadrà, quel che null’atro sarà se non una lunga, perdurante e inutile devastazione. Per qualcuno tutto ciò accadrà sull’uscio di casa, sul limite di piccoli giardini frequentati da intere vite, calpestati in passato da bimbe e bimbi che oggi si aggrappano, quasi a volerle abbattere, alle reti che racchiudono cantieri e nascondono lo scempio. Centodiecimila metri quadrati di cantiere, pari a quindici campi da calcio. Oltre 2,5 milioni di metri cubi di smarino, un volume simile a quello della piramide di Cheope, proveniente dal tunnel di base e stoccati nella piana di Susa, nel cuore della bassa Valle. È infatti previsto, secondo quella che è di fatto una variante di progetto ma che non è stata sottoposta a valutazione di impatto ambientale, che il materiale di scavo verrà depositato per un periodo di tempo indeterminato alle porte della città di Susa, nelle aree dell’autoporto e della pista di guida sicura. Lo stoccaggio è previsto a cielo aperto, al più con la protezione di tensostrutture mobili incapaci di limitare la diffusione di polveri pericolose per la salute umana e animale. Quel che avevano promesso che mai sarebbe accaduto per la pericolosità dei materiali (terre e rocce contaminate, PFAS, fibre di amianto, minerali radioattivi, arsenico) e delle polveri sottili, ora è sfacciatamente e violentemente imposto ad un territorio frequentemente battuto dal vento. Un criminale allargar di braccia, il celarsi dietro l’indisponibilità del sito di stoccaggio di Salbertrand, rientrano nell’atteggiamento sfottente di TELT, che mai ha mostrato attenzione e rispetto per la Valle di Susa e per i suoi abitanti, oppositori all’opera o no. Il deposito dello smarino a Susa, nelle aree indicate, renderà necessario il suo spostamento dai luoghi di estrazione (cantiere di Chiomonte) verso quelli di stoccaggio. Trasporti continui che verranno effettuati, in un tempo dilatato negli anni, con decine di migliaia di camion: una lunga e ininterrotta fila di mezzi pesanti attraverserà la città di Re Cozio, con la conseguenza diretta di rumori continui, vibrazioni per gli edifici, inquinamento, polveri sottili, aumento del rischio di incidenti stradali. Un quadro ambientale e di futura vivibilità ben poco rassicurante, che si unisce ad una drammatica prospettiva di decadenza per la città, per la sua economia e le sue velleità turistiche. Prospettiva quest’ultima che include la chiusura dell’attuale linea ferroviaria e della stazione locale, la chiusura temporanea delle vie di accesso alla città di Susa, al suo ospedale, ai suoi istituti di istruzione superiore, agli esercizi commerciali e alle attrattive turistiche e storico-culturali. Tutto ciò nell’apparente indifferenza, nel silenzio e nella complice indisponibilità al dialogo e all’ascolto dell’attuale amministrazione della città. Mai un confronto pubblico è stato così tante volte richiesto ed altrettante volte negato! La Valle di Susa, per circa due anni, ha sperimentato quello che tanti hanno definito come un vero e proprio “isolamento” determinato dalla chiusura della linea ferroviaria verso Modane in territorio francese. Qui, nell’agosto del 2023, una frana aveva danneggiato e interrotto la ferrovia causando la cancellazione dei treni merci e passeggeri verso le città transalpine.  Al netto di un aumento del traffico pesante al tunnel del Frejus e sulle altre direttrici verso la Francia, non si è tuttavia assistito ad alcun collasso delle economie al di qua e al di là delle Alpi. Lo stesso protrarsi dei lavori di ripristino della linea, in territorio francese, che ne hanno consentito la riapertura solo a marzo di quest’anno, rendono probabilmente ragione a chi da anni insiste sulla totale inutilità di una nuova linea ferroviaria e di un nuovo tunnel di collegamento fra le due regioni. Soprattutto la prolungata indisponibilità della linea e la concomitante tenuta economica dei territori, smentiscono quella falsa teoria sulla saturazione della linea ferroviaria attuale, che si sarebbe dovuta registrare già nel 2018 e che ha rappresentato il pretesto oggettivo per imporre la costruzione della nuova linea TAV. Se i grilli interrompono bruscamente il loro frinire per comprendere ciò che li minaccia e preparare la difesa, il Movimento No Tav sceglie, una volta ancora, quella semplice e testarda forma di lotta che consiste nel mettersi in marcia e percorrere, con sguardo alto e fiero, quei territori condannati alla devastazione dal volere e dagli interessi di pochi. Nell’ormai ridotto equilibrio ambientale di queste nostre terre “alte”, sempre più frequentemente vittime degli eventi climatici che colpiscono e feriscono, ogni nuovo cantiere della grande opera TAV è illogica e indebita sottrazione, è metastasi. È violenza e crimine climatico. Sabato 10 maggio sarà il giorno in cui tutti coloro che hanno a cuore la Valle e la città di Susa, “vecchi e nuovi abitanti di questa valle”, potranno marciare al fianco di tante compagne e tanti compagni di lotta per affermare che la valle non è disposta a farsi “ricattare e sfruttare dal sistema delle grandi opere”. Voglio ancora sentire i grilli cantare! Centro Sereno Regis