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Nel 2024 nelle regioni costiere 10.332 reati (+0,7% sul 2023), con la Campania che si conferma in testa
Tra abusivismo edilizio, occupazioni illecite del demanio marittimo,  cave fuorilegge e illeciti negli appalti per opere pubbliche, i reati registrati lo scorso anno nelle regioni costiere del nostro Paese sono stati ben 10.332 (+0,7% sul 2023), con una media di circa 28 reati al giorno (1,3 ogni ora). Reati che hanno fatto scattare 28.030 sanzioni amministrative per un valore economico che supera i 53 milioni di euro (+46,2% rispetto all’anno precedente). Sono alcuni dei dati di anteprima del dossier Mare Monstrum di Legambiente. La Campania si conferma in testa nella classifica del mare violato nell’ambito della filiera del cemento illegale, con 1.840 reati accertati dalle forze dell’ordine e dalle Capitanerie di porto, pari al 17,8% del totale nazionale (in aumento rispetto ai 1.531 illeciti registrati nel 2023, +2,9%). Primato confermato, inoltre, dal numero di persone denunciate e arrestate, rispettivamente 2.073 e 4, e dal dato sui sequestri (343). Al secondo posto troviamo ancora la Puglia, con 1.219 reati accertati (sebbene in calo rispetto ai 1.442 dell’anno precedente), pari all’11,8% del totale nazionale. A seguire la Sicilia, con 1.180 reati (11,4%) e la Toscana, al quarto posto con 946 reati (il 9,2% dei reati nazionali) che scavalca la Calabria, ora al quinto posto, con 869 reati (8,4%). Si conferma pesante, dunque, il bilancio nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa, nelle quali si concentra quasi la metà dei reati relativi alle diverse filiere del cemento illegale, per un totale di 5.108 illeciti gravi (49,4%), con 5.377 tra denunce e arresti. In sesta posizione troviamo la prima regione del nord Italia, il Veneto, che fa registrare 746 reati (il 7,2%), mentre il Lazio con 649 reati (6,3%) si ferma al settimo posto, nonostante il primato negativo conquistato sul versante degli illeciti amministrativi, ben 7.006 (cresciuti esponenzialmente rispetto ai 1.110 del 2023). A livello provinciale al primo posto si colloca Salerno con 606 reati (+104,7% rispetto al 2023), che supera la provincia di Napoli, con 378 reati (-16,4%), seguita da Cosenza, Lecce, Bari e Foggia. Colpisce il dato relativo alla provincia di Chieti, settima, con 156 reati e un incremento del +167,9% rispetto al 2023. Intanto sta per partire anche quest’anno Goletta Verde, che inizierà il suo viaggio il 23-24 giugno da Trieste, proseguendo dal 25 al 27 giugno a Porto Baseleghe (VE), dal 28 al 30 a Marina di Ravenna con focus sulle rinnovabili. A luglio salperà il 1° a Senigallia (AN), poi Ancona (2-3 luglio), Pescara (3-5), Termoli (6-7), Bari (8-12). L’11 sarà a Taranto, con focus sempre sulle rinnovabili, con visita in catamarano al parco eolico offshore. E ancora Tropea (14-16 luglio) con un’attività di pulizia nell’ambito della campagna “Puliamo il mondo” insieme ai sub; Augusta (SR) (17-18), Agrigento (20-21), Cagliari (23-25 luglio) e Maratea (PZ) (28-29 luglio). Il 30 e 31 luglio sarà la volta di Santa Maria di Castellabate (SA) con un’attività dimostrativa della squadra dei tartadog, il primo esempio in Europa di unità cinofila specializzata nel trovare nidi di tartaruga, in più si farà un punto sulle nidificazioni in Italia delle Caretta caretta. Infine, ad agosto: l’1-2 a Formia (LT), il 4-5 a Marina di Carrara e il 7-9 agosto a Santa Margherita Ligure (GE). Ricordiamo che al servizio SOS Goletta di Legambiente i cittadini possono segnalare scarichi anomali, chiazze sospette o casi di inquinamento lungo le coste, le spiagge e i laghi. E anche quest’anno la Goletta Verde ospita i laboratori di educazione ambientale. Con Life Turtlenest si scoprirà attraverso giochi, laboratori e attività didattiche per tutte le età come proteggere i nidi di tartarughe marine e come aiutare i piccoli a raggiungere il mare in sicurezza. Insieme a Life SeaNet si farà luce sulla straordinaria ricchezza dei siti marini della Rete Natura 2000 presenti in Italia. In concomitanza con il tour di Goletta Verde, il progetto Life Sea.Net lancia la seconda edizione del contest fotografico Deep Blue con in palio fantastici premi: la call to action per fotografi professionisti e semplici appassionati dell’arte fotografica prevede l’invio di immagini a info@lifeseanet.eu che ritraggono i siti marini Natura 2000 e le aree marine protette in Italia, le specie target di Life Sea.Net e paesaggi naturali e attività economiche connesse. Con Life Muscles si scopriranno soluzioni alternative alle retine in polipropilene (PP) utilizzate negli impianti di mitilicoltura, uno dei rifiuti più trovati nei fondali e sulle spiagge del Mediterraneo. Life AgreeNet lancerà il report “Clima e Salute” sulle connessioni tra ondate di calore e salute dei cittadini nelle città costiere del Medio-Adriatico, suggerendo buone pratiche di adattamento alla crisi climatica degli ambienti urbani. Qui per approfondire Goletta Verde 2025: https://golettaverde.legambiente.it/goletta-verde/.   Giovanni Caprio
Le bonifiche sempre più in stallo
Su 148.598 ettari di aree a terra inquinate ricadenti nei 41 Siti di Interesse Nazionale (SIN) perimetrati, solo il 24% di suolo è stato caratterizzato e solo il 6% è stato bonificato. Non va meglio per le falde, bonificate appena il 2%. Con l’attuale media di 11 ettari bonificati all’anno ci vorranno mediamente – per i SIN più virtuosi o fortunati – almeno 60 anni prima di vedere l’iter concluso. Gravi ritardi amministrativi che si accompagnano a gravissime omissioni: sono ben 35 i reati di omessa bonifica dal 2015 al 2023 con Sicilia, Lazio e Lombardia le regioni con più illeciti. Eppure, il giro d’affari del risanamento ambientale si aggirerebbe intorno ai 30 miliardi di euro. Sono alcuni dei dati del report che ACLI, AGESCI, ARCI, Azione Cattolica Italiana, Legambiente e Libera hanno presentato nei giorni scorsi sullo stato delle bonifiche dei siti di interesse nazionale, che dimostra come il Paese continui a fare fatica a dare ecogiustizia al popolo inquinato, alle 6,2 milioni di persone che vivono nei principali SIN e SIR monitorati, per gli aspetti sanitari, dal progetto “Sentieri” dell’Istituto superiore di sanità. I dati del report “Le bonifiche in stallo”, che ha concluso la campagna itinerante “Ecogiustizia subito: in nome del popolo inquinato”, parlano chiaro: dei 41 SIN  perimetrati sui 42 censiti dal MASE e che coprono un’area di 148.598 ettari (presenti in tutte le regioni, ad eccezione del Molise), ad oggi solo il 24% (pari a 29.266 ha) della matrice suolo è stato caratterizzato, definendo in questa prima fase tipologia e diffusione dell’inquinamento, uno step fondamentale per progettare gli interventi necessari. Inoltre, solo il 5% del terreno delle aree perimetrate (6.188 ha su 148.598) ha il progetto di bonifica o di messa in sicurezza approvato e solo il 6% dei suoli (7.972 ha su 148.598) ha raggiunto il traguardo della bonifica completa.  Non va meglio per le falde: solo il 23% delle acque sotterranee ha il piano di caratterizzazione eseguito e solo il 7% ha il progetto di bonifica o di messa in sicurezza approvato. Scende al 2% la percentuale che vede il procedimento di bonifica concluso. Preoccupa, poi, la media degli ettari bonificati all’anno, appena 11, una media troppo bassa rispetto agli oltre 140mila ha che restano da bonificare in Italia nei Siti di Interesse Nazionale. Con questo passo, in Italia ci vorranno mediamente, per i SIN più “virtuosi o fortunati”, almeno 60 anni ancora prima di vedere l’iter concluso. Se tutto va bene a partire quindi dal 2085. Per gli altri SIN meno fortunati, i tempi sono paragonabili a quelli per smaltire le scorie nucleari, centinaia di anni se non qualcosa di più in alcuni casi. Bicchiere mezzo pieno, invece, per i Siti di Interesse Regionale (SIR), dove secondo gli ultimi dati raccolti e pubblicati da ISPRA i siti interessati da procedimenti di bonifica nel 2023, sono complessivamente 38.556, dei quali 16.365 con procedimento in corso (42%) e 22.191 (58%) con procedimento concluso. In fatto di SIN e SIR, bisogna considerare anche gli impatti legati alla salute. Secondo lo studio Sentieri nelle aree inquinate oggetto di studio, si registra “un eccesso di mortalità e di ospedalizzazione rispetto al resto della popolazione, e mostrano come nei siti con caratteristiche di contaminazione simili si producano effetti comparabili”. L’altra spia rossa è rappresentata dai 241 controlli e dai 35 reati di omessa bonifica accertati dalle forze dell’ordine dal 1° giugno 2015 (anno dell’entrata in vigore della legge sugli ecoreati che prevede questo delitto specifico) al 31 dicembre 2023. Parliamo di un reato ogni 6,8 controlli, 50 denunce e 7 arresti.  A livello regionale, in questi nove anni la Sicilia risulta essere la prima regione con 17 reati, seguita a grande distanza da Lazio e Lombardia, a quota 5 reati a testa. Terzo posto per la Calabria con 3 reati e al quarto la Campania, con 2. La Sicilia è anche la regione con il maggior numero di denunce, 25 tra enti o imprese e persone fisiche e sequestri, che sono stati 6. Un dato positivo, rispetto ai controlli, è quello della Liguria, dove ne sono stati effettuati ben 141. Come si legge nel report, a livello nazionale sono due i talloni d’Achille: “Il primo riguarda il divario tra quanto previsto dalla normativa e quanto realizzato nella pratica. La tempistica stabilita dalla legge prevede una deadline di 18 mesi per completare le prime tre fasi (caratterizzazione del sito, analisi dei rischi associati alla presenza delle sostanze inquinanti rilevate, predisposizione del POB o di messa in sicurezza operativa/permanente) del processo amministrativo per procedere alle bonifiche dei SIN. Tempi però non rispettati, visto che ci si impiegano anni se non decenni. Il secondo tallone riguarda la mancanza in Italia di una strategia nazionale delle bonifiche, uno strumento fondamentale per velocizzare il risanamento ambientale il cui giro d’affari si aggirerebbe intorno ai 30 mld di euro tra investimenti pubblici e privati. Secondo stime di Confindustria, le risorse necessarie per bonificare i SIN presenti in Italia si aggirano intorno ai 10 miliardi di euro e se le opere partissero oggi, in 5 anni si creerebbero quasi 200.000 posti di lavoro con un ritorno nelle casse dello Stato di quasi 5 miliardi di euro fra imposte dirette, indirette e contributi sociali”. Qui il Report: https://www.legambiente.it/wp-content/uploads/2021/11/Ecogiustizia-report-bonifiche.pdf.  Giovanni Caprio
Porticciolo di Ognina, responsabilità istituzionali nella privatizzazione del mare
Se ne è parlato poco, eppure è un atto che merita attenzione e che ci dice molte cose sulla nostra città e sulle nostre istituzioni. Ci riferiamo alla sentenza con cui il Tar di Catania ha rigettato il ricorso presentato dal Circolo Canottieri Jonica contro l’ampliamento della concessione rilasciata dall’Assessorato Territorio e Ambiente a La Tortuga nel Porticciolo di Ognina. La sentenza è recente, porta la data del 17 aprile e rappresenta una sconfitta non solo per la Canottieri Ionica e per Legambiente, intervenuta in giudizio ad adiuvandum, ma per tutti i cittadini che si sono mobilitati in difesa di un’area che la città frequenta assiduamente e sente propria. E alla quale dovrebbe rinunciare per favorire gli interessi di un privato. Di cosa comporti questo ampliamento abbiamo già parlato, prevede non solo la concessione di ulteriori 1650 mq di specchio acqueo e la posa di un pontile galleggiante, ma anche la recinzione dell’area e il taglio (di un metro e venti) del molo di ponente, il vecchio molo storico del porticciolo. Per chiederne il ritiro sono scesi in piazza cittadini, associazioni, partiti di opposizione e sembrava fosse sceso in campo anche il sindaco Trantino per “garantire il preminente interesse pubblico” e non interrompere il percorso iniziato con il concorso di progettazione per riqualificare e valorizzare il Borgo Marinaro, “con probabile demolizione del cavalcavia”. Come sappiamo, infatti, per riqualificare il Borgo di Ognina sono stati stanziati 15 milioni di fondi comunitari e il sindaco ha messo la faccia su questo intervento, anche se adesso la sta perdendo con la sua ambiguità sul destino del Porticciolo. Quando, infatti, ha chiesto alla Regione di ritirare il provvedimento, il sindaco non poteva non sapere che il Comune non si era presentato alla conferenza dei servizi decisoria del 31 maggio 2023 e che questa assenza aveva fatto scattare una sorta di silenzio-assenzo nei confronti della concessione. La notizia di questa mancata partecipazione alla conferenza dei servizi decisoria si conosceva già, tanto che il consigliere Bonaccorsi del M5S aveva presentato in proposito una interrogazione urgente in Consiglio comunale, senza ottenere nessuna spiegazione che giustificasse l’assenza. Il modo in cui si è arrivati alla concessione dell’ampliamento da parte della Regione e il ruolo che ha avuto l’assenza del Comune alla Conferenza dei servizi del 31 maggio, viene ben descritto e spiegato all’interno della sentenza di cui ci stiamo occupando. Partiamo dal settembre 2022, data in cui si svolge una prima Conferenza dei servzi alla quale il Comune è presente ed esprime un parere favorevole alla concessione. Favorevole ma condizionato, sia pure in modo blando. Chiede soltanto che il gazebo previsto dal progetto sia “su ruote, asportabile e facilmente amovibile, non ancorato al suolo definitivamente”. Nulla di essenziale se non, forse, il tentativo di legittimare la realizzazione del gazebo in un’area in cui il piano regolatore esclude l’aumento della consistenza edilizia, anche con costruzioni a carattere precario La concessione viene approvata, ma l’Assessorato, per non precisati vizi formali, la annulla in autotutela, facendo così decadere il parere di tutti gli enti presenti alla Conferenza dei servizi, Comune compreso. Un annullamento che, scrivono i giudici del Tar, costituisce una cesura netta, come se quel parere non ci fosse mai stato. Visto che La Tortuga non demorde, si riparte con una nuova Conferenza dei servizi, anch’essa decisoria e in modalità sincrona, tenuta il 31 maggio 2023, quella alla quale – come dicevamo in apertura – il Comune non partecipa. Una assenza non giustificata. Secondo quanto stabilito dalla normativa, il Comune avrebbe dovuto comunicare la propria assenza “almeno tre giorni prima della data fissata”, motivandola e “indicando le proprie determinazioni”. Si limita, invece, nella stessa data della conferenza, a chiedere un rinvio per poter espletare adempimenti relativi alle elezioni amministrative appena concluse. Troppo tardi. L’assenza del Comune, non preannunciata, viene considerata – da regolamento – come un assenso senza condizioni. Se il sindaco ne è al corrente, e non può non esserlo, perché nel mese di novembre 2024 chiede ufficialmente alla Regione l’annullamento del provvedimento di concessione? Forse solo per ‘apparire’ solidale con le posizioni prese dalla cittadinanza e non perderne il consenso? Ma c’è di più. L’Assessorato, dopo la Conferenza dei servizi da cui il Comune è stato assente, offre al Comune stesso un’altra chance. Gli chiede se sia interessato a quell’area. Il Comune poteva offrirsi di prenderla in concessione, probabilmente per una cifra irrisoria, ma non lo fa. Risponde in modo ambiguo e non solo perde l’occasione di mantenere il Porticciolo in mani pubbliche, ma crea una situazione poco chiara che induce l’Assessorato a sostenere di non avere avuto risposta. In verità il Comune ha risposto, sia pure in modo ambiguo, ma quando viene diffusa la notizia (l’abbiamo data anche noi) di questa mancata risposta, il sindaco non ne approfitta per impugnare il provvedimento di concessione per vizio di forma. Tace, e rivela, in sostanza, di non avere una reale intenzione di farsi carico della gestione del Porticciolo restituendolo alla città. Le sue responsabilità sono, quindi, innegabili. Ma ci sono responsabilità manifeste anche da parte di altre istituzioni che non hanno svolto con coscienza il loro ruolo Nell’esprimere i prorio giudizio favorevole a La Tortuga, la corte sottolinea come nessuna delle amministrazioni presenti alla Conferenza dei servizi decisoria avesse espresso un parere decisamente negativo sull’ampliamento della concessione. Non lo aveva fatto neanche la Capitaneria di Porto, l’unica che – nel 2022, nel corso della prima Conferenza dei servizi – avesse evidenziato la drastica riduzione degli spazi di ormeggio pubblico libero che la nuova concessione avrebbe determinato, oltre a segnalare alcune criticità connesse alla sicurezza della navigazione. Nella nuova Conferenza, del maggio 2023, la posizione della Capitaneria si è fatta più morbida, le “osservazioni” del parere precedente sono diventate “suggerimenti”, una sorta di invito a riservare un’adeguata percentuale di spazio agli aventi diritto all’ormeggio. Un invito così generico che i giudici finiranno per considerare “congruo” il numero di 6 posti barca riservati ai pescatori, un numero in verità del tutto inadeguato se paragonato alle 65 piccole imbarcazioni da diporto che attualmente in quel porticciolo fruiscono di libero ormeggio, tra cui anche quelle dei soci del Circolo Canottieri. Ancora più grave ci appare la posizione assunta dalla Soprintendenza che, dopo aver ribadito il valore non solo paesaggistico del Porticciolo, ha poi espresso parere positivo all’ampliamento della concessione senza neanche fare cenno al taglio di una porzione del molo di ponente. Un intervento invasivo e drastico, dal quale non si potrà tornare indietro e che – come notano i ricorrenti – non permetterà che si attui “l’integrale ripristino dello stato dei luoghi alla scadenza della concessione” (sentenza, pag 5). Su questo la Soprintendenza tace, limitandosi a porre soltanto delle condizioni che evitino il “disagio visivo del contesto in esame”. Chiede che, a lavori ultimati, si pervenga “ad un armonico inserimento delle opere previste in progetto”, e che si rispettino alcune prescrizioni relative alla dimensioni delle navi, ai colori e al materiale utilizzati, che “devono ottemperare a criteri di minimizzazione visiva” per non disturbare il paesaggio. Prescrizioni non attuabili (chi misurerà l’altezza delle imbarcazioni o controllerà il loro colore?) e assolutamente irrilevanti che non fanno altro che spostare l’attenzione su aspetti secondari, senza intervenire su quelli essenziali. Le responsabilità, quindi, sono plurime, ma la questione potrebbe non essere definitivamente chiusa. Il Circolo Canottieri ha fatto sapere che ricorrerà in appello, Legambiente deve decidere. Ma la città ha già avuto elementi sufficienti per valutare l’affidabilità delle proprie istituzioni. Nel frattempo, noi cittadini, profani di competenze giuridiche non possiamo non osservare alcune macroscopiche contraddizioni. Mentre era in corso l’iter per l’approvazione della nuova concessione di ampliamento, è – infatti – accaduto un altro fatto clamoroso. In data 31 gennaio 2024, si è concluso un contenzioso durato 16 anni, aperto da quattro residenti che hanno avuto il coraggio e la determinazione di sfidare Comune, Genio Civile, Soprintendenza, Assessorato, Capitaneria, Demanio, presentando un ricorso contro la concessione originaria rilasciata a La Tortuga nel 2007. Si è concluso con una sentenza del Tar di Catania che ha annullato tutti i titoli edilizi rilasciati dal Comune alla società La Tortuga perché illegittimi, aprendo la strada alla demolizione di tutte le edificazioni realizzate da La Tortuga nel Porticciolo. Durante questi 16 anni, il ricorso si è arricchito di “motivi aggiuntivi” via via che, all’originaria concessione edilizia, si aggiungevano altri provvedimenti emessi da differenti uffici. Tra sequestri, revoche e nuove autorizzazioni, la vicenda ha avuto un iter complesso e persino un risvolto penale con una condanna, confermata in appello, per alcuni membri della famiglia Testa, proprietari de La Tortuga, e per un funzionario comunale compiacente che aveva firmato un’autorizzazione illegittima. L’intervenuta prescrizione e la morte che ha portato via quasi tutti i protagonisti, hanno chiuso la vicenda dal punto di vista penale. La sentenza del Tar che annulla tutti i titoli edilizi rilasciati dal Comune a La Tortuga perché illegittimi, chiude l’aspetto amministrativo. Noi cittadini digiuni di competenze giuridiche non possiamo – tuttavia – non chiederci come si possano conciliare il riconoscimento che le costruzioni realizzate dalla Tortuga siano illegittime (e da demolire) e l’ampliamento della concessione appena concesso. Va bene che si tratta di due procedimenti diversi, va bene che l’ampliamento riguarda soprattutto lo specchio acqueo, ma c’è comunque qualcosa che non quadra. Come ha fatto l’Assessorato a concedere l’ampliamento sapendo che era in discussione una scabrosa questione di illegittimità delle opere a terra? Questa ed altre domande simili incombono sulla coerenza di molte di queste decisioni. Siamo davanti ad un paradosso. Constatiamo, tuttavia, che si apre un nuovo spazio per l’intervento del Comune, che dovrebbe demolire tutte le costruzioni realizzate da La Toruga nel Porticciolo. Sarebbe un’occasione per ritrovare un poco di credibilità. Non sappiamo se lo farà e confessiamo di dubitarne. Ma ce lo auguriamo, per il bene della città. Redazione Sicilia