Tag - Legambiente

Premio ‘L. Minazzi’ – Ambientalista dell’Anno: si vota fino a domenica 23 novembre
Sei figure rappresentative di altrettante esperienze di impegno civile e ambientale sono candidate per il riconoscimento, alla cui assegnazione tutti possono concorrere esprimendo la propria preferenza. La cerimonia di conferimento si terrà il 28 novembre ed è anche un evento incluso nel programma del Festival della virtù civica in svolgimento a Casale Monferrato e dintorni. La XVI edizione del Premio Luisa Minazzi – Ambientalista dell’Anno è promossa dal Comitato organizzatore insieme al Circolo Legambiente VerdeBlu e La Nuova Ecologia e in collaborazione con l’Ente di Gestione delle Aree Protette del Po piemontese e alla Città di Casale Monferrato e con sostegni di sedi e sezioni Agesci, AFeVa, Auser, Avis, CAI ed Equazione di Casale Monferrato e dell’associazione monferrina Il Picchio. Dalle proposte presentate, il Comitato organizzatore del Premio Luisa Minazzi – Ambientalista dell’Anno ha selezionato: * Luigi Aloisio – avvocato e sindaco di San Sostene (Cz), ha promosso nel suo Comune politiche ambientali virtuose che hanno portato lavoro e risparmi energetici; * Ferdinando Cotugno – giornalista professionista racconta con rigore e passione crisi climatica, ecologia e politica; * Livio Favaro – docente di Zoologia all’Università di Torino, ha contribuito a sviluppare metodi non invasivi di monitoraggio della fauna, oggi utilizzati per la conservazione di specie acquatiche minacciate; * Elisa Palazzi – docente di Fisica del clima presso il dipartimento di Fisica dell’Università di Torino studia il clima e i suoi cambiamenti nelle regioni di montagna, sentinelle del cambiamento climatico; * Piergiorgio Boscagin ed Enrico Varali, rispettivamente e presidente del circolo Legambiente Perla Blu di Cologna Veneta (VR) e avvocato, insieme da molto tempo in ‘prima linea’ nella lotta agli inquinatori;  * lo staff di Masseria Ferraioli di Afragola (Na), un bene confiscato alla camorra e diventata simbolo di riscatto che ospita orti urbani, arnie e biodiversità. Vittorio Giordano e Marco Fratoddi, coordinatori sia del Premio Luisa Minazzi – Ambientalista dell’Anno che della collegata rassegna di eventi in svolgimento in Monferrato, il Festival della virtù civica, spiegano: > Il riconoscimento è dedicato a Luisa Minazzi, attivista ecologista di Casale > Monferrato che ha perso la vita a causa dell’esposizione all’amianto, una > figura esemplare della lotta contro l’amianto e l’Eternit, la fabbrica che ha > falcidiato migliaia di vittime e che, a causa della lunga latenza delle > patologie provocate dall’inalazione e dal contatto con la sostanza tossica, > ancora ne miete nella zona casalese e monferrina, oggi un’area bonificata. > Nel periodo precedente all’assegnazione del premio i candidati selezionati > incontrano i giovani della cittadina nelle scuole superiori e, consapevoli > delle difficoltà poste dal presentare esperienze virtuose in un periodo > attraversato da venti di guerra, queste esperienze di grande “virtù civica”, > fortunatamente, lanciano segnali di speranza: le vediamo soprattutto > nell’impegno per contrastare l’emergenza climatica e la povertà energetica. > Più di cento candidate e candidati ci hanno fatto conoscere un’altra faccia > del nostro Paese, quella delle tante virtù civiche, spesso, troppo spesso, > dimenticate o poco valorizzate. Il direttore nazionale di Legambiente, Giorgio Zampetti, conferma: «Solidarietà, impegno civile, tutela dell’ambiente e rispetto della legalità: questi i valori che accomunano le storie dei sei candidati alla nuova edizione del Premio Luisa Minazzi – Ambientalista dell’Anno, che rendono questo appuntamento annuale un’occasione preziosa per raccontare di un’Italia attiva, responsabile e capace di costruire un futuro più sostenibile, equo e giusto. Docenti, giornalisti, attivisti, istituzioni, operatori di comunità che, in ambiti diversi e a vario titolo, si fanno carico delle sfide ambientali e sociali con gesti concreti e lungimiranti. Un impegno quanto mai necessario in un periodo storico segnato da guerre, crisi globali e crescenti disuguaglianze, che rendono urgente un nuovo modello di convivenza, fondato sulla pace, sulla giustizia ambientale e sul rispetto dei diritti.» Il direttore responsabile de La Nuova Ecologia, Francesco Loiacono, evidenzia: «Anche quest’anno promuoviamo il Premio con l’obiettivo di ispirare chi ha voglia di impegnarsi nel quotidiano per un mondo più giusto e sostenibile. Chi come noi fa informazione ambientale ha infatti l’ambizione di diffondere nella coscienza pubblica informazioni e storie che aiutino i cittadini a fare la propria parte. Proprio come fanno i candidati al Premio». Il presidente di Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta, Alice De Marco, aggiunge: «Il Premio Luisa Minazzi – Ambientalista dell’Anno e il Festival della Virtù Civica sono, ancora una volta, l’occasione per riportare al centro dell’attenzione pubblica storie di grande valore umano e civile. Le candidature di quest’anno sono particolarmente significative: raccontano esperienze profonde, radicate nei territori, che parlano di impegno quotidiano, di coraggio e di visione. Sono storie che si intrecciano in una rete fitta e vitale, che attraversa il nostro Paese e ci dimostra che esiste una comunità attiva, consapevole, che già oggi sta viaggiando nella giusta direzione. Una rete che lotta contro le illegalità, difende i diritti, contrasta l’inquinamento e le disuguaglianze, e promuove una transizione ecologica giusta e partecipata. La comunità casalese, con la sua storia di dolore, lotta e rinascita, è un simbolo potente di questo percorso. È da lì che nasce il Premio, ed è da lì che continua a irradiarsi un messaggio di speranza e di cambiamento. Valorizzare queste esperienze significa riconoscere che il futuro si costruisce dal basso, con la forza delle persone e delle comunità». La direttrice dell’Ente di gestione delle Aree Protette del Po piemontese, Emanuela Sarzotti, precisa: «L’Ente-Parco prosegue e rinnova la collaborazione con Legambiente per il Festival virtù civica e il Premio Luisa Minazzi promuovendo l’impegno dei cittadini, delle associazioni e degli enti verso la sostenibilità, la tutela e la valorizzazione della natura e delle nostre aree protette in particolare. L’Ente-Parco per questa edizione ha avviato una inedita e proficua attività con insegnanti, ex-insegnanti, volontari e amministrazione comunale, per ricordare il periodo in cui Luisa Minazzi fu dirigente scolastica a Crescentino, lasciando una impronta significativa di attenzione all’ambiente». Il sindaco della Città di Casale Monferrato, Emanuele Capra, ha dichiarato: «Il Premio Luisa Minazzi – Ambientalista dell’anno rappresenta un’occasione importante per ricordare come la tutela dell’ambiente sia una responsabilità collettiva, che si nutre di partecipazione e di consapevolezza. Ogni edizione rinnova un messaggio di impegno e di condivisione, valori che la nostra comunità sente profondamente propri. Come Amministrazione lavoriamo con continuità per rendere Casale Monferrato una città sempre più sostenibile, attenta alla qualità dell’aria, al verde urbano e alla diffusione di una cultura ambientale che coinvolga soprattutto le nuove generazioni». I CANDIDATI : VOTO ‘POPOLARE’: entro domenica 23 novembre 2025 in due modalità: 1. attraverso il modulo online sul sito www.premioluisaminazzi.it 2. compilando e inviando la scheda cartacea allegata al mensile La Nuova Ecologia in distribuzione NOMINATION – I candidati sono stati presentati al Comitato organizzatore da: Monica Triglia, giornalista già vicedirettrice di Donna Moderna che collabora con riviste e siti di informazione online; Daniela Ciaffi, che insegna Sociologia urbana al Politecnico di Torino ed è vicepresidente Labsus; Mauro Ravarino, giornalista che collabora con Il Manifesto / L’Extraterrestre; Daniele Moretti, giornalista vicedirettore Sky Tg 24. SELEZIONE – Il comitato organizzatore, che ha selezionato i sei finalisti e delibera il ‘riconoscimento speciale’, che si aggiunge al premio assegnato in base alla votazione della ‘giuria popolare’, è formato dai soci del circolo Legambiente Verdeblu, da referenti di Afeva, Agesci, Auser, Avis, Cai, Città di Casale Monferrato, Ente gestione aree protette del Po Piemontese, Equazione, Il Picchio, La Nuova Ecologia, Legambiente nazionale e del Piemonte e Valle d’Aosta e Libera di Casale Monferrato, inoltre da Marco Fratoddi, direttore artistico del Festival della virtù civica e, in rappresentanza della famiglia di Luisa Minazzi, da Mariella Aveni e Marco, Gian Paolo e Giulio Minazzi. I 6 FINALISTI sono: LUIGI ALOISIO Avvocato e sindaco del Comune di San Sostene (Cz), con le sue iniziative in materia di energia ha anticipato di due anni il recepimento da parte dell’Italia della direttiva europea sulle fonti rinnovabili. Pur essendo stato attaccato da molti, è riuscito a ideare e realizzare un parco eolico i cui benefici per la comunità sono evidenti: lavoro per numerose famiglie, riduzione di CO2 e maggiori entrate nel bilancio comunale. Ha dotato le strutture comunali di fotovoltaico e isolamento termico e ha sostituito circa il 70% delle lampade dell’illuminazione pubblica con altre a basso consumo. La differenziata supera il 70% e sono diminuiti gli incendi boschivi. Il Comune ha avuto il riconoscimento per buone pratiche in uno studio dell’Università della Calabria e Cittalia, Fondazione Anci ricerche. FERDINANDO COTUGNO – Nato a Napoli, vive e lavora a Milano. Giornalista professionista, nella sua professione si occupa in particolare di crisi climatica, ecologia e politica. Per il quotidiano Domani cura la newsletter e il podcast Areale, molto seguito e apprezzato anche dagli addetti ai lavori. Ha pubblicato diversi libri nei quali racconta del ritorno del bosco nel nostro Paese durante l’ultimo secolo e le responsabilità che questo comporta (Italian wood, Mondadori), della questione climatica, delle disuguaglianze indotte dall’attuale insostenibile modello di sviluppo e dei movimenti giovanili che negli ultimi anni si stanno battendo per “salvare la vita umana sulla Terra” (Primavera ambientale, Il Margine). Ha scritto la voce “Diplomazia climatica” per Treccani. Scrive anche per Vanity Fair, Esquire, Sole 24 ore e Rivista Studio. LIVIO FAVARO – Docente di Zoologia all’Università di Torino ed etologo specializzato in bioacustica marina. La sua ricerca unisce passione scientifica e impegno per la tutela della biodiversità. Attraverso lo studio della comunicazione vocale dei pinguini africani e di mammiferi marini ha contribuito a sviluppare metodi non invasivi di monitoraggio della fauna, oggi utilizzati per la conservazione di specie acquatiche minacciate. Le sue ricerche contribuiscono a fornire strumenti scientifici preziosi per comprendere le minacce che gravano sulle specie e per progettare azioni di conservazione mirate. Oltre all’attività accademica, Livio Favaro promuove iniziative di collaborazione e divulgazione, con l’obiettivo di rendere i risultati della ricerca accessibili e utili anche al di fuori della comunità scientifica. ELISA PALAZZI – Insegna Fisica del clima presso il dipartimento di Fisica dell’Università di Torino. La sua attività di ricerca riguarda lo studio del clima e dei suoi cambiamenti nelle regioni di montagna (Alpi, Himalaya, altopiano tibetano), sentinelle del cambiamento climatico. È impegnata nella divulgazione scientifica con laboratori su clima, energia e ambiente, conferenze e seminari rivolti a diverse tipologie di pubblico e a studenti. È autrice di libri e podcast sul clima. PIERGIORGIO BOSCAGIN ED ENRICO VARALI – L’uno ambientalista, presidente del circolo Legambiente “Perla Blu” di Cologna Veneta (Vr), l’altro avvocato, che da oltre vent’anni si occupa di questioni ambientali. Entrambi impegnati nella lotta contro gli inquinatori. Nel 2013, all’emergere della pesantissima contaminazione da Pfas in Veneto, sono in prima linea nell’informare i cittadini e nel confrontarsi duramente con le istituzioni per denunciare l’inquinamento che interessa più di 300mila cittadini. Nel 2014 Boscagin si fa promotore, affiancato da altre associazioni e movimenti, del primo esposto presentato alle procure di Verona e Vicenza nei confronti degli inquinatori. Nel “processo Miteni”, Varali ha patrocinato la costituzione di parte civile del circolo “Perla Blu” e Acqua bene comune onlus. MASSERIA FERRAIOLI – Con i suoi 12 ettari di superficie agricola ad Afragola, la Masseria Antonio Esposito Ferraioli è il più grande bene confiscato alla criminalità della provincia di Napoli. Questo spazio, per oltre vent’anni era stato “dimenticato”, diventando una discarica a cielo aperto, un luogo pericoloso, inaccessibile alla collettività. Oggi la Masseria Ferraioli, grazie all’impegno di associazioni e cittadini, coordinati dal direttore Giovanni Russo, è un polmone verde che racconta tutt’altra storia: 4.500 alberi da frutta che compongono il Museo vivente della biodiversità, 60 arnie che producono oltre 500 kg di miele l’anno, un giardino didattico e soprattutto orti urbani, da 50 metri quadri ciascuno, affidati a 308 famiglie che si producono cibo e rivendicano un ambiente sano e una vita senza camorra. Redazione Piemonte Orientale
Negli ultimi 11 anni l’Italia è stata colpita da oltre 800 eventi meteo estremi
In Italia la crisi climatica corre veloce: negli ultimi 11 anni – dal 2015 a settembre 2025 – sono ben 811 gli eventi meteo estremi, di cui 97 nel 2025 (gennaio-settembre), registrati in 136 comuni sopra i 50mila abitanti dove vivono in tutto 18,6 milioni di persone, ossia il 31,5% della popolazione nel nostro Paese. Eppure, solo il 39,7% dei comuni in questione ha messo in campo un piano o una strategia di adattamento ai cambiamenti climatici. É quanto denuncia Legambiente nel report “CittàClima. Speciale governance per l’adattamento al clima delle aree urbane”, diffuso a pochi giorni dall’avvio della COP30 sul clima in Brasile e in vista del “Climate Pride”, lo sciopero nazionale per il clima del 15 novembre a Roma. Allagamenti da piogge intense (371 eventi), raffiche di vento e trombe d’aria (167) ed esondazioni fluviali (60) sono gli eventi meteo estremi che più si sono ripetuti in questi 11 anni. Tra le altre cose preoccupano anche i danni alle infrastrutture, ben 55 quelli causati perlopiù da forti piogge e temperature record con impatti soprattutto sulla rete dei trasporti, e poi i 33 danni da grandinate. A pagarne lo scotto maggiore sono soprattutto le città tra 50 e 150mila abitanti. Qui, in questi anni, si è concentrato il maggior numero degli eventi meteo estremi, ben il 48% del totale (811), e tra le città più colpite ci sono Agrigento (28), Ancona (14), Fiumicino (11), Forlì (11) e Como (11). Non se la passano bene neanche le altre aree urbane: su 811 eventi meteo estremi, il 28% si è registrato nelle grandi città (con oltre 500mila abitanti) e il 23% nei comuni tra 150mila e 500mila, tra quest’ultimi quello più colpito è Bari con 33 casi, seguito da Bologna (18), Firenze (14) e Catania (13). Doppia maglia nera, invece, per Roma che centra un triste primato: è il comune con più eventi registrati dal 2015 a fine settembre 2025, ne conta ben 93, e tra le grandi città è la più colpita, seguita da Milano con 40 eventi di cui 16 esondazioni, Genova (36), Palermo (32), Napoli (20) e Torino (13). Napoli, è l’unica tra le “grandi sorelle”, a non aver adottato un piano o una strategia contro i cambiamenti climatici. Come lei, anche Bari, Reggio Calabria, Prato, Perugia, tra i comuni 150mila e 500mila abitanti, e poi Fiumicino, Como, Lamezia Terme, Massa, Potenza tra i comuni tra 50mila e 150mila abitanti. Per Legambiente, l’Italia paga sulla propria pelle i ritardi legati all’attuazione del Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC) e l’assenza di una legge contro il consumo di suolo. Priorità totalmente dimenticate dal Governo Meloni. Per questo l’associazione ambientalista, con il suo report CittàClima, torna a ribadire all’Esecutivo l’urgenza di stanziare le risorse per finanziare e dare piena attuazione al PNACC, che a distanza di due anni dalla sua approvazione, resta ancora un piano solo sulla carta insieme alle 361 misure da adottare su scala nazionale e regionale. “Un ritardo, denuncia Legambiente, inaccettabile dato che la mancata attuazione rallenta a cascata la redazione di Piani locali di adattamento al clima”. Così come è urgente istituire con decreto l’Osservatorio nazionale per l’adattamento ai cambiamenti climatici, composto dai rappresentanti delle Regioni e degli Enti locali per l’individuazione delle priorità territoriali e settoriali e per il monitoraggio dell’efficacia delle azioni di adattamento. Il decreto doveva essere emanato entro il 21 marzo 2024, ossia a tre mesi dall’approvazione del PNACC, ma ad oggi non ha visto ancora la luce. È anche importante che venga redatto un Piano specifico per l’adattamento delle aree urbane intrecciando il tema anche con quello dell’adattamento per le coste, come fatto in Spagna nel 2016. L’altra grande priorità su cui deve lavorare il Governo Meloni è quella di approvare una legge nazionale sullo stop al consumo di suolo, il cui iter legislativo iniziato nel 2012 è fermo in Parlamento dal 2016. Occorre, inoltre, prevedere il divieto di edificazione nelle aree a rischio idrogeologico, riaprire i fossi e i fiumi tombati nel passato, recuperare la permeabilità del suolo attraverso la diffusione di Sistemi di drenaggio sostenibile (SUDS) che sostituiscano l’asfalto e il cemento. “Avere città resilienti, sottolinea Legambiente, significa anche lavorare su una governance integrata, informare i cittadini, lavorare su innovazione e tecnologia, e al tempo stesso replicare le buone pratiche messe in campo in Italia e all’estero. Da Bologna, prima grande città italiana nel 2015 ad adottare un piano contro i cambiamenti climatici, a Vienna che integra azioni e strategie di adattamento climatico nella pianificazione urbana, con particolare riferimento alla mitigazione delle ondate di calore e dell’effetto isola di calore urbana, solo per citarne alcune”. Qui il report di Legambiente: https://cittaclima.it/wp-content/uploads/2025/11/Report-CC25-Speciale-governance-aree-urbane.pdf. Giovanni Caprio
Sulle proposte di legge di iniziativa popolare la Regione non vede, non sente, non parla
Nella mattinata di oggi una delegazione di una trentina di persone AMAS-ER ( Assemblea Movimenti Ambientalisti e Sociali Emilia-Romagna, che raggruppa diverse Associazioni e comitati, tra cui RECA, Cobas Bologna, USI-CIT, Comitato Besta Bologna, Un altro Appennino è possibile, Comitato contro ogni autonomia differenziata ER) e di Legambiente regionale ha presenziato ai lavori dell’Assemblea regionale. Tale iniziativa, svolta anche alzando in Aula uno striscione apposito, ha voluto evidenziare il grave ritardo e il sostanziale disinteresse della maggioranza di governo regionale rispetto alle 4 proposte di legge di iniziativa popolare sui temi ambientali Infatti, le 4 proposte di legge sui temi ambientali sono approdate in Regione già nel novembre 2022, sostenute da più di 7000 firme di cittadini emiliani-romagnoli, e il loro iter si era interrotto a causa dell’interruzione anticipata della legislatura regionale. Poi, con l’attuale legislatura, hanno ripreso il loro percorso e sono state assegnate alla Commissione Ambiente il 12 febbraio scorso. La proposta di legge contro ogni autonomia differenziata, su cui sono state raccolte più di 6000 firme, era stata sempre presentata nella legislatura precedente e, poi assegnata alla Commissione Affari generali e istituzionali sempre nel febbraio di quest’anno. Da quel momento, la discussione sulle 4 proposte di legge sui temi ambientali non è neanche iniziata, mentre sul tema dell’autonomia differenziata la Regione, perlomeno, ha prodotto una risoluzione con cui ha deciso di ritirare la preintesa raggiunta precedentemente con il Governo. Nei mesi passati sì è anche sviluppato il confronto tra AMAS-ER e Legambiente regionale e i capigruppo regionale di maggioranza sulle 5 proposte di legge, confronto che di fatto si è interrotto il 5 settembre scorso, dopo che gli stessi capigruppo avevano evidenziato la necessità di approfondire la discussione al loro interno. Non abbiamo più avuto notizie per la ripresa del confronto, né del fatto di iniziare un percorso per arrivare ad una legge regionale che sancisse definitivamente l’intenzione da parte della Regione di non chiedere, anche per il futuro, nessuna forma di autonomia differenziata. La situazione che si à determinata ci porta a concludere che il governo e la maggioranza regionale non hanno nessuna intenzione di discutere, e tantomeno di approvare, le proposte di legge sui temi ambientali che riguardano la gestione del servizio idrico, incentivandone la ripubblicizzazione, la gestione dei rifiuti, che guarda alla minimizzazione dei rifiuti non riciclati, il consumo di suolo, con l’obiettivo di azzerarlo al 2030 e le scelte in materia energetica, promuovendo una forte spinta per arrivare alla copertura dei consumi regionali con le energie rinnovabili. Ci tocca constatare che anche la Regione Emilia-Romagna si sta di fatto adeguando agli orientamenti che provengono dalla presidenza degli USA, dall’Unione Europea e dal governo italiano nel mettere da parte le politiche di contrasto al cambiamento climatico e della transizione ecologica, subordinandole  all’imperativo della competitività dell’apparato industriale e alla logica dell’economia di guerra. Anche per quanto riguarda il tema dell’autonomia differenziata, ci tocca constatare che non si intende sancire la scelta di rifiutare qualunque ipotesi di autonomia differenziata che si possa riproporre da qui in avanti. Emerge, inoltre, un tema forte rispetto al ruolo della partecipazione dei cittadini e dei movimenti e Associazioni di rappresentanza sociale, nel momento in cui si ignorano le proposte che essi avanzano e che, invece, dovrebbero essere considerate un elemento fondamentale per rispondere alla crisi di rappresentanza che investe la politica e le istituzioni. Insomma, siamo ben lontani dal produrre una svolta nelle politiche ambientali e nell’architettura istituzionale, che, per noi, continuano a rimanere una necessità ineludibile per affrontare la crisi ambientale, economica-sociale e istituzionale che è in atto anche nella nostra Regione. Obiettivo per il quale continueremo a batterci, anche dando continuità all’iniziativa svolta nella giornata odierna, avendo ben presente che l’approvazione delle nostre proposte di legge di iniziativa popolare costituiscono un passaggio fondamentale di questa prospettiva. AMAS- ER LEGAMBIENTE ER Redazione Bologna
Smog e rete idrica colabrodo restano le principali criticità delle nostre città
Diminuiscono troppo lentamente le città capoluogo con perdite d’acqua superiori o uguali al 50%: cono 20 quest’anno, erano 24 nel 2023 e 27 nel 2022, mentre diminuiscono sia le infrastrutture per la ciclabilità che le isole pedonali: nel 2024 è calata la media della superficie urbana dedicata alle infrastrutture per la ciclabilità, 10,39 metri equivalenti ogni 100 abitanti, erano11,02 m eq/100 ab nella passata edizione e 10,69 due anni fa ed è  diminuita sia l’estensione media delle isole pedonali nei comuni capoluogo passando dai 50,7 mq ogni 100 abitanti della scorsa edizione agli attuali 48,6  mq sia quella delle zone a traffico limitato che nel 2024 si attesta a 368,3 m² ogni 100 abitanti rispetto ai 406,9 della scorsa edizione. A crescere, invece, stando i dati Ispra, è il consumo di suolo nel totale dei capoluoghi: dal 2018 al 2023 è pari a circa 4500 Ha, a fronte di un calo del numero degli abitanti (-346.000 abitanti). Ne deriva una crescita del suolo impermeabilizzato per ogni abitante delle città, sempre su base quinquennale, pari a +6,3 mq/ab dal 2018 al 2023 (+3,5% rispetto al 2018), con forti variazioni da città a città. Sono alcuni dei dati dell’Ecosistema Urbano, il rapporto di Legambiente in collaborazione con Ambiente Italia e Il Sole 24 Ore, sulle performance ambientali di 106 capoluoghi di provincia, che evidenzia come nel 2024 solo Trento (79,78 %) e Mantova (78,74%) abbiano superato la soglia di 75 punti e a dominare la classifica (dietro di loro si piazzano Bergamo, Bolzano, Pordenone, Reggio Emilia, Parma, Rimini, Bologna, Forlì; il Sud è sempre in grande affanno, ad eccezione di Cosenza, 16esima in classifica, unica città del Meridione nella top 20). “Il nostro Paese, si legge nel Rapporto, è tra quelli che consumano più acqua potabile in Europa (in media i consumi in Italia oscillano tra i 220 e i 240 litri pro capite), i soli capoluoghi considerati in Ecosistema Urbano “consumano” 147 litri per abitante al giorno. Le perdite nelle reti di distribuzione idrica, nelle nostre principali città, arrivano in alcuni casi a sfiorare addirittura il 70% dell’acqua immessa in rete. Basti pensare che un foro di 3 millimetri di larghezza in una condotta può portare a una perdita fino a 340 litri d’acqua al giorno, ovvero al consumo medio di una famiglia. Situazione assai frequente, dal momento che le reti idriche italiane sono generalmente vecchie e scarsamente manutenute: il 60% delle infrastrutture è stato messo in posa oltre 30 anni fa (la percentuale sale al 70% nei grandi centri urbani) e il 25% di queste ha più di mezzo secolo di vita”. Oltre a confermarci consumatori d’acqua e ad avere reti idriche colabrodo, continuiamo ad ammorbare l’aria delle nostre città, sempre più ostaggio dell’automobile e diventate di fatto dei grandi garage: rispetto ad alcune grandi capitali europee (Londra, Parigi e Berlino), il tasso medio di motorizzazione dei comuni capoluogo italiani nel 2024 continua lentamente a crescere e si conferma tra i più alti d’Europa. Da 67,7 della passata edizione sale infatti a 68,1 auto ogni 100 abitanti. Oltre al caso particolare di Venezia (che conta 44 auto ogni 100 abitanti), solo Genova registra un tasso inferiore a 50 auto/100 abitanti. Le città che superano la soglia delle 60 auto/100 abitanti salgono a 96, in aumento rispetto alle 94 dello scorso anno (erano 93 due edizioni or sono). Tra i comuni con il maggior numero di auto circolanti pro-capite salgono a 37, dalle 33 dello scorso anno e di due anni fa, le città che registrano un tasso superiore a 70 auto/100 abitanti. Del Rapporto, ricco di dati ed informazioni utili, colpisce la permanenza di disuguaglianze tra territori a proposito della raccolta e del trattamento delle acque reflue urbane: in 13 Regioni e Province autonome su 21 si rileva una percentuale di copertura superiore al dato nazionale. Il Nord-ovest registra la copertura (94,6%), con la Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste al vertice tra le regioni (97,9%). Il Nord-est si attesta all’85,2%, con il Veneto fanalino di coda della macroarea (79,8%), seppur in crescita. Nelle Isole, la copertura scende all’81,1%, ma è la Sicilia a trascinare in basso la media, con solo il 76,5% di residenti serviti. Il record provinciale negativo è nella città metropolitana di Catania, dove la rete fognaria serve appena il 35,8% della popolazione. Per Legambiente le priorità sono: una legge nazionale per la rigenerazione urbana, quale potente deterrente anche per il consumo di nuovo suolo agricolo e l’avvio di una stabilizzazione definitiva dei bonus per le ristrutturazioni edilizie senza farli scendere al di sotto del 50%. Intervento, quest’ultimo, da inserire nella legge di bilancio in discussione con le dovuta premialità per l’efficientamento energetico e per le classi sociali più deboli. Qui l’Ecosistema urbano 2025: https://www.legambiente.it/wp-content/uploads/2025/10/Ecosistema-Urbano_2025.pdf.    Giovanni Caprio
Il nostro mare e i nostri laghi non godono di ottima salute
Anche questa stagione estiva si avvia stancamente al capolinea, mentre Legambiente ci fa sapere che il nostro mare e i nostri laghi non godono di ottima salute. É il bilancio finale di Goletta Verde e Goletta dei Laghi 2025 ad evidenziare come l’inquinamento, la maladepurazione e la crisi climatica rappresentino i nemici principali. Nell’estate 2025 su 388 campionamenti effettuati nelle acque costiere e lacustri in 19 regioni dagli oltre 200 volontari e volontarie di regionali e circoli di Legambiente, il 34% è risultato oltre i limiti di legge, ossia 1 campione su 3. In particolare, il 35% dei punti campionati con Goletta Verde è risultato inquinato o fortemente inquinamento con una media di un punto ogni 80 km, per i laghi il 30% è risultato oltre i limiti di legge. E anche quest’anno foci dei fiumi, canali e corsi d’acqua che sfociano a mare o nel lago si confermano punti critici: il 54% dei punti critici analizzati (101 su 188) è risultato inquinato o fortemente inquinato. Situazione migliore per i campioni prelevati direttamente in mare o nelle acque del lago, ossia in aree lontane da foci o scarichi, dove solo il 15% dei punti campionati è risultato oltre i limiti di legge (30 su 200). Sulla questione foci a mare, Legambiente denuncia che il 56% di quelle monitorate da Goletta Verde, non controllate dalle autorità competenti e di conseguenza non balneabili, risultano avere in prossimità una spiaggia libera. Un dato preoccupante se si pensa che oltre 220km di costa sabbiosa ad oggi non sono monitorati dalle autorità competenti (sui 3.346 km di costa bassa), ovvero il 6,6%, e alle poche spiagge libere rimaste nella Penisola, soprattutto in alcune regioni. Al problema dell’inquinamento e dei pochi controlli, si affianca quello della crisi climatica e dei rifiuti. Al grido  “Non è caldo, è crisi  climatica”, Legambiente – rielaborando i dati forniti dalle immagini satellitari di Copernicus – ha calcolato che a giugno e luglio la temperatura media delle acque superficiali del Mediterraneo è stata di 25,4°C, la più calda dal 2016 ad oggi, collocandosi al primo posto nell’ultimo decennio, e superando i precedenti record del 2022 (media 25,2°C) e quello del 2024 (25,1°C) e i valori degli anni fino al 2021 che erano intorno ai 24,5°C. Un aumento sensibile di circa mezzo grado centigrado che mette a repentaglio la biodiversità marina e che amplifica gli eventi meteorologici più estremi e persistenti per via di una sempre maggiore evaporazione delle acque marine e dell’energia termica accumulata, in particolare nei mesi estivi, che viene rilasciata successivamente con eventi meteo estremi. E poi c’è il grande tema dei rifiuti in spiaggia e a mare, affrontato da Goletta Verde quest’anno insieme a Puliamo il Mondo, campagna storica di volontariato ambientale di Legambiente, con un’attività di pulizia dei fondali e della costa in Calabria, sul lungomare di Tropea. Di fronte al bilancio emerso da Goletta Verde e dei Laghi, Legambiente torna a ribadire l’urgenza di approvare un piano nazionale per la tutela delle acque costiere e interne che abbia al centro una governance integrata su più livelli prevedendo: piani di adattamento ai cambiamenti climatici; più risorse economiche da destinare al servizio di depurazione per ammodernare gli impianti rispondendo ai più stringenti parametri per il trattamento e riuso delle acque reflue; più controlli da parte di Regioni, Arpa e Comuni sui punti critici e una migliore gestione delle acque interne. Sul fronte rinnovabili, è fondamentale spingere sulle fonti pulite a partire dall’eolico offshore, visto il grande potenziale e il fatto che questa tecnologia possa convivere con la fauna marina. Per Legambiente l’Italia deve accelerare su questa fonte rinnovabile, dando tempi certi, iter autorizzativi più snelli e coinvolgendo i territori nel dibattito pubblico. Per prevenire l’inquinamento delle nostre acque occorre intervenire sulle cause all’origine, ossia sugli scarichi non depurati e sugli sversamenti illegali nelle acque superficiali. La maladepurazione resta il grande tallone d’Achille del nostro Paese che ha già pagato sanzioni pecuniarie per circa 210 milioni di euro, a cui vanno aggiunti i ritardi ormai cronici rispetto al trattamento delle acque reflue. Inoltre, con la recente approvazione della revisione normativa della Direttiva Acque Reflue, gli impianti del Paese dovranno adattarsi ai nuovi requisiti, una spesa che è stata stimata tra i 645 milioni e 1,5 miliardi di euro solo per gli impianti di maggiori dimensioni. “Al Governo, commenta Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, chiediamo di definire e approvare al più presto un piano nazionale per la tutela di mare e laghi, investendo su innovazione e sostenibilità per ammodernare i sistemi di depurazione e per diffondere il riuso in agricoltura delle acque depurate. Sullo sviluppo delle rinnovabili in mare, dopo l’approvazione del decreto porti, è urgente stanziare le risorse economiche necessarie per infrastrutturare i due hub cantieristici di Taranto e di Augusta, che potranno garantire anche nuova occupazione green a due aree portuali che hanno sempre avuto a che fare con la logistica delle fonti fossili”. Qui per approfondire: https://golettaverde.legambiente.it/mappa-monitoraggi/. Giovanni Caprio
Nel 2024 nelle regioni costiere 10.332 reati (+0,7% sul 2023), con la Campania che si conferma in testa
Tra abusivismo edilizio, occupazioni illecite del demanio marittimo,  cave fuorilegge e illeciti negli appalti per opere pubbliche, i reati registrati lo scorso anno nelle regioni costiere del nostro Paese sono stati ben 10.332 (+0,7% sul 2023), con una media di circa 28 reati al giorno (1,3 ogni ora). Reati che hanno fatto scattare 28.030 sanzioni amministrative per un valore economico che supera i 53 milioni di euro (+46,2% rispetto all’anno precedente). Sono alcuni dei dati di anteprima del dossier Mare Monstrum di Legambiente. La Campania si conferma in testa nella classifica del mare violato nell’ambito della filiera del cemento illegale, con 1.840 reati accertati dalle forze dell’ordine e dalle Capitanerie di porto, pari al 17,8% del totale nazionale (in aumento rispetto ai 1.531 illeciti registrati nel 2023, +2,9%). Primato confermato, inoltre, dal numero di persone denunciate e arrestate, rispettivamente 2.073 e 4, e dal dato sui sequestri (343). Al secondo posto troviamo ancora la Puglia, con 1.219 reati accertati (sebbene in calo rispetto ai 1.442 dell’anno precedente), pari all’11,8% del totale nazionale. A seguire la Sicilia, con 1.180 reati (11,4%) e la Toscana, al quarto posto con 946 reati (il 9,2% dei reati nazionali) che scavalca la Calabria, ora al quinto posto, con 869 reati (8,4%). Si conferma pesante, dunque, il bilancio nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa, nelle quali si concentra quasi la metà dei reati relativi alle diverse filiere del cemento illegale, per un totale di 5.108 illeciti gravi (49,4%), con 5.377 tra denunce e arresti. In sesta posizione troviamo la prima regione del nord Italia, il Veneto, che fa registrare 746 reati (il 7,2%), mentre il Lazio con 649 reati (6,3%) si ferma al settimo posto, nonostante il primato negativo conquistato sul versante degli illeciti amministrativi, ben 7.006 (cresciuti esponenzialmente rispetto ai 1.110 del 2023). A livello provinciale al primo posto si colloca Salerno con 606 reati (+104,7% rispetto al 2023), che supera la provincia di Napoli, con 378 reati (-16,4%), seguita da Cosenza, Lecce, Bari e Foggia. Colpisce il dato relativo alla provincia di Chieti, settima, con 156 reati e un incremento del +167,9% rispetto al 2023. Intanto sta per partire anche quest’anno Goletta Verde, che inizierà il suo viaggio il 23-24 giugno da Trieste, proseguendo dal 25 al 27 giugno a Porto Baseleghe (VE), dal 28 al 30 a Marina di Ravenna con focus sulle rinnovabili. A luglio salperà il 1° a Senigallia (AN), poi Ancona (2-3 luglio), Pescara (3-5), Termoli (6-7), Bari (8-12). L’11 sarà a Taranto, con focus sempre sulle rinnovabili, con visita in catamarano al parco eolico offshore. E ancora Tropea (14-16 luglio) con un’attività di pulizia nell’ambito della campagna “Puliamo il mondo” insieme ai sub; Augusta (SR) (17-18), Agrigento (20-21), Cagliari (23-25 luglio) e Maratea (PZ) (28-29 luglio). Il 30 e 31 luglio sarà la volta di Santa Maria di Castellabate (SA) con un’attività dimostrativa della squadra dei tartadog, il primo esempio in Europa di unità cinofila specializzata nel trovare nidi di tartaruga, in più si farà un punto sulle nidificazioni in Italia delle Caretta caretta. Infine, ad agosto: l’1-2 a Formia (LT), il 4-5 a Marina di Carrara e il 7-9 agosto a Santa Margherita Ligure (GE). Ricordiamo che al servizio SOS Goletta di Legambiente i cittadini possono segnalare scarichi anomali, chiazze sospette o casi di inquinamento lungo le coste, le spiagge e i laghi. E anche quest’anno la Goletta Verde ospita i laboratori di educazione ambientale. Con Life Turtlenest si scoprirà attraverso giochi, laboratori e attività didattiche per tutte le età come proteggere i nidi di tartarughe marine e come aiutare i piccoli a raggiungere il mare in sicurezza. Insieme a Life SeaNet si farà luce sulla straordinaria ricchezza dei siti marini della Rete Natura 2000 presenti in Italia. In concomitanza con il tour di Goletta Verde, il progetto Life Sea.Net lancia la seconda edizione del contest fotografico Deep Blue con in palio fantastici premi: la call to action per fotografi professionisti e semplici appassionati dell’arte fotografica prevede l’invio di immagini a info@lifeseanet.eu che ritraggono i siti marini Natura 2000 e le aree marine protette in Italia, le specie target di Life Sea.Net e paesaggi naturali e attività economiche connesse. Con Life Muscles si scopriranno soluzioni alternative alle retine in polipropilene (PP) utilizzate negli impianti di mitilicoltura, uno dei rifiuti più trovati nei fondali e sulle spiagge del Mediterraneo. Life AgreeNet lancerà il report “Clima e Salute” sulle connessioni tra ondate di calore e salute dei cittadini nelle città costiere del Medio-Adriatico, suggerendo buone pratiche di adattamento alla crisi climatica degli ambienti urbani. Qui per approfondire Goletta Verde 2025: https://golettaverde.legambiente.it/goletta-verde/.   Giovanni Caprio
Le bonifiche sempre più in stallo
Su 148.598 ettari di aree a terra inquinate ricadenti nei 41 Siti di Interesse Nazionale (SIN) perimetrati, solo il 24% di suolo è stato caratterizzato e solo il 6% è stato bonificato. Non va meglio per le falde, bonificate appena il 2%. Con l’attuale media di 11 ettari bonificati all’anno ci vorranno mediamente – per i SIN più virtuosi o fortunati – almeno 60 anni prima di vedere l’iter concluso. Gravi ritardi amministrativi che si accompagnano a gravissime omissioni: sono ben 35 i reati di omessa bonifica dal 2015 al 2023 con Sicilia, Lazio e Lombardia le regioni con più illeciti. Eppure, il giro d’affari del risanamento ambientale si aggirerebbe intorno ai 30 miliardi di euro. Sono alcuni dei dati del report che ACLI, AGESCI, ARCI, Azione Cattolica Italiana, Legambiente e Libera hanno presentato nei giorni scorsi sullo stato delle bonifiche dei siti di interesse nazionale, che dimostra come il Paese continui a fare fatica a dare ecogiustizia al popolo inquinato, alle 6,2 milioni di persone che vivono nei principali SIN e SIR monitorati, per gli aspetti sanitari, dal progetto “Sentieri” dell’Istituto superiore di sanità. I dati del report “Le bonifiche in stallo”, che ha concluso la campagna itinerante “Ecogiustizia subito: in nome del popolo inquinato”, parlano chiaro: dei 41 SIN  perimetrati sui 42 censiti dal MASE e che coprono un’area di 148.598 ettari (presenti in tutte le regioni, ad eccezione del Molise), ad oggi solo il 24% (pari a 29.266 ha) della matrice suolo è stato caratterizzato, definendo in questa prima fase tipologia e diffusione dell’inquinamento, uno step fondamentale per progettare gli interventi necessari. Inoltre, solo il 5% del terreno delle aree perimetrate (6.188 ha su 148.598) ha il progetto di bonifica o di messa in sicurezza approvato e solo il 6% dei suoli (7.972 ha su 148.598) ha raggiunto il traguardo della bonifica completa.  Non va meglio per le falde: solo il 23% delle acque sotterranee ha il piano di caratterizzazione eseguito e solo il 7% ha il progetto di bonifica o di messa in sicurezza approvato. Scende al 2% la percentuale che vede il procedimento di bonifica concluso. Preoccupa, poi, la media degli ettari bonificati all’anno, appena 11, una media troppo bassa rispetto agli oltre 140mila ha che restano da bonificare in Italia nei Siti di Interesse Nazionale. Con questo passo, in Italia ci vorranno mediamente, per i SIN più “virtuosi o fortunati”, almeno 60 anni ancora prima di vedere l’iter concluso. Se tutto va bene a partire quindi dal 2085. Per gli altri SIN meno fortunati, i tempi sono paragonabili a quelli per smaltire le scorie nucleari, centinaia di anni se non qualcosa di più in alcuni casi. Bicchiere mezzo pieno, invece, per i Siti di Interesse Regionale (SIR), dove secondo gli ultimi dati raccolti e pubblicati da ISPRA i siti interessati da procedimenti di bonifica nel 2023, sono complessivamente 38.556, dei quali 16.365 con procedimento in corso (42%) e 22.191 (58%) con procedimento concluso. In fatto di SIN e SIR, bisogna considerare anche gli impatti legati alla salute. Secondo lo studio Sentieri nelle aree inquinate oggetto di studio, si registra “un eccesso di mortalità e di ospedalizzazione rispetto al resto della popolazione, e mostrano come nei siti con caratteristiche di contaminazione simili si producano effetti comparabili”. L’altra spia rossa è rappresentata dai 241 controlli e dai 35 reati di omessa bonifica accertati dalle forze dell’ordine dal 1° giugno 2015 (anno dell’entrata in vigore della legge sugli ecoreati che prevede questo delitto specifico) al 31 dicembre 2023. Parliamo di un reato ogni 6,8 controlli, 50 denunce e 7 arresti.  A livello regionale, in questi nove anni la Sicilia risulta essere la prima regione con 17 reati, seguita a grande distanza da Lazio e Lombardia, a quota 5 reati a testa. Terzo posto per la Calabria con 3 reati e al quarto la Campania, con 2. La Sicilia è anche la regione con il maggior numero di denunce, 25 tra enti o imprese e persone fisiche e sequestri, che sono stati 6. Un dato positivo, rispetto ai controlli, è quello della Liguria, dove ne sono stati effettuati ben 141. Come si legge nel report, a livello nazionale sono due i talloni d’Achille: “Il primo riguarda il divario tra quanto previsto dalla normativa e quanto realizzato nella pratica. La tempistica stabilita dalla legge prevede una deadline di 18 mesi per completare le prime tre fasi (caratterizzazione del sito, analisi dei rischi associati alla presenza delle sostanze inquinanti rilevate, predisposizione del POB o di messa in sicurezza operativa/permanente) del processo amministrativo per procedere alle bonifiche dei SIN. Tempi però non rispettati, visto che ci si impiegano anni se non decenni. Il secondo tallone riguarda la mancanza in Italia di una strategia nazionale delle bonifiche, uno strumento fondamentale per velocizzare il risanamento ambientale il cui giro d’affari si aggirerebbe intorno ai 30 mld di euro tra investimenti pubblici e privati. Secondo stime di Confindustria, le risorse necessarie per bonificare i SIN presenti in Italia si aggirano intorno ai 10 miliardi di euro e se le opere partissero oggi, in 5 anni si creerebbero quasi 200.000 posti di lavoro con un ritorno nelle casse dello Stato di quasi 5 miliardi di euro fra imposte dirette, indirette e contributi sociali”. Qui il Report: https://www.legambiente.it/wp-content/uploads/2021/11/Ecogiustizia-report-bonifiche.pdf.  Giovanni Caprio
Porticciolo di Ognina, responsabilità istituzionali nella privatizzazione del mare
Se ne è parlato poco, eppure è un atto che merita attenzione e che ci dice molte cose sulla nostra città e sulle nostre istituzioni. Ci riferiamo alla sentenza con cui il Tar di Catania ha rigettato il ricorso presentato dal Circolo Canottieri Jonica contro l’ampliamento della concessione rilasciata dall’Assessorato Territorio e Ambiente a La Tortuga nel Porticciolo di Ognina. La sentenza è recente, porta la data del 17 aprile e rappresenta una sconfitta non solo per la Canottieri Ionica e per Legambiente, intervenuta in giudizio ad adiuvandum, ma per tutti i cittadini che si sono mobilitati in difesa di un’area che la città frequenta assiduamente e sente propria. E alla quale dovrebbe rinunciare per favorire gli interessi di un privato. Di cosa comporti questo ampliamento abbiamo già parlato, prevede non solo la concessione di ulteriori 1650 mq di specchio acqueo e la posa di un pontile galleggiante, ma anche la recinzione dell’area e il taglio (di un metro e venti) del molo di ponente, il vecchio molo storico del porticciolo. Per chiederne il ritiro sono scesi in piazza cittadini, associazioni, partiti di opposizione e sembrava fosse sceso in campo anche il sindaco Trantino per “garantire il preminente interesse pubblico” e non interrompere il percorso iniziato con il concorso di progettazione per riqualificare e valorizzare il Borgo Marinaro, “con probabile demolizione del cavalcavia”. Come sappiamo, infatti, per riqualificare il Borgo di Ognina sono stati stanziati 15 milioni di fondi comunitari e il sindaco ha messo la faccia su questo intervento, anche se adesso la sta perdendo con la sua ambiguità sul destino del Porticciolo. Quando, infatti, ha chiesto alla Regione di ritirare il provvedimento, il sindaco non poteva non sapere che il Comune non si era presentato alla conferenza dei servizi decisoria del 31 maggio 2023 e che questa assenza aveva fatto scattare una sorta di silenzio-assenzo nei confronti della concessione. La notizia di questa mancata partecipazione alla conferenza dei servizi decisoria si conosceva già, tanto che il consigliere Bonaccorsi del M5S aveva presentato in proposito una interrogazione urgente in Consiglio comunale, senza ottenere nessuna spiegazione che giustificasse l’assenza. Il modo in cui si è arrivati alla concessione dell’ampliamento da parte della Regione e il ruolo che ha avuto l’assenza del Comune alla Conferenza dei servizi del 31 maggio, viene ben descritto e spiegato all’interno della sentenza di cui ci stiamo occupando. Partiamo dal settembre 2022, data in cui si svolge una prima Conferenza dei servzi alla quale il Comune è presente ed esprime un parere favorevole alla concessione. Favorevole ma condizionato, sia pure in modo blando. Chiede soltanto che il gazebo previsto dal progetto sia “su ruote, asportabile e facilmente amovibile, non ancorato al suolo definitivamente”. Nulla di essenziale se non, forse, il tentativo di legittimare la realizzazione del gazebo in un’area in cui il piano regolatore esclude l’aumento della consistenza edilizia, anche con costruzioni a carattere precario La concessione viene approvata, ma l’Assessorato, per non precisati vizi formali, la annulla in autotutela, facendo così decadere il parere di tutti gli enti presenti alla Conferenza dei servizi, Comune compreso. Un annullamento che, scrivono i giudici del Tar, costituisce una cesura netta, come se quel parere non ci fosse mai stato. Visto che La Tortuga non demorde, si riparte con una nuova Conferenza dei servizi, anch’essa decisoria e in modalità sincrona, tenuta il 31 maggio 2023, quella alla quale – come dicevamo in apertura – il Comune non partecipa. Una assenza non giustificata. Secondo quanto stabilito dalla normativa, il Comune avrebbe dovuto comunicare la propria assenza “almeno tre giorni prima della data fissata”, motivandola e “indicando le proprie determinazioni”. Si limita, invece, nella stessa data della conferenza, a chiedere un rinvio per poter espletare adempimenti relativi alle elezioni amministrative appena concluse. Troppo tardi. L’assenza del Comune, non preannunciata, viene considerata – da regolamento – come un assenso senza condizioni. Se il sindaco ne è al corrente, e non può non esserlo, perché nel mese di novembre 2024 chiede ufficialmente alla Regione l’annullamento del provvedimento di concessione? Forse solo per ‘apparire’ solidale con le posizioni prese dalla cittadinanza e non perderne il consenso? Ma c’è di più. L’Assessorato, dopo la Conferenza dei servizi da cui il Comune è stato assente, offre al Comune stesso un’altra chance. Gli chiede se sia interessato a quell’area. Il Comune poteva offrirsi di prenderla in concessione, probabilmente per una cifra irrisoria, ma non lo fa. Risponde in modo ambiguo e non solo perde l’occasione di mantenere il Porticciolo in mani pubbliche, ma crea una situazione poco chiara che induce l’Assessorato a sostenere di non avere avuto risposta. In verità il Comune ha risposto, sia pure in modo ambiguo, ma quando viene diffusa la notizia (l’abbiamo data anche noi) di questa mancata risposta, il sindaco non ne approfitta per impugnare il provvedimento di concessione per vizio di forma. Tace, e rivela, in sostanza, di non avere una reale intenzione di farsi carico della gestione del Porticciolo restituendolo alla città. Le sue responsabilità sono, quindi, innegabili. Ma ci sono responsabilità manifeste anche da parte di altre istituzioni che non hanno svolto con coscienza il loro ruolo Nell’esprimere i prorio giudizio favorevole a La Tortuga, la corte sottolinea come nessuna delle amministrazioni presenti alla Conferenza dei servizi decisoria avesse espresso un parere decisamente negativo sull’ampliamento della concessione. Non lo aveva fatto neanche la Capitaneria di Porto, l’unica che – nel 2022, nel corso della prima Conferenza dei servizi – avesse evidenziato la drastica riduzione degli spazi di ormeggio pubblico libero che la nuova concessione avrebbe determinato, oltre a segnalare alcune criticità connesse alla sicurezza della navigazione. Nella nuova Conferenza, del maggio 2023, la posizione della Capitaneria si è fatta più morbida, le “osservazioni” del parere precedente sono diventate “suggerimenti”, una sorta di invito a riservare un’adeguata percentuale di spazio agli aventi diritto all’ormeggio. Un invito così generico che i giudici finiranno per considerare “congruo” il numero di 6 posti barca riservati ai pescatori, un numero in verità del tutto inadeguato se paragonato alle 65 piccole imbarcazioni da diporto che attualmente in quel porticciolo fruiscono di libero ormeggio, tra cui anche quelle dei soci del Circolo Canottieri. Ancora più grave ci appare la posizione assunta dalla Soprintendenza che, dopo aver ribadito il valore non solo paesaggistico del Porticciolo, ha poi espresso parere positivo all’ampliamento della concessione senza neanche fare cenno al taglio di una porzione del molo di ponente. Un intervento invasivo e drastico, dal quale non si potrà tornare indietro e che – come notano i ricorrenti – non permetterà che si attui “l’integrale ripristino dello stato dei luoghi alla scadenza della concessione” (sentenza, pag 5). Su questo la Soprintendenza tace, limitandosi a porre soltanto delle condizioni che evitino il “disagio visivo del contesto in esame”. Chiede che, a lavori ultimati, si pervenga “ad un armonico inserimento delle opere previste in progetto”, e che si rispettino alcune prescrizioni relative alla dimensioni delle navi, ai colori e al materiale utilizzati, che “devono ottemperare a criteri di minimizzazione visiva” per non disturbare il paesaggio. Prescrizioni non attuabili (chi misurerà l’altezza delle imbarcazioni o controllerà il loro colore?) e assolutamente irrilevanti che non fanno altro che spostare l’attenzione su aspetti secondari, senza intervenire su quelli essenziali. Le responsabilità, quindi, sono plurime, ma la questione potrebbe non essere definitivamente chiusa. Il Circolo Canottieri ha fatto sapere che ricorrerà in appello, Legambiente deve decidere. Ma la città ha già avuto elementi sufficienti per valutare l’affidabilità delle proprie istituzioni. Nel frattempo, noi cittadini, profani di competenze giuridiche non possiamo non osservare alcune macroscopiche contraddizioni. Mentre era in corso l’iter per l’approvazione della nuova concessione di ampliamento, è – infatti – accaduto un altro fatto clamoroso. In data 31 gennaio 2024, si è concluso un contenzioso durato 16 anni, aperto da quattro residenti che hanno avuto il coraggio e la determinazione di sfidare Comune, Genio Civile, Soprintendenza, Assessorato, Capitaneria, Demanio, presentando un ricorso contro la concessione originaria rilasciata a La Tortuga nel 2007. Si è concluso con una sentenza del Tar di Catania che ha annullato tutti i titoli edilizi rilasciati dal Comune alla società La Tortuga perché illegittimi, aprendo la strada alla demolizione di tutte le edificazioni realizzate da La Tortuga nel Porticciolo. Durante questi 16 anni, il ricorso si è arricchito di “motivi aggiuntivi” via via che, all’originaria concessione edilizia, si aggiungevano altri provvedimenti emessi da differenti uffici. Tra sequestri, revoche e nuove autorizzazioni, la vicenda ha avuto un iter complesso e persino un risvolto penale con una condanna, confermata in appello, per alcuni membri della famiglia Testa, proprietari de La Tortuga, e per un funzionario comunale compiacente che aveva firmato un’autorizzazione illegittima. L’intervenuta prescrizione e la morte che ha portato via quasi tutti i protagonisti, hanno chiuso la vicenda dal punto di vista penale. La sentenza del Tar che annulla tutti i titoli edilizi rilasciati dal Comune a La Tortuga perché illegittimi, chiude l’aspetto amministrativo. Noi cittadini digiuni di competenze giuridiche non possiamo – tuttavia – non chiederci come si possano conciliare il riconoscimento che le costruzioni realizzate dalla Tortuga siano illegittime (e da demolire) e l’ampliamento della concessione appena concesso. Va bene che si tratta di due procedimenti diversi, va bene che l’ampliamento riguarda soprattutto lo specchio acqueo, ma c’è comunque qualcosa che non quadra. Come ha fatto l’Assessorato a concedere l’ampliamento sapendo che era in discussione una scabrosa questione di illegittimità delle opere a terra? Questa ed altre domande simili incombono sulla coerenza di molte di queste decisioni. Siamo davanti ad un paradosso. Constatiamo, tuttavia, che si apre un nuovo spazio per l’intervento del Comune, che dovrebbe demolire tutte le costruzioni realizzate da La Toruga nel Porticciolo. Sarebbe un’occasione per ritrovare un poco di credibilità. Non sappiamo se lo farà e confessiamo di dubitarne. Ma ce lo auguriamo, per il bene della città. Redazione Sicilia